La storia delle storie su L’Unione Sarda

da: L’Unione Sarda
La pietra filosofale di Vigna che muta l’inchiostro in china
L’Unione Sarda, 18 giugno 2013, p. 36

 

“In nova fert animus mutata dicere forma scorpora…”: “La mia mente mi porta a raccontare delle forme mutate in nuovi corpi”. Quattro i versi per introdurre un poema che raccoglie oltre duecento storie di trasformazione. Alla ratio delle “Metamorfosi” rimanda, per un attimo e più, quello che saggio è solo in parte. “La storia delle storie. Viaggio nei segreti della narrazione” di Bepi Vigna, edito da Arkadia con la pregevole introduzione di Franciscu Sedda. Un mosaico di Storie, antiche e recenti, legate da un inarrestabile gusto del narrare. Un dedalo nel quale i racconti muoiono come scrittura e rinascono come immagini, mentre le cornici, nei vari capitoli che le contengono, sono affidate agli innumerevoli riferimenti alla narratologia e alla critica più ragguardevole.

Il filo sottile che corre sotterraneo è il gusto del metamorfico, il trascorrere da un genere all’altro. Un flusso continuo per la fitta rete di corrispondenze, rimandi, anticipazioni che ripetono gli assi portanti di Ferdinand de Saussure, la struttura spaziale della semiotica, le intuizioni di Vladimir Propp e, via via, fino ad Aristotele, con le storie ora troppo umane, ora troppo divine, l’alto e il basso, l’ieri e l’oggi in una sorta di piccola “Encyclopédie” che affonda fin nelle origini della vicenda dell’uomo. Perché, a regolare il loro avvicendarsi, non è solo un principio cronologico, che pure c’è, o anche eziologico, ma la varietà di pretesti che lo associano, rendendo quest’opera altamente digressiva per i contenuti sempre nuovi.

Vigna non ama le definizioni ingessate, lo dice una prima volta nel capitolo iniziale, lo ribadisce nel diciannovesimo, a dimostrazione che il bandolo è sempre nelle sue mani. “Spesso non sono perfette come promettono di essere – afferma – e hanno un tono troppo freddo, quasi burocratico”, e così “storia” è il termine giusto per “parole, storie, immagini” dietro ai “fatti”, “sentimenti”, “emozioni”. Ma perché si raccontano? Per dare un senso al nostro essere uomini, comunicare, ricordare e tramandare. Un lungo viaggio- metafora ricorrente e necessaria – durante il quale il narratore conquista il lettore e lo precipita in uno spaesamento fantastico per le connessioni tra realtà apparentemente lontane, creando un nuovo stile percettivo. E così si giustifica anche la comparsa della metrica, ma accosto al più domestico “rap”: “ecco, in un certo senso i Greci di Omero raccontavano usando una specie di rap”. Allo stesso modo celebra la meraviglia di giorni diversi, gli eroismi, le astuzie e i cedimenti di una genia di attori straordinari.

“Io un’idea me la sono fatta”, rivendica quando incrocia il mondo al femminile, ma in accordo con Robert Graves, Johann J. Bachofen e Gabriele La Porta. Poi il mito, l’Iliade, gli Achei e le donne della contesa, ma insieme a John Wayne e Dean Martin del film “Un dollaro d’onore”. Ercole poi, “una vera e propria star del mondo antico”. Quella di Vigna è una continua traduzione, un rimettere in gioco un illusorio possesso di versioni canoniche, accompagnato dall’esercizio della funzione fàtica, da racconto orale, in un lessico famigliare, quasi avesse avanti i lettori seduti in circolo, anche se “c’è da farsi venire il capogiro con tutte queste storie che si mischiano e si sovrappongono”, ammette. Ma dietro il bisogno degli eroi anche il racconto dei loro punti deboli, un po’ come gli X-Men dei fumetti Marvel. E con Ulisse l’eroe più amato, il regista Wim Wenders e la sua “Trilogia della strada”, e se lo spettatore l’avesse dimenticata, l’autore si rivolge al lettore, riponendo nel suo scrigno memoriale anche il giusto cocktail di “movimento” ed “emozione”.

C’è una logica in tutto questo? Eroi Poeti Scrittori Registi, appassionatamente sotto lo stesso ombrello narrativo? Certo: è gente che racconta storie, perché gli artisti sono un po’ come gli eroi, vicini nel momento in cui si capiscono leloro opere. Dante, per fare l’esempio più alto, che, ai piedi del suo inarrivabile piedistallo, diventa uno di noi con il sonetto “Guido i’ vorrei che tu e Lapo ed io…” come chiave d’accesso alla sua composizione più vasta. E poi viaggi e avventura: un binomio di successo. Il paradigma? Moby Dick e i suoi tanti temi e significati, e se tra questo romanzo, Robinson Crusoe e il film Apollo 13 di Ron Howard corronon elementi di verità, la riscoperta dell’America è avventura migliore anche di quella degli astronauti americani, in fondo una storia priva di climax e di colpi di scena perché ciò che interessa è l’intreccio, il profilo dei personaggi, il ritmo narrativo, come già Aristotele aveva scritto nella sua “Poetica”.

Per Vigna un buon racconto presuppone parole e segni da combinare come nella fisica e nella chimica, e lo dimostra, insieme a Gramsci, negli stessi racconti d’evasione con la certezza che dagli anni Trenta sono “i fumetti, il cinema, la televisione, la musica leggera a soddisfare il bisogno d’evasione delle masse”. Un discorso tira l’altro e lui li insegue, dietro alle “storie narrate, a voce, con la scrittura, con le immagini”, e a quelle rappresentate sul paloscenico con gli eroi in maschera e dietro la maschera come nei fumetti. Ed ecco l’amato Nembo Kid, prima che diventasse Superman, e i cui creatori, Siegel e Shuster, ebrei, il Fascismo sostituì con due italiani, perché dietro le storie c’è sempre la Storia, ma questo è ancora pretesto per giungere a “Matrix” e a una cultura influenzata dal fumetto. Eppure, se proprio deve scegliere, allora per Vigna la storia delle storie è quella di Gesù con le resurrezioni in culture altre, a dire che, davvero, con il suo “racconto delracconto e sul racconto” (Sedda), costruisce una ragnatela che si allarga tanto che non basta una recensione a contarne tutti i fili colorati dalla fantasia, dalla critica, dalla storia e geografia.

Angela Guiso


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