“L’imbattibile lentezza delle tartarughe” su LuciaLibri
Gianetti, il lavoro che cambia e il divario sociale che aumenta
Un romanzo di grande empatia nei confronti dei lavoratori e delle loro difficoltà nel trovare un’occupazione e nel mantenerla. È “L’imbattibile lentezza delle tartarughe”, scritto da Alessandro Gianetti, che mostra grande capacità descrittiva e profonda sensibilità. Protagonista un uomo che perde il lavoro ed è senza rotta…
Il protagonista de L’imbattibile lentezza delle tartarughe (112 pagine, 14 euro) di Alessandro Gianetti, Davide, dopo avere perso il lavoro, è un uomo disorientato e inadeguato, vive la sua vita con inerzia. È un uomo “senza rotta” e, in questa perdita improvvisa dei punti di riferimento, non tarda a costruirsi una consuetudine che gli garantisca quella pseudo serenità cui ambisce la mediocrità “umana”, qui ben descritta dall’autore e bel rappresentata dai vari protagonisti che si muovono nella storia. Si tratta del famoso spirito di sopravvivenza, quello che ci permette di trascendere le difficoltà che gli si presentano e andare avanti, senza farci troppe domande e, soprattutto, senza darci troppe risposte.
Il sapore della libertà
Ma Davide ha un risvolto della medaglia, un lato b che lo fa ricredere dal pensare che la disoccupazione sia un fatto esclusivamente negativo. Inizia, infatti, a gustare il buon sapore della libertà, quello stato in cui non si deve sottostare a qualcuno sopra di noi. È, questa, una sensazione che non ha mai provato prima e che gli sta restituendo quella luce che nella routine della vita lavorativa non scorgeva più, nemmeno all’orizzonte. Il fatto che Davide sia un uomo “senza rotta” rende il suo percorso di riscoperta e presa di consapevolezza ancora più intenso e umano.
L’opuscolo destabilizzante
Casualmente, presso il bar dove consuma la consueta colazione, un giorno gli capita di leggere un opuscolo ignorato da tutti, un opuscolo a firma di Girolamo Rovescio, ma che a Davide farà prendere consapevolezza della piega che ha preso la sua vita, dal momento in cui è rimasto disoccupato e di come stanno realmente le cose nel mondo del lavoro. L’opuscolo si presenta, quindi, come un elemento disturbante e destabilizzante nella sua routine. Qui l’autore dell’opuscolo mette in discussione l’affidabilità dei datori di lavoro e la serietà dei sindacati, di cui lui faceva pur parte. Più Davide va avanti nella lettura, più inizia a dubitare, facendo franare tutto ciò in cui aveva fino a quel momento creduto. L’opuscolo di Girolamo Rovescio sembra quasi una chiave per aprire porte che Davide aveva sempre tenuto chiuse, o che aveva ignorato per comodità o rassegnazione. Questo meccanismo di far vacillare le certezze del protagonista funziona molto bene come motore narrativo.
Dimenticarsi di vivere
Davide cambia radicalmente atteggiamento nei confronti del mondo che lo circonda, sia quello personale che il mondo del lavoro. Decide, infatti, di trasformare in un giardino uno spazio pertinente casa sua, e inizia a dedicarsi con grande passione a questo progetto, non senza problemi poiché i condomini, chi più chi meno, utilizzano quello spazio come se fosse condominiale.
Abbiamo così tanta fretta di rialzarci, di sentirci forti, di ricominciare a correre, di far sentire la nostra voce nello sdegnoso silenzio che ci circonda, che ci dimentichiamo di una cosa, della quale le altre fanno parte, cioè di vivere.
Dal punto di vista del lavoro, inoltre, “recupera” una sua vecchia conoscenza, ai tempi impegnata nelle lotte sindacali, e abbraccia alcune comuni rivendicazioni come quella del salario minimo garantito per tutti. Parallelamente e, soprattutto, a sua insaputa, un suo collega sindacalista si fa avanti per fargli riavere il posto di lavoro, riuscendo a convincere il direttore dell’azienda presso cui lavoravano entrambi a farlo riassumere. Il cerchio sembra chiudersi, quindi, sembra che l’”incidente”, costituito dalla sua perdita del lavoro, venga improvvisamente sanato, se non fosse che Davide, man mano che la data del suo rientro in fabbrica si avvicina, entra nuovamente in crisi, mettendo in serio dubbio il fatto che riprendere a lavorare sia la scelta più giusta da fare. Il lavoro, certo, è importante, riotterrebbe la sua autonomia, facendo felice peraltro la madre che, da madre appunto, aveva partecipato con preoccupazione il licenziamento del figlio. Ciò nonostante, il suo pensiero va anche al fatto che con il lavoro tornerebbe allo stato di schiavitù, sottostando alle richieste del suo superiore, e perderebbe nuovamente la libertà di dedicarsi a quelle piccole attività che aveva assaporato e cui si era piacevolmente abituato.
Nuovi dubbi
Qui, a mio parere, l’autore mette tutto se stesso nel descrivere i dubbi di Davide, perché sono dubbi umani, sono i suoi dubbi e quelli di tutti noi, Da un lato, la consapevolezza che la libertà sia la cosa più preziosa che ci si possa permettere, dall’altro, viste le precarie condizioni in cui, spesso, si è costretti a vivere, la sola idea di uno stipendio sicuro a fine mese si presenta come un’occasione da non perdere, anche a discapito della perdita della propria libertà.
La scrittura di Alessandro Gianetti è una scrittura impegnata, dal punto di vista sociale, lavorativo ma anche dal punto di vista personale. È una scrittura con una forte componente empatica nei confronti dei lavoratori e di tutte le loro difficoltà nel trovare un’occupazione e nel riuscire a mantenerla. Gianetti, in questo romanzo pubblicato da Arkadia, non ci risparmia quello che, secondo me, sono considerazioni che gli appartengono: la trasformazione socioeconomica che viviamo ormai da più di un decennio vuole una sempre maggiore specializzazione dei lavoratori, toglie potere ai sindacati, finendo con il garantire gli imprenditori, i datori di lavoro in genere, a discapito dei lavoratori e della loro sicurezza, aumentando così il già esistente divario sociale.
Ogni cosa è monetizzata
Il progresso economico ci ha trasformato in macchine per fare soldi (si fa per dire), mettendoci spesso gli uni contro gli altri, soldi che, in una società che ha monetizzato ogni cosa, da necessari si sono rivelati indispensabili al solo fine di potersi garantire la sopravvivenza. È ormai un fatto conclamato che non si lotta, non ci si impegna, perché la presa di decisioni è talmente spostata verso l’alto che i vecchi metodi, perfino le categorie su cui si fondavano, sono inutili.
La scrittura di questo romanzo implica una grande capacità descrittiva e una profonda sensibilità. Qualità che Alessandro Gianetti, già con il suo precedente bel libro, La ragazza andalusa, aveva dimostrato di possedere, e che gli hanno permesso di costruire quest’altra bella storia.
Riccardo Sapia
La recensione su LuciaLibri




