“Lo specchio armeno” su SoloLibri
Lo specchio armeno di Paolo Codazzi
Arkadia, 2023 – Un ritratto femminile diventa l’occasione per comporre una sinfonia fatta di richiami, echi, suggestioni, doctrina, omonimie che rimbalzano tra storia e mito, realtà e immaginazione, passato e presente, fino a convergere in una dimensione al confine ossimorico tra l’autentico e il meraviglioso. Guai a definirlo falsario. Il pittore copista è un artista a pieno titolo, specializzato nella riproduzione di tele esposte nei musei. Armato di perizia tecnica, non si limita a copiare l’originale privilegiando l’approccio estetico, ma si appropria del mondo di chi per primo ha creato un dipinto, ne assimila la mentalità al fine di carpire il significato, l’anima, l’essenza dell’opera. In questo modo diventa lui stesso un autore. Incontriamo un pittore copista nel bellissimo romanzo di Paolo Codazzi intitolato Lo specchio armeno (Arkadia, 2023) centrato sia sul legame tra ideale e reale in relazione all’Amore, sia sulla realtà e la sua rappresentazione. Il terreno di gioco è una Palermo concreta e rarefatta, affastellata e deserta, dove una pinacoteca e un’osteria, così anonima da ricordare un non luogo, rendono possibile l’incontro tra ragione e mistero. Di origine fiorentina, il protagonista Cosimo Armagnati è un esperto nella duplicazione di classici. Cultura, perizia, sensibilità gli consentono di ricreare il cupo simbolismo di Böklin, il senso della ferita di Cristo nell’interpretazione del Crivelli, di mantenere intatta la sacralità di Cristo morto che Mantegna volle consegnare alle nostre imperfezioni. Ma si imbatte in una tela capace di metterlo in difficoltà, perché raffigura ciò che cerca da sempre. È un ritratto di donna quattrocentesco conservato nella Galleria Civica di Palermo che un enigmatico committente lo ha incaricato di riprodurre. Fa da intermediario un sedicente gallerista. Siamo nel 2003: occhio alla data, nessun dettaglio è lasciato al caso. Complice il fato e quelle corrispondenze segrete che ricamano la nostra esistenza, l’immagine del dipinto coincide con il suo oggetto del desiderio:
Custodì quel volto nel cofanetto del suo cuore rimasto poi sigillato come uno scrigno magico alla cui apertura l’incantesimo avrebbe potuto dissolversi.
Un femminile onirico, fantasmatico, epifanico, specchio di un amore assoluto che il protagonista – forse innamorato dell’idea dell’amore o forse no – ha cercato in tutte le frequentazioni con l’altro sesso, tra cui Laura, più sodale che amante. Ma invano: solo ciò che non accade conserva la perfezione. E questo vale soprattutto in amore. Quando Cosimo si appresta a duplicare il ritratto della gentildonna, accade l’impensabile.
I personaggi, pochi, sono intagliati nel legno della ritrattistica manzoniana che combina fisicità e psicologia, anzi sfrutta la prima per far affiorare la seconda. Ecco il protagonista:
Zigomi, naso, mascella reclamavano carne sotto la pelle. Un volto non ancora arato dal tempo, tuttavia tradiva con la mobilità espressiva la maturità degli anni, accordata anche con il modo di camminare cauto, prudente, un impaccio in parte naturale ma anche congegnato come forma di difesa o di riservatezza.
Ecco il sovrintendente:
Era un uomo basso e minuto, calvo, con un naso bitorzoluto imposto dalla natura forse per qualche atavica punizione […] nondimeno con uno sguardo illuminato da occhi neri vivacissimi che lo rendevano dopo pochi secondi che conversavano, piacevole, di buona compagnia e di arguzia vagamente illuminista.
Emerge una padronanza magistrale del mezzo espressivo, che segue le geometrie di un periodare in via d’estinzione, per certi versi affine alla prosa d’arte: ampio, elegante, ordinato in una collana di proposizioni subordinate dove è un piacere rallentare il passo, indugiare sul corredo aggettivale e sostantivale, esplorare le nicchie della magia, della botanica e della storia, farsi trascinare da una scrittura densa fino a smarrire la strada, perché perdersi è impossibile. Un labirinto apparente come la città di Palermo – osserva anche Bufalino in Saldi d’autunno – che ha trovato nel “compromesso urbanistico sedimentato” la sua cifra architettonica.
Anche la vicenda sembra un dedalo. L’avvio è dei più tradizionali, in quanto descrive minuziosamente il percorso che Cosimo, atterrato nel capoluogo siciliano, deve percorrere per raggiungere il centro storico. Però tale avvio viene smentito da una personalissima struttura a intarsio che introduce racconti nel racconto, digressioni, spunti simbolici, piani temporali dove si intrecciano i destini di personaggi lontani nel tempo e nello spazio. Arte rinascimentale e tutela dei beni ambientali, emergenza climatica e problemi di politica interna; il Tribunale dell’Inquisizione in Sicilia, stregoneria, minacce ereticali. E ancora la misura del tempo di cui l’uomo non sarà mai padrone e il cavillo di battaglia della meteorologia sono alcune delle traiettorie del romanzo che si diverte a zigzagare qua e là. Nel corso della vicenda ci abbandoniamo a una sinfonia fatta di richiami, echi, suggestioni, doctrina, connessioni, omonimie che rimbalzano tra storia e mito, realtà e immaginazione, passato e presente fino a convergere in una dimensione che ha il peso della vita e l’evanescenza di un altrove, al confine ossimorico tra l’autentico e il meraviglioso.
Il connubio tra saggio, fiaba e romanzo suggerisce una lettura a più gradi di profondità. Sarete voi a stabilire la linea di galleggiamento. Lo specchio armeno è un vero incanto.
Isabella Fantin
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