“Onora il figlio” su Esordi letterari
Onora il figlio, Roberta Poggio
A Follero, tutto arriva, riparte e, inevitabilmente, ritorna. Onora il figlio, romanzo d’esordio di Roberta Poggio, mette radici in un paesino di fantasia: protagonisti immediati sono due fazioni che si fronteggiano in una sorta di guerra fredda per la chiesa di Santa Croce. Da un lato l’imprenditore Gariotti, deciso a demolirla per costruire il nuovo municipio; dall’altro Nicola, lavoratore agricolo, che cerca il riscatto sociale opponendosi alla demolizione:
“[…] ultimo di tre fratelli che si contendevano il pane, […] l’unico che sapeva leggere e scrivere. […] finito a zappare la terra come gli altri, diverso soltanto per l’ambizione che lo pungolava.”
Sin dalle prime pagine l’intreccio ramifica febbrilmente: con Gariotti si schiera l’architetto Antonio Rampaldi, che a sua volta coinvolge Francesco, fratello scultore, e Beatrice, l’ostetrica di paese amata da Francesco a scapito del cugino Emilio, e odiata dallo stesso Nicola. Da questo primordiale ma già finemente strutturato nucleo narrativo nasce uno dei tre piani temporali del romanzo.
Il secondo viene introdotto solo quando il primo è ben radicato: siamo nel 2011 e Caterina, giornalista impegnata “nell’inchiesta più delicata della redazione”, indaga sul ministro Mariano Pagni, sospettato di subappalti illeciti con il segretario Pietro Damiani. Caterina ci lavora con dedizione incessante, notte e giorno: “non può permettersi errori”, né tantomeno distrazioni. In realtà è il lavoro a distrarla dalla tragedia personale, la malattia del figlio Riccardo.
A una distanza imprecisata, vive una seconda Caterina, alle prese con lavoretti precari, una madre assente e un padre che le ha abbandonate entrambe.
Il terzo piano temporale risale agli anni ’30: la comunità follerese è testimone della maledizione scagliata da un bracciante agricolo in seguito a un grave incidente che colpisce suo figlio, e in cui è immischiata anche la famiglia Rampaldi.
Con un’abilità nel tessere trama che ricorda i romanzi corali dell’America Latina degli anni Sessanta, Roberta Poggio costruisce una complessa architettura narrativa in cui i vari piani temporali diventano piattaforme di lancio per storie parallele, che alla fine si intersecano e convergono. L’intreccio è sostenuto da un rigoroso impianto connettivo: ogni personaggio ha il proprio spazio, flashback e anticipazioni ritagliano a ognuno di essi un ruolo su misura al suo interno.
Il tema della morte tragica è presente in tutti i piani: quella più banale dello sterminio delle formiche a opera di Caterina è la scusa per avviare una riflessione sul suo modus operandi, chiave di lettura dell’intero romanzo:
“[…] un inspiegabile furore la spinge a calpestare ciò che si muove. Chissà se la morte fa così. Manda un terremoto o uno tsunami per togliersi il grosso, poi colpisce qua e là con malattie, guerre, carestie e incidenti”.
La capacità di caratterizzare attraverso le loro azioni i personaggi testimonia la maturità della voce dell’autrice. Il tratto grottesco di Nicola viene fuori in incipit con la missiva sgrammaticata che scrive alla curia e introdotto da un “accerchiato dalle risate”.
Antonio, e la sua posizione in relazione a quella del fratello, è subito altrettanto chiara:
“Si era fatto conoscere e apprezzare in tutta la provincia. Non era terminata l’inaugurazione dei suoi giardini – la cui mediocrità era compensata dalle inedite sculture del fratello Francesco – che già lavorava a una fontana per la periferia di Follero”.
Se da un lato le azioni delineano con efficacia i personaggi, dall’altro la scarsità di dettagli fisici potrebbe intaccare l’impalcatura narrativa: con un numero così elevato di figure e intrecci, qualche riferimento visivo in più avrebbe fatto da punto di ancoraggio. Inoltre, l’articolazione dei diversi piani temporali prevede sequenze estese dedicate a ciascuno di essi; questa dilatazione, se da un lato approfondisce le singole linee, dall’altro rende più complesso per il lettore recuperare con immediatezza il filo interrotto dal passaggio all’intreccio successivo.
In generale, con un stile asciutto e dinamico e dialoghi credibili e funzionali, Roberta Poggio incastra sullo stesso telaio una sequenza di tasselli narrativi apparentemente isolati che, alla fine, ricompongono l’immagine del mosaico, quella di un’avvincente saga familiare dove le azioni dei padri si ripercuotono sui figli, dove ci si chiede a più riprese cosa scateni il susseguirsi di eventi tragici e sorti infelici: una maledizione, la giustizia divina o semplicemente la brama di potere della società borghese che distrugge sé stessa.
Guendalina Bruni
La recensione su Esordi letterari




