Sotto i ponti di Yama su L’Unione Sarda

da: L'Unione Sarda
Nell’inferno India
L’Unione Sarda
23 giugno 2012

Mani che si incrociano, si sfiorano, mani che si aggrappano. Anime rassegnate ma mai affrante, forse rottamate nel buio di vicoli lerci e maleodoranti. Miseria e stenti, solitudine e sofferenza per un ritratto a metà strada tra la cronaca e il reportage. Perché non c’è bisogno di fotografie per vederle quelle facce lì, quegli sguardi imploranti eppure sorridenti. Un’occhiata disincantata verso una parte del mondo che ospita ricchezza sfacciata e povertà palpabile. Salvatore Bandinu ha trasformato il suo viaggio in un diario ricco di sensazioni, emozioni ma soprattutto di domande. “Sotto i ponti di Yama” è questo e molto altro ancora. Lo chiarisce subito il sottotitolo del libro pubblicato da Arkadia: “Calcutta, il lato oscuro dell’India moderna”. Sono le contraddizioni di un angolo di universo che ospita un miliardo e duecento milioni di abitanti in cui il cosiddetto miracolo indiano non ha certamente abbracciato ogni singolo individuo. Dove undicimila università sfornano due milioni di laureati ogni anno e lo sviluppo tecnologico di città come Bangalore e New Delhi fanno schizzare il Pil mentre continua a precipitare rovinosamente il cuore di Calcutta. Ed è proprio nella moderna Kolkata che Bandinu ha scelto di accompagnarci. E il risultato non è in uno sterile elenco di numeri e statistiche impressionanti. Ma nel ritratto sincero di una città che sotto i ponti vive davvero, tra baracche e fango, che deve fare i conti col turismo curioso e con le folle di mendicanti, che sopravvive anche grazie al volontariato. Salvatore Bandinu, cagliaritano, 43 anni, è animatore socioculturale e psicomotricista. Lavora a stretto contatto con i disabili, è anche idrochinesiologo e istruttore di nuoto. La sua quarta pubblicazione è il frutto di un periodo trascorso tra queste miserie, dove Bollywood non esiste. Ha fatto le valigie e, insieme a un gruppetto di amici conosciuti tramite internet, è sceso giù giù fino all’inferno. Dalla partenza al ritorno, ha tracciato un percorso fatto di chilometri e sudore, di severa meditazione, di mille e più interrogativi. Il risultato è nelle quasi duecento pagine, ricche, sofferte. Esperienza da volontario, appunto, a Sudden Street e a Kalighat, la prima casa fondata da Madre Teresa nel 1952 a due passi dal tempio di Kalì. Al servizio di chi non ha più niente da perdere, a contatto con situazioni dalle quali troppo spesso sono proprio i volontari a fuggire via. Non loro, non Salvatore. Che si dà da fare tanto a pulire pavimenti quanto a distribuire medicine e caramelle. Una prima parte scritta di getto, in un’infima camera d’hotel e un’altra più ragionata forse più fredda ma comunque diretta. «Sono distrutto. Più nell’animo che nel fisico. Ma per ora fortunatamente non ne percepisco ancora gli effetti. Lo shock mi protegge dal baratro in cui mi sono infilato». Perché Kolkata lascia soli, costringe all’introspezione. «Per me in questo istante Gesù è nero, è basso, è sporco. E soprattutto è indiano». Che fine ha fatto “la città della gioia”? «Credere o sperare che chi soffre o muore di fame tra l’indifferenza generale (mentre noi al limite moriamo per le conseguenze del sovrappeso) sia destinato al Regno dei cieli, è un sicuro riparo dal senso di colpa e dalle responsabilità, oltre che un efficace antidoto dal potere esorcizzante».

Grazia Pili


Arkadia Editore

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