Edoardo è un adolescente, un po’ impacciato e timido. Non sa esprimere i suoi sentimenti e ne soffre perché vorrebbe abbracciare e fare la lotta col padre come fa il fratello più grande Luca. Lo avverte forte l’amore verso il padre ma non riesce proprio ad esprimerlo, così come è difficile per il padre ad andargli incontro. È spesso fuori casa per lavoro. Edo come tutti gli adolescenti, vive in una sorta di sospensione, ha punti fermi di riferimento in primis nonna Carmela, la nonna è tutto, più della madre sempre molto presa tra lavoro e famiglia. L’altro è suo fratello Luca. E quando ha bisogno di riflettere o ha momenti di crisi ci sono gli scogli, il mare la salsedine e il maestrale, sempre pronti ad accoglierlo così com’è. Non ha tanti amici veri, i suoi compagni di scuola dove non va volentieri e quelli della squadra di calcio, è bravo nel gioco e promettente. La sua fragilità subisce un primo brutto colpo nel momento in cui la nonna viene a mancare. Edo si sente perso, la mancanza della nonna è una voragine che si apre sotto i suoi piedi. Non bastasse, si trova a fare il conto con una serie di problemi che avvengono nella sua famiglia. Edo non ha più voglia di andare a scuola, nemmeno di giocare a calcio, è arrabbiato, nervoso, si sente completamente incompreso. Gli adulti di casa non parlano con lui e nemmeno Luca è di aiuto. Scappa Edo, e si lascia coccolare dal mare sugli scogli, dal vento, ma l’inquietudine non si placa. Quello che capita a casa è per lui ingestibile, e non è consolatorio scoprire che alcuni compagni hanno problemi simili. Soffre Edo, si sente solo a gestire tutto, non ce la fa e pensa anche alle cose peggiori. Sente che deve andarsene da casa , vorrebbe entrare in polizia. Comincia a fare qualche lavoretto per essere più autonomo, comincia a studiare per fare il concorso per entrare in polizia, ma deve finire la scuola anche, serve il diploma. La situazione familiare precipita, Edo non sa darsi spiegazioni e nessuno gliele da, Luca alterna momenti in cui è con lui protettivo e presente a momenti in cui non gli parla. Diventa scontroso e sempre più insofferente. Il vuoto lo sommerge, la madre non sta bene , col padre non riesce a parlare, Luca nicchia, la nonna non c’è più. Gestire tutto questo è per Edo uno sforzo di cui non si sente capace. Si ribella a modo suo, sta sempre più spesso fuori casa, studia al minimo delle possibilità, si strugge per l’impotenza che avverte per fronteggiare il declino che peggiora di giorno in giorno. Barbara una ragazza che incontra per caso e rivede al mare e che diventerà la sua fidanzata è la nota positiva nella sua vita. Finalmente qualcuno che lo ascolta, con cui parlare, qualcuno che lo ama e che lui ama. Anche da lei scappa quando capisce che gli sono state nascoste verità insopportabili. Scappa da tutti, non vuole vedere ne sentire nessuno. Convive con incubi e tanta rabbia Edo. Non c’è più spazio per i sogni. Sarà il fratello a recuperarlo e anche Barbara. E sarà la madre costretta dalle contingenze a svelargli il non detto che tanto lo ha fatto soffrire. Edo attingerà a tutte le sue capacità e alla nuova forza che si sprigiona in lui per tessere un futuro migliore e pareggiare i conti. Un libro che dalle prime pagine coinvolge, una scrittura fluida e pulita. L’intreccio della storia e la caratteristica dei personaggi, che man mano vengono fuori con la loro psicologia ,completano al meglio il romanzo. Una storia che tocca l’adolescenza con tutto il suo peso, la famiglia e la sua complessità dove tutto quello che accade è riscontrabile nella realtà. Un libro che può essere letto tranquillamente da ragazzi e adulti e che potrebbe fare da cassa di risonanza e specchio di situazioni in cui molti si possono specchiare e se non in tutto, tutti in qualche parte.
Un invito alla lettura sentito.
Anna Cavestri
Il link alla recensione su “Letto, riletto, recensito!”: https://bit.ly/3qDPHmK
Avvicinare gli adolescenti al magico mondo della lettura: nulla di più difficile in tempi di social. Eppure la soluzione esiste: un buon libro, ma quello giusto. Non che sia facile: bisogna trovarlo, il “libro giusto”, e non è detto che quelli piaciuti ad un gruppo di adolescenti – anzi, ad una classe, perché di scuola si parla – vadano bene per un’altra classe l’anno successivo. Bisogna procedere per tentativi ed errori e accettare quella che è una sfida vera e propria: trovare lo spiraglio per entrare nel mondo dell’adolescenza che, mettiamocelo bene in testa, è la fase della vita più buia e difficile. È l’età in cui tutto può avere valore assoluto come nessun valore; niente certezze, niente punti di riferimento credibili: si è naufraghi, dispersi in mare senza coordinate e poca terra in vista. Poi, in un modo o nell’altro, a riva ci si arriva, ma stanchi e spesso molto delusi. In breve: crescere è una gran fatica, ma può essere anche un viaggio che poi, trovata la propria “casa”, si ricorda con nostalgia o con la tranquillità di chi ha scampato un pericolo e magari si ritrova più forte, pronto per partire alla scoperta di altro. E chi meglio di loro, gli adolescenti, può raccontarci le vicissitudini, le peripezie di questo avventuroso viaggio disorganizzato? Loro non vedono l’ora di farlo, non chiedono che una cosa: essere ascoltati. Ma sappiamo anche che far parlare un adolescente, nella maggior parte dei casi, è come scassinare una cassaforte. Spesso, però, il codice giusto ce lo può fornire, per l’appunto, un buon libro. Un libro che parli semplice, che parli di loro e soprattutto delle loro emozioni: una su tutte il dolore, magistralmente raccontato da Andrea Bajani in Un bene al mondo (Einaudi). Perché spesso l’errore degli adulti è pensare che gli adolescenti vadano protetti da fatica, tristezza, lutto, ma ci sbagliamo di grosso perché se c’è una cosa di cui loro non hanno paura è proprio il dolore, morte compresa. Il giovane Holden (Einaudi, meglio se nella recente nuova traduzione), per fare un secondo esempio, è un altro libro che quando lo si legge in classe (e bisogna leggerlo in classe, parola per parola, al diavolo il “programma”) si è spacciati: loro, sempre gli adolescenti, se ne impossessano, ci entrano dentro e vi trascinano, sempre loro, a fondo. Così si capisce una volta per tutte perché dicano una cosa e poi ne facciano un’altra e viceversa. E perché degli adulti non accettino la costante, quotidiana, immancabile ipocrisia, ecco: l’ipocrisia, è quella la cosa alla quale non sapevano dare un nome, ma dopo che hanno letto Salinger, non li si frega più: infatti poi pretendono, la coerenza, eccome se la pretendono. Con Io e te di Niccolò Ammaniti (Einaudi) entrano in gioco altri elementi a loro ben noti e congeniali: il sentirsi “diverso”, “fuori posto” di Lorenzo, che si richiude in cantina tra mille rocambolesche bugie pur di non andare in gita con i compagni, il dramma della droga, la disgregazione della famiglia (non importa se fai parte di “quella prima” o “quella dopo”), ma anche l’incontro improvviso con una sorella tossicodipendente che ha la forza di salvarti la vita per poi perdere la sua: tutto è adolescenza, tutto è viaggio verso l’ignoto (anche stando chiuso in cantina), tutto è una questione di vita o di morte, tua o di chi ti sta accanto. Il bello è che gli adolescenti, quando incappano nel libro giusto, scrivono pure: ad ogni capitolo, ad ogni passaggio oscuro, ad ogni comportamento anomalo dei personaggi, chiedono, criticano, vogliono sapere, vogliono discutere… e poi scrivono… accidenti se scrivono. E così va a finire che vogliono leggere ancora e allora il gioco è fatto, fosse vero anche per uno solo su venticinque di loro. Anche Il principe della arene candide di Massimo Granchi (Arkadia) possiede tutti gli ingredienti giusti per essere letto (sempre parola per parola) in classe: una storia avvincente, per quanto straziante, un giovanissimo protagonista, Edo, che dall’infanzia all’adolescenza attraversa una tempesta di emozioni fortissime e intense… e a non volerne sapere di “cose tristi” è la madre, non certo lui. Il suo è un viaggio doloroso che lo porterà a diventare un uomo, forse troppo presto. Il principe delle arene candide è anche un libro scritto molto bene perché, non dimentichiamolo, si impara a scrivere (e questo è un altro “effetto collaterale” da non perdere di vista) leggendo chi sa scrivere. Come se ciò non bastasse è pure un libro con il quale si può iniziare a “fare poesia”, anche solo riflettendo sull’importanza dei colori, spesso associati, nelle loro diverse, accurate sfumature, ad una molteplicità di emozioni (e in questo libro sono davvero tante le emozioni chiamate in gioco, dall’amore alla morte, dalla paura al coraggio, dal fuggire al ritrovarsi). Infine, al centro di tutto, la figura dell’“onnipresente grande assente”: il padre, quella specie di sole che sta al centro del mondo di Edo e attorno a cui tutto ruota; sicuramente loro, gli adolescenti, capiranno prima di noi perché in questo libro la parola “sole” è sempre scritta con la “S” maiuscola… perché nessuno, meglio di loro, sa che per capire la luce bisogna prima attraversare il buio.
Annarosa Francescut
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Nel giro di poche settimane avevo perso mio padre, mia madre, mio fratello e Ninnina, in modo differente, come se tutti avessero altre incombenze, avessero deciso di rinchiudersi in se stessi per affrontare la situazione, in un luogo più sicuro in cui stare, senza di me.Non sono mai stato del tutto convinto della frase del grande Tolstoi sulle famiglie felici che si somigliano tutte e sulle famiglie infelici che invece lo sono ognuno a modo suo. Ne sono più convinto ora che ho letto Il principe delle arene candide di Massimo Granchi, altro bel libro pubblicato da Arkadia, insieme storia di una famiglia infelice senza essere votata all’infelicità e storia di formazione di un ragazzo che di quell’infelicità porterà a lungo i segni.Cagliari, anni Novanta, un’ambientazione per me poco usuale. La famiglia di Edoardo vive in un quartiere residenziale in prossimità del mare, pare di vedere la luce, pare di sentire la brezza sulla pelle. C’è il lavoro, c’è un buon livello di vita, i giorni non sono ipotecati da particolari assilli. Solo che anche la migliore famiglia, la più serena, è un incastro complesso di affetti, passioni, interessi. Viene in mente lo Shangai, quel gioco un tempo di moda in cui bisognava sottrarre uno a uno i bastoncini senza muovere gli altri. Facile a dirsi. A volte viene meno una persona e tutto viene giù. A casa di Edoardo tutto precipita con la morte della nonna: chi l’avrebbe detto, era lei il porto sicuro, il riparo per ogni tempesta, la rete che teneva tutto insieme. Comincia così, il resto è una parabola di disfacimento e poi una possibilità di riscatto, che non starò a raccontare, ma di cui consiglio caldamente la lettura. Si capisce che Massimo è nel suo, quando si ritrova tra le mura di una casa e può dipanare la matassa delle relazioni familiari. Così come quando può ripercorrere la fatica dell’adolescenza, quel crescere che non è mai solo una strada che si allunga davanti. Piuttosto a volte è come una partita in un campo di periferia, fango ai polpacci, sbucciature e un esame di coraggio a ogni contrasto.
Paolo Ciampi
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Edoardo spesso ricorda con malinconia una frase che sua nonna gli disse nel momento del trapasso: “ricordati che qualunque cosa succeda tu sarai sempre mio nipote”. Quella che leggerete e che potrete anche ascoltare starerà Mercoledì 21 ottobre 2020 alle ore 20:45 in diretta nel gruppo Facebook “Quelli che… Letto, riletto, recensito!” per voce dell’autore Massimo Granchi e del relatore, il blogger Francesco De Filippi, è una storia triste che può capitare a ognuno di noi. Il breve resoconto de Il principe delle arene candide romanzo pubblicato nella collana Eclypse di Arkadia Editore non deve far pensare ad uno scritto veloce e senza impegno, l’autore infatti coinvolge emotivamente trascinando il lettore nell’intimo recesso dell’animo di ogni essere umano.
La famiglia
Edoardo vive una vita apparentemente normale assieme alla propria famiglia formata dalla nonna Carmela, il fratello maggiore Luca, la tata Ninnina e i genitori iperimpegnati con il lavoro. Fin da piccolo aveva un bellissimo rapporto con la nonna e il fratello, non altrettanto poteva dirsi con i genitori dai quali riceveva un normale affetto, ma senza troppi slanci, cosa che invece avveniva per il fratello, in particolare da parte del padre. La cosa creava dispiacere nel ragazzo in quanto faceva di tutto per attirare l’attenzione del padre e ottenere quello stesso affetto che vedeva nei confronti di Luca.
La nuova famiglia
Purtroppo la morte della nonna porterà a distaccare i componenti della famiglia e il culmine sarà toccato dalla separazione dei genitori, tant’è che Edoardo un giorno assisterà a una scenata degli stessi e colto da grande dolore senza riuscire ad attirare la loro attenzione tenterà di lanciarsi dal balcone di casa, azione che richiamerà finalmente l’attenzione medesima dei genitori. Impietositi da questo tentativo suicidario i genitori cercheranno di calmare il ragazzo tanto che il padre per la prima volta gli parlerà in una modalità d’affetto che mai aveva sentito; lo stesso gli spiegherà che gli adulti spesso hanno dei problemi relazionali che si possono risolvere solo con la separazione. Al contempo gli comunica che andrà a vivere in un’altra città dove ha creato un altro nucleo familiare. A queste rivelazioni Edoardo reagì con forte disagio, tant’è che da quel giorno la sua famiglia continuava a sfaldarsi sempre più anche per un suo principio di abbassamento del tono dell’umore. Fortunatamente la vicinanza del fratello Luca lo aiutava ad affrontare le difficoltà, dandogli consigli per rendergli una crescita sana, quasi fosse un genitore, fino a portarlo anche al successo negli studi, facendogli conseguire la maturità scolastica.
La malattia e le rivelazioni
Purtroppo i mali non vengono mai da soli, tant’è che la madre viene colta da una forma di leucemia molto grave. Prima di morire la stessa decide di svelare la ragione del comportamento un pò distaccato del padre: Edoardo non è suo figlio. Questa rivelazione creerà nel giovane un turbamento psicologico e non basterà nemmeno la vicinanza della fidanzata Barbara a dargli serenità. La madre nonostante stia per spirare, sentirà il bisogno di rivelargli altro, cioè il nome del suo vero padre. Il ragazzo che al contempo era stato assunto nella Polizia di Stato, dopo aver fatto tante ricerche riuscirà a rintracciare il padre biologico; ma pavido nel presentarsi, deciderà di mandargli una lettera dove rivela la sua identità. La sorpresa è tutta nel finale: l’uomo si presenterà al figlio… ma lasciamo in sospeso il seguito che si rappresenta in un finale davvero emozionante per diverse similitudini non soltanto biologiche. Senza vergognarcene possiamo asserire che le lacrime, senza troppi fronzoli, leggendo questo bellissimo romanzo escono e non possiamo che ringraziare Massimo Granchi che ha scritto una storia davvero commovente, senza smielature, ma semplicemente riportando ciò che è il reale vissuto da molte persone che magari non fanno trasparire le loro mancanze.
Salvatore Massimo Fazio
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Siamo alla terza consecutiva per lo #SpecialeEclypseArkadia in “Diretta con l’autore” nel gruppo Facebook “Quelli che… Letto, riletto, recensito!” costola social del suo blog “Letto, riletto, recensito”, fondato da Salvatore Massimo Fazio.
Mercoledì 21 ottobre alle 20.45 sancisce il ritorno del book blogger Francesco De Filippi che introdurrà e presenterà, con la partnership della collana Eclypse di Arkadia Editore, Massimo Granchi, autore de Il Principe delle Arene Candide.
Il libro
Edoardo è un ragazzo degli anni Novanta. Vive a Cagliari con la sua famiglia in un quartiere residenziale vicino al mare. I suoi genitori sono spesso assenti per lavoro; suo padre è un agente di commercio e sua madre è un’insegnante di fitness. Cresce con la nonna Carmela, la tata Ninnina e suo fratello maggiore, Luca. La sua esistenza è fatta di agi, gioco e sogni da realizzare. Alla morte della nonna la sua sicurezza vacilla, ma solo quando il padre deciderà di lasciarli, la felicità di Edoardo sarà messa a dura prova. In una casa grande e sempre più vuota, l’improvvisa malattia della madre aggraverà le difficoltà del giovane alla ricerca di nuovi equilibri, fino al giorno in cui una confessione della donna minaccerà definitivamente il suo mondo.
L’autore
Massimo Granchi è nato a Cagliari nel 1974. Vive a Siena. È specializzato in Media, storia, cittadinanza. Ha conseguito un Dottorato in Istituzioni e Società. Lavora nel settore pubblico della formazione professionale. Ha fondato l’Associazione culturale Gruppo Scrittori Senesi di cui è presidente e il “Premio Letterario Città di Siena” del quale è direttore artistico. È coordinatore del “Premio Letterario Toscana”, responsabile culturale del Circolo “Peppino Mereu” e vicepresidente del Club per l’Unesco di Siena. I suoi racconti sono stati inseriti in antologie di vari editori. Ha pubblicato i saggi Camillo Berneri e i Totalitarismi (2006) e Siena: immagine e realtà nel secondo dopoguerra 1943-1963 (2010). Il suo romanzo d’esordio Come una pianta di cappero (2013) ha vinto il Premio online “Scrittore toscano dell’anno 2014”. Il suo secondo romanzo Occhi di sale (2015) ha vinto il “Premio della Giuria Memorial Vallavanti Rondoni”, il “Premio della Giuria Murex Città di Parole”, il “Premio Città di Sarzana”, il “Rive Gauche Festival” e il “Santucce Storm Festival”. Nel 2017 è uscito il suo terzo romanzo dal titolo La bellezza mite, finalista al concorso letterario nazionale “Argentario”, al Premio letterario “Città di Montefiorino” (2018) e al “Casa Sanremo Writers” (2019). L’opera inedita Il principe delle Arene Candide è stata finalista al Premio Letterario “Città di Montefiorino”, al “Premio Letterario Nazionale Bukowski”, al “Torneo Letterario IoScrittore 2018”.
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Giovedì 22 ottobre 2020, alle ore 18.00, la Libreria Libraccio di Firenze (via de’ Cerretani, 16r) organizza la presentazione a cura di Paolo Ciampi di due nuovi libri della casa editrice Arkadia, negli spazi di ZAP e del Ristorante Quinoa (Vicolo di Santa Maria Maggiore, 1 – Firenze).
“Gli ingranaggi dei ricordi” di Marisa Sabelle
Cagliari, 1943. Dopo l’ultimo bombardamento, Generosa lascia a malincuore la città devastata e si rifugia in un paese dell’interno con i figli e due donne di servizio. È in pena per il marito, rimasto nel capoluogo in qualità di medico all’ospedale militare, per il figlio che deve nascere e per quelli che ha già, ma soprattutto è in pena per sua sorella Gisella e suo fratello Silvio, che vivono a Roma e pare siano coinvolti nella lotta partigiana. Olbia, 1943. Felice ha 18 anni e, con le due sorelle Bella e Demy, accompagna il padre a prendere il traghetto per il Continente. Ora tocca a lui prendersi cura delle ragazze, in un lungo vagabondaggio che percorre l’isola da nord a sud, da un paese all’altro, tra mille disavventure e incontri bizzarri.
Marisa Sabelle è nata a Cagliari e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di Studi teologici presso il Seminario vescovile di Firenze. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme), con cui ha ottenuto significativi riconoscimenti, finalista all’edizione 2016 del premio “La Provincia in Giallo”. Ha collaborato con le riviste online “Vibrisse”, “Nazione Indiana”, “Scrittori in causa”, “perUnaltracittà”. Nel giugno 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, L’ultimo dei Santi (Tarka). Nel 2020 è uscito Gli ingranaggi dei ricordi (Arkadia Editore), romanzo a più voci che ha come sfondo la Seconda guerra mondiale.
“Il Principe delle arene candide” di Massimo Granchi
Edoardo è un ragazzo dei nostri tempi. Vive a Cagliari con la sua famiglia in un quartiere residenziale vicino al mare. Un’esistenza apparentemente tranquilla, in cui i rapporti tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra fratelli, sembrano procedere senza scossoni. Nel nucleo famigliare trovano posto la nonna Carmela e la tata Ninnina, veri punti di riferimento per Edoardo e suo fratello Luca, alle prese con un padre e una madre sempre impegnati nelle rispettive professioni. Sarà proprio la morte della nonna a scatenare l’imprevedibile. Da quel momento in poi, per Edoardo e i suoi, inizierà una discesa inesorabile. Difficoltà dopo difficoltà, procedendo a tentoni, il protagonista sperimenterà l’assenza, l’abbandono, la tragedia, la menzogna, cercando nel contempo di definire il proprio ruolo nella società. Scoprirà alla fine che le certezze e il mondo conosciuto fino a quel momento non sono reali. È nato a Cagliari nel 1974. Vive a Siena. È specializzato in Media, storia, cittadinanza. Ha conseguito un Dottorato in Istituzioni e Società. Lavora nel settore pubblico della formazione professionale. Ha fondato l’Associazione culturale Gruppo Scrittori Senesi di cui è presidente e il “Premio Letterario Città di Siena” del quale è direttore artistico. È coordinatore del “Premio Letterario Toscana”, responsabile culturale del Circolo “Peppino Mereu” e vicepresidente del Club per l’Unesco di Siena.
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Sinossi
Edoardo è un ragazzo degli anni novanta. Vive a Cagliari con la sua famiglia in un quartiere residenziale vicino al mare. I suoi genitori sono spesso assenti per lavoro; suo padre è un agente di commercio e sua madre è una insegnante di fitness. Lui cresce con la nonna Carmela, la tata Ninnina e suo fratello maggiore, Luca. La sua esistenza è fatta di agi, gioco, attese e sogni da realizzare. Alla morte della nonna la sua sicurezza vacilla, ma solo quando il padre deciderà di lasciarli, la felicità di Edoardo sarà messa a dura prova. In una casa grande sempre più vuota, l’improvvisa malattia della madre aggraverà le difficoltà del giovane alla ricerca di nuovi equilibri, fino al giorno in cui una confessione della donna minaccerà definitivamente il suo mondo. Edo scoprirà che ciò che ha conosciuto fino a quel momento non è reale. Dovrà maturare, nonostante tutto, e dovrà farlo dando un nuovo significato alla vita per trovare il coraggio di diventare adulto.
Biografia e bibliografia autore
Massimo Granchi è nato a Cagliari nel 1974. Vive a Siena. È specializzato in Media, storia, cittadinanza. Ha conseguito un Dottorato in Istituzioni e Società. Lavora nel settore pubblico della formazione professionale. Ha fondato l’associazione culturale Gruppo Scrittori Senesi di cui è presidente e il di cui è direttore artistico. È coordinatore del Premio Letterario Toscana, responsabile del settore cultura del Circolo Peppino Mereu di Siena e vice presidente del Club Unesco di Siena. Suoi racconti sono stati inseriti in antologie di vari editori. Ha pubblicato i saggi Camillo Berneri e i Totalitarismi (2006) e Siena: immagine e realtà nel secondo dopoguerra 1943-1963 (2010). Il suo romanzo d’esordio Come una pianta di cappero, 0111 Edizioni, (2013) ha vinto il Premio online Scrittore Toscano dell’anno 2014. Il suo secondo romanzo Occhi di sale, Palabanda Edizioni, (2015) ha vinto il Premio della Giuria Vallavanti Rondoni, Il Primo Premio della Giuria Murex Città di Parole, il Premio Città di Sarzana, il Rive Gauche Festival e il Santucce Storm Festival. Nel 2017 è uscito il suo terzo romanzo dal titolo La bellezza mite, Edizioni Il Foglio, finalista al concorso letterario nazionale Argentario, al Premio Montefiore (2018) e al Casa Sanremo Writers (2019). L’ opera inedita Il Principe delle Arene Candide è stata finalista al Premio Città di Montefiorino, al Premio Bukowski e al Torneo Letterario Io Scrittore 2018.
Un estratto del romanzo
Prologo
Nonna Carmela mi manca molto; mi mancano le nenie che cantava con un filo di voce, la luce che rischiarava le sue iridi quando era felice. Sferruzzava veloce per fare scialli e calze di lana multicolori che indossavo solo io. Era una giocoliera esperta e consapevole di affetto e parole. Gli ultimi anni in cui ha vissuto con noi, nell’appartamento all’ultimo piano del palazzo in Viale Poetto a Cagliari, sono stati i più belli della mia infanzia. Se dovessi associare un colore a quella fase della mia vita penserei all’azzurro, come i suoi occhi e le caramelle all’anice che teneva nelle tasche. Era stata dura per mia madre convincerla a lasciare la casa di Muravera che poi abbiamo usato a lungo per le vacanze estive. Era piccola, luminosa e accogliente come Carmela e lei non l’avrebbe lasciata se non fosse stato per il bene di noi nipoti. Mamma era spesso assente per lavoro e babbo mancava per settimane. Tutto ruotava intorno alla solerte tata Ninnina, arrivata da Uta, che accudiva me e mio fratello Luca con laboriosità primitiva. L’arrivo di nonna risolse molte tensioni e accorciò lunghe giornate di silenzi in cui io e mio fratello ci trovavamo a giocare da soli. Dunque acconsentì, non senza farci percepire lo sforzo che aveva dovuto compiere, ma io pensavo fosse qualcosa di positivo, l’espressione del sacrificio per amore. Mio padre partiva senza darci il tempo di capire perché e noi ci eravamo abituati in fretta. Pensavamo si trattasse di senso di responsabilità, che fosse normale, che tutti i lavori allontanassero gli adulti dalla famiglia e che si ricevessero soldi in cambio di assenza. Io e Luca ci accorgevamo che era uscito per non tornare perché la sua borsa nera di pelle spariva. La lasciava sulla sedia dell’ingresso 10 11 solo se dormiva a casa. La cercava per recuperare il telefono o riporre l’agenda gonfia di biglietti da visita e annotazioni. Noi restavamo nelle vicinanze per non perdere l’occasione di ricevere lo stesso trasporto che provava per gli oggetti del suo mestiere. Il lavoro era tutto per lui. Condizionava la sua vita, le sue scelte e noi. Ricordo che spesso camminava a passi larghi che coprivano il pavimento lucidato da Ninnina. Lei lo rimproverava in sardo di sporcarlo e gli intimava di infilarsi le ciabatte. Lui rideva, le strizzava l’occhio e toglieva le scarpe. Le lasciava in un angolo, si dirigeva verso l’armadio a muro dove recuperava le pattine e le calzava. Si girava ancora verso la domestica e le tirava un bacio. Era divertente e mi faceva ridere. Lo osservavo da un cantuccio della sala grande che aveva un’ampia porta-finestra spalancata sul terrazzo. Il colore di quei momenti era un blu intenso, con alternanze di rosso scuro. Aveva cambiato atteggiamento da quando Carmela si era unita a noi. «Gliela faccio pagare cara a quello!», borbottava la nonna, dondolando con passo claudicante e rimuginando qualcosa rimasto in sospeso tra loro. Ha sempre fatto in questo modo. Non gliene passava una e lui sapeva comportarsi a modo in sua presenza, anche se non perdeva l’ironia o il gusto di sfuggirle per farla adirare. Ogni istante diventava unico se c’era mio padre accanto, come allacciarmi le scarpe, soprattutto se mi contemplava in silenzio e approvava i miei gesti, la precisione avvalorata dalla velocità del gesto. Mi mancava l’impulso di saltargli in braccio come faceva Luca. Lui era più grande e più coraggioso. Si intendevano. Io rimanevo a guardare le lotte che facevano sul divano, con il cuore che andava su e giù. Mio padre si ricordava di me molto tardi. Mi allungava il braccio, mi invitava a raggiungerlo e a montargli addosso, mentre mio fratello gli stringeva il collo, appeso alle sue spalle, ma io non riuscivo. Ero imbarazzato. Sorridevo e scuotevo la testa reagendo al mio istinto di perdere il controllo. Temevo di non essere all’altezza della situazione, avevo terrore di rimanere soverchiato dalla prestanza dei due lottatori. “Come si assomigliano”, pensavo e mi sentivo geloso di quella vicinanza fisica che contribuiva a inibirmi. Quando rientrava mia madre, le correvo incontro. Mi baciava sulla fronte e mi chiedeva come fosse andata la giornata a scuola. «Tutto bene», le dicevo, distratto da altre impellenze. «Bravo», mi rispondeva e mi scompigliava i capelli. Si dirigeva in cucina dopo aver dedicato un’occhiata compiacente agli uomini che si azzuffavano in salotto. La seguivo con lo sguardo a breve distanza, pensando che avrei voluto trovarmi in mezzo a mio padre e mio fratello. L’eccitazione cresceva se sentivo i versi di stanchezza di Luca, che opponeva resistenza fino ad arrendersi in maniera graduale. Il duello terminava quando il telefono di mio padre squillava. Correvo da mio fratello, rimasto sdraiato paonazzo e soddisfatto sul tappeto. Nostro padre ci chiedeva di fare silenzio e riprendeva le sue interminabili chiacchierate. Ero infastidito dai suoi interlocutori telefonici segreti. Distoglievano l’attenzione da ciò che avrebbe potuto riguardare noi, ma mi ero assuefatto anche a questo. Nonna Carmela, invece, sapeva prendermi per il verso giusto e niente aveva la precedenza su noi bambini. Ha sempre avuto una parola di conforto per me. Se mi vedeva triste, si frugava in tasca o nel borsellino, pescava una moneta e me la porgeva. «Un soldo per un sorriso alla nonna?», mi chiedeva e io accettavo il baratto. Mi preparava Moddizzosu e formaggio fresco o pardulas per merenda. Quando ero alla scuola elementare, mi assisteva nei compiti a casa. Aveva studiato contabilità in un istituto professionale femminile, anche se avrebbe potuto avere un buon rendimento in qualsiasi liceo. Conosceva il francese. Aveva aiutato il padre, Santo Pitzalis, nell’azienda di ceramiche fino alla sua morte, e aveva deciso di vendere per oziare. Così ci aveva detto, ma non era mai riuscita a stare ferma. Nemmeno dopo il matrimonio con nonno Ippolito Melis, che l’aveva portata in giro per l’Italia a causa del lavoro. Anche quando non mi stava accanto per accudirmi, mi vegliava con occhiate guardinghe e orecchie tese. Morì un pomeriggio di novembre, quando le ultime foglie resistevano strette ai rami degli alberi del viale. Le auto non circolavano forse in segno di rispetto, il cielo e l’aria erano grevi sulla Sella del Diavolo. Il grigiore aveva invaso l’appartamento, ma la camera dove riposava sembrava ammantata di Sole, l’ultimo della giornata che sfuggiva alle nuvole per tinteggiare le lenzuola, mentre lei sfuggiva alla morsa dell’esistenza. Mio padre era rientrato da Napoli, dove andava spesso per lavoro. Mia madre aveva saltato il suo corso in palestra. Ninnina rimestava in cucina. Di tanto in tanto passava in corridoio con l’espressione contrita e qualcosa stretta tra le mani: la biancheria, i piatti o le scarpe da atletica di Luca. Mio fratello stava immobile di fronte alla finestra aperta, osservava fuori e singhiozzava. La nostra casa era molto in alto, in cima a un palazzo costruito alla fine degli anni Settanta. Dal balcone abbellito con ampie fioriere, si vedeva e si sentiva il mare che si rifrangeva contro i pietroni del porto di Marina Piccola. I miei compagni di classe erano attratti dal panorama e dai profumi che si respiravano. Preferivano venire a giocare da me piuttosto che andare da Massimiliano, il figlio del gelataio che regalava coni a tutti per corromperli, e questo fatto mi aveva sempre reso orgoglioso. Poco prima di morire, nonna Carmela mi aveva chiamato a sé. Io mi ero seduto al suo fianco sul materasso morbido che lei aveva riempito con lana di pecora e portato da Muravera. Mi aveva fissato a lungo con i suoi grandi occhi, rimestando nella mente per scovare le ultime parole da pronunciare, perché sapeva che le avrei ricordate per sempre. La pelle bianca tirata sui suoi lineamenti sembrava quella di una vecchia bambina. I capelli sciolti sul cuscino disegnavano intrecci d’argento. Aveva parlato e mi aveva detto: «Abbi fede. Andrà tutto bene. Qualsiasi cosa succeda, tu sarai sempre mio nipote.» Io, allora, non capii e la lasciai andare senza intuire il senso nascosto in quelle parole.
David Berti
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«Il principe delle Arene Candide» (Arkadia editore, 140 pagine, 14 euro) è il quarto romanzo di formazione di Massimo Granchi, cagliaritano doc ma col cuore nella città del Palio tanto da essere presidente dell’Associazione culturale Gruppo Scrittori Senesi. La storia è ambientata in Sardegna, siamo negli anni Novanta. La figura centrale del romanzo è Edoardo, che ha un fratello: Luca. Siamo in una famiglia normale, tutto scorre in maniera serena fino alla morte di nonna Carmela. Per Edoardo è un trauma, il primo. Negli anni successivi il dramma prenderà diverse forme a partire da quella della separazione dei genitori. La storia però non si incentra solo sulla realtà: c’è infatti un’altra parte che Granchi racconta. Ed è quella relativa alle fate e ai principi che si celano in ogni personaggio. La prosa di Granchi è asciutta, ma evocativa al tempo stesso. Una «cifra» che connota tutto il romanzo.
Simone Innocenti