Destini di sangue

da: Il Tempo.it
Il Tempo.it
13 maggio 2013

Tra libri e cinema il giallo alla romana è sempre vincente. Il poliziesco nella Città Eterna da Gadda a Dan Brown. Al Salone di Torino i «Destini di sangue» di Di Tillo

 

«A Sangermano era venuto in mente che forse la domenica potesse accadere qualcosa di diverso. Così quella mattina, uscito verso le sette dalla parrocchia, era salito a bordo della sua Fiat Punto, si era fermato all’edicola a comprare un paio di giornali ed era sceso giù in via Poletti, vicino a piazza Mancini. Dopo aver parcheggiato l’auto era rimasto dentro a leggere il giornale, alzando ogni tanto lo sguardo per per vedere se usciva qualcuno dal portone del civico 49. Erano anni che non faceva un appostamento e si sentiva un po’ arrugginito». Arriva in libreria il giallo «Destini di sangue – Un’indagine dell’ispettore Sangermano», di Marco Di Tillo, della giovane casa editrice Arkadia. Il libro, che sarà presentato nei prossimi giorni al Salone di Torino, è un giallo dalle venature nere e sarebbe riduttivo dire che è ambientato a Roma. Dalle poche righe citate si capisce che Di Tillo la Città Eterna la conosce come le sue tasche (ci vive con la sua famiglia e ci lavora da sempre) e quando deve descrivere una zona, un quartiere, accompagna il lettore tenendolo per mano, assieme al suo ispettore. La struttura stessa del suo romanzo trasuda romanità, come i blocchi del Colosseo luccicano di brina la mattina presto. Nei «Destini di sangue» di Di Tillo c’è una Roma asfissiante e segreta dove domina, quasi senza farsi notare, una malavita pesante ed inamovibile e dove, più che in tutte le altre metropoli del mondo, ci si può trovare faccia a faccia col mistero. Roma si conferma scenografia e protagonista perfetta, il noir «romanesco» è alternativo a quello francese e a quello americano. Un modo di fare giallo nobile, diverso e autonomo. Il «giallo alla romana», come il saltimbocca, ha una storia antica che comincia con «Quer pasticciaccio brutto de via Merulana», al quale Carlo Emilio Gadda credeva con poca convinzione, tanto che il romanzo, pubblicato a puntate sulla rivista «Letteratura» nel ’46, dovette attendere undici anni per arrivare in libreria tutto d’un pezzo, con l’editore Garzanti. Ma da allora ne ha fatta di strada. Dopo la versione cinematografica del ’59: «Un maledetto imbroglio», interpretata e diretta da Pietro Germi, «Quer pasticciaccio» è diventato un classico e il capostipite di un genere letterario sulfureo e ammaliante. Tanto che alle atmosfere solo apparentemente rassicuranti della Città Eterna si sono affidati e si continuano ad affidare in molti per i loro noir. Come Conor Fitzgerald, distinto signore di Cambridge che vive tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti e che, innamorato dell’Italia (e di un’italiana, che ha sposato), ha creato il personaggio del commissario Alec Blume, decisamente più famoso nei paesi anglofoni che qui da noi, protagonista del romanzo «I cani di Roma» (Ponte alle Grazie). E anche il britannico David Hewson, già giornalista del Times ora votato al romanzo, ha una passione speciale per Roma dove si muove il suo Nic Costa, come nel «Settimo sacramento», editore Time Crime, che si perde alla ricerca di un bambino scomparso nelle catacombe: molti se ne scordano, ma mille cunicoli attraversano il ventre della Capitale come un inestricabile labirinto. E andando a sbirciare in libreria si scopre che a Hewson la Città Eterna ha ispirato parecchie storie, che sono destinate a crescere. Tra i vicoli bui di Roma girano anche parecchi italiani, come Roberto Costantini, autore del recente «Alle radici del male» (Marsilio), che tesse una ragnatela criminale da Tripoli alla Città Eterna. O Tommaso Pincio (alias Marco Colapietro) visionario autore di «Cinacittà. Memorie del mio delitto efferato» (Einaudi). E nel settore kolossal hollywoodiani, dopo «Angeli e demoni» di Dan Brown arrivato al cinema con Tom Hanks, si attende «The Vatican», la nuova fiction firmata Ridley Scott.

(Antonio Angeli)


Arkadia Editore

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