“Il desiderio imperfetto” (Arkadia, 2025) di Sebastiano Martini è un romanzo breve che cattura il lettore con la sua delicatezza e profondità, raccontando una storia di amicizia, ambizioni e crescita personale. Sebastiano Martini, classe 1978, avvocato civilista e scrittore, conferma una notevole sensibilità narrativa e una profonda comprensione dell’animo umano. Ispirato da autori come Hemingway e Scott Fitzgerald, con “Il desiderio imperfetto” alimenta la vena creativa che lo ha portato a pubblicare un titolo ogni anno a partire dall’esordio con “Covadonga” (Edizioni Leucotea, 2019), fino a “Il mare delle illusioni”, uscito sempre con Arkadia nel 2023 e proposto al Premio Strega. Ambientato nel pittoresco borgo di Montemarcello, incastonato tra Liguria e Toscana, il libro offre uno sfondo paesaggistico placido e incontaminato, che diventa quasi un personaggio a sé stante, contribuendo all’atmosfera intima e riflessiva della narrazione. La storia ruota attorno a due amici d’infanzia, Fabrizio ed Enrico, cresciuti insieme in questo piccolo paese affacciato sul mare. Enrico, fin da bambino, è determinato a diventare un artista, mentre Fabrizio, più introverso e riflessivo, scopre la sua passione per la scrittura. I due amici rappresentano due percorsi di vita diversi: Enrico, intraprendente e ottimista, sembra destinato a realizzare i suoi sogni, ha successo, viaggia; mentre Fabrizio, più insicuro e legato al suo paese natale, si scontra con le difficoltà del mondo editoriale. Martini descrive con maestria i contrasti tra i due personaggi, mettendo in luce le loro speranze, delusioni e il loro modo diverso di affrontare le sfide della vita. Fabrizio, in particolare, è un personaggio complesso e introspettivo, la cui crescita personale è seguita con empatia dall’autore. Attraverso le sue esperienze, il lettore viene portato a riflettere sui temi dell’ambizione, della realizzazione personale e del prezzo che a volte si deve pagare per seguire i propri sogni. Un originale espediente narrativo del romanzo è l’uso delle e-mail che Fabrizio riceve dalle case editrici alle quali propone i suoi testi. Sono rifiuti o richieste di pubblicare a pagamento che segnano il fallimento delle sue aspirazioni. Personaggi secondari del romanzo sono Vincenzo De Petri, scrittore di una certa fama che trascorre le estati a Montemarcello, e al quale Fabrizio affida le sue speranze di riconoscimento letterario e Ines, una giornalista anticonformista che lo aiuta a navigare nel complicato mondo editoriale. Il paesaggio di Montemarcello, con le sue isole sullo sfondo (Palmaria, Tino e Tinetto), è descritto con ricchezza di dettagli e rappresenta un luogo di rifugio e di ispirazione per i personaggi, ma anche un confine che limita le loro ambizioni. Fabrizio, in particolare, si trova costantemente in bilico tra il desiderio di esplorare il mondo e l’attaccamento al suo paese natale. L’epilogo del romanzo è inatteso e lascia il lettore con un senso di ambivalenza, riflettendo la complessità della vita e delle relazioni umane. Quando Fabrizio sembra ormai aver preso una strada che rinuncia a ogni ambizione letteraria, una serie di eventi fortuiti e un po’ rocamboleschi fanno arrivare quell’e-mail che mai si sarebbe aspettato e un altrettanto inopinato messaggio del padre scomparso. Per la sua vita si apre una nuova pagina bianca.
Alfredo Imbellone
La recensione su Rocca
La presentazione si terrà presso libreria Bookstorie via Valsassina 15/17 a Roma il 5 aprile alle ore 18:30. Modera, Giovanni Jacob Lucchese.
Gabriel è un ragazzo di origine colombiana che vive con la mamma e il fratello minore in un condominio di Roma. Suo padre ha fatto perdere le tracce senza chiarire le ragioni della sua scelta e ha lasciato un vuoto difficile da colmare in famiglia. Nello stesso palazzo vive Sole, la migliore amica di Gabriel che nasconde un passato tormentato nonostante sia allegra e ami la vita. È una sognatrice con molti progetti da realizzare e un legame da ricostruire con il papà. La madre di Sole è Liliana. È una donna emancipata nata al Sud. Ha fondato un’agenzia di badanti nella capitale. Il suo matrimonio è in crisi. Ha un legame profondo con l’isola di Procida dove ha trascorso le estati da bambina ed è lì che vorrebbe tornare. Le vite di Gabriel, Sole e Liliana sono intrecciate molto più di quanto possano immaginare. Un drammatico incidente le cambierà, costringendo i tre protagonisti a percorrere traiettorie esistenziali inaspettate, a rivedere le priorità, ma soprattutto, ad affrontare demoni nascosti dietro scelte ineluttabili. “La memoria della vite” è un romanzo sul significato delle relazioni umane, il coraggio, la speranza e la capacità di rinnovarsi.
Massimo Granchi è nato a Cagliari nel 1974. Vive a Siena.
Scrittore, antropologo, comunicatore pubblico, è specializzato in Media, storia, cittadinanza. Ha conseguito un Dottorato in Istituzioni e Società.
Ha fondato l’Associazione culturale Gruppo Scrittori Senesi di cui è presidente onorario, il Premio Letterario Città di Siena e il Premio Iannas Città di Quartu S. Elena di cui è direttore artistico.
È ideatore e coordinatore del Premio Letterario Toscana e responsabile del settore cultura del Circolo Peppino Mereu di Siena.
È stato vice presidente del Club per l’Unesco di Siena.
Tiene corsi di scrittura creativa per bambini, ragazzi e adulti nelle scuole e all’università e laboratori rivolti ai detenuti nelle carceri. Ha vinto numerosi premi letterari.
Oltre a vari racconti, saggi brevi e articoli, ha pubblicato saggi, romanzi, raccolte di racconti e fiabe.
La segnalazione su Roma Capitale Magazine
Una gigantesca balena emerge dalle acque del promontorio mentre la sua forma monolitica scalfisce l’alba di un cielo ancora dormiente portando scompiglio tra le acque di Montemarcello. Siamo soltanto a pagina uno, Fabrizio è l’unico testimone silente di quell’atto di forza primordiale ma il suo stupore è un’onda che s’infrange nuovamente, come la prima volta, trent’anni prima, quando l’uroboro della sua esistenza doveva ancora compiere il primo giro di boa e il suo desiderio non si era già trasformato in ossessione. Di balene reali e metaforiche Melville aveva fatto scuola e Sebastiano Martini, che dalla buona letteratura ne ha forgiato arti e mestieri lo sa bene, perché di tributi alle pagine della tradizione letteraria, né Il desiderio imperfetto (Arkadia Editore) ve ne sono assai. Menti fini e sensibili come La Capria, Montanelli, Montale (per citare solo alcuni conterranei) che delle parole ne hanno fatto una forma d’espressione, un monito di vita, un insegnamento ricorrente. La scrittura è un fuoco che scalda ma più spesso brucia, chi ne pratica lo sa bene. Parte tutto da una scintilla, che sia talento innato o l’innesco fornito da un libro donato ogni compleanno da un padre scomparso (come nel caso del nostro protagonista Fabrizio) una volta che la prima fiammella trova steppa nel suo braciere, non vi è più modo di sottrarsi. Da qui l’ossessione, la voglia e il bisogno, il veder solo quello ed esser disposti a sacrificare tutto il resto: famiglia, viaggi, relazioni, anche se spesso non sembra, anche se dall’esterno pare che la vita possa ancora procedere per obiettivi traversi e soddisfazioni parallele, la mente dello scrittore resta sempre lì, in quella storia germinale, in quelle parole che non risiedono mai nel posto perfetto, in quelle frasi che nella testa continuano ininterrottamente a ricomporsi e spostarsi come un mosaico schizofrenico che può trovar pace solo a pubblicazione avvenuta. Ma se questa pubblicazione non si compie? Se non vi sono lettori alle parole sudate? Se non vi è nessun palcoscenico testimone al sacrificio di una vita intera, quale può essere, dunque, lo scopo di tutto questo martirio? Martini parte da uno spauracchio settoriale (l’impossibilità per Fabrizio di trovare un editore che dia alle stampe la sua opera) per ampliare il suo discorso a un timore ben più diffuso e universale: l’incapacità di realizzarsi in un percorso di vita. L’angoscia che sfianca le giornate di Fabrizio è la stessa mandragora che solletica gli sforzi dell’amico Enrico, compagno di banco di una Montemarcello sospesa nel tempo, una terra ammaliante e castrante che prende forma nella prosa pacata ed elegante di un affresco tratteggiato senza fretta. Un estuario di terra e mare che compensa le ridotte aspirazioni fruibili con infiniti scorci costieri di rocce albine, puntellate di vegetazione incolta e anfibi dalle movenze primordiali. Suona strano sentirsi inadatti a tale paradiso eppure, anche a Enrico, questo grumo di case affacciato sul Golfo dei Poeti sta stretto fin dalla nascita. Anche lui, come l’amico Fabrizio, si titilla nei sogni di trasferte intercontinentali, tra vernissage con “la gente e conta”, coltivando il sogno di diventare prima pittore, per poi esser costretto a deviare la sua dedizione verso un’utopia più pragmatica, alla continua ricerca di investitori che possano finanziare il suo Brain: un progetto pioniere che fonde arte contemporanea ed energie rinnovabili. Sognare in grande, svezzati in un piccolo nido è una storia che si ripete di continuo eppure anche lì, in quel promontorio inguaiato tra Liguria e Toscana, qualcuno ce l’ha fatta: è il caso di Vincenzo De Petri, penna nota e rinomata che trascorre le sue estati a Montemarcello a cui Fabrizio cercherà in tutti i modi di far leggere il suo manoscritto affidandosi anche ai consigli esperti e le rassicurazioni della sua consorte Ines, donna di grande cultura, disponibilità ed empatia, lei stessa autrice di fama nazionale. Come nel precedente Il mare delle illusioni, la prosa stenopeica di Martini si sviluppa per sottrazione. Laddove si sarebbero potuti imbastire infiniti monologhi autocommiseranti sui ripetuti rifiuti incassati da Fabrizio, l’autore sceglie invece di concentrare l’amarezza in una serie di sterili email di rifiuto che, chi bazzica un minimo nel panorama editoriale, conosce fin troppo bene. La solitudine che ne traspare viene dunque amplificata attraverso un senso di stasi trasmessa dai luoghi, più che dai personaggi. Leggere Martini e come poggiare l’orecchio contro una conchiglia lasciando che siano le frequenze e le suggestioni acquisite ad amplificare la fascinazione di uno stile che nasconde, dietro un’apparente semplicità, la ricerca di un’armonia continua e uniforme, lontana dagli steroidismi letterari. È l’incedere asincrono, accogliente e ammaliante di una penna che non ha bisogno di urlare, che si adagia su una melodia ritmata da descrizioni semplici e personaggi definiti con pochi, centellinati tratteggi. Leggere Martini suscita, in chi scrive, la sensazione calda e accogliente di un ritorno ai luoghi di una nostalgia nota che si compie nell’impossibilità di realizzare i sogni e le ambizioni di un uomo come tanti. I suoi fallimenti sono i nostri inciampi, le sue insicurezze sono le voci notturne che ognuno di noi, in quel bizzarro tragitto chiamato vita, ha imparato ad accogliere per farne sostegno. Sia dunque questo desiderio imperfetto un inno melanconico alle storie lievi, emerse tra le increspature di un mare pacato le cui onde non sono mai burrasca semmai dolce risacca, un moto melanconico di seducente risonanza che ritorna, che rimane.
Stefano Bonazzi
La recensione su Satisfiction
Lui, che doveva smontare i selciati, capiva quanto era arduo il suo lavoro, ma senza perdersi d’animo, senza curarsi delle risate e degli scherzi di chi lo attorniava, cominciò con calma a smontare la città. Un leitmotiv che ricorre come un mantra nelle esistenze di ciascuno di noi è darsi una possibilità, la paura, l’inquietudine che può emergere è il fallimento nella realtà, nella vita quotidiana, David Eloy Rodriguez esplora alcune condizioni che possono portare a una decisione che cambierà per sempre gli eventi in una raccolta di cinquanta racconti e microracconti che aiutano a riflettere: Le possibilità rappresenta l’esordio narrativo di Rodriguez, pubblicato dalla sempre lungimirante casa editrice Arkadi a nella collana Xaimaca, tradotta da Marino Magliani. La paura e il desiderio fanno sì che molti dei personaggi agiscano in modo da influenzare i propri desideri, come Il becchino Tobia il cui sogno è avere una casa tutta sua, ma per il terrore che qualcuno possa portagliela via, decide di murare porte e finestre rimanendo fuori a guardare il suo sogno. Il desiderio di lasciare lo Zoo per ritrovare un’agognata libertà ma quando gli animali si accorgono che nessuno più va a visitarli decidono di tornare nelle loro gabbie. A volte il desiderio non corrisponde alla realtà. La vita di un uomo cambia quando una nube sovrasta il suo capo, giorno dopo giorno ovunque vada la nube lo segue, senza più amici o desideri, malato, muore nel suo orto e il sole torna a splendere. La scrittura di Rodriguez è affascinante, i microracconti sono minimalisti ma carichi di intensità, linee sottili che separano desideri e paure.
L’istante che passa fra la domanda e la risposta, quell’attimo di indeterminazione che appartiene a ciò che ancora non è stato concepito , quell’intervallo di vuoto nel quale respirano avidamente, come animali favolosi e senza volto, le possibilità.
David Eloy Rodriguez Nato a Cáceres (1976), scrittore, poeta, insegnante di scrittura creativa, attore teatrale ed editore, ha pubblicato una dozzina di libri di poesia, un libro-disco, quattro album illustrati e una graphic novel. Il suo lavoro è stato premiato e tradotto in altre lingue. Ha recitato i suoi versi in numerosi paesi stranieri, partecipa a vari progetti scenici che riuniscono diverse arti (musica, pittura dal vivo, arti della parola, danza), scrive testi per artisti di musica e flamenco.
Loredana Cilento
La recensione su Mille Splendidi Libri e non solo
Tra le pieghe di una vita che sembra andare fuori controllo, uno spiraglio lascia intravedere un possibile cambiamento, una nuova prospettiva. Si intitola Oltre la porta socchiusa l’ultimo libro di Lucia Guida, uscito per Arkadia. Si tratta della terza opera di una trilogia intitolata Prospettive urbane, che esplora diverse sfaccettature della vita quotidiana attraverso la narrazione di personaggi e contesti fortemente radicati nella realtà. Dopo Romanzo Popolare (Amarganta, 2016), che raccontava le vicende di due famiglie del quartiere di San Donato a Pescara tra il 1965 e il 1975, e Come gigli di mare tra la sabbia (Alcheringa, 2021), che intrecciava storie di donne in un condominio liberty di semiperiferia legate dalla ricerca di un equilibrio esistenziale, con Oltre la porta socchiusa la scrittrice restringe ulteriormente il campo narrativo. Il lettore è condotto per mano attraverso la visuale intima e soggettiva di Alice Bellucci, protagonista e voce narrante del romanzo. Alice, una quarantenne impiegata e single, vede la sua vita stravolta da un grave incidente automobilistico che le provoca una perdita parziale della memoria. Come se non bastasse, viene licenziata, trovandosi così costretta a ripensare radicalmente alla propria esistenza. In questo percorso di ricostruzione interiore e pratica, può contare sul sostegno della sorella, del cognato e del nipote, che diventano per lei punti di riferimento fondamentali. A complicare ulteriormente il suo cammino, l’incontro con due uomini: Carlo, enigmatico e sfuggente, con cui intrattiene un’amicizia platonica destinata a esaurirsi, e Paride, coinvolto in una relazione sentimentale disfunzionale con una donna impegnata. Tra Alice e Paride nasce un’intesa, ma le ambiguità che avvolgono la loro relazione la portano inevitabilmente a un epilogo difficile. Ancora una volta, Alice si ritrova sola, costretta a fronteggiare l’ennesima ricerca di stabilità, sia economica che affettiva. Lucia Guida conferma, con questa nuova opera, la sua abilità nel dipingere ritratti di donne complesse e autentiche, immerse in un contesto sociale ed emotivo ben delineato. L’uso della narrazione in prima persona permette al lettore di immergersi nelle riflessioni e nei turbamenti di Alice, rendendo palpabile il suo smarrimento e il suo tentativo di ridefinire la propria identità dopo il trauma. L’autrice adotta uno stile fluido e introspettivo, che evita facili sentimentalismi e punta invece a una rappresentazione verosimile delle difficoltà e delle contraddizioni della vita adulta. Uno degli aspetti più interessanti del romanzo è la riflessione sulla memoria e sulla costruzione del sé. La perdita parziale dei ricordi di Alice non è solo un evento traumatico, ma anche una metafora della necessità di ricostruirsi, di ridefinire le proprie priorità e il proprio posto nel mondo. La memoria, dunque, diventa un elemento cardine della narrazione, un processo identitario. In questo contesto, i personaggi secondari incarnano diversi modi di affrontare la vita e i suoi ostacoli. Se da un lato la famiglia di Alice rappresenta un’ancora di sicurezza, dall’altro i due uomini con cui interagisce simboleggiano percorsi di crescita incompleti, occasioni che non riescono a trasformarsi in certezze. Oltre la porta socchiusa è un romanzo che parla del bisogno di trovare un nuovo equilibrio in un mondo che spesso si dimostra ostile e imprevedibile. Lucia Guida riesce a tratteggiare una protagonista forte nella sua vulnerabilità, senza cedere a soluzioni narrative scontate o consolatorie. La sua scrittura, precisa e calibrata, si fa portavoce di una visione del quotidiano sfaccettata e profonda, confermando ancora una volta il suo talento nel raccontare storie di vita vissuta con sensibilità e autenticità.
BIO. Lucia Guida, pugliese d’origine, vive a Pescara dove lavora come docente di lingua inglese. Nel corso della sua carriera ha pubblicato diverse opere tra narrativa e poesia, tra cui Succo di melagrana. Storie e racconti di vita quotidiana al femminile (Nulla Die, 2012), il romanzo La casa dal pergolato di glicine (Nulla Die, 2013) e la silloge poetica Interlinee (Amarganta, 2018). Con Oltre la porta socchiusa, chiude la trilogia Prospettive urbane, lasciando ai lettori una riflessione profonda sulla ricerca della felicità e sulla capacità di reinventarsi nonostante le avversità.
Fabio Iuliano
La recensione su The Walk of Fame
Sogni e flashback si mescolano alla narrazione del presente ne “La laguna del disincanto” di Massimiliano Scudeletti. Un ex videoreporter di guerra indaga un piano ben congegnato, ma votato al male e all’orrore, specie nel web contro i più piccoli… Il fenomeno delle violenze e degli abusi sui minori è un problema complesso, caratterizzato da una pluralità di sfaccettature, per affrontare il quale sono necessari un esame accurato e un approccio complessivo, che prendano le mosse da un’effettiva conoscenza del fenomeno, nelle sue dimensioni e nelle sue tendenze evolutive. Nel primo semestre del 2024, quindi nel solo periodo compreso tra gennaio e giugno, in Italia sono stati registrati 20.502 reati commessi ai danni di minori. Si rileva, inoltre, un sensibile aumento di alcuni reati in particolare: abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, maltrattamento contro familiari e conviventi, sottrazione di persone incapaci, violenza sessuale di gruppo. Dalla disamina dei dati emerge che, anche tra i minori, sono soprattutto i giovanissimi infra-quattordicenni quelli che continuano a veder minacciato il proprio sviluppo psico-fisico dagli odiosi reati in argomento. Sono delitti che intaccano profondamente la sfera emotiva e psicologica, con ovvie conseguenze dannose a breve, medio e lungo termine non solo sulla personalità dell’abusato, ma anche sull’intero sistema relazionale e sociale con il quale il soggetto si troverà a interagire. Un ulteriore conseguenza a lungo termine, frequentemente riscontrata, riguarda la reiterazione dei comportamenti violenti, osservati durante l’infanzia, nelle relazioni vissute in età adulta. Il minore, quindi, potrebbe tendere a subire simili violenze anche nelle relazioni future, ovvero a metterle in atto, interpretando il ruolo di carnefice. Gli episodi di violenza sono perpetrati sui minori prevalentemente da parte di uomini italiani, di età compresa tra i 35 e i 64 anni (63% dei casi) e per il restante 37% da parte di stranieri. Si tratta di dati ricorrenti negli ultimi anni, che individuano soprattutto negli uomini, con requisiti anagrafici abbastanza definiti, i soggetti verosimilmente più intrisi di quella “sottocultura” che affonda le proprie radici nell’ignoranza, nella negazione della ragione, e che traduce la paura del confronto nella violenza, fisica e psicologica, riproponendo modelli passati, che si credevano ormai superati.
Nel mirino di chi dovrebbe proteggere
Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dell’esistenza di fenomeni di maltrattamento, sfruttamento sessuale e abuso a danno di minorenni, effettuati da persone appartenenti a organizzazioni umanitarie, associazioni, istituzioni religiose, scuole e quindi in posizione fiduciaria e autorevole. La scuola è un’istituzione educativa dove il principio universalmente riconosciuto del “non fare alcun male” (do not harm) dovrebbe raggiungere la sua massima espressione; pertanto ha la precisa responsabilità sia di minimizzare il rischio di nuocere ai bambini e agli adolescenti ai quali si rivolge, sia di saper rispondere efficacemente in caso di preoccupazioni e sospetti. E, in generale, ciò avviene. Fortunatamente. Ma i casi di cronaca che raccontano il contrario, purtroppo, aprono una dolorosa feritoia su rischi a volte troppo sottovalutati. Ne La laguna del disincanto (272 pagine, 17 euro), edito da Arkadia, Massimiliano Scudeletti sceglie di indagare proprio questo aspetto della violenza sui minori, facendolo diventare la colonna portante dell’intero libro. Il protagonista Alessandro Onofri, ex videoreporter di guerra, viene chiamato in causa dall’amica Sarah la quale è preoccupata per il particolare e apparentemente inspiegabile comportamento dei figli. Quello che scopre lo porta a indagare più a fondo di quella che sembra sempre più una ramificazione strutturata di un piano ben congegnato, ma votato al male e all’orrore. Un male e un orrore che sono già entrati nella vita di Onofri, un tormento della sua esistenza che egli ora rivive tra sogni e flashback che si mescolano alla narrazione degli accadimenti recenti.
Più persone e più luoghi
L’indagine sembra ingrandirsi sempre più coinvolgendo persone che si trovano anche in luoghi fisici distanti fra loro e collegando punti oscuri sulla rete del mondo sommerso del Deep web. Il Deep web è costituito dall’insieme di tutti i contenuti presenti sulla rete che non sono indicizzati dai motori di ricerca. Le risorse web sommerse rappresentano il 96% dell’intero world wide web, per un volume 500 volte superiore a quello del Surface web. Il Dark web è un sottoinsieme del Deep web, a cui è possibile accedere solo tramite particolari software, poiché si basa su tipologie di reti sovrapposte alla rete internet tradizionale, individuate generalmente con il nome di Darknet. Il Dark web racchiude al suo interno un insieme di contenuti accessibili pubblicamente, ospitati in particolari siti web dall’indirizzo IP nascosto (la navigazione è quindi anonima), o contenuti privati scambiati in un network chiuso di computer. Il lato oscuro della rete è composto principalmente da attività di natura illecita. Negli abissi della rete si nasconde l’illecito e con esso, molto spesso, il male. Il medesimo indagato a fondo da Massimiliano Scudeletti il quale, ne La laguna del disincanto, sembra invitare il lettore a una profonda riflessione su quanto sta accadendo oggi, su dove si nasconde il male e su quanto esso può moltiplicarsi all’infinito pur rimanendo pressoché invisibile.
Uno scenario allarmante
Possibile che la progressione tecnologica e digitale invece di “portare avanti” anche la cultura e la conoscenza si trascini antichi rituali e credenze che sembrano riportare tutti indietro di millenni? L’uomo è “un animale cerimoniale”. Allora ogni tentativo di spiegare il rituale come forma di vita cerimoniale non può ignorare questo fatto: che il rituale, come forma di un rito, si connette sempre in modo problematico e un atto – magico, miracoloso, politico, spirituale, o altro – che si presume efficace. I rituali sono anche un efficace metodo di condizionamento mentale, uno strumento per fare proselitismo e indottrinamento. La mente umana è facilmente influenzabile. Quella di un minore lo è anche di più di quella di un adulto. La manipolazione mentale agisce su processi, strutture e sistemi che garantiscono a un individuo il senso di unicità e continuità nel tempo e danno stabilità alla relazione con il sé e con l’ambiente, minando la sua volontà e riducendo il suo senso critico. Occorre creare un canale privilegiato di comunicazione che veicoli le informazioni distorsive nella mente del manipolato in modo tale che queste vengano accolte acriticamente e inserite nella narrativa personale, sostituendo quella autentica, entrando così a far parte della sua identità. Fatto già di per sé grave ma che acquista connotazioni ancor più inquietanti allorquando il “manipolato” è una persona sotto la cui responsabilità si trovano dei minori. Uno scenario allarmante su cui il libro di Massimiliano Scudeletti accende i riflettori.
Irma Loredana Galgano
La recensione su LuciaLibri
Alcuni libri ci accompagnano, altri scavano in profondità. Il lato nascosto delle storie di Roberta Di Pascasio, pubblicato da Arkadia, appartiene alla seconda categoria: “costringe” il lettore a scrutare dietro le apparenze, nei meandri dell’animo umano, dove le ferite si nascondono sottopelle. A un primo sguardo, potrebbe sembrare una semplice raccolta di racconti: dieci storie, dieci frammenti di vita. Ma è molto di più. È un intreccio di esistenze che si sfiorano e si intersecano, un mosaico di destini segnati da scelte, rimpianti, colpe e solitudini. Roma è la cornice della storia, uno sfondo che non offre appigli. Osserva silenziosa, impassibile, mentre i protagonisti si muovono tra ciò che avrebbero potuto essere e ciò che la vita ha imposto loro. Persone comuni, straordinarie nella loro fragilità. “La vita gli aveva offerto una seconda possibilità. Ma l’amarezza non era mica andata via. La sua oramai è una crosta dura, una seconda pelle, dovrebbero sbucciarlo come un’arancia per estirparla e poi continuare a scavare e strappare budella, cuore, polmoni, è tutto marcio, impregnato di mestizia e fiele.”
Tutte le storie raccolte da Roberta Di Pascasio colpiscono dritto in faccia. Un detenuto ritornato in libertà. Una libertà che sa solo di illusione. Qualcuno lo ha tradito, qualcuno lo ha incastrato. Il passato lo trattiene in una morsa: la ricerca della verità lo consuma, il sospetto lo avvelena. La cella lo ha cambiato, ma il mondo fuori non è rimasto lo stesso. La storia di un giovane inquieto, segnato da un carattere ribelle e da scelte sbagliate. Nel suo cammino incontra un’insegnante verso cui sviluppa un’attrazione confusa, ma quando lei lo respinge, lui decide di vendicarsi con un gesto meschino. Un uomo senza fissa dimora, un’ombra silenziosa che vaga tra le strade della città, e accanto a lui uno psicologo che si occupa di chi vive ai margini, offrendo ascolto e comprensione a chi non ha più nessuno. Privazioni, solitudine e fallimenti. La miseria che si racconta non è solo materiale, ma anche emotiva e morale, fatta di legami spezzati, di occasioni perse, di ferite che sembrano non rimarginarsi mai. Eppure, proprio quando tutto sembra condannato al degrado e alla disperazione, negli ultimi due racconti affiora un timido bagliore di speranza, di riappacificazione. La scrittura di Roberta Di Pascasio è essenziale ma densa di significato, capace di evocare emozioni profonde senza ricorrere a facili sentimentalismi. “L’esistenza è un calderone in cui la sfortuna coglie a caso le persone come fosse una rete lanciata su un mucchio di cani randagi, c’è chi riesce a scappare e chi rimane impigliato.”
La lettura de Il lato nascosto delle storie lascia il retrogusto amaro del vero, dell’autentico. Nessuna risposta, solo domande. Perché il lato nascosto delle storie, forse, è proprio quello che non sappiamo – o non osiamo – vedere di noi stessi.
Emanuela Stella
La recensione su Glicine