La cella di Gaudi su Il Portico

da: Il portico
Il portico
27 gennaio 2013

“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”, potremmo dire con Dante: grazie al  progetto “Adotta una storia”, realizzato dall’associazione il Colle Verde dodici detenuti della colonia penale di Isili incontrano dodici scrittori, creando un gioco di relazioni e complicità; ne nasce un libro, “la cella di Gaudì”, edito da Arkadia. Nel volume ogni detenuto racconta la sua esperienza attraverso la penna di uno scrittore, scelto da lui stesso: sono storie di azione, di crimine, spesso di sradicamento, visto che raccontano in molti casi di emigrazione clandestina; ma parlano anche di speranza. Soprattutto sono storie vere. Un modo per conoscere culture diverse, e usando uno stile semplice ma coinvolgente, fare cronaca e denuncia di realtà che purtroppo esistono ancora. La presentazione del volume è avvenuta la settimana scorsa, in via del Fossario, nel Museo Diocesano, davanti a un folto pubblico fra cui c’erano anche detenuti di Buoncammino. “Lo scopo era dare ai detenuti la possibilità di esprimersi – ha spiegato Laura Cabras, del Il Colle Verde –  abbiamo partecipato assieme al presidio del libro Carpe Liber e al marchio Galeghiotto del progetto C.o.l.o.n.i.a.”. Perché il nome di Gaudì nel titolo? Anche il grande architetto della Sagrada Familia conduceva una vita modesta e visse a lungo in una cella monacale; fu anche un patriota e trascorse qualche giorno in prigione. ”È un omaggio, e l’arte è un modo di varcare i confini della cella e aprire una finestra sul cielo”.“La Libertà può trovare un fondamento anche nella fede e nell’amore per Dio” – ha aggiunto monsignor Alberto Pala, parroco della Cattedrale di Cagliari. Anche il luogo della presentazione non è stato scelto a caso: il Museo Diocesano ha ospitato in passato una mostra di Gaudì.  “Il carcere è anche un luogo di possibilità e di vita – ha detto padre Massimiliano Sira, cappellano del carcere di Buoncammino – e anche questo libro può essere un’occasione per ricominciare”; fra Lorenzo Pinna, del convento di Fra Ignazio, si è riconosciuto in molti punti del libro: “anche io da ragazzo mi sentivo un piccolo criminale – ha detto facendo sorridere tutti – volevo essere diverso dagli altri, in male però! Per fortuna Dio non l’ha permesso. Bisogna sempre distinguere: una persona non va identificata con i suoi errori”. Poi la parola è passata agli autori: “Sono felice di partecipare a un progetto come questo – ha detto Gueorgui Borissov, e, scherzando ha aggiunto – siccome il mio autore è anche capo degli educatori ho pensato: qui se sbaglio mi mandano chissà dove!”. Anche gli altri giovani detenuti hanno espresso i loro ringraziamenti, e qualcuno si è pure commosso. “È stato Mohammad a farmi un regalo – ha esclamato Claudia Musio – mi ha fatto capire quanto siamo fortunati”e Fabrizio Fenu ha rincarato: “Noi siamo solo la penna, i veri protagonisti sono i ragazzi”. “Siamo usciti arricchiti da quest’esperienza – ha concordato Paolo Maccioni – e anch’io credo che siamo fortunati anche per aver potuto raccontare queste storie”; “da questo libro viene un messaggio di speranza – ha aggiunto Pietro Picciau – chi sbaglia ha diritto ad un’altra possibilità”. “io ero preoccupato – ha confidato Nicolò Migheli – temevo di tradire ciò che mi avevano detto”; mentre  Michele Pio Ledda ha concluso ricordando Gaudì. “con le sue forme architettoniche elaborate ci ricorda che in natura non c’è niente di diritto e per arrivare al cielo non c’è sempre la via più corta”.

(Giovanni Lorenzo Porrà)


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