La sposa del nord su “La Sicilia”

da: La Sicilia
La Sicilia
5 ottobre 2014

Un’eroina italiana estranea a Catania. Giselda, donna nel pieno senso della parola, vincitrice morale su Verga e Rapisardi. Non muta comparsa Fojanesi è donna emancipata che con l’esempio spinge all’emancipazione

 

Quel che resta di un’ombra: Verga, Rapisardi, ma soprattutto Giselda Fojanesi. Qualche giorno fa, visitando ai Benedettini la Biblioteca Ursino-Recupero, cosa che un tempo mi era abituale, anche perché il mio office era ad un passo dal suo ingresso, ho incontrato un’amica, bibliofila, studiosa di lettera- tura. Il discorso cadde sulle “carte” che stava studiando, di Verga e De Roberto. Il caso volle che girando nei saloni della biblioteca ci imbattessimo nella scrivania lì conservata di Federico De Roberto. E a proposito di De Roberto, l’amica filologa, forse ispirata dall’ambiente ancora un po’ “monacale” – alla Lewis, o da Viceré – della Biblioteca, cominciò a parlare dei gusti sessuali, di certe manie o “perversioni” di questo scrittore, per come lei aveva potuto carpirli da lettere, fotografie, documenti, e soprattutto da certi inediti. Tutte cose di cui, volendo, si poteva sorridere, niente di speciale. A parte le cosiddette perversioni – per lei era pruderie oppure convenzione chiamare così certe modalità del desiderio sessuale? – che pare De Roberto coltivasse con costanza, quello che la impressionò fu il basso livello sociale delle donne, le puellae viles, con cui esercitava le sue voglie. Questo, certo, poteva valere anche per Verga: entrambi erano scapoli. Qui la filologa tacque. «A Catania non si può parlar male di Verga», disse alla fine. Ma l’immaginazione può continuare a correre fino alla Psycopathia Sexualis di Kafft-Ebing. Devo dire, però, che ogni volta che ad autori di un certo livello si applica la critica documentaria come se si trattasse dello sguardo del maggiordomo, della governante, oggi della segretaria, mi sembra di sprofondare in un buco nero. Non se ne può uscire se non a costo, appunto, di perdersi nell’infinitamente meschino dell’immaginario, del sospetto, nella pura esteriorità: nel migliore dei casi in quel che resta di un’ombra, dopo che la vita dello scrittore è stata violentemente squartata dalla sua opera. Tutto questo mi fa tornare a riflettere, a proposito della lettura piacevolissima che ho fatto della “Sposa del Nord” (Arkadia editore, 2014) di Piero Isgrò, sulla prospettiva biografica in cui Isgrò ha posto Verga e l’altro intellettuale catanese che compare nel suo racconto lungo, Mario Rapisardi: in una luce più sfumata, quasi vaporosa, senza ammiccamenti, e comunque priva delle pesantezze delle finzioni biografico-letterarie. Dove, comunque, non è questione di amori ancillari, ma vi compaiono Verga e Rapisardi alle prese, peggio per loro, con una donna nel pieno senso della parola. Isgrò qui si muove bene tra le secche dell’immobilità biografica e le tempeste delle finte passioni. È il bello di questo libro, tutto costruito con fatti autentici, narrato con insolita bravura. Giselda Fojanesi è una bella ragazza, onesta e istruita, che Verga conosce a Firenze. Con l’aiuto dello scrittore, Giselda ottiene un impiego da insegnante in un convitto per ragazze a Catania. Vi si trasferisce, e conoscerà pure il poeta Mario Rapisardi. Data la freddezza e il formalismo del Verga nei suoi confronti, una freddezza forse seguita ad un precedente approccio intimo, Giselda finisce con lo sposare il vate del positivismo, il cantore di un Lucifero assai grottesco che voleva somigliare a Cristo. Ma Rapisardi si rivela subito un lucifero meschino, dominato da una madre ossessiva – una madre siciliana, che Giselda non poteva conoscere! Giselda trova modo di fuggire, e grazie al sentimento che ancora la legava a Giovanni Verga, si rifugia in casa sua. «Un adulterio per legittima difesa», dice Isgrò. Ma Giovanni, come reagirà? Rapisardi, che vorrà fare? E soprattutto Catania, che atteggiamento prende verso la giovane donna, verso il “seduttore” (ma non era proprio tale), e il “cornuto”? Lascio al lettore la gradevolezza di queste pagine costruite come una vicenda da opera o commedia settecentesca in salsa siciliana (con una scrittura di cui dirò qualcosa più avanti), ma dove tutto si conclude mestamente. Giselda partirà. Rapisardi, questo vate dell’aria fritta, si rifugia in una specie di religione sui generis. E ad un livello più alto, molto più alto, anche Verga dovrà fare i conti con se stesso: Giselda gli ritornerà più viva che mai nella Storia di una capinera, e forse è anche lei quella figura femminile della Fantasmagoria. Ma, soprattutto, gli tornerà come un rimorso per la sua vita affettivamente incompiuta, dominata da un’altra figura femminile: la madre terra – vita tormentata quanto quella dei suoi grandi personaggi. Giselda gli sopravviverà di molti anni – muore nel 1946, a 95 anni. Ma questa donna non attraverserà come muta comparsa un arco così grande di storia. Per altri aspetti Giselda Fojanesi è un’eroina del Novecento italiano, una donna emancipata, che con il suo esempio spinge all’emancipazione. E qui la sorpresa del libro di Isgrò, il quale dopo aver marchiato a sangue la vicenda della donna con i due catanesi – impareggiabile l’affresco della prima notte di nozze di Rapisardi e Giselda, tutto narrato con una scrittura fortemente mimetica delle pagine brancatiane, ma non meno innovativa, una specie di scrittura al secondo grado – prolunga la sua attenzione sulla personalità di una Giselda matura. Padrona della sua vita, questa Giselda lascia riaffiorare, sempre vivo in lei, quel momento di felicità che Giovanni le aveva dato. E quando Verga muore, la tristezza e la pietà le fanno scrivere a De Roberto di lasciare a suo nome una rosa sulla tomba di Giovanni.

(Paolo Manganaro)


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