Lettere dall’orlo del mondo

Un estratto del romanzo epistolare di Barbara Garlaschelli

 

 

 

 

PROLOGO

 

 

La donna aprì la finestra e si lasciò accarezzare dall’aria. Guardò il cielo terso. Poi con un gesto deciso tirò la tenda e la penombra s’impossessò delle pareti, del letto, della scrivania, della sedia. Si posò su un foglio bianco e sulla stilografica allineata al suo fianco.

Lei si spostò al centro della stanza, raccolse i folti capelli tra le mani e li attorcigliò in una coda alta che le ricadde sulla schiena solleticandole la pelle. Compì ogni gesto senza guardarsi allo specchio, in quell’automatismo che si ripeteva nel tempo.

Rimase immobile, a occhi chiusi, respirando piano, le braccia stese lungo il corpo. Non sentiva nulla, né dentro né fuori di sé. Le parve che quella sensazione non fosse vuoto ma pace, anche se non era ancora in grado di distinguere tra i due stati d’animo.

Essere disallenati all’esatta percezione di se stessi la confondeva. Si domandò se esistesse qualcuno capace di tanto: essere al centro di sé senza pensare di essere il centro. Allenarsi a vivere, come si faceva per una gara. Una corsa. Un gioco.

Allenarsi alla quiete dopo essere vissuta in una perenne tempesta. Con lentezza dischiuse le palpebre e trasse un profondo respiro. Si avvicinò di nuovo alla finestra e fece scorrere le tende sempre con fare determinato, come spinta da un’urgenza improcrastinabile. La luce avvolse ogni cosa.
Spalancò i vetri.
Fissò il cielo che continuava a essere pieno solo di azzurro.
“È ora”, pensò.

 


 

 

I

 

 

Mondo, 20**

Caro Y.,

alla radio De André canta ma dove hai lasciato il tuo amore così, di rimbalzo, penso a dove ho lasciato il mio. Dove ho lasciato quella carica di emozioni che sopraffaceva, come scriveva Manganelli? Dov’è finita la capacità di dilatare l’istante e il tempo solo guardando un gruppo di vecchi camminare insieme, chiacchierando di cose che non riuscivo a sentire ma sorridendo dei loro sorrisi o delle loro sopracciglia aggrottate?
Qui non c’è spazio per chi incede lento e senza meta; qui devi sempre sapere dove andare e perché. L’indecisione non è prevista. Nemmeno la vacuità. Qui è necessario essere presenti a se stessi in ogni istante. Chi non tiene il passo viene lasciato indietro e non importa quale potrebbe essere la sua sorte.
Le persone camminano a testa bassa, con gli auricolari inseriti nelle orecchie o gli occhi fissi sul cellulare o sui propri passi. Si respira solitudine e diffidenza, rabbia e paura. Solo di tanto in tanto un sorriso ti piomba addosso così veloce che non riesci nemmeno a ricambiarlo.

Forse la solitudine che respiro è la mia; forse sono io che non riesco più a mantenere il ritmo giusto. Perché non so quale sia.
Al passaggio delle nuvole rabbrividisco quando il Sole scompare, nel timore che non riappaia più.

Ti spero in terre bagnate da un qualsiasi mare, con piccole barche al largo, cariche di pesci e non di umanità alla deriva.
In questo mondo non c’è spazio per l’accoglienza; in pochi provano ancora ad appellarsi alla compassione, perché tra schiavi è difficile coltivare la pietas. Si è troppo occupati a sopravvivere per pensare ad altro.
Eppure ci sono schegge di vento che s’intrufolano nei pensieri stanchi, e ti fanno ancora alzare la testa a seguire le nuvole. Un gesto così inutile, se ci pensi, così fatuo. Così lungimirante.
Aspetto che il cielo sia terso e poi rifarò l’ennesima valigia e riprenderò il viaggio.
So che ti rincontrerò, prima o poi e, forse, mi riconoscerai dal sorriso consumato o dai miei scuri occhi vigili.

Tua J.


Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

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