Olio e uva, la nostra tradizione

da: La Nuova Sardegna
La Nuova Sardegna
07.05.2010

 

La fillossera, il piccolo insetto capace di far seccare intere piantagioni di viti, si diffuse in Sardegna nel 1883. L’epicentro fu la campagna sassarese, talmente colpita dal disastro che in seguito le vigne non sono state più impiantate, si è preferito dare impulso all’ulivo, mente si confermavano produttori di vino centri limitrofi come Sorso, Alghero, Usini.  Tutte queste storie sono raccontate nel quarto volume della collana «Antichi mestieri e saperi della Sardegna» edita dalla «Nuova»: si intitola «Il mondo contadino: la vite e l’ulivo» e sarà in vendita domani con il giornale (144 pagine illustrate a colori, euro 7,90).  Alla vittoria sulla fillossera si lega la nascita della Sella & Mosca, che con una tenuta di 500 ettari in agro di Alghero è oggi l’azienda più estesa del settore: i suoi fondatori vennero in Sardegna per coltivare le piantine di origine americana che si erano rivelate immuni alla malattia.  Negli anni successivi la produzione riprese a crescere, ma senza raggiungere soddisfacenti livelli di qualità: valeva per la Sardegna quello che un vignaiolo francese aveva detto a Luigi Veronelli nel fare il paragone tra il suo paese e l’Italia: «Noi abbiamo uve d’argento e facciamo vini d’oro; voi avete uve d’oro e fate vini d’argento».  Soltanto in questi ultimi decenni enologi più capaci e cantine meglio organizzate hanno saputo trarre risultati soddisfacenti; ed è tutto un fiorire di nuove tipologie, accompagnate da una crescente abilità nel confezionare e commercializzare. I nostri produttori si muovono decisi alla conquista dei mercati italiani ed esteri, come ha dimostrato anche la recente edizione del Vinitaly di Verona.  Al confronto la progressione – in qualità e quantità – della produzione olearia è stata più regolare e continua. Il grande impulso è venuto come noto nel corso della dominazione spagnola, che riconosceva gradi di nobiltà a chi faceva crescere un certo numero di piante. Gli uliveti hanno continuato a moltiplicarsi, estendendosi anche al di fuori delle zone che per prime ne avevano conosciuto la diffusione: il Sassarese, il Bosano, l’Oristanese.  L’ulivo, si sa, impiega parecchi anni per divenire redditizio, per questo si è scelto spesso di impiantarlo alternandolo a filari di viti, che al contrario danno frutto da subito; e venivano poi estirpate mano mano che la produzione olearia diveniva soddisfacente.  Il consumo dell’olio d’oliva è venuto così man mano diffondendosi anche tra le famiglie più modeste, che in passato erano indotte – a causa del suo prezzo – a preferire lo strutto di maiale. Con lo strutto è scomparso anche l’olio che un tempo si otteneva, attraverso una faticosa lavorazione, dalle bacche del lentisco. Il suo impiego si intensificò negli anni difficili del dopoguerra, e i più anziani ancora lo ricordano, usato soprattutto per friggere.  Dopo le due sezioni dedicate al vino e all’olio, il volume si chiude con uno sguardo ad alcuni temi d’attualità: lo sviluppo delle iniziative agrituristiche; le varietà tradizionali di piante che sono scomparse e quelle che ancora si mantengono; il moltiplicarsi dei musei etnografici e dedicati alle tradizioni agroalimentari.  Alla docente Barbara Fois – che ha firmato anche lo scritto introduttivo – si sono affiancati nella stesura dei testi gli studiosi e docenti Andrea Cannas, Alessandra Guigoni, Fabio Maggio, Marco Milanese, Claudia Guendalina Sias e Anna Maria Steri, mentre l’apparato iconografico è per buona parte opera di Gian Carlo Deidda. – Salvatore Tola


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