Una donna sta facendo un viaggio in treno, lungo la linea che costeggia il mar Tirreno, verso Livorno. Un imprevisto costringe il treno a fermarsi lontano da ogni stazione e imprevedibilmente la donna scende, inizia a camminare lungo i binari, indispettita per la sosta non prevista ma soprattutto attratta da una struttura che vede stagliarsi…
Anna Bertini, Marisa Salabelle, Prima Pagina
Una donna sta facendo un viaggio in treno, lungo la linea che costeggia il mar Tirreno, verso Livorno. Un imprevisto costringe il treno a fermarsi lontano da ogni stazione e imprevedibilmente la donna scende, inizia a camminare lungo i binari, indispettita per la sosta non prevista ma soprattutto attratta da una struttura che vede stagliarsi in alto, sulla sommità di una rupe a picco sul mare. In questo modo suggestivo inizia il romanzo di Anna Bertini, Il tema di Ethna, recentemente pubblicato da Arkadia. La donna si chiama Ethna Sarfatti, l’edificio, Castel Sonnino, un tempo appartenuto a Sidney Sonnino, uomo politico vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento: fu lui a concordare con la Gran Bretagna l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Il castello, in seguito, era stato trasformato in un albergo, ed Ethna vi aveva soggiornato per un breve, intenso periodo nel 1997. Ora invece siamo nel 2004 e la donna, presa da un impulso incontrollabile, approfitta della sosta imprevista per tornare a Castel Sonnino e per rievocare molte vicende della sua vita. Il romanzo prosegue avanti e indietro negli anni, non seguendo un ordine cronologico ma il filo dei pensieri e dei ricordi di Ethna: un romanzo che insiste, come il precedente Le stelle doppie, al quale alcuni personaggi e situazioni fanno riferimento, sull’importanza dei legami, sia familiari che amicali e affettivi, sul cambiamento, e sul potere della musica che pervade ogni istante dell’esistenza. Sono diversi i fili che si intrecciano, sia nel passato che nel tempo presente: l’amatissima figura del padre, Enzo Sarfatti; la scoperta di non essere sua figlia biologica ma di avere per genitore un uomo che Ethna ha deciso di disprezzare e di non voler mai avere nella sua vita; l’amore appassionato vissuto molti anni prima, in occasione del primo soggiorno a Sonnino, con un uomo affascinante e misterioso, poi coinvolto in vicende poco chiare legate al traffico di droga e alla sparizione di una cliente dell’albergo; la musica, elemento fondamentale nella vita di Ethna che è una violoncellista e compositrice; una vita spesa tra l’Irlanda, dove è nata, Firenze, dove è cresciuta e vissuta, e poi Livorno, New York… Amici, colleghi, persone care di diverse età, nazionalità ed estrazione costellano la vita di Ethna e la riempiono di affetti, ma due sono i nodi irrisolti che ancora deve sciogliere, e che riguardano la sua famiglia biologica e l’uomo che ha amato lì, a Castel Sonnino, sulla scogliera a picco sul mare.
La recensione di Marisa Salabelle
L’assessorato alla cultura di Monsummano Terme organizza la presentazione del libro “La bella virtú” – Arkadia Editore di Marisa Salabelle, ospite del gruppo di lettura Il tè delle quattro, coordinato dalla bibliotecaria Stefania Bottai, che si confronterà con l’autrice in un incontro aperto al pubblico giovedì 5 giugno, alle ore 17,30, nella sala Walter Iozzelli della biblioteca “Giuseppe Giusti” a Monsummano Terme. Seguito de Gli ingranaggi dei ricordi, in queste pagine ritornano i giovani Felice e Maria Ausilia nel periodo del loro fidanzamento e poi del lungo matrimonio. Mentre la figlia Carla rievoca la malattia e la morte del padre, Kevin, suo figlio, studente universitario, dedica la propria tesi magistrale alle vicende della famiglia del nonno materno, ricostruendo intrecci tra casate più o meno nobili del napoletano e dell’avellinese e indagando sul legame di parentela tra il nonno Felice e il santo Giuseppe Moscati. Felice, giovane intelligente e volitivo ma dal carattere aspro; Maria Ausilia, che si rivela una ragazza e poi una donna molto determinata, con un sentimento ambivalente verso il fidanzato e poi marito, che ama ma con il quale ha un rapporto conflittuale. E poi Carla, molto legata al padre, del quale tuttavia non ignora i limiti e che segue con grande pietas durante la sua malattia. Infine Kevin, studente un po’ riluttante e scettico, ma impegnato con successo nel ricostruire la storia famigliare. Marisa Salabelle è nata a Cagliari e vive a Pistoia dal 1965. E’ laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di Studi teologici presso il Seminario vescovile di Firenze. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Suoi articoli e racconti sono apparsi su numerose riviste online e antologie cartacee. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme) con cui ha ottenuto significativi riconoscimenti, nel 2019 L’ultimo dei Santi (Tarka), nel 2020 Gli ingranaggi dei ricordi (Arkadia), nel 2022 Il ferro da calza (Tarka) e La scrittrice obesa (Arkadia), candidato al Premio Campiello. Nel 2025 è uscita la sua ultima fatica letteraria La bella virtù, pubblicata da Arkadia Editore.
La segnalazione su Valdinievole Oggi
Lo scrittore e antropologo residente a Poggibonsi selezionato per il prestigioso premio letterario con un romanzo sulle relazioni, il coraggio e la rinascita
Un poggibonsense al Premio Campiello 2025. Massimo Granchi, nato a Cagliari, ma residente a Poggibonsi è in lizza per l’ambito premio letterario con il suo romanzo dal titolo La memoria della vite, Arkadia editore, uscito lo scorso gennaio. Scrittore, antropologo, comunicatore pubblico, Granchi è ideatore e animatore di eventi culturali. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Istituzioni e Società. Dirige due premi letterari nazionali. Ha fondato l’Associazione culturale Gruppo Scrittori Senesi di cui è presidente onorario. Tiene laboratori di scrittura creativa. Oltre ad articoli, racconti, fiabe e saggi ha scritto romanzi e ha vinto numerosi premi letterari tra i quali il Premio online Scrittore toscano dell’anno, il Premio della Giuria Memorial Vallavanti Rondoni, il Premio Murex Città di Parole, il Rive Gauce Festival, il Premio Città di Montefiorino, il Premio Città di Sarzana e il Santucce Storm Festival. La memoria della vite è il suo quinto romanzo. Racconta la storia di Gabriel, un ragazzo di origine colombiana che vive con la mamma e il fratello minore in un condominio di Roma. Suo padre ha fatto perdere le tracce senza chiarire le ragioni della sua scelta e ha lasciato un vuoto difficile da colmare in famiglia. Nello stesso palazzo vive Sole, la migliore amica di Gabriel che nasconde un passato tormentato nonostante sia allegra e ami la vita. È una sognatrice con molti progetti da realizzare e un legame da ricostruire con il papà. La madre di Sole è Liliana. È una donna emancipata nata al Sud. Ha fondato un’agenzia di badanti nella capitale. Il suo matrimonio è in crisi. Ha un legame profondo con l’isola di Procida dove ha trascorso le estati da bambina ed è lì che vorrebbe tornare. Le vite di Gabriel, Sole e Liliana sono intrecciate molto più di quanto possano immaginare. Un drammatico incidente le cambierà, costringendo i tre protagonisti a percorrere traiettorie esistenziali inaspettate, a rivedere le priorità, ma soprattutto, ad affrontare demoni nascosti dietro scelte ineluttabili. “La memoria della vite” è un romanzo sul significato delle relazioni umane, il coraggio, la speranza e la capacità di rinnovarsi.
La segnalazione su Valdelsa
Roma, 1999. Cristina, giovane laureanda in Lingue, lavora a una tesi sulle opere di Kafka e le sue traduzioni italiane, ma la ricerca prende una piega inaspettata quando scopre un’edizione apocrifa de La metamorfosi, firmata da un misterioso traduttore. Seguendo le tracce dell’enigmatico curatore, Cristina scopre che è un falsario, autore di una lunga serie di inganni editoriali. La rivelazione manda in frantumi la sua tesi e la sua autostima. Inizia così per Cristina un viaggio che non solo mette in discussione le sue convinzioni, ma la costringe a riflettere sulla verità e sull’autenticità delle storie che raccontiamo, su chi decide cosa sia reale e su come la finzione possa talvolta prendere il posto della realtà. Quando tutto sembra ormai perduto, una sorpresa arriva all’alba del nuovo millennio.
Andrea Alba
Siciliano di nascita e torinese d’adozione, ha trentanove anni e insegna materie letterarie negli istituti superiori all’ombra della Mole. Laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Catania e in Scienze Storiche presso l’Università degli studi di Torino, prova a tenere insieme la passione per le narrazioni con quella per la ricerca storica indipendente. Ha esordito con il romanzo La solitudine dell’orso (2019) e nel frattempo è diventato papà di Federico e non ha mai smesso di frequentare archivi e biblioteche, cinema, librerie, negozi di giocattoli e mercatini delle pulci. Suoi articoli e racconti sono apparsi nel corso degli anni su riviste online e cartacee.
IL POSTO DELLE PAROLE
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Il podcast di Livio Partiti
Chi?
Il romanzo ruota attorno alla vita e alle vicende di Enrico Criaco, 68 anni, uno scrittore di successo. Dopo aver lasciato Roma, Enrico torna a Leuta la piccola isola (immaginaria) situata tra Malta e Lampedusa, che gli ha dato i natali dopo cinquant’anni. Vi torna per trascorrere ciò che resta della sua vita ma anche per fare i conti con il proprio passato. Altri personaggi di rilievo nella storia sono: il giovane sacerdote don Alberto; Nicole, Gregorio il fratello di Enrico, Venerina la “Mahara”, Melania, l’ex moglie di Enrico e il conte Raniero Espinosa, detto “L’uomo del telefono”.
Cosa?
Il tema principale del romanzo è l’imprevedibilità della vita, seguito a ruota dalla colpa, dalla redenzione, dalla riscoperta dell’amore e dalla ricerca della spiritualità. Sono temi che prendono vita nel momento stesso in cui Enrico rimette piede nell’isola di Leuta. Enrico è un uomo disilluso dalla vita, impermeabile al successo che ha come scrittore e desideroso di far pace con sé stesso e con Dio a cui ha sempre addebitato tutto ciò che nella vita gli ha creato un dolore che non riesce a capire, accettare e superare.
Quando?
Il romanzo nasce in pieno periodo pandemico come antidoto spirituale alle restrizioni imposte da una situazione nuova e non prevista. Pur essendo una storia di pura finzione, vengo tirato ben presto dentro, con un grado di coinvolgimento emotivo mai provato in precedenza, che mi regala la possibilità di scoprire parti di me che ancora non conoscevo. Aneddoti particolari non ve ne sono ma posso svelare che per alcuni dei personaggi che vivono tra le pagine del romanzo mi sono ispirato a uomini e donne che ho conosciuto e frequentato per brevi o lunghi periodi.
Dove?
L’idea di scrivere questo romanzo nasce da una serie di sollecitazioni esterne frutto dei miei incontri con una psicoterapeuta che ho visto settimanalmente nel primo anno del mio ritorno a Messina, dopo aver vissuto quarantadue anni a Roma. Le difficoltà di inserimento e di connessione con la nuova realtà paradossalmente hanno rappresentato il propellente creativo che mi ha consentito di superare e metabolizzare il trauma del cambiamento e accettare la nuova sfida a cui la vita mi stava sottoponendo. Il testo è cresciuto spontaneamente; sono uno scrittore e un narratore di lungo corso, nel momento in cui avevo deciso di scrivere questa storia e approntato lo schema base della stessa, il resto è venuto da solo com’era naturale che fosse.
Perché?
È il romanzo della maturità, che mi ha consentito di squadernare le mie paure e mie fragilità, magistralmente incarnate nella figura complessa e sfaccettata di Enrico Criaco, il personaggio, l’alter ego, che mi ha accompagnato in questo esaltante viaggio, facendomi scoprire l’isola immaginaria, che alberga in ognuno di noi. Il romanzo, spesso crudo, affonda la lama nei sentimenti più reconditi per raccontare, dal mio modesto punto di vista, quanto la vita quando vuole sia in grado di mutare volto e aspetto, chiedendoti una risposta finalizzata solo alla tua crescita e alla comprensione di quel mistero che giornalmente ci troviamo tra le mani ma che, spesso, non sappiamo decifrare e comprendere.
Scelti per voi
A quel tempo Venerina era una quarantenne con capelli nero pece e occhi di fuoco. Era soprannominata “la Lupa”, sia per la sua prorompente bellezza, sia per la sua condotta trasgressiva. Le voci sul suo con to dicevano che la donna, figlia e nipote di altrettanto famose mahare, per pagare un debito di famiglia, fosse stata obbligata a sposare un uomo che avrebbe potuto esserle padre ma, sin dal giorno dopo le nozze, il poveretto fu costretto a subire le esuberanze della giovane e scalpitante consorte che prese a concedersi sessualmente a tutti gli uomini in grado di stimolare la fame d’amore che la assaliva all’improvviso e nelle occasioni più disparate, proprio come una lupa affamata. Se un uomo le piaceva, alla Lupa bastava stuzzicarlo con un paio di occhiate più eloquenti di tante parole, quello da predatore si tra 22 sformava subito nella più mansueta delle prede. In tempi passati, se fosse vissuta nell’America puritana del Diciassettesimo secolo, sarebbe andata in giro con la lettera scarlatta cucita sul vestito, ma per paura dei poteri soprannaturali che si sussurrava possedesse fin dalla nascita come malefico lascito della madre, nessuno, nemmeno le donne tradite, cornificate, osò mai dirle nulla, subendo in silenzio l’umiliazione e l’onta del tradimento. Enrico della Lupa aveva sentito parlare più volte in casa, fin da piccolo, ma non la conosceva perché abitava in una zona del paese lontana dal centro, popolata solo da un pugno di case costruite su terrazzamenti coltivati a grano e vite. Di lei si diceva anche che sapesse tagliare le trombe marine e le tempeste che, specie d’inverno, flagellavano il tratto di mare intorno all’isola rendendo difficile la navigazione a barche e pescherecci. Correva anche voce che Venerina avesse insegnato la formula all’a mante ufficiale, un famoso pescatore tal Cateno Restuccia, che vantava un’impressionante rassomiglianza con l’attore americano Paul Newman. Questo potere gli era stato dato in dono affinché ogni volta tornasse sano e salvo tra le braccia, le labbra e il ventre infuocato della sua amante. Se la barca di cui era capitano si trovava ad affrontare una tempesta, Cateno si posizionava a prua recitando la formula magica, avuta in regalo dalla Lupa, e ammansiva quel mostro di vento e acqua come se fosse un cane in procinto di azzannare. Ecco da chi andava Enrico quella mattina. Non sapeva cosa aspettarsi ma la sola possibilità di conoscere in anticipo ciò che la vita aveva in serbo per lui dava forza alle sue gambe e consapevolezza alla sua decisione di affidarsi a una perfetta sconosciuta.
Quando finalmente arrivava l’alba, Enrico ringraziava Dio, perché con l’alba riacquistava la libertà e la capacità di discernimento che l’oscurità della notte gli aveva sottratto. Allora si alzava e cominciava a girare per casa come uno zombie, un apolide, un elemento estraneo all’affresco, mentre Enrico Ruggeri alla radio cantava: «Non mi cerca re, che non mi riconoscerai. Non mi cercare che non mi riconoscerai». In realtà, l’unica cosa di cui era cosciente era quella di dover preparare la moka, metterla sul fuoco e farsi un caffè al fine di riacquisire sembianze umane. Era stravolto; l’ennesima notte passata in bianco lo restituiva al giorno come un boccone indigesto, rimasticato e poi sputato. E nonostante in quelle ore di veglia forzata avesse passato in rassegna decine e decine di immagini di ciò che era stato, degli errori compiuti, dei pochi successi raggiunti, dell’odio che l’aveva lambito e dei tanti dolori che era stato costretto ad affrontare, l’unico lascito di quelle ore avvelenate era quel momento sublime in cui guardandosi allo specchio si rendeva conto di essere ancora vivo. Ammaccato, escoriato, ansimante, eppure maledettamente vivo,
Enrico entrò in casa, si guardò intorno: il tempo sembrava essersi fermato, qualche mobile era stato portato via ma c’era ancora il letto e, sopra il letto, il ritratto di una Madonna con bambino. Tornò all’ingresso e osservò la strada da una delle finestre, scostò la tendina e fuori lì di fronte a lui c’era Nicole. Stava facendo delle foto: si girò, con una mano gli fece segno di non muoversi e scattò. Sorrise. Enrico si staccò dalla finestra e si avvicinò all’uscio della camera da letto. In quel momento avvertì alle spalle la sua presenza. Nicole gli cinse teneramente la vita con le braccia. Il viso appoggiato alla sua spalla destra. Enrico si girò: le loro labbra erano a pochi millimetri. Si baciarono ancora e a lungo, poi lui la sollevò e la adagiò sulla sponda del letto. Lei appoggiò la macchina fotografica su una sedia e alzò le braccia gettando la testa all’indietro. «Sono qui per te», sussurrò. Enrico la spogliò lentamente, Nicole lo lasciò fare e in una manciata di secondi lui la liberò da tutti gli indumenti. Ora Nicole era nuda. Si distese sul letto, mentre Enrico s’inginocchiò a terra e appoggiò la testa sul suo basso ventre. Lanciò un lungo sospiro e venne premiato da un senso di pace mai assaporato in tutta la sua vita. Lei gli accarezzò i capelli e sussurrò: «Non so come si faccia, ma proviamo.» «A fare cosa?», chiese Enrico con la voce rotta dal pianto cercando i suoi occhi. «A trasformare in gioia il dolore.»
Mario Falcone. Scrittore e sceneggiatore, nato a Messina, dopo una lunga parentesi romana, da qualche anno è tornato a vivere in Sicilia. Per oltre vent’anni è stato uno degli sceneggiatori più noti in Italia firmando alcune tra le più importanti pagine della fiction televisiva, che gli hanno consentito di ricevere importanti riconoscimenti in Italia e all’estero. Ha esordito nella narrativa nel 2008 con il romanzo L’alba nera (Fazi Editore). Poi ha proseguito senza più fermarsi. Per Arkadia Editore ha pubblicato Leuta (2024).
Grazia Calanna
La recensione l’EstroVerso
Il romanzo, ambientato tra Livorno, Firenze e l’Irlanda, porta la città labronica tra i candidati al prestigioso premio letterario. L’autrice: “Essendo una storia che si sviluppa in gran parte a Livorno, penso sia una bella cosa per il territorio”
di Giulia Bellaveglia
C’è un po’ di Livorno nella corsa al prestigioso Premio Campiello 2025. La scrittrice livornese Anna Bertini, già nota per il suo stile raffinato e intimo, è tra i candidati con “Il tema di Ethna”, edito da Arkadia. Un romanzo che intreccia musica, identità e memoria, ambientato tra Toscana e Irlanda, con una forte presenza della città labronica. “È una candidatura – dice Bertini -, e io sono consapevole che partecipare non significa arrivare in finale, però sono felice che la mia casa editrice abbia deciso di propormi. Essendo una storia che si sviluppa in gran parte a Livorno, penso sia una bella cosa per il territorio”. La proposta al premio è partita infatti proprio dall’editore. “In genere sono le case editrici che candidano i testi, poi la giuria fa varie selezioni fino alla finale”. Il libro si sviluppa tra Firenze, Livorno e l’Irlanda. Al centro c’è Ethna, una musicista irlandese cresciuta in Italia, violoncellista e insegnante. Durante una vacanza a Castel Sonnino, che nel testo diventa un suggestivo hotel, la protagonista vive un’esperienza che mette in discussione la sua esistenza. La narrazione alterna elementi reali a finzione. Alcuni personaggi sono esistiti davvero, come Horace Gibson, fondatore della International School of Florence, che diventa uno degli attori principali. “Come molti, ho cominciato scrivendo poesie, poi racconti. Nel 2020 ho pubblicato il mio primo volume e questo è il secondo. I miei riferimenti sono stati Antonio Tabucchi e Daniele Del Giudice. Li ho sempre considerati un po’ come maestri, anche nei primi studi di scrittura”. L’esperienza musicale dell’autrice, inoltre, si riflette profondamente nella narrazione.
Prima di dedicarsi ai libri, la scrittrice ha infatti lavorato come manager musicale, seguendo carriere di artisti lirici e organizzando tournée internazionali. “Ho fatto questo lavoro fino al 2011, poi ho adottato una bambina e, con lei a scuola, non riuscivo a viaggiare più di tanto. Così ho finalmente trovato il tempo per scrivere”. E per il futuro qualcosa bolle già in pentola. “Sto lavorando al mio terzo romanzo, ambientato tra Livorno, l’Isola d’Elba e Minorca, dove trascorro parte dell’anno. Sarà ancora un intreccio di realtà e invenzione”. Con “Il tema di Ethna”, Anna Bertini non solo porta la sua voce al Campiello, ma offre un tributo poetico alla nostra città. Un’occasione per far conoscere, anche oltre i confini locali, un territorio ricco di storie e suggestioni. Buona fortuna Anna!
Giulia Bellaveglia
La recensione su QuiLivorno.it