Come di consueto, alcuni libri interessanti in uscita questa settimana. La rubrica cambia nome: Libri in uscita è più preciso di “Anticipazioni” da quando il ritmo è settimanale. Ma Le anticipazioni “rimarranno” come rubrica a sé e autonoma, ad esempio quelle di inizio anno e in generale quelle di lungo periodo e respiro.
Don Winslow – Città in fiamme (HarperCollins, 26 Aprile)
La trilogia sui Narcos di Winslow (Il potere del cane, Il cartello, Il confine) ha funzionato molto bene, sia a livello qualitativo che commerciale, ed ecco che lo scrittore americano (che sospetto comunque sia più popolare in Europa) ne inaugura una nuova, di cui questo Città in fiamme è il primo – corposo – volume.
Anche qui abbiamo un conflitto: nella serie di cui parlo qualche riga sopra era legge vs. criminalità, anche se poi il confronto assumeva proporzioni quasi metafisiche, nella nuova trilogia la guerra è interna, tra bande criminali. Letto l’assaggio: è Winslow. Lette le presentazioni e i lanci: si sprecano aggettivi come epico, entusiasmante, classico. Non so, ma lui mi ha deluso raramente – a dire il vero quasi mai.
Willy Vlautin – Verso Nord (Jimenez, 28 Aprile)
Questo è il secondo romanzo di Vlautin, edito originariamente da Quarup e ora riportato in libreria da Jimenez, che ha puntato forte sull’autore americano.
È una storia già (arche)tipicamente vlautiniana, basata su un personaggio femminile in lotta con l’esistenza, e che potrebbe ricordare l’ultimo (e bello) La notte arriva sempre.
Enrico Macioci – Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia (TerraRossa, 28 Aprile)
Macioci passa alla “indie” (di valore) TerraRossa con un libro che riprende fin dalla copertina le vicende di Vermicino (Alfredino e la caduta nel pozzo artesiano), che peraltro era una delle linee narrative più consistenti nel fascinoso e imperfetto Dies Irae di Giuseppe Genna. Sono comunque sicuro che il “trattamento” di Macioci, che spesso utilizza nei propri romanzi ragazzini o adolescenti o bambini come protagonisti, sarà differente da quello di Genna (non lo dico in senso valutativo).
Elfriede Jelinek – La voglia (La Nave di Teseo, 28 Aprile)
Un romanzo del 1999 di una scrittrice austriaca che mi dicono molto valida, ora in fase di (ri)proposta da La Nave di Teseo, questo libro era uscito nel 1994 per Sperling & Kupfer ma con diversa traduzione.
Provincia, dinamiche uomo/donna tossiche, quotidiane miserie: questi i temi trattati dalla Jelinek in modo quasi entomologico e che – sono certo dalla lettura della sinossi – troveremo anche qui.
Giordano Meacci – Cittadino cane (Industria & Letteratura, 28 Aprile)
A sei anni dai “fasti” del bel Il cinghiale che uccise Liberty Valance (una lingua davvero notevole per un’ambientazione inconsueta e affascinante) Meacci torna con un romanzo breve per l’editore massese Industria & Letteratura (oh, seguiteli che fanno cose bellissime). Il titolo e la vicenda richiamano evidentemente il film di Orson Welles (da noi “Quarto potere”), con una trasposizione – evidentemente non pedissequa – nella provincia italiana.
Peter Stamm – Andarsene (Casagrande, 28 Aprile)
Stamm è un autore svizzero spesso “in minore” (libri mediamente brevi, quotidianità, amori e fughe minime, provincia, stile laconico) ma molto valido e ovviamente molto più conosciuto negli ambiti tedescofoni che in Italia (dove pure era stato pubblicato un paio di volte da Neri Pozza). Anche questa è una storia “piccola”, di una famiglia, fuga inaspettata e di quello che rimane indietro.
Emanuele Pettener – Giovani ci siamo amati senza saperlo (Arkadia, 28 Aprile)
Da pochissimo ho recensito Floridiana e già esce il nuovo, breve, romanzo di Pettener, scrittore veneziano (ok, in realtà mestrino) “emigrato” negli Stati Uniti. Qui Venezia è sfondo e protagonista di un incrocio di vite e destini giovani (quattro personaggi) tra il 1990 e il 1991. Per il resto, mi farò sorprendere – mentre non sorprendente è la prosa luccicante che emerge da un breve assaggio che ho potuto leggere.
Paco Inclán – Incidenti di percorso (Arkadia, 28 Aprile)
Per la collana Xamaica di Arkadia e con la traduzione di Marino Magliani, uno scrittore spagnolo “eccentrico”, qui alle prese con una sorta di libro di viaggio in senso non tradizionale, alla scoperta di luoghi, paesi, personaggi e stranezze – dove probabilmente la chiave è una possibile scoperta di se stessi (ma i contenuti e i toni sembrano quelli del surreale, del comico, se possibile anche del malinconico).
Il link alle segnalazioni su Recensireilmondo: https://bit.ly/3OHxIrs
BLOG I consigli di lettura nella settimana da martedì 26 aprile a lunedì 2 maggio. E onorando i lavoratori, tutti i titoli di questa settimana saranno in “copertina”
Ci siamo lasciati alle spalle le festività pasquali e del 25 aprile, le prime dell’era post-emergenziale della pandemia, e da martedì 26 aprile a lunedì 2 maggio gli editori hanno onorato la settimana che vede la festa del lavoro protagonista, in calendario domenica 1 maggio. Chi si potrà riposare avrà una vasta scelta di titoli a disposizione, e stavolta noi scegliamo di indirizzarvi subito a conoscere cosa e chi abbiamo scelto. Buon 1° maggio e buone letture, dando il benvenuto agli editori esordienti nel nostro blog – D Editore, Golem e Edizioni Mare Verticale -, e onorando i lavoratori, pertanto tutti i titoli questa settimana saranno in “copertina”. Conosciamo tutte le meraviglie iniziando con la retroazione firmata dal ritorno di Cristina Caloni, uscito il 21 aprile.
Cristina Caloni, Animali bianchi, Golem
Un romanzo a episodi che, ruotando intorno alla figura iperbolica dell’affascinante e nevrotica Fran, affronta la delicata tematica del gender e della cultura queer che enfatizza la mutabilità e la provvisorietà delle identità. Mentre Fran, trentenne ricca, cantante alla ricerca del successo, fatica ad accettare la sua omosessualità e pretende di viverla privatamente, percependo il coming out come l’imposizione dell’ennesima etichetta, Amen, co-protagonista misogino, vive in totale libertà le sue molteplici avventure sia con uomini sia con donne. Intanto, la schiva curatrice di mostre Amelia si perde in relazioni disfunzionali e annaspa alla ricerca di un contatto con la madre Ivana, sofisticata borghese con la sindrome di Peter Pan. Abbiamo poi Lucy che cerca di scendere a patti tra ciò che sente di essere e ciò che i genitori, gli amici e la società vorrebbero che diventasse – il figlio integrato, l’icona queer, la battagliera; Neva, vitale ottantenne che si rifiuta di lasciar andare la sua giovinezza e i suoi saldi valori; Sandra, madre di Amen, che si fa cullare da una insipida routine da vedova, concedendosi qualche bicchiere di vino di troppo . II romanzo ha il tono beffardo di una commedia drammatica o, come dice Amen, di una “soap opera radical chic” .
Le uscite di martedì 26 aprile
Tereza Semotamová, Nell’armadio, Miraggi
Dalla nota del traduttore, Alessandro De Vito: “Hana, la giovane protagonista del romanzo, rientra improvvisamente a Praga dall’estero, dove vive, nascondendo a tutti il vero motivo. Una volta tornata non ha un posto dove stare e non ha la minima idea di che fare della sua vita. Sua sorella deve buttare via un armadio, e le si accende una lampadina. Sistema l’armadio in un angolo nascosto del cortile dello stesso caseggiato e… ci va a vivere. Questa surreale, deprimente e a tratti buffa situazione diventa la metafora della ricerca del proprio spazio nel mondo, ovvero del senso dell’esistenza e dell’incessante affannarsi per qualcosa. Seguiamo allora Hana nelle prove della sua vita, o meglio della sua sopravvivenza, attraverso le fantasiose bugie con cui fodera il suo esistenzialismo minuto e quotidiano per parare i colpi più duri (ma senza risolvere niente). La sua vita, anche prima dell’evento che scatena il ritorno in patria, è un misto di insoddisfazioni. Una relazione in esaurimento, che sfocia in un esito tragico ma salvifico. Il lavoro, la precarietà, la difficoltà di crescere, di integrarsi nel “ sistema ”. La famiglia, di cui cerca l’approvazione in un rapporto irrisolto, come tutti. L’amore, che come un elettrodomestico non funziona mai bene. Il ruolo della donna, la critica sociale. La mancanza della “sensazione di casa”, il sentirsi sempre fuori posto (particolarmente quando si trova nelle case altrui, “eterna ospite”). Vive una vita esplosa, in cui sembra camminare scalza tra i cocci, seguita passo passo e con crescente empatia dal lettore. Tereza Semotamová trova la chiave per raccontare questo mondo in frantumi mescolando i tempi dell’azione e del ricordo come in un cocktail, tintinnio del ghiaccio compreso, e giocando con la lingua. Sovrappone i registri linguistici, nell’originale il ceco e lo slovacco, inserisce nella sua prosa riferimenti letterari e filosofici elevati e rimandi a programmi televisivi, canzoni pop o folk, classici della poesia, filastrocche, brani tratti da Wikipedia o pubblicità, il tutto apparentemente a sproposito, con effetti stranianti e spesso brillanti”.
Alan Friedman, Il prezzo del futuro. Perché l’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo, La nave di Teseo
Qual è il futuro dell’economia italiana? Quanto sarà profondo il danno che la guerra in Ucraina apporterà alla ripresa, e quale sarà l’impatto dell’emergenza energetica sulla transizione ecologica? Le riforme di Draghi basteranno per modernizzare il paese in cinque anni? E quali sono i rischi per l’economia dopo le elezioni del 2023? Ecco alcuni dei quesiti a cui risponde Alan Friedman nel ritratto vivido e profondo di un paese al bivio, una nazione travolta prima dalla pandemia e poi da una situazione geopolitica radicalmente mutata. L’Italia ha le abilità e i mezzi per riemergere più forte dopo anni di crisi, ora deve dimostrare di volerlo davvero. Il prezzo del futuro è una guida per evitare i pericoli e le trappole di un percorso accidentato e imboccare la strada giusta, ma anche per riflettere sul passato e cercare di non ripetere gli stessi errori. Alan Friedman affronta i temi cruciali dell’attualità, tastando il polso dell’economia italiana e interrogando la politica, con un occhio sempre attento ai mutamenti della società. Porta il lettore faccia a faccia con quattro ex premier, otto ministri del governo Draghi e svariate figure chiave del mondo della finanza italiana e internazionale, senza aver paura di allargare il raggio della sua indagine a Bruxelles e a Washington, con interviste ai funzionari di massimo grado della Commissione europea e dell’amministrazione Biden. Ne scaturisce un racconto vibrante e reale, che rivela sotto una luce inaspettata non solo i processi decisionali che modellano la vita quotidiana della popolazione, ma anche le persone, gli uomini e le donne, che queste scelte le fanno ogni giorno.
Antonio Bux, Voltarsi, Graphe.it
I componimenti di questa raccolta antologica apparentemente non hanno un solo riflesso: nascono da spinte diverse, ma figli di un’unica radice si possono quindi – come l’autore ha fatto – riunire sulla base di somiglianze difficili da descrivere a parole; ma il movimento, la direzione, un impercettibile unisono portano il lettore a trovare un filo conduttore ben saldo. Una consanguineità versificatoria che si esprime tramite un numero relativamente ristretto di chiavi: per esempio il corpo (parola e concetto che torna, neutro e universale, più che condiviso), che talora dorme, talaltra sogna; la luce che segna il limite fra cielo e terra, prima ancora che quello con l’ombra, luce che diventa fuoco, il quale poi l’essere umano chiama amore; il suono come traccia dell’esistenza (vegetale e animale); la verità. Ed ecco che il voltarsi porta sempre nel suo gesto uno specchio infinito: con l’uomo al centro, uno, o due insieme, o tutti, difficile a dirsi. Antonio Bux: «Ho voluto festeggiare i miei dieci anni di attività editoriale con questa raccolta antologica che raggruppa poesie sparse, edite e inedite, scritte durante tutto il decennio appena trascorso. Un voltarsi, per l’appunto, sia su ciò che è stato fatto ma anche e soprattutto su quello che sarà possibile ancora fare».
L’autore
Antonio Bux (Foggia, 1982) è autore di diversi libri di poesia, tanto in italiano quanto in spagnolo. Traduttore poetico egli stesso è redattore e rubricista per la rivista Avamposto, ha fondato e dirige il lit-blog Disgrafie e alcune collane per Marco Saya Edizioni e per l’editrice RPlibri.
Roberto Fantini, Un nuovo modo di sentire. La religiosità “aperta” di Aldo Capitini, Graphe.it
La sconfinata produzione di Aldo Capitini – filosofica, pedagogica, politica e letteraria – costituisce una miniera inesauribile di riflessione e discussione: impregnata di una appassionata freschezza intellettuale, travalica il suo tempo offrendo spunti estremamente attuali. La sua personale religiosità si costruisce sull’idea di fondo che il Tutto lega l’Uno con ogni Altro, in quella che egli definisce “Unità-amore”; un Uno che è tuttavia libero in questa scelta di comunione e apertura, che si percepisce a un tempo spontanea e necessaria soprattutto nei confronti degli ultimi, degli oppressi e dei dimenticati. Lo studioso Roberto Fantini ripercorre conacutezza la visione religiosa e filosofica di Capitini, analizzandone il pensiero e la storia e illuminando la figura, non a tutti nota, di questo rilevantissimo teorico della “non violenza” e della “non menzogna”, che sfidò apertamente il Fascismo mantenendo una decisa indipendenza culturale.
L’autore
Roberto Fantini ha insegnato filosofia e storia nei licei, occupandosi anche, come volontario, di educazione ai diritti umani all’interno di Amnesty International. Con Graphe.it ha pubblicato “Il cielo dentro di noi. Conversazioni sui diritti umani (sul mondo che c’è e su quello che verrà)” e “Odisseo e le onde dell’anima”.
San Tito Brasma, Amore per gli animali e amore per l’uomo, Graphe.it
Di padre Tito Brandsma, che sarà dichiarato Santo il 15 maggio 2022, carmelitano, rettore dell’Università Cattolica di Nimega e libero pensatore, si conosce l’aperta opposizione al regime nazista che lo porterà alla morte; egli, infatti, venne giustiziato come oppositore politico a Dachau nel 1942. Per la sua tenacia nella fede, testimoniata con il martirio, è assurto agli onori dell’altare. Meno noto è un aspetto particolare della sua predicazione, ben espresso in questa conferenza che viene riproposta in una nuova edizione riveduta e arricchita: il concetto di rispetto e amore non solo verso i propri simili, ma verso le altre creature del cosmo. È fonte di profonda ispirazione lo sguardo pieno di meraviglia di un uomo che ha conosciuto da vicino gli abissi nei quali l’umanità si è avventurata in un periodo storico travagliato come quello compreso fra le due Guerre mondiali e che, tuttavia, sembra non perdere la fiducia nel disegno universale.
L’autore
Tito Brandsma (Bolsward, Paesi Bassi, 1881) a 17 anni entra nell’Ordine Carmelitano e, nel 1905 viene ordinato sacerdote. Dopo la laurea in filosofia a Roma, nel 1909 torna in patria dove si dedica all’insegnamento e si inserisce nel mondo del giornalismo, collaborando con varie testate e fondando la rivista Karmelrozen. Nominato professore all’Università Cattolica di Nimega, nel 1932 ne diventa Rettore Magnifico. Tre anni più tardi diventa assistente nazionale dei giornalisti cattolici, incarico che terrà fino alla sua morte, avvenuta a Dachau nel 1942.
Leigh Bardugo, La legge dei lupi. Libro 2 di 2: Il re delle cicatrici, Mondadori
Il secondo volume della serie GrishaVerse “Il re delle cicatrici”. Anche in questo secondo e ultimo volume della dilogia ritroviamo tre dei personaggi più amati del GrishaVerse: Nikolai Lantsov, Zoya Nazyalensky e Nina Zenik. I tre, re, generale e spia di Ravka, dovranno continuare insieme la loro lotta per strappare all’oscurità il futuro del loro paese. Altrimenti non potranno che assistere al suo disfacimento definitivo.
Le uscite di giovedì 28 aprile
Nadia Durrani e Brian Fagan, Storia dei cambiamenti climatici. Lezioni di sopravvivenza dai nostri antenati, il Saggiatore
536: per diciotto mesi un quarto del pianeta non vede la luce del sole a causa di un’eruzione vulcanica in Islanda. 1362: una violenta burrasca, ribattezzata Grote Mandrenke – la «grande affogatrice di uomini» – travolge le coste del Mare del Nord, distruggendo più di sessanta paesi in Danimarca. Lungo tutto il corso della sua esistenza l’umanità ha dovuto affrontare, contrastare e prevedere disastri climatici e ambientali ogni volta potenzialmente irreparabili. Quella di Fagan e Durrani è una narrazione che spazia tra i secoli e i continenti alla ricerca delle soluzioni e degli adattamenti che i nostri antenati hanno individuato per sopravvivere agli sconvolgimenti naturali. Dagli antichi egizi che, dipendenti dalle piene e dalle secche del Nilo, ne studiavano i flussi convogliandoli nei campi, alle trasformazioni messe in atto dalla civiltà maya in base ai periodi di alluvione e siccità; dalla celebre eruzione del Vesuvio nel 79 fino a quella del Tambora nel 1815, che provocò «l’anno senza estate», contribuendo così all’ideazione del Frankenstein di Mary Shelley. Storia dei cambiamenti climatici è uno straordinario racconto corale della relazione tra esseri umani e clima negli ultimi 30000 anni. Un’indagine che incrocia archeologia e dati scientifici, climatologia e antropologia per offrirci una nuova chiave di lettura sulle nostre possibilità di intervento positivo sul pianeta; perché, è vero, di fronte al prossimo uragano non ci basterà un ombrello, ma la soluzione che stiamo cercando potrebbe essere già alle nostre spalle.
Tibor Déry, Il signor A.G. nella città di X, il Saggiatore
Non c’è un treno che porti a X. Dopo l’ultima stazione si può solo camminare lungo un’unica strada senza fine, attraverso una terra desolata, e, anche quando saranno apparse le prime vestigia di un’umanità in rovina, non si sarà ancora arrivati. Il forestiero A.G. è giunto sin là quasi per mistero, forse fuggendo da qualcosa: davanti ai suoi occhi appare ora niente più che una distesa di edifici diroccati, relitti bellici e detriti industriali; una città impermeabile alla curiosità umana perché ignota ai suoi stessi abitanti. Ma è solo avanzando che l’anima del luogo gli si manifesterà in tutta la sua contraddittorietà, come un enigma che si complica subito prima di poter essere svelato. A X i cittadini infatti conducono un’esistenza priva di passioni, non conoscono il reale valore di lacrime e risa e la loro unica aspirazione è la morte, vissuta come un trapasso gioioso, celebrato in un’annuale processione in musica. A X la sola istituzione dotata di autorità è un tribunale nel quale i processi non vengono mai conclusi. A X la libertà è un caos senza definizione, per cui i suoi abitanti credono che l’appagamento cieco dei propri bisogni equivalga alla piena emancipazione. Tra loro c’è anche Elisabetta, la donna di cui A.G. si innamora. L’uomo vorrebbe condurla via da quella vita grottesca, ma per lei la fuga è inconcepibile; ogni volta che lui sembra averla convinta, Elisabetta all’ultimo rinuncia. A.G. dovrà dunque infine scegliere: tra amore e solitudine, tra prigionia e libertà. Con A.G. Tibor Déry ha creato un novello K., un antieroe intrappolato nelle maglie plumbee di una città-mondo dai contorni metafisici. Scritto durante una prigionia politica sotto il regime stalinista di Rákosi e in seguito censurato, Il signor A.G. nella città di X è un gioiello nascosto della letteratura del Novecento.
Paolo Di Orazio, Primi delitti, D Editore
Nel 1990, un libro creò uno scandalo inaudito, arrivando addirittura a causare un’interrogazione parlamentare per istigazione a delinquere. Un libro che narra di bambini e bambine invisibili, che gridano il loro essere al mondo a colpa di accetta o di pugnale. Questo libro è Primi delitti, opera pioniera dello splatterpunk italiano che ha ispirato scrittori, musicisti, fumettisti e illustratori di tutta Italia e non solo! A scriverlo fu il padre dello splatter italiano, Paolo Di Orazio, lo stesso è il batterista della band Latte e i suoi derivati. L’orrore può avere molteplici sfumature, dal nero del buio al rosso del sangue. Questa volta, la penna di Paolo di Orazio aggiunge i colori pastello dell’infanzia… A distanza di più di trent’anni, Primi delitti torna in un’edizione arricchita di una nuova prefazione (che racconta il viaggio di questo libro culto) e di nuove illustrazioni dell’autore, in cui si abbatte il tabù più duro da scalfire della società italiana: quello dell’infanzia! I protagonisti dei racconti di questo volume non sono efferati assassini o pericolosi serial killer, ma sono il simbolo dell’innocenza, della spensieratezza, della gioia. Primi delitti vi guarda con uno sguardo beffardo e divertito: riuscirete ad andare fino in fondo?
Mauro Valentini, Cesare (come quando fuori piove), Armando Editore
Come scrive Robert Towne: «Nel noir i personaggi hanno in un modo o nell’altro il destino segnato. E ognuno è spinto dalle proprie debolezze. Loro avrebbero voluto una vita normale, ma non riescono a resistere alla tentazione di essere imperfetti.» Anche i personaggi di Mauro Valentini sono uomini che si spingono inesorabilmente verso quel destino a cui vogliono sottrarsi: lo abbiamo visto nel suo ultimo romanzo Tyson e lo ritroviamo in Cesare. Cesare vive anni in una sorta di isolamento volontario. Ha un buco dentro a cui non sa dare una spiegazione. E allora inizia a cercare il motivo di questo suo malessere ripercorrendo i momenti più importanti della sua vita. Gli amori perduti, un figlio che non lo vuole come padre e un brutto infortunio che ha spezzato i suoi sogni di promessa del calcio. Ma in questo percorso di riflessione rabbiosa troverà presto qualcuno contro cui riversare le colpe del suo fallimento. E deciderà di vendicarsi, mettendo in moto un piano violento e salvifico, che scatenerà una serie di azioni e reazioni che lascerà il lettore letteralmente senza fiato.
L’autore
Mauro Valentini, giornalista e scrittore. Nel 2020 con Armando Editore è stato tra i primi dieci libri più venduti in Italia con Mio figlio Marco – La verità sul caso Vannini scritto con Marina Conte. Sempre con Armando ha pubblicato, tra gli altri: Mirella Gregori – Cronaca di una scomparsa, Marta Russo – Il Mistero della Sapienza. Con quest’opera ha vinto il premio letterario Costa d’Amalfi 2017 e si è classificato secondo al Premio Piersanti Mattarella 2019. Cesare è il suo secondo romanzo dopo Lo chiamavano Tyson (2021).
Raymond Loewy, Non accontentarsi mai, Edizioni Mare Verticale
Questa è l’autobiografia, inedita in Italia, di Raymond Loewy (1893- 1986), indiscusso maestro e fondatore del moderno design industriale. Uomo geniale, e visionario, nato in Francia ed emigrato in USA nel 1919, è apparso sulla copertina del Time nel 1949 e nel 1990 è stato selezionato dalla rivista Life come uno dei cento americani più importanti del XX Secolo. A Raymond Loewy dobbiamo il disegno del pacchetto Lucky Strike, del dispenser della Coca Cola, della conchiglia Shell, dei marchi petroliferi BP ed Exxon, della stazione spaziale Saturn Five, dell’aereo Air Force One di JF Kennedy, della Lancia Flaminia Loraymo, di gigantesche locomotive, di mobili e arredi, del celebre Frigidaire e del famoso rasoio PhiliShave. La sua fama lo porta a fare di sé stesso un’icona, tanto che compare nella pubblicità della Olin cellophan, raffigurante lo stesso Loewy in primo piano con in mano il prodotto pubblicizzato, accompagnato dal payoff “La scelta del packaging può cambiare l’andamento del business”. Loewy, oltre ad aver disegnato numerosissimi prodotti industriali divenuti iconici, con il suo intervento grafico e comunicativo è stato capace di rinnovare l’identità visiva dei brand per cui ha lavorato, inserendosi e inserendoli perfettamente nel contesto del mercato mondiale.
Scrive Luciano Galimberti, Presidente di Adi Associazione per il disegno industriale, nell’introduzione al libro: «La figura di Raymond Loewy, universalmente nota a chi pratica il design e la comunicazione, oggi è un mito: indiscutibile per la sua qualità, legata a un’immagine simbolica – quella della semplificazione delle forme arrotondate – che è l’esplicita evocazione di un modernismo pragmatico e comunica il prodotto attraverso il suo aspetto gradevole, originale e suggestivo. La concezione della forma di Loewy elabora l’idea futurista della velocità espressa tramite le linee del disegno e la applica concretamente alla realtà industriale americana degli anni Cinquanta, e di lì alla produzione di tutto il mondo […] La riproposta in edizione italiana dell’autobiografia di Loewy si rivela utile a illuminare un aspetto esemplare, che solo oggi riusciamo a comprendere in tutta la sua portata: la rivoluzione di un metodo di lavoro».
L’autore
Raymond Loewy è nato a Parigi, 5 novembre 1893. Nei suoi 92 anni di vita ha portato un pizzico di glamour francese nel mondo del design industriale negli Stati Uniti. Elegante, energico e autodidatta è considerato il designer più famoso del mondo. Ha progettato di tutto: dagli aeroplani agli elettrodomestici, viaggiando tra Stati Uniti ed Europa sviluppando idee creative. Le sue creazioni più famose includono il pacchetto di sigarette Lucky Strike (rimasto praticamente invariato dopo più di mezzo secolo) le locomotive GG1 e S1, la bottiglia di CocaCola, il francobollo commemorativo John F. Kennedy, Nel 1971, dopo più di quattro anni impiegati a realizzarla, la celebre conchiglia della Shell diventata il logo ufficiale dell’azienda. L’autobus e il logo Greyhound, il logo Exxon, una linea di frigoriferi e di congelatori Frigidaire, pentole, l’ex logo di BP, una linea di distributori Coca Cola, le navi della Panama Line, SS Ancon, SS Cristobal e SS e Panama, sono tutte creazioni del genio di R.L. In particolare, per le sue attività di progettazione nel campo delle auto, con modelli come la Studebaker Avanti e la Studebaker Golden Hawk, Loewy è stato inserito, nel 1997 nella Automotive Hall of Fame.
Francesco Mercadante, Questo è il mio sangue, A&B Editrice
Yeshùa ha spesso mal di piedi, ma è camminatore infaticabile; è permalosetto col piglio del comando. Lo considerano ribelle o riformatore. È un uomo che soffre e gioisce, s’imbizzarrisce e si diverte. È litigioso, dispotico, implacabile; il linguaggio della Missione è violento, indivisibile, esasperante, l’amore che lo caratterizza è un rischio: l’esistenza n’è annientata. I seguaci devono rallegrarsi ed esultare di insulti e persecuzioni causati dall’unica scelta possibile. Chi lo segue non si sentirà dire “ti amo”. Eppure, Myriam ne è innamorata, così altre donne. Pietro, pur essendo designato, stenta a decifrare il suo messaggio; mentre Giuda ne intuisce il senso profondo e accetta il sacrificio estremo. Tutti fino alla morte e oltre.
Angelo Mattone, A consulto da Gorgia, A&B Editrice
A consulto da Gorgia. Majorana e l’enigma delle carte scomparse: lo psichiatra forense Eraclio Gorgia, discendente dell’illustre sofista della Magna Grecia, abbandona la natìa Lentini per riparare nell’ultimo lembo della Sicilia, quella selvaggia Costa dell’Ambra che si allunga al di là del promontorio di Capo Passero. Lontano dai furori contemporanei, un grande mistero del secolo scorso lo raggiunge nel suo buen retiro: la sparizione del fisico Ettore Majorana e dei suoi ultimi scritti, redatti tra il 1933 e il 1937. A commissionare l’indagine sarà un altro catanese, omonimo del grande scienziato e anch’egli fisico, accompagnato da una conturbante assistente. Eraclio dovrà rischiarare l’ignoto, indagando nelle pieghe del tempo, attraversando gli spazi ed esplorando le vertiginose altezze raggiunte da uno dei più grandi e dolenti geni della nostra storia.
Tommaso Lisa, Insetti delle tenebre, Coleotteri troglobi e specie relitte, Exòrma
Insetti delle tenebre di Tommaso Lisa, secondo capitolo della trilogia iniziata con Memorie dal sottobosco, è dedicato agli insetti del sottosuolo e agli habitat in cui questi esseri vivono. Ha il rigore di un saggio scientifico ma alterna la riflessione teorica e il diario personale, il resoconto entomologico e la narrazione, trovando una sintesi originale tra differenti forme di espressione. Il nostro entomologo letterato procede dalle montagne dell’Azerbaigian, alla Penisola Balcanica, nelle grotte dei Pirenei o dei Carpazi, in compagnia di numi tutelari come René Gabriel Jeannel. Questi esseri hanno sembianze di pietra, simili a corniole, quarzi, gessi cristallini; mostrano superfici brune e porose o smaltate, metalliche e lucide come uno specchio; sembrano fatti di squame d’ottone oppure sono ambrati e trasparenti come ampolle di vetro di Murano. Alcuni di loro sono fossili viventi, esseri antichi confinati nei profondi recessi da passati sconvolgimenti ecologici o climatici. Sono gli insetti del sottosuolo, specializzati nelle tenebre, creature misteriose che animano un oscuro habitat dominato dal silenzio, anfratti rupestri, faglie e grotte, dove l’orologio biologico avanza con esasperante lentezza. Curculionidi, Pselafidi, Leiodidi, Stafilinidi: la loro nomenclatura suona come una litania, un formulario magico che evoca mostri infernali, un repertorio mitografico. Sembra di sfogliare il diario del tempo, la cronaca di un pellegrinaggio alchemico e biospeleologico dentro un atlante di minuscoli insetti da leggere come un bestiario medievale. Procediamo ammaliati in una sorta di regressione uterina con il presentimento terrifico del mondo-senza-di-noi.
L’autore
Tommaso Lisa è nato nel 1977 a Firenze, dove vive e lavora. Fin da ragazzo appassionato entomologo, ha pubblicato per l’associazione francese “r.a.r.e.” il catalogo ragionato sui Cicindelidi della regione del Mediterraneo (2001). È dottore di ricerca in Lettere presso l’Università di Firenze. I suoi studi di estetica si sono concentrati sulla “poetica dell’oggetto” del filosofo Luciano Anceschi nella poesia italiana nella seconda metà del Novecento, da Montale alla nuova avanguardia. Ha scritto libri di critica letteraria (monografie su Edoardo Sanguineti e Valerio Magrelli), numerose poesie e racconti. Ha pubblicato Memorie dal sottobosco (Exòrma, 2021) e Coleotteri rossi e altri insetti dello stesso colore (Danaus, 2021).
Enrico Macioci, Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, Terrarossa Edizioni
Christian scompare nelle stesse ore in cui Alfredino cade nel pozzo del Vermicino e Francesco, che ha sei anni proprio come loro, viene meno a una promessa nella speranza di ritrovare il suo amico, mentre il dramma collettivo di tutta l’Italia si svolge in diretta in tutte le case in cui campeggia un televisore. È in questo esatto periodo storico, nella primavera dell’81, che si insinua una crepa nell’infanzia del protagonista e nella coscienza collettiva degli italiani; una crepa in grado di farci precipitare tutti al suo interno, in una stanza buia la cui porta non riusciamo più ad abbattere. Per il suo romanzo, Macioci si avvale della forma breve e mescola generi letterari con uno stile che non può lasciare illesi.
Le ultime parole di Falcone e Borsellino, a cura di Antonella Mascali, Chiarelettere
Nel trentennale della loro scomparsa, una nuova edizione del volume che raccoglie gli interventi più significativi di Giovanni Falcone (1939-1992) e Paolo Borsellino (1940-1992): le denunce schiette e lucide di due martiri servitori dello Stato sul rapporto magistratura-Stato-mafia. Grazie all’attento lavoro di Antonella Mascali, curatrice del volume, si tiene viva la memoria e si rinnova il monito nei confronti di ciò che ancora oggi è un cancro che corrode dall’interno il nostro Paese.
Emanuele Pettener, Giovani ci siamo amati senza saperlo, Arkadia
Questa è una commedia veneziana, protagonisti quattro ragazzi di vent’anni: Sabrina, detta “Feli”, Barbara, Rodrigo ed Ema. Le loro storie s’intersecano sul palcoscenico della città di Casanova, a cavallo fra l’estate del 1990, mentre l’aria è intarsiata dall’ebbrezza dei mondiali di calcio e da una canzoncina ossessiva sulle notti magiche, e la primavera del 1991 quando, da una radio di qualche mansarda sotto i tetti di Venezia, arriva una canzone che dice I’m Going Slightly Mad. La giovinezza corre sensuale nel sangue e fra le calli, al punto che i quattro non riconoscono gli indizi, quei segni malandrini che vediamo solo dopo, e che condurranno al gioco finale, al colpo di scena che lascerà di stucco i protagonisti di una storia in cui Venezia fa da sfondo alla freschezza dei nostri anni migliori.
Sara Gazzini, Laura Antonelli, L’amore, l’incanto, l’oblio, Morellini
Ladispoli, febbraio 2013. Un televisore acceso sul Festival di Sanremo. Sul palco, Simone Cristicchi. Il suo pezzo, “La prima volta (che sono morto)”, non è quello che aveva scelto per concorrere. Avrebbe voluto fosse “Laura”, la canzone composta in onore di Laura Antonelli e della sua bellezza fragile e immortale. Ma Laura non voleva che la cantasse, e ora è davanti a quel televisore. I versi di Cristicchi inaugurano una lunga notte, nella quale ripercorrerà tutta la sua vita: dal successo clamoroso di “Malizia”, che ne ha fatto il sex symbol indiscusso degli anni Settanta, ai film d’autore girati con Visconti e Bolognini; dall’amore intenso e contrastato con Jean-Paul Belmondo, alla dipendenza da alcol e cocaina, alla miseria. Concepito come un unico monologo notturno, il romanzo di Sara Gazzini ci regala il ritratto a tutto tondo di una donna complessa e affascinante, che per l’ultima volta, prima di precipitare in un oblio cercato e difeso con tutte le forze, decide di uscire allo scoperto e di raccontare una vita vissuta sotto le luci della ribalta, in una costante ricerca d’amore.
Laura Veroni, 1.3 So chi sei, Morellini
«Commissario Canova, la responsabilità dell’uccisione della giovane Giulia Arrighi è solamente tua. A questo omicidio ne seguiranno altri nei prossimi giorni…». Questa oscura minaccia incombe sul commissario Andrea Canova, chiamato a risolvere una catena di efferati delitti, apparentemente senza un filo conduttore tra di loro: nulla sembra accomunare le vittime, anche il modus operandi non è mai lo stesso. Unico legame un’immaginetta sacra, ritrovata addosso ai cadaveri, raffigurante San Sebastiano. Sul retro, la scritta: “Per il commissario Canova”, seguita da due cifre. Che cosa significa quel messaggio? Intanto che la polizia brancola nel buio, il misterioso killer sembra divertirsi a portare avanti il suo macabro gioco. Nessun indizio, nessuna traccia da seguire e, mentre le accuse del suo persecutore si fanno sempre più stringenti, Andrea Canova precipita inesorabilmente in una spirale inarrestabile che lo porterà, in un finale inquietante, a fare i conti con un segreto inconfessabile del suo passato.
Giuseppe Ortolano, Guida alle miniere italiane. 90 siti turistici da scoprire, Morellini
L’Italia vanta centinaia di miniere dismesse, abbandonate e dimenticate che rappresentano uno straordinario patrimonio di archeologia industriale costituito da edifici residenziali e industriali, macchinari, scavi a cielo aperto, gallerie e veri e propri villaggi minerari. Alcune decine sono state recentemente parzialmente recuperate a fini turistici. Da Cogne, in Valle d’Aosta, fino a Montevecchio, in Sardegna, qualche breve tratto di galleria è stato riaperto e, insieme ai resti degli impianti di lavorazione del minerale e agli edifici di servizio, è stato reso fruibile al pubblico che, a piedi o sui caratteristici trenini dei minatori, le può così visitare. Il libro propone al lettore praticamente tutte le miniere aperte al turismo e visitabili, in gran parte facilmente accessibili anche e soprattutto alle famiglie con bambini. Sono raccolte per ambito regionale e illustrate da una scheda contenente, oltre al nome del minerale estratto e a tutte le informazioni utili a organizzare la visita, la descrizione della miniera e brevi cenni sulla sua storia.
Toni Capuozzo, Giorni di guerra. Russia Ucraina, il mondo a pezzi, Signs Books
Con le foto dal fronte di Fausto Biloslavo, Gabriele Micalizzi, Francesco Semprini, Vittorio Nicola Rangeloni.Illustrazioni di Giuseppe BotteContenuti multimediali fruibili con smartphone o tablet (QR Code). Il “diario della guerra” tra russia e ucraina è il nuovo libro di toni capuozzo, una delle firme più amate del giornalismo italiano tutti i pensieri, gli appunti, gli scritti pubblicati sul web e gli interventi televisivi raccolti in un instant book di oltre 170 pagine. un libro aperto: attraverso un qr code si potranno leggere le future riflessioni di capuozzo sugli sviluppi della guerra. Toni Capuozzo: «Sono scettico sul ruolo che l’Occidente sta giocando. Siamo pronti a combattere, ma fino all’ultimo ucraino. È in gioco la democrazia, è in gioco l’Occidente, si mettono tutti l’elmetto però, poi, marcano visita al momento di andarci per davvero… in guerra». Un vero e proprio diario di guerra — suddiviso per giorni — fatto di appunti, riflessioni pubblicate sui social, interventi televisivi. Un volume impreziosito da numerose illustrazioni e da una lunga galleria di fotografie di grandi reporter italiani dal fronte: Fausto Biloslavo, Gabriele Micalizzi, Francesco Semprini, Vittorio Nicola Rangeloni. “Non esistono guerre chirurgiche, né bombardamenti intelligenti” — scrive Capuozzo — “ci sono sempre colpe da di- stribuire: Putin, la sua politica di potenza, l’ordine di invasione. Biden, la sfida di una NATO senza confini. Il premier ucraino che si è fatto spingere nella sfida – vai avanti tu – senza valutare che, forse, per l’Ucraina libera era meglio essere una terra di nessuno o dei soli ucraini, scambi e commerci piuttosto che missili. Nessuno è completamente innocente, se non i civili”
L’autore
Toni Capuozzo nasce a Palmanova, in provincia di Udine, nel 1948. Laureato in sociologia presso l’Università di Trento, diventa giornalista professionista nel 1983. Scrive per Reporter e per I periodici Epoca e Panorama mese. Vicedirettore del TG5 e conduttore della trasmissione giornalistica settimanale “Terra!”. Inviato di guerra per diverse testate giornalistiche televisive, ha seguito i conflitti nei Balcani, in Somalia, in Medio Oriente, in Afghanistan, in Iraq. E’ autore di numerosi libri.
Le uscite di venerdì 29 aprile
Lorenzo Caravella, Una complessa macchina farraginosa e altri racconti, Les Flaneurs Edizioni
«Un prestito solo un prestito, sono le ore e le cose che viviamo. Per poco tempo le usiamo e poi le lasciamo ad altri. In fondo nulla ci appartiene se non noi stessi!». Dieci racconti brevi in cui gravitano, tra gli ingranaggi del vivere quotidiano e l’arte onirica della fiaba, la nostalgia e il rimpianto delle scene di un ex attore, il torbido passato di un noto professionista, il feroce istinto di sopravvivenza di una giovane migrante, le diverse declinazioni dell’amore di una coppia di sposi e le trappole del desiderio di uno scapolo d’oro. Un indimenticabile carosello di personaggi stratificati e complessi alla ricerca di un rimedio alla solitudine o di una assoluzione.
L’autore
Lorenzo Caravella, nato nel 1970 a Capua ma romano d’adozione, è un avvocato che si occupa di diritto d’autore, opere d’arte e diritto cinematografico e commerciale. Come scrittore si dedica alla composizione di racconti pubblicando nel 2019, per Santelli Editore, il suo primo romanzo dal titolo Il mio Professore, qualcuno come te. Ama condividere il suo tempo libero in bicicletta con la figlia adolescente.
Carmen Nolasco, La geometria del ragno, Les Flaneurs Edizioni
«La vita prosegue anche quando noi ci rilassiamo, rallentiamo, siamo distratti, il mondo continua a muoversi come un gigantesco ragno silenzioso, niente può fermare il suo incessante lavorio, la meticolosa geometria con cui tesse le sue trame e tira le fila di infinite, misteriose variabili». Una madre alla ricerca del suo passato tra verità e segreti nascosti. Quattordici anni dopo la misteriosa scomparsa della sua primogenita, Anush Mariani crede di riconoscere la piccola Ayda in una ragazzina vista al mercato. Inizia così una spericolata ricerca sulle sue tracce che la porterà, lontana dal marito Edo e dalle altre due figlie, a imbrigliarsi nella fitta tela del passato. Ma si tratta davvero della figlia rapita? Chi ha mentito in questa vicenda e perché? E, soprattutto, quanto possono essere solidi i ricordi di una bambina o attendibili i desideri di una madre?
L’autrice
Carmen Nolasco vive a Brindisi. Laureata in Sociologia, lavora come editor e correttrice di bozze. Autrice, con lo pseudonimo di Consola Maria Armeni, del romanzo d’esordio Io sto nel mezzo (2016). Con Les Flâneurs Edizioni ha pubblicato i romanzi: Il tempo è un concetto inutile (2017), Piume in gabbia (2018), Sposo di sangue (2019), Se il buongiorno si vede dal mattino (2020) e i racconti Sette secondi nell’antologia Venti variabili (2018), Brusii in Di pioggia e di sole (2020) e
L’uomo che rubava la sabbia nell’antologia Chiodi nella parete (2021). Con il racconto Tradimento è inoltre presente nella raccolta Però, che storie!
Francesca Silvestri, L’arrocco, Les Flaneurs Edizioni
Un complesso intrigo internazionale in cui la ricerca di una verità scomoda e inconfessabile è il solo modo per ritrovarsi. In una notte afosa, durante una telefonata alla radio, la voce di uno sconosciuto racconta la vicenda di Lara Santos, enigmatica figura legata al presidente del Venezuela Hugo Chávez. Alice, conduttrice del programma radiofonico, entra in contatto con Lara e insieme si trovano al centro di un intrigo internazionale che si dipana attraverso una geografia di luoghi, ora reali ora immaginari, da cui emergono particolari sconcertanti sulla storia recente del Sudamerica e del vecchio continente. Un intreccio ricco di colpi di scena che si alternano a silenzi e sguardi come in una lunga partita a scacchi dove la protagonista, sopravvissuta a un attentato nel quale ha perduto il compagno Ahmed e la memoria, si troverà a fare i conti con il passato e le proprie radici violentemente recise. Per comprendere che la ricerca della verità è il solo modo per ritrovarsi.
L’autrice
Francesca Silvestri, laureata in Lettere Moderne, è editor e giornalista. Utilizza da anni la lettura ad alta voce e la narrazione in ambiti sociali, educativi e terapeutici. Ha pubblicato racconti in antologie e curato testi di letteratura contemporanea. Nel 1996 ha fondato la casa editrice ali&no e nel 2019 ha istituito il Premio Letterario Nazionale Clara Sereni, in memoria della scrittrice con cui aveva a lungo collaborato, ricevendo nel 2020 la Medaglia del Presidente della Repubblica. “L’arrocco” è il suo primo romanzo.
Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi, Emilio Salgari. Scrittore di avventure, Oligo Editore
Nel 160° anniversario dalla nascita, la nuova biografia di Emilio Salgari si fonda su testimonianze e documenti in parte sconosciuti, evitando rigorosamente interpretazioni romanzate assai diffuse in passato. L’appassionata ricerca offre una rappresentazione aderente alla realtà di una vita laboriosa e sofferta, senza ritocchi agiografici o riduttivi, soffermandosi sul laboratorio salgariano dove la creatività si combina con avvenimenti storici; Gallo e Bonomi evidenziano poi le sue relazioni con il Melodramma, la Scapigliatura e il Positivismo, inserendo la sua attività nel contesto editoriale dell’epoca e ricomponendo così la vita di un autore che non ha precedenti nel nostro Paese, mentre sono numerosi i collegamenti alle vicende umane di Verne, May, Kipling e Stevenson. La biografia ambisce di fornire agli studiosi, ai ricercatori, ai bibliotecari e ai lettori, un contributo biografico e bibliografico, ricco di fatti, documenti, notizie, sicuri e affidabili, integrata da un apparato bibliografico esauriente.
Mino Milani: “Questa biografia (su materiale di prima mano, e arricchita da un impressionante apparato di note e di riferimenti d’ogni tipo e che tra l’altro informa particolarmente sui primi giornali italiani per ragazzi) ricostruisce puntigliosamente la formazione culturale di Salgari, chiarendo i suoi rapporti con Scapigliatura e Positivismo, con la sua città, con la cultura del suo tempo; la sua iniziazione letteraria; narra il suo arduo percorso professionale, le sue esperienze di giornalista, i suoi momenti di discussione, di polemica, di incursioni nel teatro, i suoi naturalmente lunghi e vari rapporti con gli editori, infine il suo grande successo. È un lavoro diligente, rigoroso e insieme appassionante, che toglie di mezzo leggende, fantasie consolidate e luoghi comuni, e che di Salgari indaga anche il privato, i suoi amori, la passione (viene da chiamarla così) per la moglie, il suo febbricitante e fatale incedere verso l’autodistruzione. E lo fa (Gallo e Bonomi tengono a dichiararlo fermamente) «senza fini agiografici o dissacratori”.
Gli autori
Claudio Gallo, già bibliotecario, docente di Storia del Fumetto presso l’Università degli Studi di Verona e l’Istituto Design Palladio di Verona, direttore de “Ilcorsaronero”, rivista salgariana di letteratura popolare, è tra i massimi studiosi dell’opera di Salgari. Per Oligo Editore ha pubblicato le curatele di Robert Louis Stevenson, L’Isola del Tesoro. Il mio primo libro (2020, traduzione di Luca Crovi e prefazione di Mino Milani) e di Giustino Ferri, Tra le quinte del cinema (2021, con Luca Crovi). Giuseppe Bonomi, istriano in esilio perpetuo, ha pubblicato numerosi saggi. Con Gallo ha firmato per la curatela La fine del secolo XX (Black Dog, 2021) di Giustino Ferri, nonché altri interventi disseminati su bollettini, riviste e giornali.
Maria Tronca, P come Fiori, Les Flaneurs Edizioni
Tre gemelle alla ricerca della propria identità, tra amori condivisi e conflitti irrisolti. Una storia frizzante e ricca di colpi di scena inaspettati Petunia, Pomelia e Peonia sono tre «gocce d’acqua identiche, trasparenti e cristalline», ma solo all’apparenza: in realtà le gemelle hanno inclinazioni e caratteri molto diversi. Durante l’infanzia e l’adolescenza, vivono in simbiosi, abituandosi a condividere tutto l’una con le altre e nulla col mondo esterno. Ma, poco prima del loro ventesimo compleanno, l’arrivo inatteso di un nuovo parroco, il bel Salvatore, scombussola l’equilibrio e l’armonia del trio, cambiando radicalmente il loro presente e dando svolte inaspettate al loro futuro. Cosa accadrà alle sorelle quando scopriranno che restare sole significa anche sentirsi libere? P come Fiori è un’avvincente storia al femminile, un romanzo a tinte vivaci, irriverenti ma al tempo stesso delicate.
L’autrice
Maria Tronca è nata a Palermo, dove vive e lavora. Laureata in Lingua e letteratura inglese, ha curato una collana di letteratura erotica moderna e contemporanea per Mondadori. Nel 2005 ha pubblicato sotto pseudonimo la raccolta di racconti “L’isola delle Femmine” (Mondadori). Nel 2010 è uscito il suo primo romanzo, “Rosanero”, e nel 2011 il secondo, “L’amante delle sedie volanti”, entrambi pubblicati con Baldini Castoldi e Dalai, nel 2018 “Le fate di Palermo” (Dots), e nel 2020 “L’ultima punitrice” (Les Flâneurs). Dal romanzo “Rosanero” è stato tratto il film omonimo con Salvatore Esposito, il Genny Savastano di “Gomorra”, che verrà trasmesso da Sky Cinema la prossima estate.
Carla Ghisani, Prove di volo, Les Flaneurs Edizioni
In questa silloge, Carla Ghisani conduce il lettore in un viaggio in cui emozioni ed esperienze si fondono con delicato equilibrio. La sua poesia non è semplice esercizio lirico ma diventa strumento per raccontare un mondo concreto fatto di corpi e percezioni, di gioie e di dolori, in una costante ricerca di sé e dell’altro come specchio per riconoscersi. I versi di Ghisani sono brevi, rapidi e incisivi e graffiano con energia la sensibilità di chi si appresta a lasciarsi colpire senza timore di ritrovarsi scoperto.
L’autrice
Carla Ghisani (1969) nasce a Cremona, e vive fino ai vent’anni in un paese al confine con il parmense, sul fiume Po. Del grande fiume vive campi e natura, inondazioni e un’infanzia brevemente spensierata. La vita la porta ad abitare in varie regioni e città d’Italia. Onnivora, atea, esteta, tendenzialmente apolide, ama le parole, gli spazi aperti, le piante. Gli animali, umani inclusi. Il mare e il cielo, sopra ogni cosa.
Salvatore Massimo Fazio
Il link alla segnalazione su SicilyMag: https://bit.ly/3xWDShK
Floridiana di Emanuele Pettener (occhio alla copertina “tematica”) è un libro interessante e particolare, da una parte – mi pare – scritto con un evidente occhio ai classici, specie americani, dall’altra picaresco, scatenato, scanzonato e “divertito di se stesso” e con alcuni elementi di originalità: uno – forse più superficiale – di essere un romanzo che non si identificherebbe come italiano se non se ne conoscesse la provenienza, e in effetti l’autore vive da tempo negli Stati Uniti, giustificando pienamente un’ambientazione principale (Miami) resa in modo preciso e vivido, l’altro, più profondo e contenutistico, è quello di puntare su personaggi “senior” (insomma, avanti con gli anni – un oggetto narrativo tutto sommato non frequente in libri di questo tipo), peraltro in contrasto con l’età anagrafica dell’autore, e di essere attraversato da una spiccata vena etica/morale, per dirla semplice e banale una sorta di anti-Philip Roth dove il protagonista non vede l’ora di poter non tradire e resistere alle tentazioni del sesso extra-coniugale. Questo protagonista è Tom Giannini, dentista affermato e pienamente borghese ma anche aspirante o emergente scrittore, sposato (piuttosto felicemente) con April, insieme a lei genitore di quattro figli. Si comprendono forse alcune considerazioni fatte sopra: per rendere picareschi ed estrarre “movimento” da questi presupposti, sulla carta adatti a un romanzo di interni o di dialogo, serviva una frizione o un momento (o molti momenti) di choc e rottura, e questi sono in sostanza rappresentati dagli alti e dai bassi, dagli incagliamenti, dalle crisi nel matrimonio tra Tom e April (e dalle tentazioni erotiche di lui) e dalle aspirazioni letterarie del primo che – in sostanza – portano a un ciclo ricorrente di ambizione/frustrazione/ritorno all’ordine che insieme all’elemento “sentimentale” fa da deus ex machina della storia. Questa mia considerazione può sembrare ovvia, ma il movimento a cui mi riferisco sopra ha molto di fisico, un via/vai continuo (fisico ma anche mentale) che è piuttosto caratterizzante per il tono generale e per la riuscita del libro. Anche per questi motivi il romanzo nell’esecuzione conta molto sulla precisione delle ambientazioni, sul vitalismo dei tanti personaggi e su un ritmo piuttosto forsennato, che solo di rado va a scapito della caratterizzazione dei personaggi stessi (che d’altra parte come detto sono molti, inevitabilmente non tutti approfonditi, alcuni relegati – in termini cinematografici – al ruolo un po’ stereotipato di protagonisti). Oltre al “setting” geografico, penso di avere avvertito come accennavo in apertura uno sguardo americano dell’autore anche in termini di influenze implicite ed esplicite – ma per una volta non ricorrerò alla giostra dei nomi e dei riferimenti. Il libro è – come detto – inusuale in alcuni aspetti, divertente ma anche malinconico (nel modo in cui i personaggi vedono e tematizzano la loro età, la prossima fine di percorsi e partite esistenziali) e dà il meglio nella testa, nell’inizio fulminante, e nella coda, lo scintillante finale veneziano, dove a Pettener riesce il difficile equilibrio di parlare di Venezia-come-è ma senza scadere nel pittoresco/trito (o meglio, trattandolo con ironia e un certo senso pittorico per le scene in esterni). Un buon romanzo, e tenete d’occhio le anticipazioni perché sta per uscire il nuovo dell’autore.
Il link alla recensione su Recensireilmondo: https://bit.ly/3xWH3FW
Quello che segue è, per gentile concessione dell’editore, l’incipit del romanzo “Giovani ci siamo amati senza saperlo”, in uscita in questi giorni (Arkadia Editore)
Era un bar pieno di uomini alti. Quasi che per frequentarlo fosse richiesto superare il metro e ottantatré. Disdicevole, ma io ci andavo comunque, mi piaceva come s’atteggiava a bar americano, gli sgabelli al lungo bancone, un barista stempiato in camicia stirata di fresco e panciotto amaranto, i divanetti bordeaux e i tavolini in marmo scuro separati fra loro da tendine blu di Prussia, di modo che ciascuno avesse l’illusione d’avere la sua privacy, sorseggiando intrugli verde menta e succo d’arancia e vodka, nell’alone soffuso di piccole lampade Liberty e fumo azzurro. A quel tempo si poteva ancora fumare e il fumo faceva parte dell’arredamento, assieme a certe foto in bianco e nero di divi fumatori e al jazz che galleggiava nell’aria e faceva sentire tutti a proprio agio nella New York degli anni ’40, tombini rigurgitanti vapori e marciapiedi lucidi di pioggia, viavai di Rolls e taxi color pece. Ma fuori c’era Venezia degli anni ’90, autunnale e sublime, la solita guastafeste. Avevo compiuto vent’anni e cominciavo a sentirmi vecchio, la classica crisi di mezza età: mi piaceva prendermi in anticipo. Sicché andavo lì a distrarmi con l’orchestra di Benny Goodman e facevo finta che m’interessasse davvero, mi tenevo addosso lo spolverino nero anche se crepavo di caldo, ma il bavero che m’accarezzava la barba di tre giorni era imprescindibile, era un tempo in cui avvertivo il sospetto d’essere Lord Byron reincarnato, curioso, non avendo mai letto un verso di Lord Byron. Mi portavo dietro un libro, solitamente qualcosa di ostico e dalla copertina usurata, chiedevo al barista carta e penna e scrivevo un sonetto. Ero giovane, affamato di gloria e di femmine. Soprattutto di femmine. Quella notte di fine settembre aspettavo il mio possibile compagno d’appartamento. Mi rincresceva dover condividere la preziosa benché minuscola alcova a San Giacomo dall’Orio, ereditata da quell’angelo di nonna Speranza, ma non avevo un lavoro, e lavorare mi rincresceva ancora di più. Venezia del resto era cara. Cara e ostile. I miei m’aiutavano, non mi facevano pagare l’affitto e mi pagavano le tasse universitarie e tutto il resto, ma non potevo continuare a succhiargli il sangue come quei mammalucchi dei miei coetanei, a casa di mamma e papà fino a trent’anni, i codardi! I parassiti! Mi ero iscritto a Lettere Moderne in primo luogo per il numero esaltante di fanciulle e la competizione maschile ridotta all’osso; in secondo luogo perché sembrava relativamente facile, tanto che quelli che facevano Legge, Economia, Medicina ci disprezzavano apertamente, e disprezzo e onta risalivano ai genitori, financo ai nonni, degli uni e degli altri: fare Lettere tingeva le gote di vergogna alla famiglia del povero letterato; forse solo fare Scienze Politiche era più vergognoso. E poi sarebbe venuta Scienze della Comunicazione, che nessuno capiva esattamente cosa fosse. Noi di Lettere, disprezzati da tutti, disprezzavamo quelli di Scienze Politiche, che disprezzavano quelli di Scienze della Comunicazione, i militi ignoti. A me la Letteratura sembrava, nel contesto della misera, limitata, fulminea esistenza di un individuo, se non più importante, infinitamente più sensata di Legge, Economia, Medicina, ma comunque non m’importava un fico secco. Quello che m’importava era il piedino velato che si sollevava dalla ballerina, mentre la sua adorabile proprietaria, seduta in prima fila, succhiava la biro osservando concentrata un professore calvo; o il gesto naturale eppure così sinuoso della sua compagna che con entrambe le mani si aggiustava la bionda coda sulla nuca, lasciando nudo il collo, nel cui incavo mi sarei perso in delirio di baci; o la risata dorata di quelle tre giovinette, forse americane, sedute a bere Spritz a un tavolino sporco di un bàcaro infernale in fondo a una calle oscura, i seni poderosi dell’una sotto un body verde laguna, gli occhiali spessi e la dentatura da cavallo dell’altra, il cappellino di paglia della terza, morbida e appetitosa e tondeggiante come una cialda, il celeste estivo dei suoi occhi che incrociavo per un attimo di fuoco e m’accendevano l’immaginazione. Ah, donne donne, eterni dei!
Il link alla recensione su Nazione Indiana: https://bit.ly/3Kf3Ijj
“Sono un uomo vecchio e, improvvisamente, celibe. Single. Ho lasciato mia moglie a settantun anni, dopo quarantotto di matrimonio, senza contare quelli di fidanzamento. Poh! Il gesto più coraggioso della mia esistenza.”
Thomas Giannini è giunto in quella fase della vita in cui ci si volta indietro. E ci sembra che tutto quello che abbiamo fatto – o perlomeno molto – lo abbiamo sbagliato. Una serie di piccoli, ordinari eventi che, giorno dopo giorno, sembrano averci allontanato da ciò che realmente volevamo essere, dai nostri obiettivi, dalle nostre ambizioni e, soprattutto, dai nostri sogni. Lavoro, matrimonio, figli, vita sociale, tutto ha concorso ad irretirci in una trappola, in una gabbia dorata, da cui il sottile e debole disagio quotidiano non è riuscito a spingerci ad uscirne. Così si sente Thomas.
Ha settantun anni, un’ottima disponibilità economica che gli proviene dall’aver esercitato con profitto la professione di dentista, ha una moglie ancora piacente e desiderabile e vive in Florida, uno dei luoghi che più somiglia al paradiso, con una giusta dose di natura selvaggia e comforts. Eppure, una mattina, succede qualcosa che rompe l’equilibrio. Un’epifania che destabilizza il suo sguardo sulla vita.
“Comunque, ieri mattina: il sole che brillava pimpante come un adolescente in vacanza sulle assi di legno della veranda e del pontile, sulle acque limpide della piscina e su quelle scure del canale, l’azzurro puro di marzo in South Florida, il tavolo di vetro accanto alla piscina imbandito di pane e marmellata di mango, frutta fresca e caffè, tutto sembrava perfetto, o lo era. Le stavo leggendo il mio ultimo racconto e, a metà della scena cruciale, lei mi domanda ex abrupto: «Ti sei ricordato i fagiolini?»”
È una mattina come tante, seduti al tavolo della colazione, Thomas intento a leggere la sua ultima fatica creativa alla moglie April. E lei gli pone una domanda che per lui ha la stessa portata di un martello che infrange un cristallo. Una domanda banale, che appartiene ad una quotidianità che nulla ha a che spartire con lo sforzo creativo dell’artista. Una domanda che denuncia una verità incontrovertibile: sua moglie non lo sta ascoltando. Di più, è completamente disinteressata alle sue parole, al suo mondo interiore. Insomma, una manciata di fagiolini con la portata deflagrante di una granata.
Ricordate Vitangelo Moscarda, quell’“uno, nessuno e centomila” di pirandelliana memoria, al quale una mattina, allo specchio, la moglie fa notare come il suo naso penda da una parte? Thomas all’improvviso avverte un senso di spaesamento, sente di non essere mai stato capito veramente, e, ora che è vecchio, ancor meno, trattato con condiscendenza, come un bambino che insegue un aquilone che mai raggiungerà.
“E quando sei vecchio tutti, ma soprattutto i tuoi famigliari, cominciano a trattarti come un bambino: ovvero diventano protettivi. In un modo ostentato, stomachevole. E hanno stampato in faccia questo sorriso imbecille, che vorrebbe esser di tenerezza, per quelle che sono le tue passioni che ti ostini a coltivare, le tue idee, le tue convinzioni, il tuo essere quello che sei nelle sue manifestazioni quotidiane […]”
Thomas ha sempre voluto fare lo scrittore. Anzi, no, Thomas si è sempre sentito uno scrittore. Chiuso, intrappolato nei panni di un dentista, ma assolutamente, senza alcun dubbio uno scrittore. Durante gli anni trascorsi lavorando e occupandosi della sua famiglia, nonostante gli impegni e le fatiche di una quotidianità invadente – i pazienti nello studio, il cambio dei pannolini ai figli, i barbecue in giardino o le domeniche in spiaggia , ha sempre cercato di non abbandonare il suo sogno. Scuole di scrittura, tentativi goffi di buttare giù qualche racconto che fosse decente, qualche piccola pubblicazione, ma mai nulla di veramente convincente. Mai nulla che avesse per firma il segno indelebile del talento. Ma Thomas non ha mai smesso di crederci, di nutrire quella cellula dentro di sé che rivendicava la sua vera identità, convinto che anche la sua famiglia, i suoi amici lo vedessero come tale.
“Non è terribile che – chi ti ama e tu ami per giunta – consideri hobby l’unico modo in cui tenti di esprimere quell’infinitesima cellula originale che, avvolta da mille sfoglie sociali e famigliari, possiamo chiamare definitivamente io?”
“[…] ecco, scrivere è il tentativo in extremis di non dar più così importanza al mondo, a quello che il mondo pretende da noi, e squarciare una a una le maschere fasulle che ci siamo appiccicati per accontentarlo, blandirlo, servirlo – e cercare invece quel nocciolo profondissimo di verità che sta dietro tutto e dentro noi, quel diamante purissimo, quel balbettio.”
Thomas non si sente al capolinea; ha ancora sogni che premono per essere realizzati, ha ancora pulsioni di desiderio, che fanno del sesso una voce all’attivo nel computo delle sue sensazioni quotidiane; ha ancora voglia di viaggiare e soprattutto ha voglia di scrivere. Avvilito – di più, ferito – e deciso ad operare una piccola vendetta nei confronti della moglie e di tutti quanti abbiano mancato in quel rispetto che la sua dignità di scrittore ha sempre sentito di dover meritare, Thomas compie un gesto che in fondo sa infantile, ma che fa proprio come farebbe un bambino per attirare l’attenzione su di sé: lascia April e se ne va via di casa. Ed è esattamente in questo momento che il romanzo ha inizio.
Tra imbarazzanti serate nei club indossando improbabili camicie hawaiane, solitarie notti trascorse nell’anonimato di un motel, sospetti di tradimenti e attacchi di gelosia per una moglie che, affatto addolorata dalla sua partenza, sembra aver trovato rapido conforto tra le braccia del suo seducente e più giovane ginecologo e l’inattesa occasione di un viaggio a Venezia, ultima possibilità per sentirsi lambito dalla voglia di vivere, Thomas si ritrova a ripercorrere i ricordi di un passato che vorrebbe mostrare come sacrificante ma che spesso ne esce dipinto con i colori della nostalgia, come un susseguirsi di piccoli gesti, tasselli che hanno costruito l’uomo che è. Una tenera battaglia tra le aspirazioni ignare della gioventù e le conclusioni, a volte agrodolci, ma in fondo più solide, della vecchiaia.
“Boca Raton era già sulla strada per diventare quella che poi sarebbe diventata: cittadina lussuosa e lussureggiante piena di parchi pubblici e piscine, boutique e ristoranti sgargianti, Jaguar decapottabili e Bentley color canna di zucchero che si dileggiano su vie tirate a lucido, decorate da lampioni stile rétro e cespugli perfettamente cesellati da giardinieri eburnei. Buen retiro di golfisti e tennisti, di ex imprenditori ex criminali con la gotta, prosciugati da decenni di droga e ore piccole, da stress e tabacco: insomma, vecchi e ricchi – le parole magiche per ogni dentista.”
“[…] Venezia dormiva sotto un cielo bianco. Era un incanto. Rochi richiami di gabbiani da lontano, bottiglie di birra vuote abbandonate ai piedi dei ponti, il fruscio sommesso delle scope degli spazzini a ripulire la città dai bagordi della notte. Borbottavano dai canali alcune barche pigre, il rumore secco di una serranda che si alzava rompeva la quiete, per un attimo, poi di nuovo la pace umida del primo mattino, le rose stillanti dai giardini.”
Accompagnando il suo protagonista tra i lussureggianti paesaggi della Florida e l’antica umidità veneziana, “Floridiana” – scritto da Emanuele Pettener per Arkadia Edizioni – è uno di quei romanzi che si leggono tutti d’un fiato, senza riuscire a staccarsi dalle pagine. È divertente, ironico, a tratti anche dissacrante nei confronti delle fragilità e delle debolezze che la vecchiaia fa spuntare sulla nostra pelle come funghi in un sottobosco di insicurezze latenti, con cui prima o poi ci troviamo a fare i conti . A volte non si può fare a meno di ridere delle trovate e dei ragionamenti di Thomas Giannini, ma molto spesso si ride con lui, riconoscendosi in quel suo doloroso fluttuare tra il desiderio di libertà, la voglia di godersi finalmente una vita di cui sentirsi padrone e la romantica, delicata malinconia per l’amore di quell’unica donna a cui sente di essere indissolubilmente legato e con cui sente di aver costruito, passo dopo passo, il senso della sua esistenza. Thomas è un essere umano che, come tutti, impara ogni giorno della sua vita. Ci mostra come, fino all’ultimo nostro respiro, giorno dopo giorno, ci sono sensazioni ed emozioni pronte a sorprenderci, anche se con colori e gradi di intensità differenti.
Ottima la prova narrativa di Emanuele Pettener, che, muovendosi con disinvoltura stilistica tra ironia e un malinconico disincanto, ritrae la continua tensione sotterranea che nella vita ci sbatacchia tra la scossa vivifica delle passioni e la confortevole accettazione di una felicità più domestica. E lo fa senza consegnarci una scontata risposta, ma lasciando disseminati tra le righe di questa sua storia, a volte più in profondità, a volte più affioranti, riflessioni e indizi.
Il link alla recensione su The Meltin Pop: https://bit.ly/3sAHyRW
Floridiana di Emanuele Pettener, edito da Arkadia, è arrivato nelle librerie poco prima dell’estate ma è tutt’altro rispetto a quel che s’intende comunemente per “lettura estiva”. Si tratta piuttosto di un romanzo che racconta con arguzia rara, scrittura godibile ma sontuosa – figlia dei grandi narratori americani, da Roth a DeLillo – e raffinata perizia psicologica l’angoscia di vivere tipica dei nostri tempi, tra ricerca narcisistica di approvazione, anelito all’eterna giovinezza, fughe dal conformismo che finiscono inevitabilmente per riportare ad esso.
Protagonista è Tom, italoamericano ormai settantenne, dentista in pensione che vive in Florida insieme alla moglie April, per cui prova ancora un sincero trasporto sensuale ma da cui non si sente amato fino in fondo. Il lavoro lo ha reso più che benestante, ma rimpiange il vecchio sogno non realizzato di diventare scrittore. Un personaggio vitale e contraddittorio, profondamente umano, di cui parliamo, insieme a molto altro, con il suo autore.
Come fa a essere così bella? Ha sessantanove anni, Cristo! Sì, le rughe, i fili bianchi, la pelle ispessita e tutto il resto. Ma la ragazzetta che mi ha stregato cinquant’anni fa è ancora là, eccessivamente visibile, indomabile, sensuale.
Così Tom, il tuo protagonista, parla di sua moglie April. Sei consapevole che sono le parole che ogni donna vorrebbe sentirsi dire? E credi davvero che la passione possa resistere al tempo, o è solo un modo per sedurre le lettrici?
Naturalmente la passione può resistere al tempo. E naturalmente è un modo per sedurre le lettrici.
«Eran due vecchie befane, Tom.»
«Va be’, era la prima sera, chi ti aspettavi, Brigitte Bardot?»
«Perché no? Anche Brigitte Bardot è una vecchia befana, ormai.»
Hai appena parlato come l’uomo ideale, e poche pagine dopo ti scopriamo politicamente scorretto! Ed è proprio il gioco di contrasti, a mio parere, tra i maggiori pregi di questo libro, come se fossi un pittore che usa tutta la tavolozza, o un compositore abile nel variare il ritmo. La critica al politically correct emerge in più punti del romanzo, addirittura a un certo punto parli di “quartiere negro”, ma non lo sai che non si può più usare, la N word?
Vagheggio da tempo di scrivere un saggio, “In difesa della parola negro”. Parola meravigliosa, carica di suggestioni e sensazioni: bellezza e dolore, Africa e Louisiana, campi di piantagioni e blues. Ognuno vi avverte subito qualcosa, uno spettro di immagini, nessuno può restare indifferente. Se scrivo quartiere negro produco immediatamente un’atmosfera, una visione. Se scrivo quartiere di colore o quartiere afroamericano mi limito a fornire un’informazione (peraltro piuttosto superficiale, specie la seconda, ma andremmo per le lunghe). Inoltre, sento proprio questi aggettivi discriminatori, non l’altro: sono fasulli, sono piccole e goffe menzogne (anzi, mai come in questo caso mi sembra perfetto dire white lies), fragili e improvvisate traduzioni di quello che il nostro cervello senza filtri ci ha trasmesso in primo luogo: “quartiere negro”.
Poi, per carità, se ormai la parola s’è evoluta (o involuta) e ha acquistato un connotato razzista, vi posso rinunciare nella lingua parlata, nello scambio quotidiano; del resto quando parlo rinuncio a un sacco di parole – una più, una meno. Ma non posso rinunciarvi quando scrivo. La scrittura è il campo della libertà totale, dove voglio e devo essere libero senza nessun tipo di condizionamenti: una delle sfide più ardue (e quindi uno dei massimi piaceri) della scrittura sta nel trovare la parola corrispondente, la parola esatta.
Ho bisogno di tutto il mio vocabolario, se posso anche di quelli stranieri (penso a Nabokov). Togliermi una parola equivale a ordinare a un pittore: guarda, puoi usare il rosso bordeaux e il rosso scarlatto, ma assolutamente non puoi usare il rosso carminio. Ma io ho bisogno di tutti i miei rossi! E in fondo posso sempre dire che quella parola l’ha usata il narratore, non io.
Quand’era piccolo, giocava con le Barbie delle sorelle e chiedeva sempre per favore. Sorrideva sempre e non urlava mai. Era un tesoro ed ero abbastanza convinto che fosse gay. La cosa non mi turbava (basta ridacchiare là in fondo!). D’accordo, se fosse diventato una di quelle checche isteriche che strepitano e gongolano per i vestiti delle star sul red carpet, beh, un po’ mi sarebbero girate le balle. Ma ero sicuro che sarebbe diventato un bel gay, gentile e virile, sufficientemente alto e muscoloso per schiacciare con un pugno sul naso chiunque si fosse permesso di disprezzarlo o ghettizzarlo.
Scusa se riporto per intero questo lungo stralcio, ma trovo molto bello questo modo di esprimere le preoccupazioni di un padre riguardo a un figlio (forse) gay, al di là di tutte le ideologie. Sai che anche la parola gay, pur accettata, non è più considerata del tutto corretta, rispetto ad altri termini come “persona omosessuale”?
La parola “gay” mi affascina. La trovo spesso nei romanzi della mia amata Agatha Christie e del mio amato Maugham (che se avesse saputo l’evoluzione di significato della parola l’avrebbe usata con più parsimonia, essendo rimasto in the closet tutta la sua vita). “Gay” – gaio, leggero, lieto, gioioso. Eppure la Storia ci racconta quanta sofferenza sia costata, e costi ancora, essere omosessuali. Un mio carissimo amico ha fatto coming out a 70 anni dopo una vita di dolore interiore inimmaginabile, cominciata quando da ragazzino in Pennsylvania lo convinsero che “quelli come lui andavano all’inferno”. Per questo motivo, da cultore del linguaggio, è riuscito finalmente a dire: “sono omosessuale” ma è troppo dolorosamente ironico, per lui, riuscire a dire “I am gay”.
Era la massa informe degli ex hippy e degli ex Make love not war a incutermi timore, i progressisti dalla coscienza immacolata e le mani sporche di sangue, perché son più sottili, meno evidenti, più pericolosi, e nemmeno loro sanno quanto sono ipocriti e cattivi.
Sbaglio o è ben percepibile nel tuo romanzo la stoccata a un progressismo più formale che altro?
Anestetizzare il linguaggio non fa guarire dalla malattia. Ero appena arrivato qui in America e seguivo un corso Ph.D di retorica. Ci siamo messi a discutere della parola N. Ero basito: perché non la pronunciavamo per intero? Non potevamo dire quella parola nemmeno quando la parola era l’oggetto del nostro discorso? La stavamo sottoponendo al microscopio, ma sotto la lente non c’era nulla, the N word si poteva studiare, analizzare, vituperare – ma non pronunciare, ci avrebbe bruciato la lingua. (Nota che nemmeno io la uso qui: non vorrei mi licenziassero).
April e io sappiamo poco dei nostri amori giovanili, pochissimo delle nostre malinconie e dei nostri imbarazzi, quasi niente dei nostri sogni falliti, nulla dei nostri rimpianti.
Il rapporto tra Tom ed April è un trattato di psicologia dei sentimenti, sempre ammesso che esista e abbia senso questo tipo di disciplina. Il loro legame è per certi versi invidiabile, eppure Tom sembra soffrire di un certo distacco tra loro, una sorta di non conoscersi completamente. Credi che sia un bene non mostrarsi del tutto, risparmiarsi a vicenda il proprio peggio?
Chi lo sa. Ma conservare una certa dose di mistero e irraggiungibilità agli occhi dell’altro suppongo non sia cosa malvagia in un amore.
Le stavo leggendo il mio ultimo racconto e, a metà della scena cruciale, lei mi domanda ex abrupto: «Ti sei ricordato i fagiolini?».
Quello che più di tutto Tom rimprovera ad April, è non dare abbastanza importanza alle sue ambizioni letterarie. Soltanto narcisismo da aspirante scrittore, o c’è qualcosa di più? Tom è un dentista affermato e benestante, ha una bella famiglia con ben quattro figli, eppure il suo sogno non realizzato di scrivere gli sembra l’unico che avrebbe dato realmente senso a tutta la sua vita. Però nel corso della storia abbiamo spesso l’impressine che sia Tom stesso ad auto boicottarsi, a non impegnarsi abbastanza in queste aspirazioni, incolpando però il lavoro, i figli, April. È così, o più semplicemente Tom non è uno scrittore, non ne ha la passione né il talento?
Non lo so, onestamente. Mi piace, sia nella vita che nella scrittura, investigare in quel guazzabuglio che è il nostro cuore; non inseguo però soluzioni finali, anche perché il guazzabuglio non lo consente. Tuttavia mi vengono in mente le parole di Teresa D’Avila parafrasate da Capote che gli ispirarono il titolo del suo bellissimo romanzo incompiuto: “Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte”. E poi Oscar Wilde, An Ideal Husband, 1895: “When the Gods wish to punish us, they answer our prayers”, Quando gli Dei vogliono punirci, esaudiscono le nostre preghiere.
Gli artisti mediocri, a meno che non siano consapevoli della propria mediocrità (il che li conduce a smettere di produrre arte e li trasforma in critici) avvertono come geniali solo coloro che gli sono affini, cioè altri mediocri, oltre a coloro che sono stati designati ufficialmente geni da un’unanime collettività di mediocri, e quindi riconosciuti da un’unanime umanità di mediocri.
Questo pensiero di Tom è analogo a quel che molti oggi pensano e dicono del panorama letterario italiano. È anche il tuo pensiero?
Veramente credo sia naturale in qualsiasi tempo e in qualsiasi Paese, persino scontato. L’artista mediocre se la cava meglio del genio semplicemente perché il primo ha una visione in cui quasi tutti possono riconoscersi, il secondo per natura ha una visione unicamente sua, eccezionale, e quindi incomprensibile ai più. Quanto al panorama attuale della letteratura italiana, sfuggo dai giudizi complessivi – né del resto avrei la conoscenza sufficiente per formularne uno. Noto semmai una tendenza: cavalcare l’attualità. Scrivere romanzi (o cronache travestite da romanzi) su vicende recentissime se non contemporanee, col cadavere ancora caldo. Pasticciare tra letteratura e giornalismo e biografia. Essendo per me la letteratura il regno dell’immaginazione più viva ed esuberante, dove la realtà si trasforma e diventa poesia, dove l’informe quotidiano acquisisce forma ed elettricità, e il fango si fa oro – trovo questi memoriali lugubri e fatiscenti. Soprattutto, e qui torniamo al discorso della mediocrità, spesso la lingua si abbassa alla materia: non c’è invenzione, non c’è follia. Che m’importa leggere della volgarità dei salotti romani, specie se questa volgarità mi viene proposta in quanto tale, descritta volgarmente, volgarità su volgarità? Ah, e a proposito di volgarità: io capisco che giornali e tivù preparino i coccodrilli, per esigenza di cronaca, ma scrittori ed editori? Muore uno e zaff, il giorno dopo sugli scaffali hai il malloppo di 300 pagine sul morto; capisco che tutti si debba mangiare, ma resta un senso di pessimo gusto e voglia di fuggire dalla libreria e prendere una boccata d’aria fresca.
Che beffa: avevo un indiscutibile talento naturale nel far soldi, un talento che mi riconoscevano e m’invidiavano tutti, ma quello che pretendevo d’avere era un discutibile talento letterario, che non mi riconosceva nessuno.
Ma secondo te, perché vogliamo diventare tutti scrittori, proprio oggi che (almeno così si dice) l’editoria è in crisi? O forse è in crisi proprio per questo? E per diventare scrittori, bisogna dedicarsi totalmente al proprio sogno? Tu sembri aver trovato un buon equilibrio: hai un buon lavoro da insegnante (per quanto, attinente alla letteratura molto più di quello di Tom), una bella famiglia, e riesci anche a sfornare gioielli come questo. Come fai?
Che si voglia diventare tutti scrittori è forse un’impressione degli aspiranti scrittori stessi, che si frequentano solo fra di loro. L’editoria è in crisi, suppongo, perché anch’io, che pure amo leggere, molte sere preferisco stravaccarmi sul divano a guardarmi Il metodo Kominsky su Netflix o una compilation di finte di Ronaldinho su Youtube. Credo che la scrittura, qualsiasi sia il genere a cui intendiamo dedicarci e lo scopo che ci prefiggiamo, esiga una dose più o meno ampia di talento, una conoscenza accurata dei ferri del mestiere e di qualche trucchetto, e molta, molta disciplina. Senza capacità di concentrazione, non si va da nessuna parte. Per me lettura e scrittura sono possibili solo nell’otium petrarchesco. Solo il dono divino di una vita famigliare fino ad oggi serena e la tranquillità economico/emotiva di un lavoro altrettanto sereno mi permettono, quando ne ho voglia, di dedicarmi a uno dei piaceri più elettrizzanti e profondi io conosca: comporre e scomporre immagini e frasi, cercare un effetto luminoso.
«Ma come fai anche solo a pensare di andare in vacanza, divertirti, fare quello che avresti fatto prima? Non capisci che nulla sarà come prima? Che questa è una guerra?»
«Ma no. Le nostre vite, la mia e la tua intendo, sarebbero cambiate solo se nostra figlia fosse stata in quelle Torri. Non c’era, e non c’era nessuno dei nostri figli, nessuno di coloro che amiamo.»
Un altro tema ricorrente del libro è il rapporto tra la propria storia personale e la Storia. In questo dialogo con April, all’indomani dell’11 settembre, Tom fa la parte del cinico, e come spesso accade ai cinici, dice il vero. Oggi, nel mondo iperconnesso, siamo sempre più chiamati a mostrare empatia per tutte le tragedie che avvengono vicino o lontano da noi, per lo più secondo la gerarchia d’importanza che ci impongono i media. Capita poi spesso, anche tra persone comuni, di rimproverarsi a vicenda di preoccuparsi o commuoversi per questo e non per quello, o comunque di non mostrarsi abbastanza coinvolti dai mali del mondo. Ma in questo grande mercato dell’empatia, stiamo diventando davvero più buoni o solo più confusi e più ipocriti?
Siamo tutti pateticamente in piedi sulla nostra cassettina a esporre le nostre verità sul mondo, ovvero a mendicare attenzione per noi stessi. Per il resto, l’orgasmo da elogio funebre ad ogni morte di celebrità e l’arrapamento livoroso per la morte di un nemico politico sono sovente le due facce dello stesso becchino.
L’Italia era un mio vecchio desiderio. L’Italia forse è il desiderio di tutti quelli che non ci hanno mai abitato.
Tom sogna da tutta la vita di andare a Venezia, tu sei nato a Mestre, ma da anni vivi in Florida, insegnando Lingua e Letteratura italiana alla Florida Atlantic University. Cosa rimpiangi e non rimpiangi dell’Italia? E come è percepita oggi l’Italia dove vivi tu? A un certo punto nel libro ne parli anche come di una “terra arcaica”…
Everybody wants to be Italian, qui in America. Non io. Io voglio tropicalizzarmi sempre più. Anzi, la tropicalizzazione dell’individuo mi sembra l’unica ancora di salvezza. Starmene tutto il giorno a pescare da un molo arso di sole, solo, il mio cappello di paglia in testa e i jeans al ginocchio e i piedi nudi, il verde della natura immersa in un concerto di cicale attorno a me, il blu limpido di acqua e cielo davanti.
Nel romanzo spesso citi altri scrittori. April ha sul comò Stoner di John Williams, Tom cita tra le sue letture preferite Capote, Nabokov, Dino Buzzati, Boccaccio e Mc Grath, una “cilena famosa” di cui però gli sfugge il nome (a proposito, chi è? La Allende?) mentre fa lo scalpo a Carver “davvero non capisco perché sia così famoso, è un chiacchiericcio sconnesso e fumoso fra ubriachi…” e a Garcia Marquez “anche lui non è male, salvo naturalmente quel mattone sui cent’anni di turpitudine…”.
I tuoi modelli letterari corrispondono a quelli di Tom? E chi sono i tuoi scrittori preferiti, italiani e stranieri?
Mi piacciono i racconti brevi o lunghi di Garcia Marquez, meno i romanzi. Di Carver non ho una conoscenza tale per esprimere un’impressione, sui suoi emuli un’opinione ce l’ho. Ammiro gli scrittori menzionati da Tom (sì, la cilena famosa è l’Allende). Agatha Christie, Raymond Chandler, Francis Scott Fitzgerald, William Somerset Maugham, Oscar Wilde, Truman Capote, John Fante e Vladimir Nabokov sono i miei beniamini a cui torno sempre. Ma per me una delle prove narrative più meravigliose degli ultimi anni è stata la serie televisiva Downton Abbey, scritta da Julian Fellowes, per altro ottimo romanziere. Dietro certe serie televisive e sitcom ci sono scrittori di enorme talento: artisti autentici. In Italia, fra i classici, D’Annunzio e Svevo. Fra i contemporanei, Paolo Maurensig. Ho poi un debole per gli scrittori siciliani. Gli scrittori italiani sono italiani, ma gli scrittori siciliani sono europei. Mi sembra abbiano una marcia in più, un respiro più ampio, un’immaginazione, specie linguistica, più accesa. Sembra riescano a vedere il mondo e l’umano con occhi diversi, con lenti speciali che posseggono solo loro. Anche fra i meno conosciuti, mi capita di trovare una letteratura vibrante – anni fa un amico di Bagheria mi regalò un romanzo, I porno zombi, di Maurizio Padovano, pubblicato da Di Girolamo editore, e ricordo ancora come rimasi incantato dalla potenza e dalla sapienza della narrazione, dalla genialità della lingua. Poi Vladimir di Prima: mentre Padovano non so nemmeno chi sia, Vladimir è mio amico, e quindi non dovrei menzionarlo, ma anche il suo peggior nemico dovrebbe ammettere lo splendore siculo della sua prosa, un’inventività linguistica rutilante, gioiosa, picassiana.
Si parla spesso del bambino che è rimasto in noi. Ma non c’è nessun bambino. C’è invece un ragazzo d’età fra i venti e trent’anni, stupefatto d’averne all’improvviso quaranta, cinquanta, sessanta… ecco, quella è l’età in cui si ferma e si forma la nostra anima, o comunque vogliate chiamare l’intelligenza che abbiamo di noi stessi e del mondo.
Cosa diresti oggi al ragazzo tra i venti e trent’anni rimasto in te? E all’uomo di… anta anni (portati splendidamente) che vedi nello specchio?
Al ragazzo direi e dico spesso una frase in veneto che lessi una volta sulla pagina Facebook di Lino Toffolo: se ti xe mona ma ti sa de essar mona, ti xe un po’ meno mona. All’uomo: sei su Sunset Boulevard. Anzi Sunset BoulEMArd. Tanto vale godersela.
Viviana Viviani
Il link all’intervista su Pangea: https://bit.ly/3Dxbfaj
Thomas è un dentista in pensione. Ricco, con una moglie bellissima, quattro figlie e una vita invidiabile. Eppure, una calda mattina di marzo decide di lasciare April e la propria vita per rifugiarsi in un motel e dedicarsi alla sua più grande passione: la scrittura. Crisi di mezza età? Assolutamente no. Tom ha ormai settant’anni e vive con retrogusto amaro il folle amore che lo lega alla moglie – dalla quale non si sente pienamente ricambiato – e si presenta a noi come eternamente insoddisfatto per una vita vissuta in costante tensione tra le sue due più grandi passioni: la famiglia e la scrittura. Insoddisfatto della prima perché sua figlia, oltre che sua moglie non lo comprendono, e frustrato dalla seconda per la continua mancanza di tempo, voglia, ispirazione che lo rendono uno scrittore mediocre. A portare una svolta, oltre che una ventata di freschezza nella sua vita è un viaggio improvvisato a Venezia dove, insieme a tre amiche e in compagnia di una giovane argentina riesce a vivere avventure che non avrebbe mai immaginato fino a quando non vedrà risolversi il mistero del tradimento di April. A raccontarci la storia è proprio Tom, l’io narrante che prende in mano le redini del racconto e ci permette di assistere, da spettatore, alle vicende del suo passato, essenziali e necessarie per comprendere il presente di cui sarà protagonista. Così Emanuele Pettener, autore di Floridiana, edito da Arkadia Editore per la collana Senza Rotta, sembra farsi da parte per permettere al suo personaggio – scrittore come lui – di dominare la scena. Ma non lasciamoci ingannare. Il tocco dello scrittore, quello reale e in carne d’ossa c’è e si sente. Lo stile di Pettener viene fuori nella scelta di una lingua che arriva dritta a chi legge, senza troppi fronzoli o giri di parole, e nell’attenta costruzione di una storia che lascia qua e là indizi su chi questa storia l’ha inventata. L’Italia è uno sfondo costante. Thomas, per primo, è figlio di un immigrante americano. Anche sua moglie April è per metà italoamericana. Venezia è la location ideale per lo svolgersi finale della storia. Luogo da sogno, meta esotica, descritta dall’autore – quello reale nativo di Mestre – con i toni di chi la conosce bene e proprio per questo è in grado di descriverne tutta la magia.
La sera è placida, il cielo azzurro pallido s’è striato di rosso, le prime stelle sono apparse, e dolcemente è arrivata la notte. La magia che procura Venezia dall’alone dei suoi antichi mi lascia freddo: il mio cuore è altrove, e così per Eva.
Tutta la narrazione ruota attorno a una serie di rapporti problematici: quello tra Tom e la moglie, quello tra Tom e la scrittura e, non per ultimo, quello tra Tom e se stesso. Impossibile separare questi tre piani che si intrecciano e condizionano a vicenda. La famiglia, per la quale Tom nutre un amore che in alcuni momenti ci appare totalizzante e quasi violento per quanto intenso – soprattutto quello nei confronti della moglie – gli ha sottratto il tempo per dedicarsi alla scrittura. Ogni volta che sembra aver trovato un equilibrio, la giusta motivazione, una nuova nascita arriva a interrompere i suoi piani e porta con sé l’urgenza di immergersi sempre di più nel lavoro per assicurare a se stesso e alla propria famiglia un’esistenza dignitosa. Eppure anche quando lascerà April per buttarsi a capofitto in una nuova vita, con nuovi stimoli e spunti per la propria scrittura le cose non andranno come previsto. E allora come sciogliere questa tensione? Come far coincidere queste passioni? Se un punto di incontro c’è e è possibile lo scoprirete soltanto leggendo questo romanzo, non senza varie e imprevedibili sorprese.
Paola D’Aulerio
Il link alla recensione su Tropismi: https://bit.ly/3kKFBj0
Quando smettiamo di desiderare, di fare progetti, di sognare a occhi aperti, di amare? L’insoddisfazione porta alla ricerca della felicità oppure rischia di farci sprofondare nell’abisso? Accontentarsi di ciò che si ha può essere una soluzione a questi dilemmi? Il nuovo romanzo di Emanuele Pettener, Floridiana, (Cagliari, Arkadia 2021), si pone queste domande attraverso la vita e le avventure di Thomas (Tom) Giannini, settantunenne dentista italo-americano (mi si perdonerà il trattino, alla luce delle interessanti considerazioni in proposito di Ilaria Serra pubblicate sul sito www.stradedorate.it il 28 giugno scorso) afflitto dall’ossessione per la scrittura.
La vita di Tom
Tom, così lo chiamano tutti, conduce una vita dorata a Boca Raton, in Florida, un vero paradiso in terra (come ben sa l’autore mestrino che abita e insegna lì alla Florida Atlantic University da molti anni), ha una moglie, April, docente universitaria di cinema, affascinante, colta, intelligente e molto comprensiva, quattro figli ormai grandi e autonomi, una casa accogliente, una situazione economica più che invidiabile. Eppure. Una profonda inquietudine che si porta dentro da sempre, dovuta alla frustrazione di non essere riuscito a diventare ciò che più desiderava, essere uno scrittore, gli rende intollerabile accettare che la moglie sembri distante, al punto da convincersi che non solo non lo ami più, ma non lo abbia mai amato. La conseguenza più logica, quindi, per lui, è decidersi alla separazione, rintanandosi in un motel, dopo quarantotto anni di vita in comune.
I ricordi
Attraverso dei flash back – narrati in prima persona come tutto il romanzo che sceglie il punto di vista del protagonista – ripercorriamo la vita di questi due anziani coniugi, lo svilupparsi della loro bella famiglia, le relazioni con gli amici, gli intoppi, le difficoltà e i drammi che inevitabilmente si sono presentati sulla loro strada e che hanno superato insieme. Tom si racconta mettendosi a nudo, con momenti di irresistibile comicità, confessando senza falsi pudori i suoi lati più oscuri, le sue meschinità, i pensieri più nascosti e inconfessabili se non a se stesso, i suoi sentimenti meno nobili: l’invidia (per il Juan, il ginecologo di April, bello e tenebroso, ma che soprattutto in passato ha frequentato con lui un corso di scrittura creativa, ottenendo ottimi risultati, migliori dei suoi), l’ambizione, la vanità, l’ipocrisia, la gelosia (sempre suscitata da Juan, che crede sia l’amante di sua moglie).
Tom e Venezia
Per sfuggire a questo momento di crisi, Tom si unisce, assieme ad altri tre amici ăgée come lui, a un gruppo di ragazzi americani in partenza per una vacanza studio a Venezia, dove conoscerà Laura, una ragazza di origine argentina che gli farà nuovamente palpitare il cuore.
L’amore
Perché questo romanzo ci parla anche dell’amore: quello disperato del giovane studente Tim; quello offeso di Eva, l’insegnante di scrittura creativa che guida il gruppo a Venezia; quello testardo di Laura per Tom, che potrebbe essere suo nonno; quello inossidabile di Moncrieff e Ethel; quello tragico di Nick e Henriette. Come in una commedia di Georges Feydeau in salsa americana, tra divertenti colpi di scena e tragiche scoperte, amore e desiderio si intrecciano, scalpitano, si dissolvono e può capitare che lascino cocci dietro di sé. Ma ci parla anche di sesso: coniugale, clandestino, solitario, negato, estorto o concesso, in un rutilante rincorrersi di variazioni sul tema che ci mostrano corpi tonici e membra appesantite dagli anni, amplessi vigorosi e teneri abbracci, delicate carezze e baci infuocati.
Pettener e il suo Tom
Leggere questo romanzo di Pettener è un’esperienza totale: veniamo risucchiati nella natura opulenta della Florida e nelle umide calli veneziane, ci siamo dentro fino al collo, le respiriamo queste atmosfere tanto diverse, le sentiamo nostre. La scrittura di Pettener ci tiene inchiodati alla pagina: funambolo della parola, maestro dell’aggettivazione mai banale, esploratore delle metafore e dei paragoni, equilibrista della ipotassi. Pettener si dimostra inoltre un ritrattista sopraffino (i suoi personaggi vivono, eccome!) senza però disdegnare il paesaggio e la natura morta: godibili le sue descrizioni, ricche, dettagliate, mai gratuite, pittoriche, gestite con pennellate dense, scoppiettanti di colore. Da sottolineare anche un altro aspetto importante: tutto ciò che accade nel romanzo è filtrato attraverso lo sguardo ironico, a volte sarcastico dell’autore, dimostrandosi degno del suo scrittore tanto amato a cui ha dedicato un bel saggio: John Fante. Ironia e sarcasmo che non risparmia, ovviamente, quando descrive le dinamiche in atto nei corsi di scrittura creativa: chi ha fatto esperienza di questi gruppi si divertirà parecchio.
Chi è Pettener
Emanuele Pettener, è nato a Mestre. Insegna Lingua e Letteratura italiana ed è “writer in residence” alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida), dove nel 2004 ha conseguito un Ph.D in Comparative Studies. Ha scritto numerosi articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. È autore dei romanzi È sabato. Mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana, 2013) e Arancio (Meligrana, 2014). Ha pubblicato il saggio Nel nome del padre del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante (Cesati, 2010) e, in inglese, la raccolta di brevi racconti A Season in Florida (Bordighera Press, 2014, traduzione di Thomas de Angelis). Ha curato il cinquantesimo numero della rivista “Nuova Prosa” (2009).
Annalisa Bruni
Il link alla recensione su èNordEst: https://bit.ly/2VtAJoK
“Ripeness is all”, “la maturità è tutto” dice il figlio Edgar al padre, il conte di Gloucester, nell’atto V scena II di “Re Lear” di Shakespeare. Lo dice al padre che si è abbandonato a terra desiderando morire. Più precisamente: “Che c’è, ancora cattivi pensieri? Gli uomini devono sopportare/la loro uscita dal mondo come la loro venuta;/ La maturità è tutto. Andiamo”.
La maturità è tutto. Una frase spesso utilizzata da altri scrittori, non ultimo Cesare Pavese che la mise in esergo a “La luna e i falò”.
Ma cosa vuol dire che la maturità è tutto? Vuol dire, forse, che maturare è sopportare il bene e il male della vita? Vuol dire che chi non considera fondamentale la maturità non accetta l’inevitabile male di vivere? Eppure il fronte non è così compatto come parrebbe essere: l’eterodosso psicoanalista junghiano James Hillman scrisse da qualche parte che quando sentiva parlare di maturazione dell’uomo gli venivano in mente le mele più che la complessità dell’essere umano. Ironizzava e cercava di scardinare luoghi comuni perché aveva ben presente quanto fossero importanti i processi di crescita che durano tutta la vita.
Libri, riflessioni che mi sono tornati alla mente leggendo l’originale e bellissimo romanzo di Emanuele Pettener “Floridiana”, pubblicato da Arkadia (2021) nella collana “Senza Rotta”, curata da Marino Magliani, Luigi Preziosi, Paolo Ciampi.
Come si declina la maturità in questo originale romanzo? Qualcuno matura? E, se sì, chi matura tra i personaggi che animano le pagine del libro?
Prima di addentrarmi nell’analisi del romanzo, due parole sul suo autore.
Emanuele Pettener è nato a Mestre. Insegna Lingua e Letteratura italiana ed è “writer in residence” alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida) dove nel 2004 ha conseguito un Ph.D in Comparative Studies. Ha scritto articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. Ha scritto i romanzi “Mi hai lasciato e sono bellissimo” (Corbo, 2009); “Proust per bagnanti” (Meligrano, 2013); “Arancio” (Meligrano, 2014). Ha pubblicato il saggio “Nel nome del padre del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante” (Cesati, 2000). In inglese ha pubblicato la raccolta di racconti brevi, tradotti da Thomas de Angelis, “A season in Florida” (Bordighera Press, 2014). Ha curato il cinquantesimo numero della rivista “Nuova Prosa” (2009).
E ora la trama di “Floridiana” in breve: il romanzo è ambientato, per gran parte a Boca Raton, in Florida, l’ultima parte a Venezia. Tom, il narratore, – un dentista in pensione – lascia la moglie che ama molto, dopo molti anni di matrimonio, perché ha l’impressione di non essere riamato. Si rifugia in un motel e, da lì, racconta a noi lettori la storia della sua vita fino al momento della rottura con la moglie. Ci narra delle due grandi passioni che lo abitano: l’amore per la famiglia e quello, altrettanto intenso, per la scrittura e la letteratura, con il dubbio che lo rode e l’interrogativo che lo assilla se la sua sia vera, autentica vocazione letteraria. Convinto che la moglie, April, lo tradisca con Juan, suo ex compagno di studi in un corso di Creative Writing, e ora ginecologo di April, decide di trascorrere una vacanza-studio a Venezia con tre amici e un gruppo di studenti tra cui una ragazza argentina, Laura, con la quale intreccerà un profondo rapporto di amicizia. E, dunque, il romanzo continua e termina con il racconto della vacanza a Venezia.
Non mi soffermerò ulteriormente sulla trama ma sui registri narrativi, sulle tematiche, sulla scrittura di Pettener. Mi soffermerò, in particolare, sulla figura di Tom anche se tutti gli altri personaggi meriterebbero analisi approfondite, ma in Tom si concentrano le tematiche importanti di “Floridiana”.
Riprendo il discorso sulla maturità. È un rapporto maturo quello che intrattengono April e Tom? E qual è il rapporto che Tom intrattiene con i figli ormai adulti? Si prende cura di loro quando è necessario o sono loro a prendersi cura di lui in un ribaltamento dei ruoli? E, ancora, che rapporto intrattiene con l’amico Nick e il presunto rivale in amore Juan?
Fili che si dipanano, si ingarbugliano, si dipanano ancora mentre il romanzo prosegue. Fili che forse imprigionano segreti di famiglia, non detti, spazi di silenzio. Rapporti che sono descritti da Pettener con un tocco magico, un tocco pieno di leggerezza e di profondità allo stesso tempo.
Ci si chiede: “Tom ha un io infantile o sono gli altri che lo infantilizzano?” Viene in mente Eric Berne, lo psicoanalista che, ad un certo punto della sua vita, inventò l’Analisi Transazionale. Viene in mente uno dei suoi libri più famosi: “A che gioco giochiamo” (Bompiani, 1987) un testo in cui Berne descrive il gioco delle relazioni interpersonali in cui sono all’opera l’Io bambino, l’Io genitore, l’Io adulto. In “Floridiana” c’è davvero un caleidoscopico gioco in cui emergono, di volta in volta, l’Io bambino, quello genitore, quello adulto, quegli Io che formano, secondo Berne, la struttura complessa della nostra personalità. L’emergere degli Io diversi sono quelli che fanno slittare il romanzo dal registro comico, a quello drammatico, a quello tragico. Anche se su tutte le vicende aleggia sempre uno stato di malinconia, una nostalgia per qualcosa che, a volte, sembra inafferrabile. Ed è anche per questo motivo che i personaggi sono tutti tridimensionali intendendo con questo che ci sembra di averli lì, davanti a noi, in carne e ossa. Limitiamoci a Tom. Si legge e si passa dall’empatia, alla rabbia per alcune delle scelte che Tom fa. Lo si vorrebbe consigliare, sconsigliare, consolare a seconda delle situazioni in cui si trova. Questo è il frutto della tridimensionalità del personaggio e vale anche per gli altri.
Tutti, poi, sono inseriti in paesaggi superbamente descritti. Un solo esempio: è da tre giorni che Tom è senza April. Decide di andare in spiaggia a Red Reef e così la descrive:
“La luce del sole barbagliava sul mare. Il sole sull’acqua mi ricorda sempre la mia infanzia. È strano perché non ho avuto un’infanzia sul mare. Forse è l’infanzia di qualcun altro. Il blu attraversato dai flash del sole tropicale, il cielo così luminosamente e intensamente azzurro solcato da nuvoloni bianchi e biancastri, simili a enormi vacche allegre e giocose. Verso l’orizzonte l’azzurro impallidisce, sembra si scusi: una nave galleggia sulla linea di confine tra cielo e mare. Alle mie spalle, la giungla di sea grapes, dalle foglie venate di rosso, in mezzo ai quali spuntano palme ingiallite dal sole (il mare verde delle sea grapes è attraversabile grazie a una passerella di legno sopraelevata, ove è gradevole passeggiare osservando, nell’intrico di piante, in alto la spiaggia e la distesa possente dell’oceano, in basso la vita che si popola alle radici, scoiattoli stupiti e lucertole color smeraldo e gli enormi banana spider che filano le proprie mirabili tele fra i rami e i bordi della passerella)” (Pag. 119-20)
Tom è un uomo portato all’introspezione e si interroga sovente sulle sue relazioni, sulla sua, reale o presunta, vocazione letteraria, su che senso dare alla vita in generale e la sua in particolare. Quando Tom e April sono sul punto di separarsi, proprio all’inizio del romanzo, e Tom descrive la mattina in cui tutto è cominciato, la sua descrizione non si limita a una cronaca:
“Ce ne stavamo a far colazione in veranda, ed era una mattina idilliaca, oh che mattina! Una di quelle mattine che ti deliziano e ti tormentano, e ti tormentano per lo stesso motivo per cui ti deliziano. Sono così piene di vita che avverti nella carne il rimorso di non aver più tempo a disposizione – per creare i capolavori che t’ispirano, per impossessarsi della gioia completa della vita che ti rendono palese, per viaggiare, amare, bruciare, o semplicemente per goderle in ogni fragrante attimo di chiarezza e blu. Ma, se ci penso, anche a vent’anni sentivo il rimorso di quelle mattine, forse pure a dieci, sembravano sempre dirmi che non stavo vivendo abbastanza, mi facevano sentire la felicità sulla pelle e mi presentavano il conto: ecco la felicità, ma tanto non saprai mai possederla del tutto” (Pag. 17).
Il fatto è che la felicità è sempre una felicità di cristallo per noi umani gettati in un mondo precario, caduco. Tom sembra saperlo bene questo.
In quella mattina tutto precipita perché Tom ha l’impressione che April non abbia ascoltato con sufficiente attenzione, o che proprio non abbia ascoltato, l’ultimo racconto che lui ha scritto e che le ha letto: “Le stavo leggendo il mio ultimo racconto e, a metà della scena cruciale, lei mi domanda ex abrupto: ‘Ti sei ricordato i fagiolini?’” (Pag. 18).
È permalosità o è una ferita narcisistica? E, se è una ferita narcisistica, quale ruolo ha la scrittura nella vita di Tom? Quale ruolo ha la scrittura nella vita? La vocazione letteraria – quella vocazione letteraria che Proust insegue nel corso di tutta la Recherche e che trova dopo intoppi, scacchi, dilazioni, digressioni nell’ultimo volume, quello del Tempo Ritrovato – è così importante nell’economia dell’esistenza di Tom?
Quando Tom non si sente valorizzato, quando non vede riconosciuta l’importanza dei suoi tentativi letterari scrive:
“Anche qualora l’effetto di questo tentativo sia solo un balbettio, questo balbettio è più vero di tutte le convenzioni, gli alibi, le maschere morali, le imitazioni volute o meno che vi si affastellano attorno, quella che chiamiamo vita ed è solo esistenza, pacchiano esibirsi sul palcoscenico di un mondo del quale non ci consideriamo mai all’altezza – ecco, scrivere è il tentativo in extremis di non dar più così importanza al mondo, a quello che il mondo pretende da noi, e squarciare una a una le maschere fasulle che ci siamo appiccicati per accontentarlo, blandirlo, servirlo – e cercare invece quel nocciolo profondissimo di verità che sta dietro tutto e dentro di noi, quel diamante purissimo, quel balbettio” (Pag. 26).
Ma, in un’altra parte del romanzo, dopo aver parlato con l’amico Nick, Tom afferma:
“Forse aveva ragione Nick. La scrittura non significa smettere di esibirsi sul palcoscenico per lusingare il mondo, ma è l’ultimo disperato tentativo di farlo. Non è la noce del mio io, non è l’estremo tentativo di balbettare la verità su me stesso, il piccolo diamante puro avvolto in mille sfoglie di menzogne, celato da mille maschere – ma è l’ultima menzogna, l’ultima maschera, tolta la quale non rimane nulla, solo l’aria di cui siam composti” (Pag. 91)
A proposito di vocazione letteraria e di essere pubblicati c’è una pagina molto bella in cui potranno riconoscersi molti di coloro che rammentano cosa hanno provato la prima volta che sono stati pubblicati: la gioia infantile, il senso di pienezza anche se la sua durata è quella de l’espace d’un matin.
Una piccola rivista ha accettato di pubblicare il racconto di Tom “Il diavolo a colazione”. Ecco la sua reazione:
“La felicità che provai quel 30 novembre 1989 fu una felicità totale, immune da considerazioni sul tempo e sulla morte e sul senso della vita, come uscire fuori di sé e assaggiare il paradiso da vivi” (Pag. 212).
Poi la reazione si trasforma forse in qualcosa di ancora più autentico, forse in qualcosa di infantile, forse in qualcosa che contiene sia l’autentico sia l’infantile:
“Mi si sciolse l’anima: piansi e piansi come un bambino, piansi di gioia e di gratitudine, e arrivai in studio beato, in ritardo clamoroso, implorando perdono con volto angelico ai miei pazienti sbigottiti. Adducendo un’emergenza privata e altre corbellerie” (Pag. 213)
Un momento unico che si incrinerà a causa del rapporto complicato di Tom con April che, comunque, l’aiuterà nelle altre pubblicazioni:
“Altri racconti vennero accettati, ma le emozioni che ricavai furono sempre lontane da quell’estasi del 30 novembre 1989: vaghe impressioni di contentezza o di soddisfazione sempre smussate da sentimenti autoironici (quando per esempio mi arrivò un assegno di venticinque dollari) fino all’indifferenza nuda e cruda. Una volta raggiunto un numero consistente di racconti, cominciai a contattare agenti ed editori indipendenti per proporre la raccolta, e la litania dei rifiuti ricominciò. Era deprimente, umiliante, finché un giorno April non se ne venne fuori con questo suo amico editore di una piccola press legata a un college del Minnesota” (Pag. 214-15).
Come dicevo più sopra c’è sempre un velo di insoddisfazione in Tom, una malinconia che lo abita, la consapevolezza della nostra caducità, come se si domandasse cosa rimane, alla fine, di tutto quello che noi facciamo; c’è sempre una pesante ombra di gelosia che lo assilla. Gelosia non solo per Juan, ma anche per le pubblicazioni della moglie, influenzate dai critici e filosofi francesi à la Derrida. Quale significato avrà per Tom la vacanza-studio a Venezia, quella Venezia così importante per il ritrovamento della vocazione letteraria in Proust? Come andrà a finire? Come andrà a finire la storia con la ragazza argentina Laura che sembra molto apprezzare la scrittura di Tom, tanto da definirla una scrittura visuale E ancora, in finale, quali Io saranno sollecitati a emergere? L’Io bambino, quello genitore, quello adulto? Si sveleranno segreti? Al lettore scoprirlo Laura definisce la scrittura di Tom una scrittura visuale. Non è forse quella di Pettener, oltre che ad essere densa, elegante, introspettiva, suggestiva, fortemente evocativa, anche una scrittura visuale, una scrittura che dipinge?
Andrea Cabassi
Il link alla recensione su Giuditta legge: https://bit.ly/3Cjwdtv