“8 dicembre 1940
I preparativi fervevano da alcuni giorni.
Quella domenica pomeriggio, festa dell’Immacolata Concezione, Roma pareva dormire distesa lungo gli argini del Tevere. Il giorno prima aveva lasciato l’amaro in bocca a mia madre Miriam che non si dava pace.
«Che sia maledetto il sabato fascista.»
Mio padre, incollato alla radio tenuta a basso volume, seguiva la partita Lazio-Torino, non sembrava prestare attenzione alle parole di Miriam, ma all’improvviso si alzò dalla sedia, andò da lei e se l’abbracciò stretta.
«Vedrai, si aggiusta tutto. Facciamo passare la buriana. Intanto sistemiamo Sara al sicuro. Noi staremo bene cara vedrai, vedrai.»
Se la cullava come fosse una bambina imbronciata. «Dio conta le lacrime delle donne.»
«E allora che le contasse per bene perché le ho finite.»”
Inizia così il libro di Maria Caterina Prezioso e poi continua con la proclamazione della guerra il 10 giugno 1940 quando Mussolini dal balcone di Piazza Venezia annunciò l’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Hitler. Sappiamo che un mese prima, l’esercito nazista aveva occupato il Belgio e le truppe tedesche avevano occupato Bruxelles.
Sara e Silvana, l’una scampata alla Shoa, troverà rifugio a Sperlonga, l’altra verrà ricoverata al Forlanini, intrecciando le loro storie e nella dedica l’autrice scrive “A Silvana del mio ricordo. A Sara della mia immaginazione” ci sono due elementi fondamentali della sua scrittura. Il ricordo e l’immaginazione.
E mentre la guerra infuria Silvana si ammala di tubercolosi e conosciamo il Sanatorio e il modo come allora, senza antibiotici, si veniva curati.
L’ospedale Carlo Forlanini, il “Sanatorio” ospitava tanti ragazzi e ragazze con duemilasessanta posti letto a fine del 1940. L’ospedale era diviso in quattro padiglioni, due riservati alle donne e gli altri due agli uomini, più un reparto chiamato clinica medica-donne. Nel 1941 si aggiunse un nuovo padiglione ortopedico costituito da altri duecentocinquantuno posti letto dedicati esclusivamente a quelli che erano affetti da forme tubercolari osteoarticolari… la tubercolosi ossea. Vi era a capo il professor Giusto Fegiz un medico umano e professionale.
Leggiamo nelle pagine del libro la storia d’Italia fino alla fine della guerra fino al voto con la grande speranza verso un futuro “Il 2 giugno noi donne andammo per la prima volta a votare. Ci recammo in massa alle urne. Non fu una concessione, ma una conquista. Anche noi avevamo fatto la resistenza, partecipato attivamente alla lotta di liberazione. L’Italia uscita dalla guerra era chiamata a decidere con voto finalmente libero tra Repubblica e Monarchia.”
Un libro molto accurato nella ricostruzione storica e un libro che tutti dovrebbero leggere per sapere com’è facile piombare in una guerra.
Una testimonianza seria questa di Maria Caterina Prezioso, nostra amica nel Regno della Litweb con un romanzo di un “nuovo neorealismo poetico”
Ippolita Luzzo
La recensione su Il Regno della Litweb
Maria Caterina Prezioso racconta con il suo romanzo “I giorni pari” la storia di Sara e Silvana. Sara ebrea romana e la sua famiglia perseguitata per la loro appartenenza alla razza ebraica. Silvana vive con la sua famiglia nelle case popolari del quartiere di Roma a Val Melaina. Siamo negli anni 1940/1955, periodo in cui le leggi razziali si fanno sempre più dure. I genitori di Sara, Gino e Miriam, sono costretti a separarsi dalla figlia sperando in un futuro migliore che li veda ricongiungersi a Sperlonga, luogo dove la fanno fuggire per metterla al riparo. Silvana invece, affronterà una malattia che la porterà ad essere ricoverata al Forlanini, allora il Sanatorio di Roma.
Perché se li nominiamo e raccontiamo le loro storie i nostri morti non muoiono.
Da questa citazione, che troviamo nel libro, tratta da “La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l’oblio” di Luis Sepulveda, percepiamo l’importanza di narrare le storie per rendere eterna la vita delle persone che sono morte in quegli eventi terribili, ma che tornano alla memoria attraverso il nero su bianco impresso sulla carta; testimonianza di una memoria che non tarda ad arrivare e che si spera attivi una coscienza su queste note dolenti di storia.
Perché questo titolo: I giorni pari?
Grazie per la domanda e per lo spazio che mi avete concesso.
Il titolo del romanzo è venuto subito, fin dalla prima stesura. È un omaggio alla scrittura, al teatro di Edoardo De Filippo e alla sua “La Cantata dei giorni pari”, nella quale il grande drammaturgo raccoglie le commedie giovanili scritte dal 1920, appena ventenne, al 1942, quando mise in scena “Io, l’erede“. Per il popolo napoletano “i giorni pari” (a differenza dei dispari) sono i giorni fortunati, i giorni che aprono al futuro, nella determinata ricerca di un domani migliore.
La risposta dell’autrice ci proietta verso un domani che ci veda migliori di ieri, i giorni fortunati dove tutto potrà tornare a scorrere in una normale giornata, dove si possano assaporare i giorni pari, i giorni fortunati, i giorni che aprono al futuro, per ricominciare da adesso in avanti.
Luisa Di Bagno
La recensione su Il secondo mestiere
Mi si potrebbe far notare che non è molto elegante scrivere una recensione per un libro pubblicato dalla casa editrice per cui ho pubblicato un libro pure io, tanto più che qui stiamo parlando anche della stessa collana, proprio la stessa: sideKar.
Ma io dico che ogni tanto è piacevole anche fare qualche eccezione all’eleganza e questa è una di quelle eccezioni.
Faccio una premessa senza la pretesta di dire una grande verità fino a ora nascosta e rivelata da me ai più. C’è, nell’editoria, la capacità di inseguire e accodarsi alle tendenze. Ci sono quei libri che, per un motivo o per l’altro, hanno venduto e che poi a un certo punto si trovano a dover fronteggiare la concorrenza di innumerevoli cloni. Se per esempio, all’improvviso, una saga familiare ha venduto parecchio, dopo poco vedremo spuntare saghe familiari, più o meno belle che andranno a saturare una nicchia.
Anche con i racconti ambientati nella Seconda Guerra Mondiale da un po’ di tempo a questa parte abbiamo assistito a un fenomeno simile, ma per quanto queste nicchie, tutte, tendando prima o dopo a saturarsi e a produrre copie sbiadite, ogni tanto capita la fortuna di leggere qualcosa che si distingue dalla massa.
Nel caso specifico mi riferisco al romanzo “I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso. Come si sarà capito il romanzo prende vita all’alba della Seconda Guerra Mondiale ma ha la capacità, a un certo punto, di lasciarsela alle spalle per andare oltre. Si parte dal 1940 e si arriva fino al 1955 ma ci sono tracce, seminate un po’ per farci fare ulteriore strada, che portano con lo sguardo anche più avanti. Il romanzo ruota attorno a due figure femminili capaci di fare da catalizzatore. Dapprima incontriamo Sara, una ragazza ebrea che a poco a poco vede sgretolarsi il terreno sul quale appoggia i suoi piedi, ed costretta a rifugiarsi nel piccolo borgo di Sperlonga per avere la speranza di sfuggire dalla repressione fascista. La seconda protagonista è Silvana, una ragazza che vive nella povertà, in un ambiente familiare tutt’altro che sereno e che abitando a Roma viene ricoverata al sanatorio Forlanini a causa della tubercolosi, una malattia che in quel momento sta falcidiando uomini e donne di tutte le età e che difficilmente lascia scampo. Grazie a queste due protagoniste, dotate di una purezza d’animo quasi disarmante, non solo conosceremo la storia ma anche l’impatto che questa ha avuto nella vita delle persona che Maria Caterina Prezioso ci presenta.
Questo è un romanzo che ci mostra come attaccarci alla vita, come fare il meglio che possiamo con il tempo che ci è stato concesso nonostante, al di fuori, infuri la burrasca. E qui arrivo al motivo per cui mi è piaciuto leggere questo romanzo. Fin dalla prima pagina ho sentito che dietro alla costruzione narrativa, dietro ai periodi più o meno lunghi, dietro ai dialoghi, al racconto dei fatti storici, allo spauracchio del Nazismo e del Fascismo, dietro a tutto questo c’erano, prima di tutto, persone. Maria Caterina Prezioso è riuscita a farmici affezionare e non è una cosa semplice. Ho visto come l’impatto della storia si è scagliato contro queste persone, ho visto come da dentro non sia così semplice cogliere i segnali della distruzione e mi è sembrato che questo romanzo fosse terribilmente attuale. “I giorni pari” è un romanzo genuino, cosa che per quel che mi riguarda, è un gran bel complimento. La scrittura si dipana sincera pagina dopo pagina al punto che pare di essere seduti ad ascoltare il racconto di un vecchio zio che ha vissuto sulla sua pelle quegli eventi storici.
E’ una bella storia che vi invito a leggere perché ogni tanto è bello vedere l’empatia che prende il sopravvento su tutto il resto.
Nata a Roma nel 1961 ha pubblicato una raccolta poetica intitolata Nelle rughe del muro (Ibiskos, 1991). Per il teatro ha scritto La risposta di Leonardo (con Giuliana Majocchi, Il Segnale, 1996), messa in scena per la regia di Sergio de Sandro Salvati dalla Compagnia della Medusa (Teatro Oda di Foggia e Teatro Verga di Milano, premio migliore spettacolo) e La stanza. La festa dei Tuareg (Titivillus, 2004). Ha poi pubblicato i romanzi Il gioco n. 33 (Il Ventaglio, 1993), Il colpo (Pequod edizioni, 2008), Cronache binarie (Enzo Delfino Editore, 2011), Blu cavolfiore (Golena, 2013), La ballata dei giorni della pioggia (Kogoi Edizioni, 2016). Nel 2018 esce, coautrice Giuliana Majocchi, Pina & Max (Edizioni Leucotea, 2018). Alcuni suoi racconti e novelle sono stati pubblicati in diverse riviste di letteratura (“Storie”, “Omero”, “In-Edito”, “TutteStorie”, “EllinSelae”). Collabora con la rivista “Satisfiction”. Per Arkadia Editore ha pubblicato I giorni pari (2024).
Gianluigi Bodi
La recensione su Senzaudio
“Mi insegni a scrivere bene? Così faccio bella figura a scuola. Se m’insegni, non te ne pentirai, ti mostro un posto che non hai mai visto di sicuro”.
Ci porta così, in un posto visitato mille volte eppure inedito, Maria Caterina Prezioso con il suo romanzo I giorni pari, edito da Arkadia. Già autrice di narrativa, poesia e teatro, Prezioso ci regala forse la sua narrazione più intima, aprendo una finestra sulla vita di due adolescenti, Sara e Silvana che vivono i loro anni più fulgenti con il riverbero delle bombe, la paura dell’oppressore e quel costante senso annichilimento che solo la guerra può portare.
Sara è una ragazzina ebrea che sfugge la deportazione trovando riparo in un piccolo borgo di Sperlonga presso una famiglia che l’accoglierà e nella quale, inaspettatamente, troverà l’amore passionale che la porterà ad essere una donna. Silvana invece è di Val Melaina, una borgata romana, ma vede trascorrere il tempo dalle vetrate del Forlanini, il sanatorio di Roma, nel quale si trova a causa del secondo flagello che accompagna ogni conflitto, la malattia.
Le avventure di una sono lo specchio delle esperienze e dei riti iniziatici dell’altra, i passi ineludibili di ogni adolescenza. La guerra irrompe ma è vissuta con la percezione di un suono di ritorno, ovattato e lontano.
“Una settimana dopo gli Alleati bombardarono Roma. 19 luglio 1943. Nel pomeriggio Pio XII si recò di persona a consolare e benedire la popolazione del quartiere San Lorenzo, devastato dalle bombe. La paura mi prese, non sapevo come mettermi in contatto con i miei. Pregai Giuseppe di trovare un modo, ma lui alzò le spalle e si chiuse in un cupo silenzio.”
Sara.
“Quei mesi del 1941. Il mio primo anno di sanatorio. L’Italia era in guerra, ma di quella guerra al Forlanini se ne parlava di rado. Tutti noi eravamo impegnati in un’altra guerra. Ada la chiamava – la guerra di tutte le guerre. Combattiamo per la vita. La guerra del Duce lasciamola a quelli di fuori. Lasciamola a loro, a loro che si pensano sani e hanno paura di noi”.
Silvana
Sara e Silvana, Silvana e Sara, due esistenze marginalizzate nel periodo più feroce della storia moderna ma che con le loro voci in alternanza danno i contorni delle vite che in quegli anni combattono, cedono, si spezzano, si arruolano nella Brigata Ebraica, diventano partigiane.
“Una mattina dei primi di maggio del 1948, erano passati tre anni, arrivò in paese un uomo che chiese di incontrarmi, lo aveva portato Italo via mare da Gaeta”.
Ci vedemmo al Belvedere. Al suo fianco c’era una donna molto bella. Gli occhi di Rodolfo brillavano finalmente di felicità.
“Sara, prima di andare te la volevo presentare. Lei è Ada Sereni. Ada ha coordinato in questi anni l’immigrazione clandestina ebraica verso Israele.” La donna mi abbracciò come fossimo sorelle. Ci sedemmo a guardare il mare. “Sì Sara, e partenze per Israele sono cominciate da aprile dello scorso anno. Alcune navi partono dal molo di Gaeta, altre dall’altra estremità del golfo, verso Gianola. Abbiamo dovuto fare molta attenzione, gli inglesi sono contrari ovviamente, ma presto, molto presto, è questione di giorni, forse solo di ore diventeremo una Nazione e non potranno più opporsi”.
Una stagione che torna con la puntualità dell’esistere e del morire, scelte che non vivono come un’eco lontana, ma che si concretizzano nel qui e nell’ora. Oggi per l’appunto.
A mezzo di una lingua asciutta e priva di sbavature, Prezioso ci regala una, anzi due storie destinate forse ad incrociarsi a mezzo di una lettura fluida, che ripercorre i grandi eventi, i nomi che li hanno determinati e i sogni infranti e poi riacciuffati di due vite ancora acerbe che hanno calcato gli anni più bui del secolo breve. Nei giorni in cui si è consumato tutto, il genocidio e la resistenza, la burocratizzazione delle deportazioni e la rivoluzione, la morte inflitta e la vita alla quale ci si aggrappa. Sempre e nonostante tutto.
“La mattina del 20 giugno 1960 mi alzai come sempre. Cominciava ad albeggiare, lui mi raggiunse e mi riportò a letto, era ancora presto, facemmo l’amore mentre il sole spuntava davanti a noi.”
Angela Vecchione
Il link alla recensione su Ex Libris 20: https://lc.cx/Ksizze
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso, Arkadia, 2024
Roma, il ghetto ebraico e il quartiere popolare di Val Melaina; Sara e Silvana, due ragazze che crescono negli anni peggiori del Novecento; un paesino, un sanatorio e la quotidianità con le sue gioie e i suoi dolori. Sono i punti cardine del romanzo “I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso, ambientato tra il 1940 e il 1955. Quindici anni in cui il Bel Paese fu travolto dalla catastrofe delle leggi razziali, dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla ricostruzione della Repubblica. Ma come si sa, la Storia è una serie di conquiste e di sconfitte che non è in grado di raccontare sempre, con dovizia di particolari, la vita degli esclusi e degli emarginati. Prezioso parte da loro, dagli ultimi, e lo fa con mano delicata, senza calcare o sbiadire alcuni passaggi, ma mettendo sullo stesso piano emozioni, sentimenti e accadimenti. Ciò che è avvenuto non può essere cancellato, tantomeno può essere revisionato o rimodellato secondo il nostro pensiero. Il nostro dovere è apprendere e fare tesoro della lezione che ci giunge dal passato. Sospeso ogni giudizio, la scrittrice romana dà vita a personaggi “eroici”, perché prima di reagire si guardano intorno. Ma si badi bene, il loro non è un atteggiamento arrendevole, bensì dettato dalla necessità di sopravvivere. Non è neanche “resilienza”, parola così in voga in questi decenni di furbi parallelismi, ma è azione meditata, vera rivoluzione della coscienza. “I giorni pari” infatti non è solo un romanzo che narra di due ragazze capaci di riscattarsi attraverso le vicissitudini della storia, ma è la voce di una generazione che ha saputo creare un ribaltamento di prospettiva. Sara e Silvana sono donne che reagiscono, che sanno vedere la luce in fondo al tunnel, che si sacrificano in prima persona. La storia non cambia: ci saranno sempre ricchi e poveri, disuguaglianze, ingiustizie, guerre, estremismi che annichiliscono, uomini di potere isterici che vengono amati dalle masse. Perciò non possiamo definire questo romanzo l’ennesimo “libro dalle tinte storiche che vuole scuotere le coscienze”. Qui siamo di fronte a un’opera che ha per tema la “rivolta interiore”, la ricerca del senso di esistere. La storia, in quanto prodotta dagli uomini, è la somma di una sequenza di aporie su cui è inutile continuare a discutere, proprio perché ciascuna di esse è irrisolvibile. La rivoluzione che avviene nelle coscienze di ognuno è il dato fondamentale, ed è ciò che stimola la nascita di nuove categorie di pensiero. Questo avvenne in quegli anni? Sicuramente, ma sempre grazie a un movimento spontaneo che ha prima ragionato e poi aggirato il “male”. Sara e Silvana sapranno essere “malattia” e “medicina” per loro stesse; come tutti cadono e si rialzano, gioiscono e patiscono, sanno rispondere alla volontà di vita con una speranza attiva.
Martino Ciano
Il link alla recensione su Border Liber: https://tinyurl.com/4arb29ut
8 dicembre 1940. Nel primo pomeriggio salgono su un treno che li conduce a Fondi. Hanno con sé una sola valigia, piccola, per non dare nell’occhio. Nessuno fa loro caso. D’altra parte, sono una tipica famiglia italiana, come tante. Giunti a Fondi, resta da percorrere un ultimo pezzo di strada, a piedi. Sperlonga, il paese che Gino, sua moglie Miriam e la giovane Sara raggiungono, è attaccato a uno sperone e pare deserto. L’uomo che li ha accompagnati lungo il percorso e che ha appena depositato la valigia davanti alla porta di una casa spiega che a quell’ora sono tutti alla messa della sera. L’uscio si apre e ne esce una signora, che con fare frettoloso fa entrare Sara e sua madre, mentre il padre si attarda a parlare con l’accompagnatore. L’anziana signora mostra alla giovane la stanza che l’ospiterà. Sì, perché le leggi razziali, sempre più rigide, stanno rendendo sempre più difficile la vita a chi, come Sara e i suoi genitori, è di religione ebraica. Ecco la ragione per cui Gino e Miriam hanno deciso di separarsi e di affidare la figlia alla famiglia di Sperlonga presso la quale sono appena giunti. Sara verrà presentata come una lontana cugina, arrivata da Roma per respirare aria di mare e cercare di porre rimedio a uno stato di salute cagionevole. Gino e Miriam sono certi che la situazione migliorerà presto e che in tempi rapidi potranno ricongiungersi alla figlia. Anzi, non è escluso che, risolto ogni problema legato alle leggi razziali, l’intera famiglia possa trasferirsi a Sperlonga: in questo modo Gino potrebbe aprire lì una nuova farmacia, identica a quella ereditata dal padre e gestita per molto tempo a Roma, prima di essere costretto a cederla, almeno sulla carta, all’amico Vittorio che, in quanto non ebreo, può continuare a lavorare senza alcuna limitazione. 12 dicembre 1940. Silvana – terza figlia, non desiderata, di Caterina e Domenico – non sta bene. Sputa sangue, tossisce forte e i suoi polmoni bruciano mentre, allo stesso tempo, cercano aria. La giovane ha la tubercolosi e, per cercare di aiutarla, deve essere ricoverata in Sanatorio, al Forlanini. Lì, ci sarà chi si prenderà cura di lei. Inoltre suo padre non la abbandonerà, ma andrà a trovarla tutte le volte che gli sarà possibile… Sara e Silvana sono due ragazze che vivono gli anni della loro giovinezza nell’Italia angustiata dalla ferocia della guerra. Sono gli anni in cui si assiste prima all’avvento del fascismo e poi alla sua caduta rovinosa, in cui la seconda guerra mondiale porta devastazione e morte, in cui la rinascita dopo il conflitto è complessa e dura. La prima è una giovane ebrea scampata alla Shoà che trova riparo in un borgo laziale, presso una famiglia che ha accettato di occuparsene, dietro compenso. La seconda, invece, è di salute cagionevole, ha la tubercolosi e deve essere ricoverata in Sanatorio, dove può trovare le cure necessarie per sopravvivere. Due storie diverse, accomunate tuttavia dalle stesse difficoltà, quelle legate a un periodo storico difficile, a condizioni economiche non floride, a situazioni familiari complesse. Due giovani che diventano donne attraverso un percorso irto di difficoltà e ostacoli; uno spaccato di vita immerso in una pagina della Storia della quale non si parla mai a sufficienza. Quel che emerge è il ritratto di un’epoca complessa, all’interno della quale si muovono personaggi che, al netto di alcune criticità – qualche ripetizione di troppo, il ricorso a cliché e frasi fatte che rallentano in alcuni tratti il ritmo della lettura – Maria Caterina Prezioso è riuscita a rendere con sufficiente verosimiglianza. Sara e Silvana sono fragili e forti allo stesso tempo; sono giovani ma imparano, a loro spese, ad affrontare le avversità della vita e a ritagliare il loro posto nel mondo; suscitano la simpatia del lettore che si ritrova a fare il tifo per loro e a desiderare per entrambe un futuro di luce.
Connie Bandini
Il link alla recensione su Mangialibri: https://tinyurl.com/bdetdz5c
Titolo
I giorni pari
Autrice
Maria Caterina Prezioso
Editore:
Arkadia editrice
Sinossi
Italia 1940-1955. Sara e Silvana, una specchio dell’altra. Due storie che si alternano per poi forse incontrarsi solo anni dopo. Anni vissuti l’una all’insaputa dell’altra. Anni feroci in Italia e nel mondo. Quelli del fascismo, della Seconda guerra mondiale, della sconfitta e della rinascita. Nel mezzo una Nazione allo sbando. Sara è una ragazzina ebrea che, scampata alla Shoà, troverà rifugio nel piccolo borgo di Sperlonga. Silvana, invece, è una ragazzina di Val Melaina, una borgata di Roma, immersa in una giovinezza delicata e povera che la porterà al Forlanini, il Sanatorio di Roma, luogo in cui tenterà di sopravvivere e diventare una donna. Attraverso le loro voci conosceremo gli altri personaggi, alcuni realmente esistiti altri di fantasia, le rispettive famiglie, le avventure di una stagione, la giovinezza vissuta nel periodo della guerra e gli accadimenti del periodo successivo. Come al cinema scorreranno i titoli di coda che racconteranno quale sia stato il destino di ciascuno dei protagonisti, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che si sono arresi. Dalle loro voci ascolteremo uno spaccato di quegli anni, di un’intera stagione che, per quanto si voglia provare a dimenticare, ritorna spesso con un’attualità sconcertante.
Biografia
Maria Caterina Prezioso è nata a Roma nel 1961 ha pubblicato una raccolta poetica intitolata Nelle rughe del muro (Ibiskos, 1991). Per il teatro ha scritto La risposta di Leonardo (con Giuliana Majocchi, Il Segnale, 1996), messa in scena per la regia di Sergio de Sandro Salvati dalla Compagnia della Medusa (Teatro Oda di Foggia e Teatro Verga di Milano, premio migliore spettacolo) e La stanza. La festa dei Tuareg (Titivillus, 2004). Ha poi pubblicato i romanzi Il gioco n. 33 (Il Ventaglio, 1993), Il colpo (Pequod edizioni, 2008), Cronache binarie (Enzo Delfino Editore, 2011), Blu cavolfiore (Golena, 2013), La ballata dei giorni della pioggia (Kogoi Edizioni, 2016). Nel 2018 esce, coautrice Giuliana Majocchi, Pina & Max (Edizioni Leucotea, 2018). Alcuni suoi racconti e novelle sono stati pubblicati in diverse riviste di letteratura (“Storie”, “Omero”, “In-Edito”, “TutteStorie”, “EllinSelae”). Collabora con la rivista “Satisfiction”.
Il link alla segnalazione su Premio Letterario Giovanni Comisso: https://tinyurl.com/bd46y7tv
I giorni pari è un romanzo ambientato negli anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale, con una coda che si protrae fino agli anni ’50 del secolo scorso. Protagoniste sono due ragazze, le cui vicende parallele vengono narrate a capitoli alternati. Sara e Silvana sono estranee l’una all’altra, si incontreranno fuggevolmente solo verso la…
I giorni pari è un romanzo ambientato negli anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale, con una coda che si protrae fino agli anni ’50 del secolo scorso. Protagoniste sono due ragazze, le cui vicende parallele vengono narrate a capitoli alternati. Sara e Silvana sono estranee l’una all’altra, si incontreranno fuggevolmente solo verso la fine del romanzo, eppure tra loro vi sono molte analogie. Entrambe romane, Sara, ebrea, figlia del ghetto, Silvana invece proveniente dalla borgata di Val Melaina, si ritrovano allontanate dalla famiglia per ragioni diverse. I genitori di Sara si separano dalla figlia, con dolore, per metterla al sicuro in una località fuori da Roma, dove la sua identità ebraica possa rimanere celata. Silvana invece deve lasciare la sua casa per malattia: ha la tubercolosi e viene ricoverata in sanatorio. L’esperienza dell’allontanamento, la mancanza delle persone care, l’esistenza ristretta in un ambiente estraneo è ciò che caratterizza le due giovani, ciò che le accomuna. Ci sono poi, per entrambe, amori difficili e dolorosi, un percorso di crescita personale che coincide con gli anni drammatici della guerra e quelli faticosi dell’immediato dopoguerra. Entrambe sperimentano la perdita di persone amate: i genitori di Sara vengono deportati durante il rastrellamento del ghetto di Roma, il ragazzo che ama muore combattendo tra le fila dei partigiani, mentre a Silvana è la malattia a portare via il primo fidanzatino, il padre e la sorella. Una specchio dell’altra, dunque, non si conoscono, non si incrociano se non alla fine, quando per uno strano gioco del destino si trovano per un breve periodo dirimpettaie, e si guardano da una finestra all’altra. Maria Caterina Prezioso è brava a inquadrare le vicende parallele di Sara e Silvana nel contesto storico e a rendere il senso di claustrofobia che entrambe provano, l’una nella minuscola casa di Sperlonga con la sua finestra affacciata sul mare, l’altra nel grande, affollato sanatorio nel cuore di Roma, dove vivono amori travagliati e terribili perdite.
Marisa Salabelle
Il link alla recensione su MasticadoreItalia: https://tinyurl.com/ycyutd5u