Romanzi corali, thriller storici, gender gap, lingue immaginifiche, il ritorno del conte philosophique (sicuri che se ne fosse mai andato?), attualità, Medioevo e perfino un fototesto dedicato alla geografia creativa di Antonia Pozzi: la lista delle buone letture per Natale in dieci titoli. Il pranzo narrativo è servito.
1) LAURA PARIANI, QUANDO DIO BALLAVA IL TANGO (LA NAVE DI TESEO)
Tutti gli abbandoni sono al maschile: partono, gli uomini della migrazione. Scappano, gli uomini del tradimento. Muoiono, gli uomini del lavoro duro e ultimo. Le minacce, le cinghiate, il bicchiere, la rabbia, la disperazione selvaggia: questo, sono, gli uomini.
Guai contraddirli, guai farli inciampare nei propri lombi, guai dargli figli che li disturbino.
E le donne? Alle donne, che restano sempre, va il compito di far continuare la vita. Così, resistendo, costruiscono il mondo – in cui altri uomini partiranno, scapperanno, moriranno, scompariranno.
“Una persona può cambiare vita, casa, amore, però anche se ti spogliano di tutto rimane qualcosa che sta in te da quando impari a ricordare, cioè molto prima di aver l’età della ragione: il midollo di un altro modo di vivere”.
Nel tempo in cui un pezzo di Italia si riversò oltre l’Oceano per diventare Argentina, le donne sono i connettori nel discorso, la parola e la memoria dell’amore che è stato spezzato: di generazione in generazione, di qua e di là del mare. Sedici sono, le loro storie intrecciate dentro questo romanzo corale: ogni vita riverbera di ciò che è stato prima, e in quello che manca si annidano nostalgia e rimpianto. Sul lungo corridoio della Storia, si aprono le porte delle loro esistenze minime, gravide di ricordi ma mai ricordate. Una madre senza figli, una figlia senza padre, una bisnonna senza patria. E ancora: una, diventata moglie per procura, un’altra abbandonata incinta a sedici anni, una infine sedotta da uno zio, un’altra ancora sposata all’assassino di suo fratello. La loro voce sale dalle pagine di questo romanzo, rimasto per troppo tempo fuori dagli scaffali ed ora ristampato da La Nave di Teseo: epico, ardente, magistrale.
Sulla materia feroce di cui sono fatte la famiglie, sul fascismo domestico, sull’incapacità di comunicarsi come umani, sulle mille infinite compromissioni necessarie per sopravvivere, sulla reale possibilità di essere inclusi in una società altra, sull’essere altrove, sul perdere sé per l’idea di un mondo diverso: a questi temi universali guardano i cardini di questo libro. E per ognuno c’è un tango.
2) ROBERTO CONTU, LA TIGNA (CASTELVECCHI)
Il 15 settembre 1999, alle 8.15, la prima campanella di scuola suona sulla vita danneggiata di Renato Contro, insegnante; sulla trincea mentale di Roberta Valentini, preside; sui dubbi professionali di don Andrea Clementi, insegnante di religione.
Ma suona, la campanella del primo giorno di scuola, anche per quelli che a scuola non ci andranno, perché le loro vite di studenti stanno deviando verso un territorio che non è più contenuta dentro la scansione di ore e materie: Luca, Francesco (il primo amico), Benedetta (fidanzata di Francesco).
Roberto Contu sceglie un tema di difficilissima attualità: di ragazzine improvvisamente madri non usa molto parlare, eppure la maternità precoce è, in questi ultimi vent’anni, una realtà in cui la scuola inciampa sempre più frequentemente. Lungo i bordi di quel momento di prima, bruciante solitudine determinata dalla necessità di scegliere si muovono tutti i personaggi di questo romanzo in cui la scuola è la filigrana della società, e tra gli attori protagonisti c’è anche il senso profondo della letteratura.
“… dopo quel baratro la possibilità del bene comunque persiste, rabbiosa, tignosa della tigna più pura, che il solo poter contemplare l’idea di quel bene, di quella luce, di tutta quella vita, quello è il vero finis terrae del senso umano. Arrivare fin là, inoltrarsi fino a quella vertigine proibita, oggi, è umanamente inaccettabile per tutti, non è credibile, di più: per chi ha il dono dell’intelligenza può sembrare ingiusto, perlomeno stupido. Eppure, o la letteratura ha il coraggio di osare oltre quelle colonne d’ercole, e con lei la vita, la sua vita, la mia vita o allora sì che si diventa irrilevanti, allora sì che davvero si muore: ma non si muore, preside, no che non si muore, la domanda più assillante che dovrebbe assillarci non è perché si muore, ma perché si vive”.
Una storia di crinale: di vite in trasformazione, di domande complesse, di campanelle che suonano, di quel momento in cui si comincia a tracciare la propria consapevolezza nei ruoli dell’esistenza. Roberto Contu ha il fegato di interrogarsi, oggi, sul senso della felicità e, soprattutto, di non calcare la via del buio: le sue pagine sulla sintropia sono il miglior oroscopo che ci si possa augurare per ogni possibile domani.
3) PAOLO COGNETTI, L’ANTONIA (PONTE ALLE GRAZIE)
È una ragazzina di città, di famiglia benestante, quella che butta gli occhi oltre la lamiera della baracca appena davanti alla finestra del suo studio. E salgono, quegli occhi addomesticati nella vita milanese a covare la lontananza, fino in cima alla montagna di fronte. Su quel tavolo (a Pasturo, ai piedi della Grigna), si consumerà parte della lotta interiore della vita di Antonia Pozzi: poetessa (enorme, e postuma), alpinista (appassionata) e fotografa.
Paolo Cognetti entra, da scrittore e amante della montagna, nell’archivio di quella vita, sceglie versi, lettere e immagini e li ricuce lungo la spina dorsale dell’esistenza di Antonia Pozzi. Ne esce un ritratto vivido, dall’interno, fatto di slanci e ramponi, di amicizie e speranze, di amori segreti e ardenti: L’Antonia bruciata dal sole di agosto dopo una camminata, in cordata con Emilio Comici, innamorata del suo insegnante di latino e greco, al rifugio Mezzalama quota 3036 metri, che sogna di diventare madre (o di morire), che aspetta gli amici dell’università, che osa dare le sue poesie in lettura al suo relatore ma poi si pente. L’Antonia dei versi infiniti.
Io fui nel giorno alto che vive oltre gli abeti, io camminai su campi e monti di luce – Traversai laghi morti – ed un segreto canto mi sussurravano le onde prigioniere – passai su bianche rive, chiamando a nome le genziane sopite – Io sognai nella neve di un’immensa città di fiori sepolta – io fui sui monti come un irto fiore – e guardavo le rocce, gli alti scogli per i mari del vento – e cantavo fra me di una remota estate, che coi suoi amari rododendri m’avvampava nel sangue –
Nevai , scrive Cognetti, è “poesia di scialpinismo”, di fiori e di neve, di quelle particolari risonanze emotive che, nella vita di Antonia Pozzi, rivelano l’intensità del suo sentire. Quanto questo sia stato frutto dell’andare (tra città e montagna, tra solitudine e amore, tra pianura e ascesa) emerge in queste pagine di silenzio, di verticalità, di intensa poesia.
4) GRAZIANO GALA, SANGUE DI GIUDA (MINIMUM FAX)
Non si può non volere bene a Giuda. Però non è che lo si capisca da subito (del resto, sarà per qualcosa che lo chiameranno in quel modo, no?).
Perché Giuda è strano. Parla coi santi, parla coi gatti, parla con le pietre. Parla con le stanze della casa, che sudano e si muovono. E c’ha quella fissa di Pippo Baudo, unica divinità catodica in grado di placare lo spirito tremendo di suo padre, sempre pronto a uscirsene dalla credenza per riempirlo di botte.
Così ci vuole che si aprano le porte della casa, che il gatto Ammonio dica la sua, che il furto del vecchio televisore Mivar vada al posto che deve nel progetto che altri hanno per la vita e la casa di Giuda, che il paese cominci a rivelarsi per quello che è. E, insomma, piano piano, certo che si capisce, cos’è, quell’innominabile tradimento collettivo che gli ha strappato di dosso perfino il nome, segnando il suo destino sociale.
“Accà stavano tutti ‘ncazzati, e non cu unu a caso: accà stavano tutti ‘ncazzati cu mme. Che novità, penso: è na specialità de ‘stu paise cercare nu capro espiatorio e io, belati a parte, so’ proprio preciso per il ruolo”.
Scritto in una lingua insieme arcaica e immaginifica, fatta di terra, di lividi, di sole feroce, di ferita e di bruciante pietà. È prosa, ma suona in versi. È dialetto, ma di nessun luogo. È amaro, grottesco, paradossale. E tremendamente realistico.
5) CAROLINE CRIADO PEREZ, INVISIBILI – COME IL NOSTRO MONDO IGNORA LE DONNE IN OGNI CAMPO. DATI ALLA MANO (EINAUDI)
Fate un gioco con voi stessi: prendete un foglio di carta e scrivete il nome di un genio.
Oppure. Fate un gioco con voi stessi: prendete un foglio di carta e scrivete il nome di un robot della vostra infanzia. Estendete l’esperimento a chi vi sta intorno: quindi confrontatevi mentre, contemporaneamente, potete cominciare a interrogarvi se sarà proprio un caso che alla parola “persona” venga associato in prevalenza un immaginario maschile. Possibile che questo immaginario non condizioni il modo in cui costruiamo la nostra realtà e la abitiamo?
“La storia del genere umano. La storia dell’arte, della letteratura, della musica. La storia dell’evoluzione. Ci sono state presentate come fatti oggettivi, ma in realtà nascondono un inganno, giacché sono distorte dalla mancata percezione di metà del genere umano, e persino dalle parole che vorrebbero esprimere quelle mezze verità. Una mancata percezione che ha creato vuoti informativi, che ha alterato ciò che pensiamo di sapere su noi stessi e alimentato il mito dell’universalità maschile. E anche questo è un fatto”.
Per il Times il lavoro di Caroline Criado Perez è “un libro potente e provocatorio”. Letto dopo due anni di pandemia, una crescita spaventosa di femminicidi e un aumento della disoccupazione femminile, viene da chiedersi se, più che di provocazione, non si tratti piuttosto di una lettura della nostra realtà dannatamente lucida. Criado Perez parte dall’assunto che la mancanza di dati di genere comporti di necessità una lettura e una progettazione distorta della realtà.
Per esempio. Lo sapevamo che i crash test prevedono “di norma” l’utilizzo di manichini modellati sul corpo maschile? Che la ricerca medica è basata su campioni “di norma” prevalentemente maschili? Che la tecnologia (persino la grandezza e il peso dei cellulari che usiamo) si modella “di norma” su esigenze di corpi maschili? E ci sarà relazione tra questi assunti e il fatto che negli incidenti stradali muoiono più donne, che patologie ed effetti collaterali femminili non vengono riconosciuti (se non come eccezioni), che persino il riconoscimento vocale funziona il 70% meglio con le voci maschili?
Dal lavoro di cura non riconosciuto (interessantissima la parte in cui viene spiegato come nasce il Pil), all’organizzazione di tempi e spazi (rivelato infine il mistero del perché ai bagni delle donne c’è sempre la coda), fino ai libri scolastici, ai videogiochi, a film e cartoni animati: 450 pagine per tastare i confini di un enorme rimosso collettivo.
6) SUSANNA CLARKE, PIRANESI (FAZI EDITORE)
Un luogo che non è un luogo: una architettura labirintica e infinita, assoggettata al dominio del mare. Chiuso tra le sue stanze, Piranesi ha inventato un suo modo per segnare lo scorrere del tempo, mentre si spinge a inoltrarsi sempre più lontano nel dedalo infido degli ambienti, abitati soltanto dagli scheletri di chi vi ha perso la vita, ed è diventato ormai figura al pari di una innumerevole popolazione di statue fantastiche e immense.
Che cos’è, dunque, la Casa? Luogo di solitudine disumana. Confine sull’abisso. Perfetto limite in equilibrio tra desiderio umano ed elemento naturale. Metafora di conoscenza. Immagine di alienazione.
Vestiboli, scalinate corrotte, maree che improvvisamente inondano e possono essere fatali: dentro il labirinto, Piranesi è un Minotauro che ha smarrito la memoria di sé. L’Altro si presenta due volte alla settimana: vuole il racconto delle ultime scoperte della Casa, chiede conto, porta qualche regalo per la sopravvivenza minima.
“Una volta trovata, la porta è sempre con noi. (…) Bisogna tornare nell’ultimo luogo dove si viveva prima che il pugno di ferro della razionalità moderna afferrasse le menti degli uomini”
È la parola scritta a tenere ordine: Piranesi rinomina il mondo come un dio esiliato, tiene nota di ogni minima variazione, indicizza i discorsi che fa con l’Altro, stabilisce un calendario di movimenti in base ai pericoli che il mare muove alla Casa. Così è quando una mano sconosciuta traccia nelle stanze parole nuove, che l’equilibrio si incrina, svelando a Piranesi ciò che a lui stesso era stato occultato.
Un fantasy? Forse, meglio, il ritorno in grande stile del conte philosophique: enigmatico e appassionante.
7) BIANCA PITZORNO, SORTILEGI (BOMPIANI)
L’incantesimo è dannazione. L’incantesimo è salvazione. L’incantesimo è consolazione.
In tre racconti, una parabola sul sortilegio come elemento scardinante: una bambina troppo bella e troppo intelligente che sopravvive da sola senza la famiglia; un uomo che si innamora delle orme di una donna senza averla ancora vista; un profumo di biscotti che attraversa il mare e riempie di desiderio e sconvolgimento tutti quelli che incontra per strada, senza che li abbiano assaggiati.
Nello spazio della mancanza (la protezione della famiglia, il corpo della donna, la mano che sforna i biscotti di vento) si formula il destino, ed è sempre la parola lo strumento del cambiamento.
“Simil delitti non si scuoprono mai se non per qualche accidente, essendo delitti commessi invisibilmente e diabolicamente”
Dal Seicento al Novecento, tre secoli di incantamenti tra Toscana Sardegna e Argentina: di come l’ignoranza, per incredulità e malizia, possa cancellare la più innocente delle vite; di come l’innocenza possa trasformarsi nella più potente delle alleate e nella più fredda delle nemesi; di come il ricordo costituisca il più radicale, consolatorio, travolgente incantesimo.
Storie da un medioevo interiore per un gioiello a tre punte.
8) LUISA GASBARRI, IL MALE DEGLI ANGELI (BALDINI+CASTOLDI)
Tre donne, tutte uccise dal fuoco: belle, giovani, orribilmente sfigurate.
Per Sara Wolner non si tratta dell’effetto di tragici incidenti; qualcosa risuona nella sua testa come l’emersione di una ritualità nascosta. Quando, tra Svizzera e Germania, ottiene di poter indagare, comincia a ricomporsi la memoria di una storia oscura e scomoda.
“Il fuoco e il dolore condividevano in fondo la stessa natura: stabilivano un’incommensurabile distanza tra sé e il mondo”
Vril, si chiamava, la setta femminile dedita al viaggio iniziatico della trasformazione, che intrecciò con Hitler e il nazismo un rapporto esclusivo, ambiguo, potente. Dunque quello con cui Sara si trova a fare i conti è qualcosa di più di un dubbio: se le Vril non fossero scomparse insieme al rogo del Reich? Se qualcuno (qualcosa) stesse dando loro la caccia nei quattro cantoni d’Europa?
Un thriller che si muove nel tempo, teso e inquieto.
9) SALVATORE MASSIMO FAZIO, IL TORNELLO DEI DILEGGI (ARKADIA EDIZIONI)
In principio ci sono Paolo, Giovanna e Adriana.
Lui fa il consulente filosofico, della parola fa tormento e salvazione, la sua vita è in costante crisi, di Giovanna non vuole più sapere, ogni singolo anelito spira per Adriana.
Poi c’è il tempo di Adriana: tempo altalenante e manipolato, di volontà non coincidenti, di tentativi e ritrosie improvvise. È il tradimento compiuto, dice Paolo: quello da cui non si torna indietro.
Infine. Infine c’è Giovanna.
“Trasformati dove vuoi, con chi vuoi, ma trasforma le presenze, gli indugi e le tensioni. Ci sono altre vite qui. E mancano. Se non ti trasformi, resisti e vivi. E se resisti e vivi non è detto che non anneghi”.
Catania è il proscenio delle vite, delle nevrosi, delle mode, della dialettica infinita, del calcio come religione e diversivo, dei locali, delle notti di caldo totale. Nulla, però, è come appare. E il tornello dei dileggi è insieme giostra e gogna, finzione e infinita impostura.
10) MATTEO TREVISANI, LIBRO DEL SANGUE (EDIZIONI DI ATLANTIDE)
Di che sostanza è fatto il tempo? Forse il tema più profondo, la vera domanda che questo libro ci rivolge, è proprio questa interrogazione: mistica e in qualche modo anche magica.
C’è una sorta di tensione arcaica nel modo in cui Matteo Trevisani arriva a muovere un materiale immaginario che lavora sugli strati più profondi del nostro essere umani. Quanto di ciò che è passato prosegue in noi e si riverbera su ciò che sarà e che saremo? A questo rispondono genealogia e araldica: soprattutto quando si tratta di intervenire su una maledizione.
“C’è una ricchezza in ogni linea di sangue (…) e tutti dovrebbero poter sapere quanto lontano affonda la propria esistenza. Da quanto lontano arrivano. Vedrebbero il mondo con occhi diversi”.
Così quando Matteo si presenta a casa di Alvise, non sa che da lui acquisirà non solo il sapere e il mestiere, ma anche un modo totalmente diverso di stare tra immanenza e impermanenza. E quando riceverà via mail da un mittente sconosciuto il proprio albero genealogico, completo della data della sua stessa morte, avrà una settimana di tempo per riconnettersi al proprio passato, e per capire il vero senso di un monstrum che sembra non essersi mai pacificato.
‘IL TORNELLO DEI DILEGGI’, PRIMO ROMANZO DI SALVATORE MASSIMO FAZIO, FILOSOFO NICHILISTA
GIOVEDì 11 NOVEMBRE E’ USCITO
‘IL TORNELLO DEI DILEGGI’
IL PRIMO ROMANZO DI SALVATORE MASSIMO FAZIO
ARKADIA EDITORE in collana ECLYPSE
“Il tornello dei dileggi” (pp. 106, € 14,00, Arkadia 2021) è il debutto alla narrativa del filosofo, saggista, giornalista, pittore, Salvatore Massimo Fazio. Il romanzo punta a sconfessare i modus operandi che certune specie, appellati come esseri umani, praticano nella loro vita: sport, lavoro, istruzione, politica, sentimenti, pur d’apparire a danno di altri, che umani lo sono, ma più fragili e che sono il vero motore della società. Gli oltraggi della relazione che i due protagonisti, definiti ‘puri’, Paolo e Adriana, si scambiano, sono figli di stress causati da viscidi repressi, frustrati, malvagi ‘sviolinatori’, raccomandati da un sistema che marcia in autonomia, ma con le parole di Fazio, queste canaglie iniziano la discesa verso il loro personale successo: una cloaca di deiezioni intinta a propria immagine e somiglianza, la loro prole! L’autore, così passa da quel ‘pessimismo ragionato’, di cui è fondatore, alla pratica della restituzione: leggendolo si ride a crepapelle, ma riflettendo molto. Impegna un nugolo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà; metterà con le spalle al muro i manipolatori “meschine canaglie”, spiegando attraverso i dialoghi tra i due protagonisti e tra quattro attori di un format, Il tornello dei dileggi, le motivazioni del loro comportamento fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore: è uno psicopedagogista. Fazio approda alla narrativa con struttura e stile nuovissimi, forse eredi di quella chirurgica scrittura del saggio e non del saggista, che nei quattro giorni a seguito della pubblicazione, del Tornello è stato richiesto il rifornimento in diverse regioni italiane. Chi è Fazio? Una miscellanea tra Kafka, Marai, Brecht e Kundera? “Interessanti tutti, ma continuo a preferirgli due Francesco: Permunian e Totti”. Sorprendente!
L’autore
Salvatore Fazio detto Massimo è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”. Esordisce nel 2005 con I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza, scritto assieme al poeta Giovanni Sollima. Nel 2009 pubblica il pamphlet Villa regnante. Nel 2011 esce il libro che lo ha reso noto al grande pubblico, Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Nel 2016 firma il saggio Regressione suicida. Nel 2019 è presente nell’antologia Catanesi per sempre e, nel 2020, in Siciliani per sempre. Detesta gli ipocriti dei quali dice: “discepoli di forme distruttive, peggiori delle mafie, il loro volto è biglietto di presentazione”.
Questo, per intenderci subito, non è un romanzo su Catania, ma la città etnea è presenza invisibile. Nel Tornello dei dileggi (Salvatore Massimo Fazio, Il tornello dei dileggi, arkadia, 2021) il nome della città etnea è citato parecchie volte. Come l’apparizione della Madonna. Lei si fa vedere una volta sola: poi resta tra le mani la toponomastica, l’assenza e i desideri. Catania non si vede, ma è un nome: direi che sarebbe persino veramente innominabile in quanto indescrivibile, e per questo mille volte invocata. Un’assenza continua, come nelle migliori liriche. Silvia, Lesbia, Laura, Beatrice. Nominate, invocate, fantasmatiche. Il nome (le lettere del nome) abbracciano tutto quanto è di lei rintracciabile. Il nome desiderato, assente ed inconoscibile, oggetto di celebrazione o bestemmia. Nel Tornello ci si imbatte in luoghi e persone catanesi. Tra gli altri l’ex mister Hyde, Città vecchia, i rispettivi proprietari citati per nome e cognome, il Nievsky. È citata la via Tomaselli, piazza Roma, via Zurria, l’ex macello, la fiera di piazza Carlo Alberto scandita dal suo nome in vernacolo e dal corsivo esplicativo; l’autore ricorda anche fatti calcistici, come quando Montella fu l’allenatore sfortunato (o incapace, non saprei) del 7 – 0 subito contro la Roma. Nella storia ci sono ben altri pensieri e situazioni che appartengono al racconto e alla biografia reinventata dell’autore, che si susseguono con la rapidità di un’anguilla. Un’interessante pregio (molto altro saprà bene il lettore trovarlo in solitudine) emerge in quei momenti della scrittura, soprattutto piccoli paragrafi, in cui la voce narrante entra in palcoscenico e sembra che canti. Ovvero: quando il tono epico si sposa con l’accadimento ed emerge una positiva e per nulla nichilista affermazione dell’esistere, al punto che l’intonazione esalta l’esemplarità di un fatto. E quindi la narrazione, se non nella trama (ma essa non vale mai la qualità di qualsiasi scrittura: solo gli editori vorrebbero far credere che I Promessi Sposi raccontino una storia d’amore), sarebbe idealizzante. Leggendo Il Tornello poi sono andato fuori tema, e allora mi scuserete per questo finale forzato e personalissimo con cui mi avvio alla conclusione. Alcuni anni fa diedi in lettura un mio romanzo a un editore locale che mostrò inizialmente un certo interesse alla pubblicazione. Tuttavia nel momento di firmare il contratto espresse delle perplessità e quindi non se ne fece più nulla poiché la storia di un cavallo che fugge dalle grinfie di un malvagio macellaio avrebbe potuto urtare la sensibilità della categoria sociale. Temeva «di trovare i macellai sotto casa sua». Di quell’estrema cautela ho tratto un incoraggiamento poiché la mia scrittura non avrebbe lasciato indifferente il lettore, richiamando non solo una realtà, ma per ambigua metafora anche a una condizione esistenziale. Comunque Il salto del cavallo infine ha trovato un suo piccolo editore e potete leggerlo qui. Ma a pensarci bene c’è anche dell’altro in questa giustificazione editoriale È forse vero (potrei sbagliarmi) che della nostra città si narra prevalentemente un passato ben archiviato e masticato; oppure storie dei tempi di Brancati o De Roberto. La nostra città contemporanea, nel discorso romanzato e quindi nell’immaginario collettivo, non esiste: è la città del mare del sole e del vulcano (cioè un fatto naturale e non sociale, quindi innocuo e invisibile); oppure è un fatto gastronomico, come la pescheria, il cannolo e l’arancino bene sponsorizzati dai commercianti, pasticcerie e rosticcerie; oppure, nelle scritture più sofisticate, Catania sono le strade, ma vuote e barocche, belle ma grigie, senza cristiani, senza vita. Ci salvano i rapper. Ai lettori è concesso leggere del traffico delle automobili, il ricordo di qualche trascorsa ammazzatina, l’odore dell’arrosto come fenomeno da depliant turistico. Resistono i lettori di folclore o fiction alla Quentin Tarantino. Rimangono però salde le bellissime poesie di Martoglio dedicate alla nostra città. E per ritornare al Tornello dei dileggi di Fazio, ricordo una serata in cui l’autore e company mettevano in scena uno dei loro scherzi in quella che era la sede della Mondadori di via Umberto. Ero presente tra il pubblico, spettatore di tutta quella sacrilega ironia filosofica, oggi diventata narrazione sperimentale.
La sicilitudine sorniona di Fazio, un pastiche da non perdere
Con uno stile nuovo, che spazia dall’uso di una paratassi estrema alla distensione in periodi ampi e articolati, Salvatore Massimo Fazio debutta nel romanzo con “Il tornello dei dileggi”. Un’autofiction tra risate, commozione e interrogativi enormi, una storia complessa e intricata che l’autore riesce a rendere godibile
Dal suo esordio nel 2005 con un pamphlet scritto a quattro mani con Giovanni Sollima, L’albero di Farafi o della Sofferenza (C.U.E.C.M), passando per il racconto vincitore al premio “Segni d’amore”, dal titolo Villa Regnante”, ambientato a Palermo, dove Salvatore Massimo Fazio (nella foto di Donatello Scuto) ha vissuto gli anni del ritorno della Pantera, nel 1994, presso la facoltà di magistero nel corso di laurea in psicologia, per approdare nel 2011 con uno stranissimo saggio non categorizzabile, dal titolo Insonnie. Filosofiche, poetiche aforistiche (C.U.E.M.), che lo renderà noto al pubblico come filosofo puro antiaccademico ma non oppositivo.
Un filosofo approdato al romanzo
Si ferma Fazio e sparisce per diversi anni, quando nel 2016, presso il Palazzo della Cultura di Catania al Sabir Fest, il Festival del libro delle città del meridione, presenta la sua nuova opera Regressione suicida. Dell’abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro (Bonfirraro). Un bel colpo per l’editore mettere in scuderia il giovane, oggi maturo, quasi cinquantenne, Fazio. Nella sua Regressione, dichiara persa la guerra contro le dipendenze intellettuali dei giovani adoratori «di un qualunque docente; e loro cosa fanno? si immedesimano, fino a recitare il ruolo di questo o quell’inventore di cavolate che per secoli ci sorbiamo, facendo dimenticare ai poveri allievi il contatto con la realtà e a riempire di denari case farmaceutiche e psichiatri che forniscono tutte le loro prove sulla vittima di turno». La Regressione di Fazio è l’opera più contestata e più amata che ha avallato il successo del precedente “Insonnie”, ma non ci si sbalordisce quando, l’agitatore culturale, presidente del comitato scientifico di Etnabook, fondatore del Blog “Letto, riletto, recensito!” e operaio che costruisce neologismi e gioca con le forme della lingua italiana scritta ci dice: «Cosa ne posso sapere io della narrativa? So che mi son messo a scrivere di storielle sette anni fa e cosa è successo che un mio parente/amico/fratello Piero Lipera e la conoscenza di un agente letterario, Patrizio Zurru, mi fanno approdare al romanzo».
Tante città, un finale doppio e ambiguo
Il tornello dei dileggi (106 pagine, 14 euro), edito da Arkadia, spunta all’improvviso nel panorama editoriale italiano. Dal titolo che si ispira da un reale format, fondato dal visionario Andrea Pennisi, tenutosi per tre anni a Catania nelle piazze pubbliche, l’autore (apolide, ha vissuto a Palermo, Roma, Torino, Eastburne in Inghilterra, Bodo in Norvegia, Biella e Firenze, per tornare nel capoluogo del vulcano etneo), sembra aver trovato la chiave per aprire al mondo del suo (ex) ‘Nichilismo cognitivo’, poi nichilismo ironico e divertente, o depotenziato come mi è piaciuto definirlo. La storia che si intreccia in diverse città, quelle che Fazio ha vissuto, sono narrate per sconfessare luoghi comuni e modus operandi, per salvaguardare dalla malattia mentale proprio quei soggetti dei quali narra nel suo romanzo. Quest’ultimo si snoda tra risate e commozione, per un finale (doppio e ambiguo), che ti lascia incastrato in un interrogativo enorme: chi è Paolo, chi Adriana, chi Giovanna e ‘chi sono’ e non quali sono, le città? Cosa sorprende è lo stile: Fazio come il palermitano Rosario Palazzolo sembra essere riuscito a creare uno stile nuovo: una sorta di miscellanea stilistica che spazia dall’uso di una paratassi estrema alla distensione in periodi ampi e articolati. Un pastiche che giunge al suo apice in una pagina interamente composta da frasi relative che si susseguono come cavalli in corsa.
Eros morboso senza stereotipi
Interessante l’abilità dello scrittore di avventurarsi nelle pieghe di un eros morboso senza indugiare negli stereotipi della coppia che si ama ma non si ama, C’è autenticità in questi dialoghi d’amore, un aspetto di Fazio che andrebbe ripreso con rinvigorita convinzione nei prossimi lavori di narrativa. Fazio non ama miti letterari, dice solo che Cioran, Marai, Bonvissuto, Krauspenhaar, Cracco, Saporito, Permunian, Abbadessa, De Felice, Tomassini e le opere del maestro Francesco Totti (è un fissato di calcio e di Roma, tanto che in nessun suo libro manca il calcio e con molta profondità lo affronta), gli hanno dato tutto quello che compone la sua scrittura stratificata.
La sicilitudine sorniona (mi si passi il termine per un mio conterraneo) di Fazio rende leggera e godibile una storia complessa e intricata, un’autofiction che consiglio di leggere senza se e senza ma.
“Il tornello dei dileggi”, di Salvatore Massimo Fazio
Quarantasette anni dei quali almeno trentadue dediti alla scrittura, senza mai approcciarsi ad un corso o ad una scuola: l’anti accademismo lo coglieva da giovanissimo e quel nichilismo cognitivo, tesi che ha sviluppato e che non pochi problemi gli ha creato, oggi diventato un pessimismo ragionato, trova finalmente la sua azione pragmatica. È con Il tornello dei dileggi, pubblicato nella collana Eclypse di Arkadia Editore, che il filosofo catanese Salvatore Massimo Fazio, si dipana nei meandri della narrativa, dove un miscuglio ordinato di azioni del vivere, viene narrato, con leggerezza e allegria, sino a giungere alla chiusura di un cerchio che a tutti spetta: la differenza è il sapere come spetta. Sembra discostarsi da quelle oscurità ctonie del suo linguaggio intinto di neologismi, che permettevano di affrontare ‘margini’ filosofici quasi si parlasse di calcio, tanto che lo stesso autore asserisce che ‘semmai è il contrario’: la filosofia è la matrice dell’inutilità, del peggiorare il proprio stato di salute; il calcio no! Il calcio è forza, velocità, potenza, determinazione e infine inganno e in quell’inganno l’uomo naviga gioioso.
Non il primo libro, ma il primo romanzo assoluto: quali le circostanze in cui lo hai scritto?
«Non esistono circostanze, così come non esistono ispirazioni o ideazioni: tutto ciò che racconta la storia di Adriana, Giovanna, Paolo, Andrea e altri personaggi, altro non è che una delle forme del vivere che scelgono persone del mondo occidentale».
Dunque perché questo libro sta così tanto piacendo e facendo così discutere?
«Ho sentito e anche letto da più parti due elementi comuni da più critici: è shoccante ad un certo punto, dove l’inaspettato è anche impensabile e propone una modalità di scrittura che esula da qualunque altra. Sta di fatto che io l’ho scritto così come so fare.»
Non hai avuto un editor che ti aiutasse a renderlo fruibile per il godimento di lettura, ma anche per il mercato editoriale?
«Assolutamente, e pure bravo e un po’ troppo cavilloso per me, ma non aveva fatto i conti con i miei di cavilli. A notte inoltrata si finiva senza più darsi appuntamento. Tenui ‘ciao’ e grande attenzione ad averla vinta: così l’ho vissuta.»
Polemiche?
«Per nulla, nemmeno litigi. Sono entrato nell’ottica che il mio editor ha fatto il suo lavoro e nell’altra che come saggista sono uno dei tanti, come narratore sono unico tra i tanti unici. Pertanto la mia forma che non segue soggetto, verbo, predicato e invece poi la segue, non è errore, non è voluta, ma viene fuori proprio dall’impeto della mano guidata dalle lampadine che si accendono nel cervello.»
È un desiderio, una necessità una passione quella di scrivere?
«Una terapia. L’ho detto e lo ripeterò fino allo sfinimento: Cioran, mi ha insegnato che se detesto qualcuno devo scrivere fino a quando mi stanco che ‘X è una carogna’. Così mi alleno e così quando scrivo e ho scritto anche questo romanzo, l’ho fatto con pugno, penna bic blu e fogli di carta riciclati da stampe fallite.»
C’è un tornello e ci sono dei dileggi: cosa significa?
«Che a giro tutti ti dileggeranno almeno una volta, e che quella volta che non possono fare altro che riconoscere la tua legittimità… continueranno a dileggiarti. Questo succede a due protagonisti del romanzo: Paolo e a Giovanna, che sono rispettivamente la metafora del compagno che vota a destra e della femminista che non fa il gesto vaginale di libertà per una questione di pudicizia. Poi c’è il solo tornello, quello in cui se sbagli un millimetro di passo, rimani incastrato e puoi morire: bisogna capire se ti spiace morire.»
Un classico: quando hai letto il tuo primo libro e qual è l’autore o gli autori a cui ti sei ispirato?
«Il primo l’ho letto a 6 anni, ‘ I racconti di Remì’, storia di un bimbo cartonato sempre triste con una cartella alle spalle anche se dormiva. Autori ai quali mi sono ispirato consapevolmente, per questo romanzo, non ne ho avuti. Mi preme, ne approfitto qui, dirle che ‘penne’ del calibro di Joffo, Cioran, Permunian, Bonvissuto, Celine, De Felice, Bene e Feuerbach, hanno dato tantissimo al mio comprendere overture, stile e contenuti della narrazione. Di altri, come Carofiglio ad esempio, mi interessano solo i contenuti. Solo interesse, per capire come li vede un ex persona che decideva le sorti di altre persone.»
Perché dice questo?
«Perché non spetta all’interpretazione di un essere umano condannare o meno un altro essere umano: è la logica dello squadrismo. Si deve poter valutare assieme all’additato, questo non succede.»
Questo tuo libro sarà più comprensibile dei precedenti in particolare quelli dove è esposta la tesi del nichilismo cognitivo (comprenderai bene che nei giorni attuali, tolto Fusaro, non è facile trovare fondatori di nuove prospettive di pensiero).
«Fusaro è diligente. Fusaro è in TV. Fusaro insegna e ha pubblicato con Bompiani, che fa sempre piacere, innegabile. Io ho provveduto a dilaniarmi l’animo davanti a quattro stronzi che ripetevano a memoria la lezione appresa tra scuola e libro di scuola letto. Il mio romanzo è leggibilissimo, facile e con i messaggi mirati a diverse categorie di età.»
Passi con facilità dalla prima alla terza persona: non commettendo nemmeno un errore di metodica: quanto hanno influito gli studi liceali dato che mai hai voluto frequentare scuole specifiche?
«Io non ho maturità liceale, né approcci di studi. Sai cos’è che mi trovo a lavoro, uno dei tanti e sento persone che devono aiutare l’altro, che nei momenti di pausa dicono che un istituto tecnico o un ex istituto dell’arte o scuola magistrale, sono delle merde che non portano da nessuna parte. Beh, io sono qui, nel più importante web magazine di cultura e libri e non sto a parlare di come si prepara un potage. Questo è quanto trasmetto ne ‘Il tornello dei dileggi’: non è affatto vero che certe branche sociali quando sventolano i loro cartelli in rispetto di uguaglianza stanno combattendo per l’accoglienza o per la vita giusta, per nulla! Stanno scendendo in piazza a sparare cazzate. Certo che qualcuno che ci crede esiste, dopo un primo periodo di svezzamento se ne andrà dal circuito che frequenta, con relativa emarginazione.»
Una posizione radicale che non sempre così ferrea sembrerebbe.
«Tra Torino in primis, e Catania, città che vivo e ho vissuto più di altre è così. Il discrimine viene fuori da chi si osa chiedere perché devo tirare le pietre a mio cognato che è poliziotto. La risposta sai qual è stata? Che è uno strumento dello Stato che dovrebbe vergognarsi. Io le pietre le tiro a chi mi disturba e così lo faccio fare ai miei personaggi, che troveranno una risposta a tutto: dunque conta la forma o la sostanza? Mi sa proprio che tutti questi sbandieratori con croci celtiche o fcce del CHE, hanno bisogno di chiarirsi in uno studio medico. Adriana è una di queste persone, e ne leggerete delle belle e non inventate.»
“IL TORNELLO DEI DILEGGI”, SORRIDERE PER CAPIRE SE STESSI
In libreria da giovedì 11 novembre il nuovo libro di Salvatore Massimo Fazio, pubblicato da Arkadia Editore collana Eclypse
Scritto con la mano di un nichilista ravveduto, “Il tornello dei dileggi” è un romanzo divertente a tratti esilarante e che commuove, costellato di altrettante situazioni esilaranti continue che si incrociano con il vissuto reale di ogni persona e che sfociano negli interrogativi di base dell’esistenza. La vicenda si dipana in diverse città, quali Madrid, Roma, Torino e Catania, e impegna un nugolo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà, fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore: è uno psicopedagogista. Né di formazione, né distopico, in un nuovo modo e originale di raccontare, Fazio muove i destini dei personaggi calandoli nella società, nella politica, nelle realtà più crude e, a volte, divertenti. Un dettaglio: come nei suoi precedenti saggi di filosofia, non manca di inserire il giuoco del Calcio, nello specifico trasformando la Roma e il Catania, squadre per le quali tifa e articola tesi, come focus di un’avventura, in questo romanzo nel nome di Vincenzo Montella. Dopo anni di saggistica, con non poche polemiche (si pensi a titoli come “Insonnie” o “Regressione suicida”), l’autore catanese approda alla narrativa con struttura e stile nuovissimi: Kafka e Beckett? Forse. Ma forse no.
Il tornello dei dileggi di Salvatore Massimo Fazio
In libreria da giovedì 11 novembre il nuovo libro di Salvatore Massimo Fazio, Il tornello dei dileggi, pubblicato da Arkadia Editore collana Eclypse. Scritto con la mano di un nichilista ravveduto, “Il tornello dei dileggi” è un romanzo divertente a tratti esilarante e che commuove, costellato di altrettante situazioni esilaranti continue che si incrociano con il vissuto reale di ogni persona e che sfociano negli interrogativi di base dell’esistenza. La vicenda si dipana in diverse città, quali Madrid, Roma, Torino e Catania, e impegna un nugolo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà, fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore: è uno psicopedagogista. Né di formazione, né distopico, in un nuovo modo e originale di raccontare, Fazio muove i destini dei personaggi calandoli nella società, nella politica, nelle realtà più crude e, a volte, divertenti. Un dettaglio: come nei suoi precedenti saggi di filosofia, non manca di inserire il giuoco del Calcio, nello specifico trasformando la Roma e il Catania, squadre per le quali tifa e articola tesi, come focus di un’avventura, in questo romanzo nel nome di Vincenzo Montella. Dopo anni di saggistica, con non poche polemiche (si pensi a titoli come “Insonnie” o “Regressione suicida”), l’autore catanese approda alla narrativa con struttura e stile nuovissimi: Kafka e Beckett? Forse. Ma forse no.
Salvatore Massimo Fazio è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”. Dopo la prima laurea (2002), pubblica nel 2005 I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza, con il poeta e scrittore Giovanni Sollima. Nel 2007 consegue la seconda laurea, con una tesi che afferma la potenza della pedagogia contro l’inflazione della psicologia. Nel 2009 vince il primo premio del concorso nazionale “Segni d’amore” e pubblica il pamphlet Villa regnante. Nel 2011 esce il libro che lo ha reso noto al grande pubblico, Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Nel 2016 firma il saggio Regressione suicida. Nel 2019 è presente nell’antologia Catanesi per sempre e, nel 2020, in Siciliani per sempre. Ha vissuto a fasi alterne tra Catania, Roma, Eastbourne, Bodø, Torino e Biella. Presidente del comitato scientifico al Festival internazionale del libro e della cultura di Catania “Etnabook”, nel 2021 ha presieduto la giuria del primo contest regionale “Sicilia Dime Novels”.
È nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”. Dopo la prima laurea (2002), pubblica nel 2005 I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza, con il poeta e scrittore Giovanni Sollima. Nel 2007 consegue la seconda laurea, con una tesi che afferma la potenza della pedagogia contro l’inflazione della psicologia. Nel 2009 vince il primo premio del concorso nazionale “Segni d’amore” e pubblica il pamphlet Villa regnante. Nel 2011 esce il libro che lo ha reso noto al grande pubblico, Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Nel 2016 firma il saggio Regressione suicida. Nel 2019 è presente nell’antologia Catanesi per sempre e, nel 2020, in Siciliani per sempre. Ha vissuto a fasi alterne tra Catania, Roma, Eastbourne, Bodø, Torino e Biella. Presidente del comitato scientifico al Festival internazionale del libro e della cultura di Catania “Etnabook”, curato da Cirino Cristaldi, nel 2021 ha presieduto la giuria del primo contest regionale “Sicilia Dime Novels”, indetto da Francesca Calì.
IL TORNELLO DEI DILEGGI di Salvatore Massimo Fazio (Arkadia): incontro con l’autore
Salvatore Massimo Fazio è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!” Dopo aver aver pubblicato vari saggi, torna in libreria con un romanzo, in uscita l’11 novembre per i tipi di Arkadia, e intitolato: “Il tornello dei dileggi”. Il romanzo sarà presentato in anteprima nazionale, sabato 13 novembre alle ore 18:30 presso l’auditorio Centro sempreverde in Via Dante Maiorana, 11/A a Sant’Agata Li Battiati. Dialogherà con l’autore il giornalista e scrittore (nonché responsabile della pagina Cultura del quotidiano La Sicilia) Leonardo Lodato (locandina in coda al servizio). Abbiamo chiesto a Salvatore Massimo Fazio di raccontarci qualcosa su questo suo nuovo libro…
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«L’esordio alla narrativa per me è una novità quasi assoluta e dico quasi perché con due racconti sono presente in due antologie (“Catanesi per sempre” e “Siciliani per sempre”, Edizioni della sera, 2019 e 2020)», ha detto Salvatore Massimo Fazio a Letteratitudine, «racconti questi che daranno un’impronta su stili e metodiche della mia scrittura. Non mi sono mai sentito in grado di scrivere un racconto o un romanzo, piuttosto è invece col saggio che ho avuto un buon rapporto che mi ha sorpreso per risultati inaspettati (nel 2017 essere finalista al premio nazionale per le nuove tesi filosofiche non è cosa da poco). Fatta questa breve premessa mi piace ricordare invece come nasce ‘Il tornello dei dileggi’, dove venne conservato, quando vide luce, il tutto dopo più di 174 rivisitazioni, e non scherzo: furono 174.
Iniziamo: “Voglio scorgere dalla finestra la Mole Antonelliana”, era il titolo che avevo dato a questo dattiloscritto che il mio agente, dopo avermi accostato uno scrupoloso maestro di editing, rappresentò a più editori. La scelta caduta su Arkadia non poté che emozionarmi: scritto in tempi brevi, 2 giorni, questo romanzo, che risale a più di 7 anni fa, approdava all’editoria indipendente che annoverava già 4 suoi testi in diversi anni del Premio Strega. È una grande motivazione, anche se col tempo ho notato che i premi, in verità, non sono pilotati, ma vivono di sudditanza psicologica verso nomi di edizioni di lunga storia, un po’ come accade nel calcio: l’altra squadra di Torino, quella che non porta il nome della città da quando esisto, almeno un massiccio 80% delle sue conquiste sono da spartire con la sudditanza dell’ex uomo in giacchetta nera. Saturo di fallimenti relazionali e colto da fobie sociali sulla scia delle ipocrisie alle quali assistevo, mi piacque rintanarmi in casa se non muovermi solo per svolgere la mia prima professione di psicopedagogista e/o di pedagogista clinico. Lo spunto dal quale è nato è stata una mia amica, che aveva l’arroganza di definirsi una detentrice della conoscenza assoluta: sapere, dopo aver stretto relazione, che il suo era un disagio che mirava a capire da oltre 25 anni nei lettini di più psicoanalisti mi diede la chiave e lo spunto per scrivere. Raccolsi elementi del sociale, dalla musica dei CSI che ti penetrano e ti devastano lasciandoti però un benessere mai provato, alla goliardia di scorribande raccontatemi; ma anche di diffamazione ricevute perché mi permisi di intervistare il biografo di un cantautore famoso del quale diceva che non lo riconosceva più nella comunicazione: fui minacciato, anche di morte e fino a lì tutto andava bene. Quando minacciarono i miei genitori ed io ero fuori Catania, non andò più nulla bene: dunque incrociai alcuni di questi sigg.ri scoprendo poi che erano malati mentali, gente che vive pendendo dalle citazioni altrui. Uno addirittura, ancor oggi si erge a maestro incontrastato che è unico nel riconoscere cosa è divino. Insegnano, scrivono, devastano: socialmente pericolosi. Dunque cosa faccio? Sovverto le loro vite e aggiungo alla prima stesura, in toni goliardici, dei personaggi che gli somigliassero, dove il messaggio è quello di guarire, di essere se stessi, di non millantare verità, tra l’altro dando del mitomane ad uno che invece consegna verità, perché i nodi vengono sempre al pettine. È il gioco della vita, e lo racconto attraverso un gioco: il calcio dove subentrano personaggi quali Darko Pancev, Vincenzo Montella, Zeman, Spalletti, Guidolin, la Roma e il Catania. Non mancano viaggi e luoghi e che solo a ¾ del libro si scoprirà avere una magia in comune: ma cosa è questa magia? L’amore? Le montagne? Il sogno? Il riposo? La sveglia che suona? Il palco dove nel format ‘Il tornello dei dileggi’, quattro personaggi sovvertono il modo di realizzare gli spettacoli da show, modificando le vite degli spettatori? La condizione della donna nel lavoro che non è per nulla femminista aggressiva e violenta quanto abbastanza manipolatrice? Nessuno di tutti questi. Vi lascio la sospensione di ogni giudizio, perché non è il finale, ma è tanto ancora di ciò che ho provato nella tipologia della narrazione che scoprirete. Questo ambaradam mi ha sollecitato a dimostrare una tesi essenziale: fino a che punto vi può essere sviluppo tra gli umani se si è sempre pronti ad attaccare l’altro solo perché afferma una sua tesi e lo fa magari con tutte le ragioni di aver approfondito ricerche e studi? Ambientare su questa scia e in luoghi reali dei fatti, mi ha divertito a stravolgere la serietà di eventi trasformandoli in goliardici, ecco perché il titolo diventa ‘Il tornello dei dileggi’. Una ruota che gira ma che si può inceppare dove chi accusa, non vede che è lui stesso già inceppato. Certo non manca la fantasticheria che ha contraddistinto anche la fondazione della tesi del pessimismo ragionato (da molti chiamato ‘nichilismo cognitivo’), che esordì con alcuni aforismi violenti. Non mancano i riferimenti alle angosce, non manca il riscatto della pedagogia verso coloro che esaltano solo la psicologia (dimenticando magari le adl) e non manca infine, ciò che sempre è stato presente nei miei libri, anche se i precedenti sono sempre e solo saggi, dunque il terrore di entrare su un aereo; l’amore sconfinato per il calcio nelle squadre di Catania e Roma; l’amore improvviso che gli uomini riconoscono di provare per l’altro ma che si bloccano nel praticarlo perché hanno vincoli che glielo impediscono (sovrastrutture?). Tra ambiguità e senso del dovere nel lanciare messaggi importanti, i protagonisti di questo romanzo fanno divertire il pubblico di lettori che ad oggi ha avuto modo di averlo in anteprima, così come alcuni addetti ai lavori che hanno concluso, tutti e non quasi tutti: tutti dicendo “mi ha scioccato questa parte, cosa partorisce la tua mente contorta?”. Ho risposto “niente, dato che ti sei sbellicata di risate, frattanto che riflettevi. L’importante è scrivere e riuscire ad arrivare a più persone possibili per dare una visione di un altro lato del prisma che quotidianamente pratichiamo: la vita”».
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Un estratto del libro: “Il tornello dei dileggi” di Salvatore Massimo Fazio (Arkadia) [dal capitolo 5]
Il tornello dei dileggi nasceva a Catania per volontà di quattro illustri personaggi ai quali la città aveva riconosciuto dei soprannomi: Aristide era il diavolo, Franco il musico, Paolo, ovviamente, il maestro e Andrea il saggio. Il format era centrato sul modus vivendi di ognuno dei quattro riguardo agli argomenti in scaletta. Il tutto condito con approvazione eccessiva o disapprovante dileggio del pubblico che veniva sollecitato e aizzato da infiltrati, amici dei quattro. Paolo, quel 31 luglio, non aveva né sentito né visto Adriana. Nel pomeriggio si era recato al Monz, gran locale con spazi per cenare, fare arte, concerti, un luogo di aggregazione per la città, e con il saggio s’era soffermato bevendo una birra e scambiando qualche opinione sullo spettacolo prossimo e altre futilità varie. Un sms interruppe la conversazione: “Vengo al tornello stasera?”. Il messaggio suonò strano. Anomalo. “Perché mai non dovrebbe?”, pensò Paolo. Rifletté per qualche minuto pensando che in effetti qualcuno percepiva la solarità di Adriana e magari la stessa ne pativa. E questo qualcuno era proprio Andrea, detto il saggio, che le chiese cosa le accadesse di bello e di nuovo. Lei aveva confidato, senza imbarazzi e con gioia, che il bello e nuovo erano ciò che quell’uomo le dava. Un risveglio dei sensi. Andrea non era poi così tanto saggio e Paolo sorbiva molto le battute fuori luogo di quel cinquantenne sull’idiota andante. Il format iniziò e subito dopo le presentazioni, tra il brusio del pubblico, il saggio con voce stridula irruppe a chiedere, prima ancora che il musico, improvvisatosi moderatore per quell’incontro, finisse di elencare gli argomenti. «Maestro, ma lei come fa a scegliere le persone… Tutti le vogliono bene e contra lei riesce pure a farle stare bene?» “Dannato saggio”, pensò Paolo, “sempre a mettermi in difficoltà, e per chissà quale motivo”. «Caro saggio, lei non sa che sto parando il culo a molti, lo chieda pure al moderatore, gli chieda come sono intervenuto a salvarlo da brutti marpioni che facevano tanti bei discorsi al fine di pubblicare quelle cazzate che ha scritto per poi scoprire che erano fittizi editori, di quelli che ti chiedono una montagna di soldi e spariscono nel nulla.» Un po’ impacciato, perché l’uscita del maestro fu fuori luogo, il moderatore non poté che annuire. «Al maestro nulla si può dire, si immola per le cause… Ma vada avanti, ci illumini, perché la domanda del saggio è importante.» «Ecco, io…», una pausa di silenzio nel rumore crescente all’esterno della location, una piazza tra le più centrali della città, «proseguirò l’opera del saggio, non in quanto padre, madre, fratello o sorella. Guardatelo», rivolgendosi al pubblico, «come è luminoso. Io l’ho scelto e lui è ben pettinato, sempre incolta la barba, però curata. Scusate un attimo devo farmi abbracciare come giorni fa… Mi prendo un po’ di energia ché da quest’uomo assorbo sempre troppa merda.» Intervenne stavolta il moderatore, riprendendo la sua parte con un cipiglio luciferino che però lo portava al fallimento dello stesso ruolo che aveva impersonato per quella voglia di apparire. «Ma che modi! Si era in accordo che bisognava far arrabbiare il maestro e finisce ad abbracci qui?» Il pubblico gradì, manifestandolo con applausi. «Lei sarebbe uno che unisce, caro saggio. Anzi, per dirla meglio, lei unisce. Unisce me che mi sorbisco il suo sudore puzzolente e lei il mio che la rende pulito e forse la fa scadere un po’ nella miseria delle sue inutili invettive e battute, donde, se si ride, sappia che è grazie a me, non a lei.» La platea gelò. All’improvviso esplose un applauso con sembianze di boato a incoraggiare Paolo che si poneva raffinatissimo nelle risposte, ma molto tagliente. Così piaceva, seppur diverso dal solito. Adriana non c’era. Paolo, con lo sguardo proiettato oltre il pubblico, la cercava. “Potrebbe anche apparire, poi sparire, fare una visita, anche nascondendosi tra la folla per poi andarsene”, pensava e sperava. Il format proseguiva. Una signora del pubblico chiese di intervenire con una domanda per il maestro. Risate, considerando che il 90% delle domande erano rivolte sempre a lui. Solo a lui. «Ecco qui il microfono, faccia, chieda pure…» Il valletto vestito da nazista prese il microfono dal moderatore per consegnarlo alla signora, ma in un nanosecondo intervenne con la sua voce inimitabile sempre lui, quel gran disturbatore della serenità di una coppia che stava nascendo: il saggio. «Un attimo solo, devo replicare. Preferisco che lei maestro non prosegua la mia opera ma che rimanga un romanzo, lei è un romanzo… Prego signora.» Fece il gesto e porse il microfono che stavolta il valletto riuscì a consegnare. Gli animi si scaldavano sul palco, con il paradosso del gelo che si stava producendo tra i due ospiti. La signora, con voce chiara, volgendosi in parte al pubblico e in parte verso il palco dove stava Paolo, destinatario della domanda, chiese: «Maestro, lei, lo si vede da questa parte e credo lo vedano anche i suoi compagni accanto, specie il diavolo, lei ha un’aura mistica, la si scorge sulla sua testa.» Risate e applausi. Paolo allargò le braccia per poi congiungere le mani come per ringraziare con tibetano rispetto. E poi ancora, incalzante, la stessa donna dalla platea: «Lei è stato un militante della sinistra indipendente. Prima che iniziasse lo spettacolo, alludendo al format, una persona qui del pubblico, che non oso indicare, ha raccontato che ha scritto una canzone della durata di 11 minuti, un nuovo canto popolare comunista, giunto addirittura in Rai tanti anni fa. Poi? Poi si è volto a destra a difesa di alcuni, Evola e il suo esoterismo per esempio. Ma ci dica: lei ha mai pensato di farsi monaco?» La domanda era ben preparata ed elaborata, tutto corrispondeva al vero. Avevano messo in crisi Paolo che sino a quel momento era stato stoico. E invece no! Pronto, con una delle sue infinite smorfie agganciò il microfono, riportato dal valletto al moderatore, e replicò: «Rispondo in ordine.» Ma un altro elemento di disturbo irruppe, fu il diavolo che, strappando il microfono dalle mani del maestro, intervenne goliardicamente: «Sia clemente signora cara, lei ce lo vuole togliere e relegarlo in un monastero?» Altri applausi e risate dal pubblico. Due fischi e un urlo inneggiavano all’attesa risposta del maestro. Lui guardava con interesse. Si alzò e, dirigendosi verso un bel ragazzo, gli sussurrò qualcosa all’orecchio destro. Il giovane scattò in piedi quasi avesse ricevuto un ordine militare e, porgendogli la mano, si presentò. «Onorato maestro, davvero onorato, mi chiamo Andrea.» «Anche lei si chiama Andrea? Spero non sia viscido come quel saggio seduto al mio fianco.» Poi s’allontanò e, volgendo il proprio indice della mano destra a uno che qualunque non era e attaccandolo, simpaticamente domandò: «Lei, sì lei, è messo male più di me! Col cazzo d’estate, come fa?» Sempre ermetico, un po’ meno stavolta, sarcastico e sintetico, Paolo rese omaggio al dileggio e alla risata. Ancora applausi che sembravano telecomandati come nel Drive In degli anni in cui s’era fanciulli. Il moderatore lanciava sguardi al saggio e al diavolo come per chiedersi cosa stesse accadendo e interruppe: «Insomma maestro, ma che succede? Abbraccia, stringe la mano a Mister Andrea, dileggia con il signor Aiello. Sta mica prendendo tempo? Ci dia la risposta alla domanda fattale.» «Certo, pessimo amico. Inizio a rispondere al nostro, vostro, caro saggio. Sia chiaro che io la sua opera non posso completarla, sarei troppo costruttivo se lo facessi. Io continuo la sua opera di bontà.» E, rivolgendosi allo stesso con sguardo serafico e con serietà accademica, proseguì: «Lei ne ha poco da campare lo sa?» Sistemò la giacca che lo infastidiva tra il grondar sudore nella calura catanese e continuò. «Signora, lasci stare il maestro comunista degli anni universitari, sa io sono catanese, come tanti studiavo Psicologia a Palermo, e mi ritrovai, durante una occupazione, a cantare e strimpellare. Conosco e so prendere soltanto tre accordi con la chitarra e solo in prima posizione, do, fa, sol, e mi spaccio per chitarrista professionista che però non si concede in pubblico.» «Buffone, per questo odi la musica? E ne parli così male nel tuo ultimo libro?», burrascosa intervenne una voce femminile dal pubblico. «Suvvia, signorina, suvvia, pensi a spenderli quei soldi, perché devo mettere su casa. Regali l’opera ad altri e mi insulti pure. La popolarità mi appartiene oramai. Da coglione a perdente, ma mi appartiene.» Applausi e risate. Continuando nel tragicomico, il maestro era un fiume in piena. «Signora, mi trovavo in un ballo greco, durante una occupazione nelle aule della Facoltà di Psicologia a Palermo, esattamente in quelle di via Pascoli. Mi fermai, presi una chitarra, feci due accordi dei tre conosciuti e mi uscirono delle parole: La ballata ironica del consiglio: mai o fascista? Comprenderà bene che mi trovavo in un ambiente in cui, per aver popolarità da occupante, dovevo iniziare a essere di parte, poi magari avrei spostato il bersaglio. Ci son voluti quindici inesorabili anni per riuscire non a dichiararmi di destra, ma a esaltare alcune doti destrorse. Pensi un po’ a gente come Travaglio, di destra si dice, ma prestato alla sinistra. Il brano fu scritto simpaticamente per una mia amica, figlia di un camerata abbastanza noto da queste parti. Studiava con me Psicologia, pertanto, come nota, io punto sempre a ispirarmi a congetture individuali e non sociali. La socialità mi interessa molto meno dell’individualità. Entro ed esco dove, quando, e quanto mi pare. Pagare, signora cara, pagare e ti comperi tutto! Comprarsi le cose e, volente o meno, sei dentro. Poi passa il tempo e diventi leader di una coglioneria alternativa tra gli alternativi che coglioneggiano. Spero d’esser stato esaustivo», fece una pausa e un silenzio assordante rilevò il brusio dalla strada e dalla piazza, «ma non ho finito, riguardo al monachesimo svelo un mistero. A quindici anni andai a Marineo, volevo visitare questo paesino pieno di nulla, e mi ritrovai in un monastero. Parlai con alcuni giovani futuri preti, frati o monaci che siano, non ricordo bene a quale toga cattolica ambivano, mi creda, dopo un mese fui dentro. Dopo un altro mese, fuori, per un motivo semplice. Il priore, tifoso del Milan che ha come simbolo il diavolo, parlava sempre male della Roma. Pensa che io potevo mai prendere i voti? Io che sono tifoso anche della Roma grazie agli spareggi che il Calcio Catania vinse nel 1983 allo Stadio Olimpico di Roma, dove i tifosi romanisti tifavano per la squadra della mia città? Non mi è mancata mai la coerenza. Lo sappia.» Il pubblico rimase stupito. Silenzioso. Le risposte furono date, però c’era confusione in tutto ciò. Perché il maestro, al suo appuntamento mensile a Il tornello dei dileggi, stavolta era così divertente ma anche disarmante? Nonostante tutto però nel passare il microfono al moderatore, in quel silenzio tombale quasi si fosse fermato il tempo, e anche lo scroscio delle automobili, improvvisamente ci fu un boato di applausi e risate di gusto per il personaggio maestro che, seppur diverso a quest’appuntamento rispetto agli altri dove recitava sempre il ruolo del massacrato e seppur chiaro ma non sempre comprensibile, continuava a far parlare di sé. E lo si vedeva pure con più simpatia. In volto però il maestro era assente. Il moderatore asseriva che era sempre così, quasi svampito. Ma stavolta no! Mancava qualcuno. Mancava Adriana, che non c’era, e la causa forse era di quel messag- gio di risposta scritto alla stessa: “Beh, se non vieni c’è di buono che non appaio coglione davanti a te e non abbiamo problemi per eventuali baci, dato che il saggio ti mette sempre ansia per quegli anni che hai avuto da vivergli accanto”. Lei aveva preso subito la palla al balzo: “Ok, allora non vengo”. Ma era una scusante per non trovarsi in imbarazzo. Non si è maestri per caso. Adriana era in condizione di malessere e Paolo aveva deciso di spezzare la lancia per salvarla dall’indecisione: “Tanto appena finisco ti chiamo e mi dirai se vederci”. Il tornello si concluse, Paolo fece un inchino e se ne andò, divincolandosi tra le persone. C’era Adriana ad aspettarlo e lo voleva e bramava di averlo, suo. Si vedranno. Faranno l’amore e anche le tre. Rimasero abbracciati stretti, nonostante più la notte proseguiva più il caldo si faceva asfissiante. C’erano indecisione e fragilità nella solarità di lei. Pianse, poi rise. Con lei, lui non era più maestro, ma Paolo. Paolo per Adriana.
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La scheda del libro: “Il tornello dei dileggi” di Salvatore Massimo Fazio (Arkadia)
Scritto con la mano di un nichilista ravveduto, “Il tornello dei dileggi” è un romanzo divertente a tratti esilarante e che commuove, costellato di altrettante situazioni esilaranti continue che si incrociano con il vissuto reale di ogni persona e che sfociano negli interrogativi di base dell’esistenza. La vicenda si dipana in diverse città, quali Madrid, Roma, Torino e Catania, e impegna un nugolo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà, fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore: è uno psicopedagogista. Né di formazione, né distopico, in un nuovo modo e originale di raccontare, Fazio muove i destini dei personaggi calandoli nella società, nella politica, nelle realtà più crude e, a volte, divertenti. Un dettaglio: come nei sui precedenti saggi di filosofia, non manca di inserire il giuoco del Calcio, nello specifico trasformando la Roma e il Catania, squadre per le quali tifa e articola tesi, come focus di un’avventura, in questo romanzo nel nome di Vincenzo Montella. Dopo anni di saggistica, con non poche polemiche (si pensi a titoli come “Insonnie” o “Regressione suicida”), l’autore catanese approda alla narrativa con struttura e stile nuovissimi: Kafka e Beckett? Forse. Ma forse no.
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Salvatore Massimo Fazio è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”. Dopo la prima laurea (2002), pubblica nel 2005 I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza, con il poeta e scrittore Giovanni Sollima. Nel 2007 consegue la seconda laurea, con una tesi che afferma la potenza della pedagogia contro l’inflazione della psicologia. Nel 2009 vince il primo premio del concorso nazionale “Segni d’amore” e pubblica il pamphlet Villa regnante. Nel 2011 esce il libro che lo ha reso noto al grande pubblico, Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Nel 2016 firma il saggio Regressione suicida. Nel 2019 è presente nell’antologia Catanesi per sempre e, nel 2020, in Siciliani per sempre. Ha vissuto a fasi alterne tra Catania, Roma, Eastbourne, Bodø, Torino e Biella. Presidente del comitato scientifico al Festival internazionale del libro e della cultura di Catania “Etnabook”, nel 2021 ha presieduto la giuria del primo contest regionale “Sicilia Dime Novels”.
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