RECENSIONE
Questa storia è un affresco storico sulla seconda guerra mondiale. Nonostante il dolore di quel periodo il racconto è pervaso da una sorprendente vitalità. La narrazione si sviluppa su due linee temporali distinte: Cagliari, nel 1943, e Bologna, nel 2015. Il motivo di questi salti temporali è chiaro sin da subito: tra passato e presente c’è un legame che viene scoperto pagina dopo pagina. Da subito l’autrice ci conduce nella vita quotidiana di Generosa, una donna alle prese con la guerra, la maternità e le difficoltà della vita. Nel 2015, invece, seguiamo Kevin, un giovane studente universitario, che per terminare la sua tesi, si ritrova a scovare nel passato della sua famiglia. Il contrasto che emerge tra le due epoche è molto chiaro: Generosa, in attesa del suo quinto figlio, vive un periodo di privazioni, bombardamenti e preoccupazioni. Mentre Kevin vive nel comfort della modernità che gli consentono di velocizzare le sue ricerche. Tuttavia, anche se il contesto è differente, il filo conduttore che lega queste due epoche è la ricerca di risposte. Kevin cerca di trovarle ricostruendo la storia di Silvio, un prozio partigiano, rivelando quanto il passato possa influenzare il presente. Attraverso questi salti temporali sono riuscita a scoprire gradualmente i pensieri di Generosa, le preoccupazioni e la mole di lavoro delle donne. Poi mi sono ritrovata in un’epoca dove i problemi sono diversi ma le domande sulle proprie radici restano. Questa storia con straordinaria intensità e attenzione, trasmette il peso della memoria, intrecciando ricordi individuali e collettivi. Man mano, ricostruisce non solo i fatti, ma anche le atmosfere e gli stati d’animo di queste voci, portando alla luce legami familiari indeboliti e famiglie divise. A ricucire questi rapporti sono sempre i sopravvissuti, come zia Demy, che con la sua presenza diventa il punto di riferimento per chi resta. Nel 2016, Carla torna in Sardegna dopo anni di lontananza per aiutare Donata e prendersi cura della zia. L’incontro diventa un confronto con le proprie radici grazie ai racconto di zia Demy. Attraverso la sua voce scopriamo la sua vita: insieme ai suoi fratelli, costretti a sfollare, ha camminato per giorni, sopravvivendo in una Sardegna isolata e inospitale. In questi ricordi emerge la guerra: le valige di cartone, la paura dei bombardamenti e il distacco dalla famiglia. Una lotta continua per andare avanti e cercare di restare in vita, per poi ritrovarsi nel presente con familiari che, dopo di loro si fanno custodi della memoria. Questa parte della storia, raccontata in prima persona, è stata emotivamente coinvolgente. Zia Demy, con i suoi vuoti di memoria e i suoi flussi di ricordi, è riuscita a immergermi nelle sue riflessioni e memorie. Gli ingranaggi dei ricordi, non è solo una storia di guerra, ma è un romanzo di rapporti umani e su un passato che ritorna in un presente in cerca di risposte. Concludendo, posso dire di aver letto una storia avvincente, un viaggio attraverso la memoria, le vecchie fotografie e i racconti che portano in vita il passato, affinché nulla venga dimenticato.
La recensione su Il punto sui libri
Il tempo è una variabile dispettosa e inesorabile ma proprio in questa sua sacralità che si cela la sua innegabile bellezza. L’occhio e il corpo diventano meticolosi registi cogliendo dettagli, anche i più impercettibili in una circoscrizione spaziale che oltrepassa le epoche. Una ripresa panoramica in cui i colori del buio spengono anche il più variopinto degli arcobaleni. Quelle mura però non rinunciano all’ultimo raggio di sole che filtra e accoglie come fossero crepe i loro affanni. Un uomo ormai laconico fissa la finestra contando i suoi inflessibili autunni. Si sofferma sul fruscio delle foglie e sembra ascoltare la voce del vento come fosse una solenne preghiera. Una donna chiusa in cucina osserva la maestosità del tavolo che ha al centro soltanto un vaso con dei fiori rinsecchiti come i suoi anni, se potessero parlare, borbotterebbero anche loro, lei ha bisogno di riappropriarsi del silenzio o almeno questo asserisce ma si sa che a volte desiderio e paura s’interscambiano come un gioco di specchi. Il rumore o anche solo la sua percezione è consolatorio perché il silenzio talvolta inchioda ad affrontare le ramificazioni della propria solitudine. Due esseri alle prese con l’improvviso annebbiamento dell’orizzonte deve riscoprire l’utilità sociale, familiare e affettiva mentre su di loro pende come fosse un nemico invisibile, l’orologio da parete. Qualcosa ha magicamente interrotto il suo flusso magico e perfetto. Un meccanismo inceppato. È giunto il momento a lungo rimandato con l’ingranaggio del destino. Si è disarmati e nudi di fronte alle accettazioni metamorfiche che possono mutare persino la biologia dei sentimenti. È iniziata quella corsa in cui la fine appare sempre più vicina. In quei volti dai solchi profondi non c’è più spazio per le lacrime e anche i rimpianti mutano la forma. Una rugiada di carezze si posa sul viso di quella pianta fino all’ultimo tocco. Così il lettore ritrova personaggi amati come Felice, Maria Ausilia, Carla e Kevin che si racchiudono in un caloroso abbraccio generazionale. Pronto è per questo il trucco, come fosse una splendida magia, il nastro di quest’amore si riavvolge in attesa di riscoprire la colonna sonora, perché ogni uomo in fondo vive nell’auspicio di trovare la sua Serenella. “Coi soldi, cravatte, vestiti, dei fiori e una vespa per correre insieme al mare. E se c’è un po’ di vento, ti bagnerai mentre aspetti me nel nostro caffè. La radio trasmetterà la canzone che ho pensato per te e forse attraverserà l’oceano lontano da noi. La ascolteranno gli americani che proprio ieri sono andati via e con le loro camicie a fiori colorano le nostre vie e i nostri giorni di primavera. Che profumano dei tuoi capelli e dei tuoi occhi così belli spalancati sul futuro e chiusi su di me”. Il lettore quindi trova elementi e caratteristiche che ben conosce, ma cambiano prospettiva registro e tono. Ci si trova catapultati nel dopoguerra in cui ognuno affronta le sue macerie, ma non si crogiola nel linguaggio della perdizione ma si concentra sul sé singolo e collettivo nella sua piena evoluzione ed emancipazione. L’autrice mostra un altro lato della sua versatile produzione letteraria. Spoglia, infatti, la narrazione della connotazione storica predominante per regalare un racconto lungo di costume. Questo varco aperto negli usi costumi e quotidianità delinea un vivido ritratto di famiglia. Come previsto dal genere scelto lo stile è colloquiale con un taglio incisivo e ironico. L’autrice traccia abilmente una costruzione polifonica in cui ogni dei quattro personaggi si esprime mediante epistole o pagine di diario. Il filo conduttore delle pagine è sicuramente la ricostruzione sia relazionale sia genealogica. Carla, infatti, ha sul cuore il peso di un arrivederci che ha il sapore amaro di un addio. Kevin deve invece completare il suo percorso universitario con un’altra tesi storiografica. Ancora una volta il biografismo familiare busserà alla sua porta ma, dove lo condurrà? Si dice infatti che la sua famiglia sia legata anche alla figura di San Giuseppe Moscati sarà compito di Kevin accertarne la veridicità. Un tuffo nel passato per vivere secondo precetti nella salvaguardia e sacralità dell’onore. Un sentiero impervio chiamato vita tra rigidità dogmatica ed elasticità mentale sulla nuvola chiaroscura del progresso forse il vero virtuoso è chi vive in mezzo ai due flussi ma mentre la mente viaggia verso il prossimo ragionamento le pagine bianche, si susseguono di parole scritte che hanno il profumo di un ricordo che resta.
Francesco De Filippi
La recensione su La Casa delle storie
Martedi 18 marzo alle 18.00
Presentazione del libro di Marisa Salabelle
La bella virtù
Arkadia
Dialoga con l’autrice Massimiliano Scudeletti
Ero femmina, e i miei genitori non mi avevano mandato a scuola guida, perché tanto una donna cosa se ne fa della patente, se deve andare in qualche posto la può sempre accompagnare il padre, il marito o un fratello. Infatti i miei fratelli guidavano, eccetto Nando e Bastiano, ovviamente, che erano ancora piccoli.
Seguito de Gli ingranaggi dei ricordi, in queste pagine ritornano i giovani Felice e Maria Ausilia nel periodo del loro fidanzamento e poi del lungo matrimonio. Mentre la figlia Carla rievoca la malattia e la morte del padre, Kevin, suo figlio, studente universitario, dedica la propria tesi magistrale alle vicende della famiglia del nonno materno, ricostruendo intrecci tra casate più o meno nobili del Napoletano e dell’Avellinese e indagando sul legame di parentela tra il nonno Felice e il santo Giuseppe Moscati. In questa nuova puntata di una saga famigliare che si dipana nel periodo tra il Dopoguerra e i giorni nostri, attraverso plurime voci narranti, conosceremo sempre più a fondo i personaggi di questo potente e sapiente affresco.
Felice, giovane intelligente e volitivo ma dal carattere aspro; Maria Ausilia, che si rivela una ragazza e poi una donna molto determinata, con un sentimento ambivalente verso il fidanzato e poi marito, che ama ma con il quale ha un rapporto conflittuale. E poi Carla, molto legata al padre, del quale tuttavia non ignora i limiti e che segue con grande pietas durante la sua malattia. Infine Kevin, studente un po’ riluttante e scettico, ma impegnato con successo nel ricostruire la storia familiare. Ancora una volta Marisa Salabelle riesce a costruire una storia di affetti affascinante e ricca di profondità.
MARISA SALABELLE, nata a Cagliari nel 1955, vive a Pistoia dal 1965. Laureata in Storia all’Università di Firenze, ha frequentato il triennio di studi teologici presso il Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha esordito con il romanzo L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme), seguito nel 2019 da L’ultimo dei Santi (Tarka) e nel 2022 dal giallo Il ferro da calza (Tarka) I primi due romanzi sono stati finalisti al Premio letterario La Provincia in Giallo, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Con Arkadia Editore ha pubblicato la saga famigliare Gli ingranaggi dei ricordi (2020) e La scrittrice obesa (2022).
La segnalazione su Cheventi
“Mio padre si chiamava Felice, ma felice davvero, in vita sua, credo che non lo sia mai stato. Fu una delle romanticherie del nonno Giulio, il padre di mio padre, quella di affibbiare ai figli nomi di buon auspicio.”
Ritorna l’emozionante storia di Felice e Maria Ausilia protagonisti del precedente romanzo di Marisa Salabelle, Gli ingranaggi del tempo, oggi, ormai anziani, ricordano la gioventù, il loro incontro alla fine della seconda guerra mondiale mentre affrontano la malattia in fase terminale di Felice. La bella virtù, pubblicata sempre da Arkadia editore, la cui narrazione si snoda a più voci, quella di Carla che è rimasta sempre accanto ai suoi genitori prendendosi cura dell’anziano padre durante la malattia, un cancro al pancreas che lentamente lo riduce in uno stato di disabilità e che non riesce ad accettare per il suo temperamento schivo e conservatore; Kevin, figlio di Carla, intento a conseguire la laurea magistrale in storia ricostruendo la genealogia della sua famiglie e del legame tra il nonno materno e San Giuseppe Moscati. E poi ci sono Felice e Maria Ausilia che si alterno tra passato e presente, un arco di storia che arriva fino ai nostri giorni, al 2019 quando la crisi pandemica ha fatto il suo ingresso devastante nel mondo. La bella virtù attraversa un arco di tempo lungo più di cinquant’anni, con i suoi cambiamenti, le sue rivoluzioni sociali, le conquiste di genere di fronte a un’epoca conservatrice e spesso reazionaria verso l’universo femminile.
“Perché nel matrimonio il rapporto carnale tra gli sposi è finalizzato alla procreazione, perciò io avrei dovuto limitarmi a compiere l’atto fecondativo senza tanti fronzoli, altrimenti la bella virtù dove sarebbe andata a finire? ”
Ricorda così i buoni precetti impartiti a Felice dal suo mentore don Angioni, un’educazione religiosa che rispecchiasse un comportamento virtuoso e che oggi sembra sparito davanti a una evoluzione dei costumi e l’emancipazione femminile; Felice e Maria Ausilia con il loro rapporto conflittuale a volte contraddittorio ma sempre uniti negli anni fino alla fine.
Con una scrittura che sempre appaga il lettore, Marisa Salabelle affronta temi universali cari a noi lettori, quali l’amore familiare, la conoscenza e l’identità, il confronto generazionale lungo un arco temporale che coinvolge le voci narranti, dando una focalizzazione ad ampio spettro alle emozione, caratterizzando sapientemente ogni personaggio, tratteggiandone l’emotività di fronte agli accadimenti della vita.
“Non ero pronta a perderlo. Era l’uomo che amavo, l’uomo della mia vita. Certo, avevo mio marito e mio figlio, e amavo moltissimo anche loro, ma con mio padre non c’era gara. E dire che non era neanche particolarmente amabile: non importa. Mi bastava vederlo là, sulla sua poltrona, le mani piene di macchie, il viso ancora bello…”
Perché adoro la scrittura di Marisa? Perché riesce sempre a stupirmi, a coinvolgermi, a essere parte di quella storia, immortalando personaggi indimenticabili, romantici, ironici, audaci, a volte inafferrabili, contraddittori e autentici.
Marisa Salabelle. È nata a Cagliari il 22 aprile 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di studi teologici presso il Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme). Nel 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, L’ultimo dei Santi (Tarka). Entrambi i romanzi sono stati finalisti al Premio letterario La Provincia in Giallo, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il romanzo storico-famigliare Gli ingranaggi dei ricordi (Arkadia Editore) e nel 2022 Il ferro da calza (Tarka), un giallo con ambientazione appenninica. La scrittrice obesa 2022. Suoi articoli e racconti sono apparsi su riviste online e antologie cartacee.
Loredana Cilento
La recensione su Mille Splendidi Libri e non solo
Cagliari. Un’opera corale che esplora temi universali come la memoria, la malattia, la perdita, l’amore e la ricerca delle proprie radici. È “La bella virtù”, il nuovo romanzo di Marisa Salabelle, edito da Arkadia (2025), che sarà presentato venerdì 7 marzo alle 19, al Centro Culturale Hermaea di Pirri (via Santa Maria Chiara 24A), tra le anteprime della XI edizione del Festival Premio Emilio Lussu organizzato dall’associazione culturale L’Alambicco. A dialogare con l’autrice sarà lo scrittore Daniele Congiu. La scrittura di Salabelle è elegante e incisiva, e rende la lettura un’esperienza intensa e appagante. Attraverso la storia di una famiglia, l’autrice offre uno spaccato della società italiana del Novecento, con le sue trasformazioni e i suoi contrasti, coinvolgendo il lettore all’interno di pagine dove prendono vita personaggi delineati con cura e profondità psicologica. Il racconto invita alla riflessione sulla complessità dei rapporti umani e sulla forza dei legami familiari. La scrittrice è nata a Cagliari nel 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di studi teologici al Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha svolto la professione di insegnante. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu” (Piemme), seguito nel 2019 dal suo secondo romanzo, “L’ultimo dei Santi” (Tarka). Entrambe le opere sono state finaliste al Premio letterario “La Provincia in Giallo”, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il romanzo storico-familiare “Gli ingranaggi dei ricordi” (Arkadia Editore) e nel 2022 “Il ferro da calza” (Tarka), un giallo con ambientazione appenninica. Suoi articoli e racconti sono apparsi su riviste online e antologie cartacee.
La segnalazione su Sardìes
“E’ la guerra, Generosa. A Roma c’è l’occupazione, ci sono i tedeschi. Ognuno fa quello che può.”
Pag. 104
TRAMA:
Cagliari, 1943. Dopo l’ultimo bombardamento, Generosa lascia a malincuore la città devastata e si rifugia in un paese dell’interno con i figli e due donne di servizio. È in pena per il marito, rimasto nel capoluogo in qualità di medico all’ospedale militare, per il figlio che deve nascere e per quelli che ha già, ma soprattutto è in pena per sua sorella Gisella e suo fratello Silvio, che vivono a Roma e pare siano coinvolti nella lotta partigiana. Olbia, 1943. Felice ha 18 anni e, con le due sorelle Bella e Demy, accompagna il padre a imbarcarsi sul traghetto che lo condurrà sul Continente. Ora tocca a lui prendersi cura delle ragazze, in un lungo vagabondaggio che percorrerà l’isola da nord a sud, da un paese all’altro, tra mille disavventure e incontri bizzarri. Roma, 1944. Un attentato in via Rasella provoca la morte di 33 soldati tedeschi e due civili italiani. Il giorno dopo, per rappresaglia, i germanici uccidono 335 italiani alle Fosse Ardeatine.
RECENSIONE:
Tra i numerosi generi letterari, le saghe familiari sono molto amate e lo dimostrano chiaramente le classifiche dei libri più venduti e il successo del celebre “L’amica geniale”. Questi romanzi raccontano la storia di una famiglia nell’arco di diverse generazioni e così fa “Gli ingranaggi dei ricordi”, narrando le vicissitudini della famiglia di Generosa Zedda-Serra e di quella di Demy Dubois, due donne forti e originali, personaggi pittoreschi ai quali il lettore si affezionerà subito. La prima, figlia del notaio Serra e moglie di un medico di nome Ruggero (sempre in prima linea per aiutare il prossimo), scamperà ai bombardamenti di Cagliari con due gemelli nella pancia, e da questa città racconterà le sue pene e i suoi pensieri per la sorella Gisella, trasferitasi a Roma con il fratello Silvio. Quest’ultimo avrà un ruolo centrale nella storia: il ragazzo “dagli occhi azzurri e dai lineamenti delicati” (pag.58) farà parte dei GAP, combattenti urbani di un nucleo partigiano, e avrà parte attiva nell’attentato di via Rasella del 1944. La storia di Silvio viene indagata con dovizia di particolari da Kevin, pronipote di Generosa, che sta scrivendo la tesi per laurearsi in Storia. Antifascista convinto, Kevin è invitato dal suo relatore ad approfondire la misteriosa figura dello zio per cercare di scoprire quale sia stato il suo ruolo nei GAP, oltre a comprendere se sia stato tra le vittime della tragedia delle Fosse Ardeatine. Il giovanesi si avventura così in una ricerca “un po’ storica e un po’ famigliare,” prendendo “confidenza” con questi antenati la cui storia “sembra essere strettamente intrecciata con quella famosa storia con la S maiuscola” (pag. 31). Parallelamente scopriamo a poco a poco le vicissitudini di Carla, alle prese con la cura della zia inferma di nome Demoiselle “Demy” Dubois, personaggio goliardico e divertente affetto ormai da demenza senile. Demy racconta a Carla e al lettore della sua migrazione lungo tutta la Sardegna, un viaggio a piedi percorso con la sorella Bella e il fratello Felice, padre di Carla e colui che si innamorerà di Maria Ausilia (figlia di Generosa), legando così le figure degli Zedda-Serra e dei Dubois. Carla tornerà più volte in Sardegna per accompagnare e aiutare la cugina Donata nel traferimento della zia da una RSA a Villa Gioiosa, nuova residenza per anziani dove l’anziana sarà accolta e seguita. Carla si affezionerà quindi a questa anziana un po’ bisbetica e perdutamente innamorata del “suo” Marco, un uomo sposato che proprio non riesce a dimenticare. “Gli ingranaggi dei ricordi” è un intreccio ben costruito tra passato e presente, con una ricostruzione storica che si mescola alle emozioni introspettive dei personaggi: un romanzo commovente ma ironico allo stesso tempo, che appassiona e diverte dalle prime alle ultime pagine.
La recensione su Introspectif
Un’opera corale che esplora temi universali come la memoria, la malattia, la perdita, l’amore e la
ricerca delle proprie radici. È “La bella virtù”, il nuovo romanzo di Marisa Salabelle, edito da Arkadia
(2025), che sarà presentato venerdì 7 marzo alle 19, al Centro Culturale Hermaea di Pirri (via Santa Maria
Chiara 24A), tra le anteprime della XI edizione del Festival Premio Emilio Lussu organizzato
dall’associazione culturale L’Alambicco. A dialogare con l’autrice sarà lo scrittore Daniele Congiu.
La scrittura di Salabelle è elegante e incisiva, e rende la lettura un’esperienza intensa e appagante.
Attraverso la storia di una famiglia, l’autrice offre uno spaccato della società italiana del Novecento, con le
sue trasformazioni e i suoi contrasti, coinvolgendo il lettore all’interno di pagine dove prendono vita
personaggi delineati con cura e profondità psicologica. Il racconto invita alla riflessione sulla complessità dei
rapporti umani e sulla forza dei legami familiari.
La scrittrice è nata a Cagliari nel 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e
ha frequentato il triennio di studi teologici al Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha
svolto la professione di insegnante. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, “L’estate che
ammazzarono Efisia Caddozzu” (Piemme), seguito nel 2019 dal suo secondo romanzo, “L’ultimo dei Santi”
(Tarka). Entrambe le opere sono state finaliste al Premio letterario “La Provincia in Giallo”, rispettivamente
nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il romanzo storico-familiare “Gli ingranaggi dei ricordi”
(Arkadia Editore) e nel 2022 “Il ferro da calza” (Tarka), un giallo con ambientazione appenninica. Suoi
articoli e racconti sono apparsi su riviste online e antologie cartacee.
La segnalazione su Mediterranews
Nuova anteprima della XI edizione del Festival Premio Emilio Lussu
In programma il 7 marzo la presentazione del romanzo edito da Arkadia
È online il bando di concorso per le opere di Narrativa e Saggistica edita con scadenza il 1° giugno 2025
CAGLIARI. Un’opera corale che esplora temi universali come la memoria, la malattia, la perdita, l’amore e la ricerca delle proprie radici. È “La bella virtù”, il nuovo romanzo di Marisa Salabelle, edito da Arkadia (2025), che sarà presentato venerdì 7 marzo alle 19, al Centro Culturale Hermaea di Pirri (via Santa Maria Chiara 24A), tra le anteprime della XI edizione del Festival Premio Emilio Lussu organizzato dall’associazione culturale L’Alambicco. A dialogare con l’autrice sarà lo scrittore Daniele Congiu. La scrittura di Salabelle è elegante e incisiva, e rende la lettura un’esperienza intensa e appagante. Attraverso la storia di una famiglia, l’autrice offre uno spaccato della società italiana del Novecento, con le sue trasformazioni e i suoi contrasti, coinvolgendo il lettore all’interno di pagine dove prendono vita personaggi delineati con cura e profondità psicologica. Il racconto invita alla riflessione sulla complessità dei rapporti umani e sulla forza dei legami familiari. La scrittrice è nata a Cagliari nel 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di studi teologici al Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha svolto la professione di insegnante. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu” (Piemme), seguito nel 2019 dal suo secondo romanzo, “L’ultimo dei Santi” (Tarka). Entrambe le opere sono state finaliste al Premio letterario “La Provincia in Giallo”, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il romanzo storico-familiare “Gli ingranaggi dei ricordi” (Arkadia Editore) e nel 2022 “Il ferro da calza” (Tarka), un giallo con ambientazione appenninica. Suoi articoli e racconti sono apparsi su riviste online e antologie cartacee.
La segnalazione su Sardegna Reporter
Secondo volume sulla storia di una famiglia, “La bella virtù” spazia dagli anni Cinquanta e Sessanta ma arriva fino alla pandemia di Coronavirus, dando voce a quattro personaggi, fra vita di tutti i giorni, lutti e ricerche. In questa intervista Marisa Salabelle ci lascia entrare nel suo progetto, fra possibili nuovi sviluppi, sessualità, religione e i grandi autori che l’hanno accompagnata e ispirata.
Marisa Salabelle è nata a Cagliari, ma vive a Pistoia dal 1965. Laureata in Storia all’università di Firenze, ha frequentato il triennio di studio teologici presso il seminario arcivescovile della stessa città.
I suoi libri più famosi sono Gli ingranaggi dei ricordi, 2020, e La scrittrice obesa, nel 2022 sempre per Arkadia Editore.
La bella virtù è pubblicato per Arkadia editore nel 2025 e le domande sono per questo libro.
Intervista a Marisa Salabelle
Buongiorno e grazie. Dove ha preso l’idea della bella copertina e del titolo del romanzo?
Copertina e titolo sono di competenza dell’editore, come i paratesti, cioè quello che viene scritto sui risvolti e nella quarta di copertina: presentazione del libro, bio dell’autore, una citazione… Tuttavia con i piccoli editori c’è una discreta collaborazione riguardo a questi aspetti. Il titolo è quello che ho proposto io: non sempre va così, con Arkadia ho pubblicato tre romanzi e sia La bella virtù che La scrittrice obesa sono titoli miei, mentre Gli ingranaggi dei ricordi è stato concordato con l’editore.
Per quanto riguarda la copertina, di solito Arkadia mi propone una scelta di immagini. In questo caso l’editore mi ha mandato una serie di bozze di copertina tra le quali la mia preferita è stata quella poi prescelta, ovvero l’immagine di una bella ragazza sorridente a bordo di una Vespa, che in qualche modo rappresenta, per me, il personaggio di Maria Ausilia, una ragazza che cerca, senza riuscirci del tutto, di emanciparsi dal ruolo che una società ancora patriarcale le ha assegnato.
Chi scrive ha detto che le pagine del libro possono essere anche pezzi di un diario o lettere. Cosa sono realmente nella sua scrittura?
Questo romanzo è costruito su quattro voci narranti: ognuno dei protagonisti parla in prima persona, perciò potremmo dire che i loro contributi costituiscono in effetti una sorta di diario per quanto riguarda Carla e Kevin, mentre si tratta di memorie nel caso di Felice e Maria Ausilia.
Se invece intende cosa siano, per me, le pagine che scrivo, indubbiamente la componente maggiore è rappresentata dalla memoria: memoria dei tempi in cui ho vissuto, delle esperienze che ho avuto, delle persone che ho conosciuto. Voglio precisare però che la mia scrittura non è nostalgica, non c’è nostalgia del passato in me e nemmeno nelle cose che scrivo. Inoltre, anche se attingo a materiale personale, ci tengo sempre a precisare che i miei sono romanzi e non “storie vere”: la componente biografica c’è ma è mescolata a quella dettata dalla fantasia.
La vita nel libro scorre tranquilla, tranne un avvenimento luttuoso enorme. Come ha messo insieme il dolore con la dolcezza?
Il libro parla della vita di una famiglia come tante, con alcuni aspetti che la rendono originale (per esempio la parentela con un santo famoso) e altri invece che la rendono rappresentativa di una società e di un’epoca, l’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Come in tutte le famiglie, a un tran tran tutto sommato banale si alternano pagine drammatiche.
Tutti noi abbiamo perduto una o più persone care. Il mio modo di raccontare la tragedia è attraverso una leggera ironia: sono un po’ manzoniana, in questo, non riesco ad abbandonarmi al dramma, detesto il patetico e quindi cerco di smorzare il dolore con un sorriso.
Nel romanzo conta molto lo scandire del tempo: a volte si va a ritroso, ma perlopiù si arriva al 2020, con solo accenti preoccupanti per il coronavirus. Perché il bisogno di nominarlo ma in modo circoscritto, sintetico?
Avevo bisogno di inventarmi qualcosa per vivacizzare il personaggio di Kevin, il giovane studente che fa ricerche sulla genealogia familiare, perché non risultasse una figura scialba. Così, tenendo presenti gli anni in cui collocare il suo lavoro per la laurea magistrale (nel precedente Gli ingranaggi dei ricordi Kevin aveva svolto la tesi triennale sulla figura di Silvio Serra, partigiano non molto noto e prozio di sua madre, nel 2016) ho avuto l’idea di farlo slittare al 2020, in modo da sfruttare la pandemia per arricchire la parte relativa a Kevin. Felice e Maria Ausilia sono spalmati in tutto il romanzo. La figlia Carla scrive quasi solamente di loro con un rapporto strettissimo col padre Felice, che sembra il perno della narrazione. La convince quello che ho scritto?
Senza dubbio, almeno nelle mie intenzioni, il protagonista assoluto del romanzo è Felice, di cui si rievoca l’infanzia difficile, si seguono gli anni della giovinezza e della maturità, infine lo si accompagna nella malattia e nella morte. Felice è una delle voci narranti ed è inoltre protagonista delle narrazioni di Maria Ausilia, sua moglie, e di Carla, sua figlia. Anche le ricerche di Kevin sono collegate alla figura di Felice, perché è sulla sua famiglia che il giovane indaga, per scoprire l’esatto rapporto di parentela tra il nonno Felice e il santo Giuseppe Moscati.
Lei ha uno stile riconoscibile; ma cosa migliorerebbe di questa “saga” familiare?
Non so cosa rispondere a questa domanda… non perché penso che il romanzo sia perfetto, tutt’altro, ma perché ci ho lavorato molto e ho cercato di fare “il meglio possibile”.
Cioè, penso che questa sorta di saga in due volumi (Ingranaggi e Bella virtù) sia il meglio che io potessi fare riguardo a questo tema. Naturalmente un lettore esterno potrebbe indicarmi i lati deboli, darmi dei consigli e suggerirmi dei miglioramenti, e questo in effetti è accaduto mentre i due romanzi erano in corso d’opera: ormai però sono usciti e non si possono migliorare più…
Qualcuno mi ha detto che il ciclo potrebbe completarsi con un terzo romanzo, perché ci sono personaggi che hanno avuto un ruolo marginale e che potrebbero aver voglia di far sentire la loro voce. Devo dire che non avevo pensato a un terzo capitolo, ma in effetti questo suggerimento lo trovo stimolante!
Maria Ausilia da sola regge dolore e ironia, mentre Kevin sembra un pretesto per non dare ulteriore spazio a Felice, Maria Ausilia e Carla. O è solo una mia impressione?
Kevin è un personaggio “di servizio”. A lui infatti, in entrambi i libri, sono affidate ricerche che devono chiarire alcuni aspetti poco conosciuti della vicenda familiare. Forse per questo ha meno spessore degli altri: non mi interessava approfondire la sua interiorità, quanto seguire le sue ricerche e le sue riflessioni, i suoi dubbi in proposito. È anche un personaggio “di alleggerimento”, perché è giovane, un po’ scettico, e le sue avventure sono lievi.
Lei parla di sesso tra coniugi molto ignoranti del come si pratica con una grazia che ci fa sorridere. Perché Felice è così preso ancora dal rapporto con la Chiesa cattolica? Di solito chi entra in istituti religiosi poi cerca di dimenticare quel periodo. È così?
Secondo me l’educazione ricevuta da bambini e da ragazzi lascia un’impronta importante in quello che poi diventiamo. In particolare l’educazione ricevuta all’interno di un ente religioso, soprattutto in periodi della nostra storia passata in cui il peso dell’educazione cattolica era davvero forte. Inoltre Felice è un ragazzo abbandonato, vive per strada, non ha la madre e suo padre è spesso lontano: è inevitabile che si leghi a don Angioni, il prete salesiano che diventa il suo mentore, e che assorba profondamente i suoi insegnamenti.
Riguardo poi alla sessualità, c’è da dire che proprio negli anni Cinquanta del Novecento un pesante silenzio avvolge sia la sana, normale sessualità coniugale, che le situazioni di abuso. Maria Ausilia, che non è bigotta come Felice, non ha ricevuto in famiglia un’educazione sessuale, e del resto all’epoca questo era normale, perciò prima del matrimonio è in ansia perché non sa cosa deve aspettarsi…
Insomma lei mette un punto al proseguimento di questa famiglia con la morte di Felice? Pensa che due libri siano sufficienti? Perché lo ha fatto morire tra forti dolori? Lei ha paura della morte?
Alla prima parte della domanda ho già risposto: non pensavo di scrivere un terzo capitolo della saga, ma potrei farci un pensiero alla luce di alcuni commenti che ho ricevuto.
Riguardo alla morte di Felice, più che forti dolori quello che lui prova è una grande sofferenza psichica. Nonostante sia anziano, non vuole arrendersi, non vuole morire, e nonostante la sua fede ha il terrore della morte. Si può dire che la fede non l’aiuta ad affrontarla.
Quanto a me, ho ormai una certa età e nella mia vita ho visto morire molte persone, alcune delle quali in età avanzata, ma altre ancora giovani. Forse per questo la morte è sempre presente nei miei libri, e non soltanto nei gialli, dove è praticamente d’obbligo. Mi sono accorta che nel primo capitolo di ognuno dei miei libri, considerando anche alcune cose che ho scritto ma non ancora pubblicato, nel primo capitolo, dicevo, c’è sempre una morte…
Riguardo alla mia, di morte, non ci penso granché; penso di avere davanti a me ancora un po’ di tempo, e non sono particolarmente preoccupata. La cosa di cui ho paura non è tanto il morire, ma la sofferenza, l’invalidità, la perdita dell’autosufficienza.
Mi dica, se ne ha voglia, quali libri leggeva durante la scrittura del romanzo e in generale di libri recenti che le sono piaciuti.
Oh, impossibile rispondere a questa domanda… io leggo una quantità veramente industriale di libri, e non ricordo cosa leggessi durante la stesura di questo romanzo.
Però posso dire qualcosa degli autori o dei libri che mi hanno influenzata. Ho già citato Manzoni per l’ironia e aggiungo anche per il “misto di storia e d’invenzione”, che è una caratteristica del mio scrivere e che a volte mi procura divertenti scambi di battute con quelli dei miei lettori che mi conoscono personalmente. Per l’infanzia di Felice, il modello è sicuramente dickensiano, e del resto Dickens compare nel romanzo fin dalle prime pagine, come un autore amato e discusso da Felice e da sua figlia Carla. Per la pluralità delle voci narranti, che è presente anche in altri miei libri, mi sono ispirata a uno scrittore che ho amato molto, Abraham Yehoshua. Infine, per la descrizione delle difficoltà di Felice e Maria Ausilia nei primi tempi della loro vita sessuale ho preso spunto da Chesil Beach, un romanzo di uno dei miei autori preferiti, Ian McEwan.
Vincenzo Mazzaccaro
L’intervista su SoloLibri