Andrea Magno. La forma del desiderio
SULLA CROCE pag.17
Ho lunghe braccia
e mani
che da lontano abbracciano
ancora una preghiera
e ti odio
come ti ho amato
senza nessuna pietà
fortissimo
1) Breve commento
“Sulla Croce”, è un testo breve, intenso e profondamente evocativo. Andrea Magno mette in scena una figura umana – forse Cristo stesso, forse un’anima simbolica – crocifissa non solo nel corpo, ma anche nei sentimenti. L’amore e l’odio si fondono in una tensione drammatica, amplificata dalla posizione della croce che permette di “abbracciare da lontano” anche ciò che non si può più toccare. È una poesia sull’amore estremo, sul dolore della perdita e sulla forza ambivalente dei sentimenti.
2) Esegesi completa
“Ho lunghe braccia
e mani”
– L’immagine richiama immediatamente la crocifissione. Le braccia sono distese, clavate, eppure assumono anche un valore metaforico: sono strumenti che si allungano oltre il limite del corpo, diventando segno di una tensione spirituale o emotiva.
“che da lontano abbracciano
ancora una preghiera”
– L’“abbraccio” qui è spirituale: le mani crocifisse non possono più stringere fisicamente, ma rimane una vicinanza interiore. La preghiera è ciò che sopravvive, un legame fragile ma persistente con qualcosa di sacro, forse con un’altra persona.
“e ti odio
come ti ho amato
senza nessuna pietà
fortissimo”
– La seconda parte ribalta l’immagine iniziale. L’amore diventa odio, ma con la stessa intensità: l’emozione è totale, assoluta, “senza pietà”. Non c’è più spazio per la misura: i sentimenti estremi si fondono in una sorta di annullamento reciproco, generando un grido emotivo potente.
Questa poesia suggerisce che l’amore più profondo può trasformarsi nel suo contrario mantenendo la stessa forza, e che la croce è il luogo simbolico dove tutto questo si concentra: dolore, sacrificio, amore e rabbia.
3) Analisi linguistica
Lessico: Scarno, diretto, simbolico. I sostantivi sono pochi ma forti: braccia, mani, preghiera, pietà. L’assenza di aggettivi (a parte nessuna e fortissimo) accentua la nudità del linguaggio e il suo valore espressivo.
Sintassi: La struttura è franta, spezzata, quasi come se imitasse il respiro faticoso di chi sta sulla croce. L’uso del verso libero amplifica il senso di tensione e di apertura.
Figure retoriche:
Metafora: “abbracciano ancora una preghiera” – l’abbraccio è immateriale.
Ossimoro implicito: amore e odio convivono, mescolandosi in un’unica espressione emotiva.
Anastrofe: l’ordine delle parole è volutamente non canonico per sottolineare lo sconvolgimento interiore.
Enjambement: utilizzati per mantenere la tensione da un verso all’altro, rendendo il testo visivamente ed emotivamente disarticolato.
4) Conclusioni
Andrea Magno, con pochi versi, costruisce un dramma interiore profondo, usando la croce come simbolo assoluto di dualità emotiva. La poesia mette a nudo la forza dei sentimenti umani portati all’estremo e l’ambivalenza dell’amore. “Sulla Croce” è una riflessione sulla sopravvivenza del legame affettivo, anche quando si è attraversati dal dolore, dal sacrificio e dalla trasformazione dell’amore in odio. Un testo intenso, scarno e carico di pathos.
ATLANTIDE , pag 51
A mani giunte,
in questa vita
e nella prossima,
dimmi,
se posso venire da te,
senza colpa,
come mare che consuma scoglio,
nell’errore dell’aspettativa,
a spiegarsi il senso,
vagheggio,
non discernendo vero e falso,
c’è musica,
nelle esose emozioni
che accompagnano passione,
nessuna manipolazione
del desiderio,
costretto
senza equilibrio
lungo il cammino,
tra le braccia del diavolo,
dimmi,
se posso venire da te.
1) Breve commento
“Atlantide” è un viaggio interiore, una supplica, una richiesta di redenzione o di amore puro. Andrea Magno intreccia mito e psicologia, passione e disillusione, in una tensione continua tra desiderio e colpa. Il titolo richiama il mito della città perduta, simbolo dell’inattingibile, della bellezza sommersa e dell’ideale irraggiungibile. La poesia è una preghiera pagana che interroga il senso stesso dell’amore e dell’esistenza.
2) Esegesi completa
“A mani giunte,
in questa vita
e nella prossima,”
– L’incipit è una preghiera, ma senza destinatario esplicito. Le mani giunte sono simbolo di supplica, forse religiosa, ma anche intima. L’idea di continuità tra questa vita e l’altra introduce un orizzonte eterno, quasi reincarnativo o spirituale.
“dimmi se posso venire da te,”
– Qui si manifesta il desiderio, ma anche il dubbio. L’“andare da te” può essere inteso come un ritorno, una fusione o una richiesta d’amore. Tuttavia, la domanda è condizionata dalla colpa e dall’incertezza.
“senza colpa
come mare che consuma scoglio nell’errore dell’aspettativa”
– Questa immagine è potente e originale: il mare che consuma lo scoglio diventa metafora di un amore che distrugge, ma non per malizia: lo fa “nell’errore dell’aspettativa”. È un’ammissione poetica di fragilità emotiva.
“a spiegarsi il senso,
vagheggio
non discernendo vero e falso,”
– La voce poetica è smarrita, vaga tra concetti, tenta di trovare senso ma fallisce nel distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. È una condizione esistenziale di sospensione.
“c’è musica
nelle esose emozioni
che accompagnano passione,”
– L’emozione diventa musica, ma non è semplice: è “esosa”, cioè esigente, impegnativa. L’amore è qui un tumulto emotivo che chiede molto, che coinvolge totalmente.
“nessuna manipolazione
del desiderio,
costretto
senza equilibrio
lungo il cammino,”
– C’è un desiderio puro, non strumentalizzato, ma che soffre perché costretto, privo di armonia. Il cammino dell’amore è quindi irregolare, doloroso, mancante di stabilità.
“tra le braccia del diavolo,”
– Qui avviene una svolta: l’amore o il desiderio può condurre alla dannazione, alla perdizione. Le braccia del diavolo sono l’abbraccio proibito, ma forse anche l’unico rifugio rimasto.
“dimmi
se posso venire da te.”
– Il verso finale riprende la supplica iniziale, chiudendo il cerchio. Dopo tutto il tormento, la domanda resta: posso ancora amarti? Posso ancora essere accolto?
3) Analisi linguistica
Lessico: poetico, simbolico, fortemente evocativo. Parole come vagheggio, esose, desiderio, colpa, diavolo costruiscono un campo semantico complesso tra mistico, emotivo e mitologico.
Sintassi: fluida ma articolata, con frasi spesso sospese e cariche di significati multipli. L’assenza di punteggiatura forte contribuisce a un senso di flusso continuo e riflessivo.
Figure retoriche:
Metafora: “mare che consuma scoglio”, “braccia del diavolo”, “musica nelle emozioni”.
Anafora implicita: la ripetizione del verso “dimmi se posso venire da te” in apertura e chiusura crea una struttura a cornice.
Ossimoro e antitesi: emozioni che esaltano e consumano, amore e dannazione.
Enjambement: usati per sottolineare la continuità di pensiero e la tensione interna della voce lirica.
4) Conclusioni
“Atlantide” è una poesia che affonda nella profondità dei sentimenti umani, oscillando tra bisogno di amore, senso di colpa e paura di perdersi. Il titolo evoca un luogo perduto e ideale, proprio come l’amore a cui si anela. Andrea Magno utilizza il linguaggio poetico per esprimere una crisi identitaria, spirituale e affettiva, con una voce che non cerca certezze ma ammette la fragilità del proprio cammino. La poesia è sospesa, come l’anima che la pronuncia, tra desiderio e dannazione.
UNA GOCCIA pag. 62
A farci l’amore
poi la pelle ti resta addosso,
e,
nella diafana rabbia di un addio,
quel lato della stanza
avrà quel colore
per sempre.
1) Breve commento
“Una goccia” è una poesia densa, contenuta, eppure devastante nella sua essenzialità. In pochi versi, Andrea Magno cristallizza l’intimità, la perdita e la permanenza del ricordo attraverso immagini corporee e visive. L’amore fisico si imprime sulla pelle, ma ciò che resta è una rabbia silenziosa, “diafana”, che colora lo spazio per sempre. È un addio che non svanisce, che continua a vivere nelle tracce invisibili del quotidiano.
2) Esegesi completa
“A farci l’amore
poi la pelle ti resta addosso,”
– Il legame fisico tra due persone viene descritto con una crudezza tenera: dopo l’amore, ciò che rimane non è solo un ricordo, ma qualcosa di viscerale. La pelle dell’altro, come traccia, come identità impressa, resta impressa nella carne e nella mente.
“e
nella diafana rabbia di un addio,”
– L’addio viene associato a una rabbia diafana: un ossimoro sottile. “Diafana” evoca qualcosa di leggero, trasparente, quasi etereo, mentre la “rabbia” è una forza distruttiva. Insieme, creano un’emozione contenuta, interna, che brucia senza fiamme.
“quel lato della stanza
avrà quel colore
per sempre.”
– Il dolore dell’addio si imprime nello spazio. Quel lato della stanza diventa un simbolo, un’area contaminata dalla memoria. Non è solo una parte fisica dell’ambiente, ma un frammento di tempo congelato nel ricordo. Il “colore” è indefinito, eppure assoluto: non potrà più cambiare. È l’impronta dell’assenza.
3) Analisi linguistica
Lessico: scarno, diretto, quotidiano ma fortemente evocativo. Parole come pelle, rabbia, addio, colore si caricano di valore simbolico.
Sintassi: molto contenuta, con una costruzione che gioca sulla sospensione. L’uso dell’enjambement tra i primi versi crea un ritmo lento, quasi esitante.
Figure retoriche:
Metafora: “la pelle ti resta addosso” – l’amore fisico come marchio emotivo.
Ossimoro: “diafana rabbia” – contrapposizione tra leggerezza e forza distruttiva.
Sineddoche/spazio simbolico: “quel lato della stanza” – parte per il tutto, spazio per il ricordo emotivo.
Anadiplosi tematica: “quel… quel” – il richiamo rafforza il senso di fissità, l’inevitabilità del ricordo.
4) Conclusioni
“Una goccia” è una poesia intima e misurata, che racconta la permanenza della perdita e il peso fisico del ricordo. Andrea Magno scrive come se volesse lasciare una goccia d’inchiostro in un bicchiere d’acqua: piccola ma capace di colorare tutto. La stanza, la pelle, la rabbia diventano contenitori di memoria emotiva, e l’addio si fissa non solo nel cuore, ma negli oggetti e negli spazi del vivere quotidiano. È poesia della persistenza, della traccia che non si cancella.
LA FORMA DEL DESIDERIO pag.83
E morire sempre
con un’anima maledetta,
nell’abbandonarsi
senza nessuna spiegazione
tra quelle gambe
per dimenticare promesse,
custodendo segreti
scivolavano lacrime
mentre ardore
scuoteva fianchi, e mani
trattenevano spalle,
quel culo,
– visto da qui –
una distrazione di certe notti,
e abbassare gli occhi
non bastava
in quel vano riempire
silenzi di parole.
1) Breve commento
“La forma del desiderio” è un testo corporeo, crudo e struggente. Andrea Magno esplora il desiderio nella sua dimensione più fisica, ma anche nel suo legame profondo con la perdita, il vuoto e l’illusione. Il sesso qui non è appagamento, ma rifugio – un gesto disperato per dimenticare, per non sentire. Il corpo diventa terreno di battaglia tra ardore e malinconia, tra piacere e senso di colpa. È una poesia che non giudica, ma espone con nuda verità.
2) Esegesi completa
“E morire sempre
con un’anima maledetta”
– Il verso iniziale è definitivo: il desiderio è una condanna, una morte reiterata. L’anima è “maledetta” non tanto in senso religioso, quanto come segnata, dannata, incatenata a un piacere che non libera.
“nell’abbandonarsi
senza nessuna spiegazione
tra quelle gambe
per dimenticare promesse,”
– L’abbandono fisico è un atto privo di senso razionale, spinto da una volontà di dimenticanza. Le “promesse” non mantenute o infrante sono il motore emotivo di un atto sessuale che è più fuga che comunione.
“custodendo segreti
scivolavano lacrime
mentre ardore
scuoteva fianchi, e mani
trattenevano spalle,”
– Il sesso è contemporaneamente un atto di desiderio e di dolore: lacrime e ardore coesistono, così come segreti e movimento. Il corpo vive mentre l’anima soffre. Le mani che “trattengono” suggeriscono un desiderio di possesso, ma anche forse un tentativo di fermare il tempo.
“quel culo
– visto da qui –
una distrazione di certe notti,”
– Un momento di disincanto, di ironia quasi tragica. L’oggetto del desiderio è guardato da lontano, con distacco. È “una distrazione”, cioè qualcosa che devia dall’abisso emotivo, ma non lo riempie davvero.
“e abbassare gli occhi
non bastava
in quel vano riempire
silenzi di parole.”
– Il gesto di abbassare lo sguardo indica vergogna, stanchezza, rassegnazione. Eppure non è sufficiente: le parole dette durante questi incontri non riempiono davvero il vuoto, i “silenzi” restano, enormi, incolmabili. Il tentativo è vano.
3) Analisi linguistica
Lessico: diretto, carnale, volutamente esplicito e poetico insieme. Termini come gambe, culo, lacrime, fianco, ardore mettono a nudo la fisicità senza filtri, ma sempre con carica emotiva.
Sintassi: il verso libero segue l’urgenza del sentire. Non c’è punteggiatura, se non nei due trattini, che isolano l’immagine oggettivata del desiderio. La struttura è fluida, ma ogni verso ha un peso preciso.
Figure retoriche:
Ossimoro emotivo: “lacrime” e “ardore”, piacere e dolore convivono.
Metafora: “morire sempre” – il sesso come annullamento, rinascita o dannazione.
Sineddoche: “quel culo” – parte del corpo per il tutto del desiderio e del legame.
Anafora tematica: “non bastava”, “vano riempire” – sottolineano l’inutilità del gesto rispetto alla profondità del vuoto.
4) Conclusioni
“La forma del desiderio” è un testo che esplora il lato oscuro dell’intimità. Andrea Magno scrive una poesia che si muove tra pelle e anima, dove il corpo si offre come unica possibilità di dimenticanza, ma non riesce a colmare il vuoto affettivo e spirituale. La fisicità diventa una maschera, una risposta instabile al dolore. È una poesia che lascia il lettore spoglio, a confrontarsi con le proprie forme di desiderio, di solitudine, di finzione e verità.
UNA GABBIA pag. 125
Accompagnando memoria
lungo questa strada,
nessuna nostalgia di me,
sono onda,
che il vento sospinge
nel reticolo relazionale
del paradosso del tempo,
una convenzione,
dove ho nascosto
– tra una lacrima e un sorriso –
parole su parole,
al sole che non riscalda,
non ho pace
per il tempo, che non vedo
dal mio angolo cieco,
una dissonanza,
avevo scritto il futuro,
ma,
non so più dove andare.
1) Breve commento
“Una gabbia” è la poesia della consapevolezza e dello smarrimento. Andrea Magno riflette sulla memoria, sul tempo e sull’identità, abbandonando del tutto la dimensione carnale delle poesie precedenti per immergersi in una più filosofica e astratta. È un testo che parla di prigionia interiore, di un’esistenza che si muove tra illusioni e percezioni deformate. Il tempo, la memoria e il linguaggio diventano forme di una gabbia mentale, dove la direzione si perde e la pace è inattingibile.
2) Esegesi completa
“Accompagnando memoria
lungo questa strada
nessuna nostalgia di me,”
– La memoria è una compagna di viaggio, ma non fonte di dolcezza. L’assenza di nostalgia verso se stessi suggerisce distacco, forse rifiuto o perdita dell’identità passata.
“sono onda,
che il vento sospinge
nel reticolo relazionale
del paradosso del tempo,”
– L’io si identifica con un’onda, elemento fluido, instabile, in balia di forze esterne (il vento). Il “reticolo relazionale” indica una rete invisibile di legami, percezioni e riflessi. Il tempo, qui, non è lineare ma paradossale: sfugge, si intreccia, si spezza.
“una convenzione
dove ho nascosto
– tra una lacrima e un sorriso –
parole su parole”
– Il tempo è ridotto a convenzione, a costruzione. Dentro questa finzione, l’io ha nascosto le parole: comunicazione mai del tutto vera, mimetizzata tra emozioni ambivalenti.
“al sole che non riscalda,”
– Il sole è tradizionalmente simbolo di vita e chiarezza. Qui, invece, è una presenza sterile: luce senza calore, verità senza conforto.
“non ho pace
per il tempo che non vedo
dal mio angolo cieco,”
– Il senso di disorientamento si intensifica. L’angolo cieco è il punto da cui non si riesce a percepire il mondo, e quindi neanche il tempo. L’io è tagliato fuori dal fluire naturale degli eventi.
“una dissonanza,
avevo scritto il futuro,
ma
non so più dove andare.”
– La dissonanza è il contrasto tra ciò che si era immaginato e ciò che è accaduto. Aveva dato forma al proprio destino, ma ora quella traiettoria si è persa. L’ultima dichiarazione è una resa, un riconoscimento di smarrimento esistenziale.
3) Analisi linguistica
Lessico: filosofico, riflessivo, denso di astrazione. Termini come memoria, paradosso, convenzione, dissonanza inseriscono la poesia in un campo semantico concettuale.
Sintassi: fluida ma complessa, con ampie frasi articolate che mimano il pensiero in divenire. L’uso delle virgole, delle pause e del trattino dà ritmo e peso alle immagini interiori.
Figure retoriche:
Metafora estesa: l’io come onda, il tempo come reticolo, la memoria come viaggio.
Ossimoro implicito: “sole che non riscalda”, lacrima e sorriso – immagini che coesistono nella contraddizione.
Enjambement: utilizzati per accompagnare il flusso del pensiero, quasi come un monologo interiore in versi.
Similitudine implicita: la gabbia è concettuale, costruita con elementi astratti: tempo, emozione, parola.
4) Conclusioni
“Una gabbia” rappresenta la maturazione (o forse la frattura) definitiva del soggetto lirico. Andrea Magno qui lascia ogni appiglio terreno – il corpo, il desiderio, l’amore – e affronta l’instabilità del tempo, della memoria, della coscienza. Il titolo è emblematico: la gabbia non è fatta di sbarre, ma di esperienze e percezioni. È la poesia di chi ha smesso di cercare certezze e si trova davanti al vuoto dell’ignoto, con la consapevolezza disarmante di aver perso la mappa.
La forma del desiderio: anatomia di un’anima esposta
Il titolo della raccolta è una dichiarazione di poetica: il desiderio è ciò che dà forma alla materia poetica, al corpo, all’identità, al linguaggio. Ma quale desiderio? Non è mai semplicemente erotico o spirituale. In Andrea Magno, il desiderio è ambivalente, distruttivo, luminoso e oscuro insieme. È ciò che ci tiene in vita e ciò che ci consuma.
Dalla croce al vuoto: una traiettoria discendente (o ascendente?)
In “Sulla Croce”, il soggetto poetico è già esposto, trafitto, in croce: ama e odia con la stessa intensità. C’è una verticalità simbolica: braccia aperte, sacrificio, spiritualità ambigua. È un amore sacro-profano che brucia da lontano.
Poi, con “Atlantide”, si entra in un mondo sommerso: il tono si fa più supplichevole, incerto, smarrito. La preghiera si trasforma in desiderio di unione, ma anche in paura di perdersi. Il mito della città sommersa diventa il simbolo del sentimento idealizzato e irraggiungibile.
“Una goccia” è forse la poesia più asciutta e tagliente della silloge: qui il desiderio ha lasciato una traccia, la pelle addosso, ma tutto si riduce a un colore fisso, un ricordo che non cambia, immobile come un dolore inciso nelle pareti dell’abitudine.
A questo punto arriva “La forma del desiderio”, cuore pulsante e manifesto della raccolta. È un testo dove il corpo esplode: il sesso è rifugio, ma anche perdita di senso. Il desiderio si fa carne, ma non trova salvezza. È crudele, bello, necessario. Ed è proprio qui che si consuma la frattura definitiva: non c’è più una direzione, solo fuga e attrito, ardore e lacrime. La voce poetica si avvicina alla verità ma ne rimane bruciata.
Infine, “Una gabbia”: la parola si fa pensiero, il desiderio si ritira nel silenzio del pensiero. Non c’è più il corpo, né l’altro. Rimane la memoria, il tempo e la coscienza del non sapere dove andare. È il punto finale del percorso, il limite della conoscenza. Il desiderio non ha più forma: si è dissolto in dissonanza, in parole inutili, in un futuro scritto e smarrito.
“Il desiderio come processo, non come risposta”
Questa raccolta non racconta una storia lineare. Non c’è un inizio, uno svolgimento, una fine. C’è piuttosto un moto ondoso, come l’onda di “Una gabbia”, che ritorna sempre su sé stessa: amore e perdita, corpo e memoria, fede e colpa, sogno e dannazione. È un continuo ritorno all’origine del sentire, un vagare nella carne e nello spirito alla ricerca di senso.
Il desiderio, allora, non è solo una tensione verso l’altro. È anche il bisogno di sapere chi siamo quando l’altro ci lascia, o quando ci abbandoniamo a lui, o quando ci rifiutiamo.
“Conclusione aperta”
Andrea Magno, con La forma del desiderio, ci consegna un’opera densa, crudele e profondamente umana. Una poesia che non cerca consolazione né risposte, ma accetta la contraddizione, l’ambiguità, il non sapere.
È un viaggio che parte dal corpo e finisce nella mente, ma potrebbe essere anche il contrario. Come un desiderio: non sai mai se ti spinge in avanti o ti risucchia indietro.
Francesca Mezzadri
La recensione su Satisfiction