La grammatica di Febrés


La grammatica dell’identità

Il gesuita Andrés Febrés protagonista del romanzo di Nicolò Migheli

Capita che la storia sia spesso avara di dettagli e costringa a ruoli marginali personaggi che hanno contribuito in modo determinante all’emancipazione dei popoli e alle loro vicende politico-culturali. È allora che la finzione, muovendo dalle fonti e integrandone lacune, può farsi strumento della restituzione della memoria. “La grammatica di Febrés”, terzo romanzo storico del sociologo Nicolò Migheli (Santu Lussurgiu, 1950), da oggi in libreria con Arkadia, sfrutta appieno il potere risarcitorio della letteratura. Senza mai tradire il rigore della ricerca documentaria che governa le trame, sottrae dall’oblio la luminosa figura del gesuita Andrés Febrés. «Nato in Catalogna nel 1734, missionario in Cile e morto a Cagliarinel 1790», ricorda Migheli, riconoscendo all’amico bibliofilo Emanuele Pes la genesi dell’ispirazione, «fu autore della prima grammatica del sardo, progetto coraggioso (di cui resta solo l’indice) edito negli anni in cui i Savoia imponevano alla Sardegna, isola eponima del Regno acquisito nel 1720, l’italiano».

La storia

Il primo motivo d’interesse dello scrittore, intellettuale impegnato nella difesa del principio di autodeterminazione dei popoli, voce autorevole nel dibattito su economia, lingua e cultura sarda, non sovrasta la narrazione; si coglie in filigrana, dietro un intreccio che appassiona sin dall’incipit. Ambientato in un povero alloggio della Cagliari del 1790, spazio in cui si muove il misterioso personaggio di Bonifacio d’Olmi, introduce il lettore nell’avventurosa esistenza di Febrés, vissuta perlopiù tra gli sterminati confini dell’Impero spagnolo, di cui anche l’Isola era parte.

Le Indie

Grazie a un potente flashback, la storia risale al 1756. È a Lima, capitale del vicereame del Perù da cui dipende la provincia del Cile, che si delinea il ritratto del protagonista, animato dalla passione per le lingue, strumento di evangelizzazione ed emancipazione politica. Proprio la richiesta di imprimatur per la Grammatica del mapudungun, «idioma dei Mapuche, gli indios che abitavano il Cile», è la ragione della spedizione del religioso oltre i villaggi della missione, tenace obiettivo prima dell’espulsione dei gesuiti dai territori della Corona di Spagna (1767) e della soppressione della Compagnia da parte del Papa (1773). Accompagnando Febrés in esilio, il lettore affronterà un lungo viaggio, itinerario descritto sulla mappa del mondo che si prepara alla Rivoluzione francese. Doppierà Capo Horn, varcherà l’Oceano, toccherà l’Italia, Torino e infine Cagliari. 

La patria

Ci sono anche approdi di quiete nelle vicende tumultuose in cui il grammatico, ritenuto pericoloso per via dei suoi scritti polemici, viene coinvolto. La bussola è Diego Cherchi, novizio conosciuto in Cile, rientrato a Cagliari e fattosi uomo di legge. Personaggio di finzione, è legato intimamente al suo creatore. Accostato a figure monumentali del ’700 sardo (Giovanni Maria Anjoy e don Michele Obino), eroi delle istanze libertarie che segnarono il tramonto del secolo, è originario di Uràssala. Toponimo letterario già usato da Migheli nei romanzi “Hidalgos” e “La storia vera di Diego Henares de Astorga”, da oggi tasselli di una trilogia, è nella realtà Santu Lussurgiu, «il paese in cui sono nato – dice l’autore – e verso cui nutrio amore “patrio”», lo spazio sicuro e certo da cui procedere alla lettura della storia, del progresso e del mondo.

La prima

Nicolò Migheli, ospite del festival Éntula, presenterà il libro domani a Cagliari, ore 18, Fondazione di Sardegna. Interverranno Maria Antonietta Mongiu e Pietro Picciau.

Manuela Arca



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