I giorni pari è un romanzo ambientato negli anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale, con una coda che si protrae fino agli anni ’50 del secolo scorso. Protagoniste sono due ragazze, le cui vicende parallele vengono narrate a capitoli alternati. Sara e Silvana sono estranee l’una all’altra, si incontreranno fuggevolmente solo verso la…
I giorni pari è un romanzo ambientato negli anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale, con una coda che si protrae fino agli anni ’50 del secolo scorso. Protagoniste sono due ragazze, le cui vicende parallele vengono narrate a capitoli alternati. Sara e Silvana sono estranee l’una all’altra, si incontreranno fuggevolmente solo verso la fine del romanzo, eppure tra loro vi sono molte analogie. Entrambe romane, Sara, ebrea, figlia del ghetto, Silvana invece proveniente dalla borgata di Val Melaina, si ritrovano allontanate dalla famiglia per ragioni diverse. I genitori di Sara si separano dalla figlia, con dolore, per metterla al sicuro in una località fuori da Roma, dove la sua identità ebraica possa rimanere celata. Silvana invece deve lasciare la sua casa per malattia: ha la tubercolosi e viene ricoverata in sanatorio. L’esperienza dell’allontanamento, la mancanza delle persone care, l’esistenza ristretta in un ambiente estraneo è ciò che caratterizza le due giovani, ciò che le accomuna. Ci sono poi, per entrambe, amori difficili e dolorosi, un percorso di crescita personale che coincide con gli anni drammatici della guerra e quelli faticosi dell’immediato dopoguerra. Entrambe sperimentano la perdita di persone amate: i genitori di Sara vengono deportati durante il rastrellamento del ghetto di Roma, il ragazzo che ama muore combattendo tra le fila dei partigiani, mentre a Silvana è la malattia a portare via il primo fidanzatino, il padre e la sorella. Una specchio dell’altra, dunque, non si conoscono, non si incrociano se non alla fine, quando per uno strano gioco del destino si trovano per un breve periodo dirimpettaie, e si guardano da una finestra all’altra. Maria Caterina Prezioso è brava a inquadrare le vicende parallele di Sara e Silvana nel contesto storico e a rendere il senso di claustrofobia che entrambe provano, l’una nella minuscola casa di Sperlonga con la sua finestra affacciata sul mare, l’altra nel grande, affollato sanatorio nel cuore di Roma, dove vivono amori travagliati e terribili perdite.
Marisa Salabelle
Il link alla recensione su MasticadoreItalia: https://tinyurl.com/ycyutd5u
* * *
Italia 1940-1955. Sara e Silvana, una specchio dell’altra. Due storie che si alternano per poi forse incontrarsi solo anni dopo. Anni vissuti l’una all’insaputa dell’altra. Anni feroci in Italia e nel mondo.
Ho letto il tuo pregevole romanzo e ne sono rimasta folgorata. Struttura ampia e convincente, coscienziosamente documentato l’apparato storico. Funzionante e ben congegnato il plot. Geniale il dipanarsi della storia attraverso le due figure femminili, strumentali allo squadernarsi di situazioni complesse e diversificate.
– Come ti sei così sapientemente documentata su questa nostra Storia ancora pungente?
Ho sempre studiato questa materia con interesse. Poi all’Università alla facoltà di Scienze Politiche, l’incontro con il professore Francesco Maria Leonardi che mi ha fatto amare ancora di più non solo la storia, ma la necessità di documentarla con la ricerca dei fatti accaduti, ho approfondito questo particolare periodo storico e in qualche modo l’ho fatto mio. Ma forse la documentazione principale viene dal sapere ascoltare i racconti di coloro che hanno vissuto in prima persona. Pungente è il termine esatto per definire la Storia dell’Italia del novecento, fatte di tante realtà e accadimenti: politici, sociali e personali. Ho provato a raccontare alcuni di questi episodi, non sempre noti, allo stesso tempo ho sperimentato una scrittura delicata e forte, che nell’insieme formasse uno spaccato di quello che abbiamo alle spalle e che purtroppo ritorna in modi nuovi.
– Sara e Silvana, l’una scampata alla Shoa, troverà rifugio a Sperlonga, l’altra verrà ricoverata al Forlanini, intrecciando le loro storie. Dalla dedica si desume che Silvana l’hai ripescata dalla memoria. Chi è questa Silvana per te?
Sì, nella dedica “A Silvana del mio ricordo. A Sara della mia immaginazione” ci sono due elementi fondamentali della mia scrittura. Il ricordo e l’immaginazione. Riuscire a creare attraverso l’elaborazione della memoria e con l’aiuto della immaginazione che è di per se stessa, appunto “immaginifica”, un tessuto nel quale il lettore possa entrare nel romanzo. Per questo voglio lasciare pensare al lettore, non voglio confermare o meno, voglio che il lettore lo creda. Silvana ha diritto di esistere negli occhi di coloro che leggono, la mia Silvana personale ora è anche vostra.
– Dalla citazione a esergo di Sepulveda capisco il potere che attribuisci alla parola come memento. Che messaggio vuoi dare ai lettori, ricordando il regime fascista e nazista e in generale le atrocità commesse?
Messaggio? L’Italia non ha fatto i conti con il suo passato. Per questo oggi ci ritroviamo in una situazione di totale strabismo storico. Sicuramente accade non solo in Italia, ma in tutta Europa e paradossalmente in America. Ma il fascismo è nato in Italia ed è da qui che deve ripartire una stagione diversa, una stagione di rinascita democratica. E per farlo c’è bisogno di prendere posizioni che non siano solo di forma ma di pensiero costruttivo e costante. Mi riapproprio delle parole di Sara “C’era qualcosa di più. A me pareva che il passato non fosse così passato e che dietro una fumosa cortina di allegria si celasse la tentazione di molti di quelli che una volta erano fascisti di tornare al potere. Un nuovo volto, una nuova storia, si sarebbero rifatti il trucco per presentarsi innocenti davanti al mondo”.
– Pensi che la natura umana sia correggibile o piuttosto sia determinata da fattori ineludibile?
Immagino la natura umana come una “danza” di foglie, una coreografia che senza libertà, solidarietà, diritti dell’uomo, uguaglianza e armonia non ha significato alcuno. Bisogna imparare a danzare perseguendo questi sentimenti.
– I titoli di coda li ho trovati riuscitissimi, sei forse anche una sceneggiatrice?
Non ho mai lavorato per il cinema. Ho scritto drammaturgia, questo sì. Scrivo però per immagini e mi piace molto l’idea di vedere scorrere, come al cinema, i titoli di coda dove si racconta quello che è stato di coloro che sono sopravvissuti e di coloro che realmente esistiti hanno fatto un pezzo di Storia.
– Quanto fiducia riponi nella medicina, visto che il tema della malattia è presente nella tua opera?
Il professor Giusto Fegiz è emblematico nella sua professionalità, ma soprattutto nella sua umanità. Un dottore che ha saputo offrire la sua esistenza alla cura di una malattia terribile all’epoca, la tubercolosi: una malattia che ha falciato una generazione di ragazzi e ragazze. Un esperto in pneumotorace. Silvana si fida ciecamente di lui. Ha messo la sua vita nelle mani di Fegiz. Oggi gli essere umani sono percepiti, soprattutto dalle case farmaceutiche e a seguire anche dai governi come delle “quote di mercato”.
– Quale è il target del tuo romanzo?
Lo stanno leggendo donne e uomini, le donne sono diventate lettrici “forti” come si usa dire. Sarei felice che lo leggessero anche i ragazzi e le ragazze. Sara e Silvana e molti degli altri protagonisti sono giovani che vivono un momento particolare della Storia, ma sono anche coloro che faranno la Storia di domani che oggi è diventata passato. Mi piace pensare che I giorni pari possano essere una spinta per le nuove generazioni a mettersi in gioco e a darci un futuro diverso da quello che a quanto pare abbiamo preparato per loro.
– Possiamo ascrivere il tuo romanzo nel genere neorealista. Quali sono i tuoi modelli realisti?
Un lettore ha definito I giorni pari un romanzo di un “nuovo neorealismo poetico” che ho trovato bellissimo e che fa tanto bene al cuore. I modelli realisti? Non posso non pensare a Elsa Morante e a Ennio Flaiano. La Morante mi ha dato tanto anche quando non è stata capita e attaccata dalla cultura dominante. Flaiano, per la sua umanità, un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole. Ma questa forse è un’altra storia da raccontare.
– Considerando la conclusione, quanto è forte la presenza di Dio in te?
Dio ha un approccio personale con ognuno di noi. Per me è una presenza forte, a suo modo una presenza costante. Per me Dio è memoria, resistenza e speranza.
* * *
La scheda del libro: “I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso (Arkadia, 2024)
Italia 1940-1955. Sara e Silvana, una specchio dell’altra. Due storie che si alternano per poi forse incontrarsi solo anni dopo. Anni vissuti l’una all’insaputa dell’altra. Anni feroci in Italia e nel mondo. Quelli del fascismo, della Seconda guerra mondiale, della sconfitta e della rinascita. Nel mezzo una Nazione allo sbando. Sara è una ragazzina ebrea che, scampata alla Shoà, troverà rifugio nel piccolo borgo di Sperlonga. Silvana, invece, è una ragazzina di Val Melaina, una borgata di Roma, immersa in una giovinezza delicata e povera che la porterà al Forlanini, il Sanatorio di Roma, luogo in cui tenterà di sopravvivere e diventare una donna. Attraverso le loro voci conosceremo gli altri personaggi, alcuni realmente esistiti altri di fantasia, le rispettive famiglie, le avventure di una stagione, la giovinezza vissuta nel periodo della guerra e gli accadimenti del periodo successivo. Come al cinema scorreranno i titoli di coda che racconteranno quale sia stato il destino di ciascuno dei protagonisti, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che si sono arresi. Dalle loro voci ascolteremo uno spaccato di quegli anni, di un’intera stagione che, per quanto si voglia provare a dimenticare, ritorna spesso con un’attualità sconcertante.
* * *
Giovanna Albi
Il link all’intervista su Letteratitudine News: https://tinyurl.com/82t3ky72
I giorni pari è un romanzo di Maria Caterina Prezioso edito da Arkadia nel 2024
“Nessuno pareva accorgersi di me. Non ero scomoda perché semplicemente non mi si vedeva, ma avevo il dovere di osservare, ascoltare e divenire memoria vivente. E fu questa trasparenza a salvarmi la vita.”
Di cosa tratta I giorni pari?
“Perché se li nominiamo, e raccontiamo le loro storie, i nostri morti non muoiono.” Luis Sepúlveda (La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l’oblio)
Questa immensa e significativa frase introduce il clima emozionale che pervade tutto il libro.
Quando nel 1938 Mussolini emana le leggi razziali fasciste, la vita di Sara viene completamente stravolta. Sara aveva solo quattordici anni, le sue origini benestanti le avevano concesso una vita tranquilla e agiata, ma ‘colpevoli‘ le radici ebraiche di colpo perse tutto. Aveva dovuto lasciare la scuola, i suoi genitori si erano privati di beni personali e forse avrebbero dovuto rinunciare anche alla loro amata casa e alla farmacia di proprietà. Il 10 giugno 1940 Mussolini dal balcone di Piazza Venezia annunciava che l’Italia era entrata in guerra al fianco di Hitler. Il dittatore tedesco attribuì agli ebrei la responsabilità del conflitto, e come diceva il suo papà, al giudaismo internazionale.
“[…]il suo odio, un odio che scavava nelle viscere, era così grande da desiderare di cancellare ogni ebreo dalla faccia della terra. Non per niente avevo sentito più volte mia madre mormorare: «Perché ci odia tanto?» “
Per suo padre Gino e sua madre Miriam l’unica soluzione, per sfuggire a quella situazione di atroce ingiustizia, e preoccupante per la loro stessa vita, era separarsi da Sara.
Bisognava decidere in fretta. Così la mattina dell’ otto dicembre del 1940 Sara dal ghetto ebraico di Roma parte per Sperlonga, un paesino arroccato su uno sperone di roccia. Suo padre aveva pagato una povera famiglia con quattro figli, seriamente in difficoltà, perchè accogliesse sua figlia facendola passare per una loro lontana parente.
“Le notizie dai miei cominciarono a farsi rare. Quando arrivava finalmente una lettera la tenevo in mano prima di aprirla, cercavo di leggere quello che non diceva l’inchiostro. Era in quei momenti che il dono tornava. Bastava attendere. Le immagini erano nitide. Papa in farmacia, Miriam in casa a scrivere e Roma come Sperlonga.”
Nelle case popolari di Val Melaina, una borgata voluta dal Duce in cui c’era la parte più povera del proletariato romano, viveva la piccola Silvana, figlia di Domenico, calabrese ma per molti l’ebreo per via del suo cognome, e Caterina, una madre che per sua figlia covava un rancore viscerale. Era diversa lei dai suoi fratelli, ma anche molto cagionevole tanto da venir ricoverata per una brutta tubercolosi al Sanatorio Forlanini di Roma, ‘una terra di mezzo, una terra tra la vita e la morte‘.
“Quei mesi del 1941. Il mio primo anno di sanatorio. L’Italia era in guerra, ma di quella guerra al Forlanini se ne parlava di rado. Tutti noi eravamo impegnati in un’altra guerra. Ada la chiamava “la guerra di tutte le guerre”. «Combattiamo per la vita. La guerra del Duce lasciamola a quelli di fuori. Lasciamola a loro, a loro che si pensano sani e hanno paura di noi.»”
Passano i giorni, i mesi e gli anni, Sara e Silvana si muovono su binari paralleli, ma molto distanti tra loro. Radici e sviluppi diversi, sentimenti ed emozioni che stravolgono la loro vita. Combattono la loro guerra, quella fuori e quella dentro, quella che le cambierà per sempre. Conosceranno l’amore, soprattutto quello per la vita, della quale ne erano state ingiustamente mutilate da un potere assurdo e crudele.
“Il 2 giugno noi donne andammo per la prima volta a votare. Ci recammo in massa alle urne. Non fu una concessione, ma una conquista. Anche noi avevamo fatto la resistenza, partecipato attivamente alla lotta di liberazione. L’Italia uscita dalla guerra era chiamata a decidere con voto finalmente libero tra Repubblica e Monarchia.”
Perché leggere I giorni pari?
Con una scrittura delicata, ma precisa e profonda, Maria Caterina Prezioso scandisce dettagliatamente la successione degli eventi storici che si intrecciano con la vita delle due protagoniste, dall’entrata in guerra dell’Italia fino al dopoguerra. Sara e Silvana apparentemente non hanno nulla in comune se non quella di essere due ragazze, divenute nel tempo donne, da proteggere. L’istinto di sopravvivenza e la volontà di reagire a un destino segnato fa di loro due giovani coraggiose, sfidando con consapevolezza e con il loro travagliato percorso interiore le avversità ed anche se stesse.
I giorni pari indaga l’animo umano, le reazioni e le conseguenze che una tragedia mondiale scatena in un popolo che attraversa difficoltà e disperazione.
La forza di questo romanzo è nella determinazione del riscatto personale, della ricerca instancabile di una propria identità in un mondo in decadenza. La ricostruzione della memoria storica, di ferite che sanguinano ogni qualvolta si pensa a quei giorni tragici del secolo scorso.
La scrittrice ha tessuto una trama avvincente e coinvolgente, due storie che si incontrano, le cui protagoniste diventano eroine a modo proprio.
Nel passato che riaffiora c’è un presente che non dimentica.
Link di acquisto: https://www.amazon.it/giorni-pari-Maria-Caterina-Prezioso/dp/8868515253
Sinossi
Italia 1940-1955. Sara e Silvana, una specchio dell’altra. Due storie che si alternano per poi forse incontrarsi solo anni dopo. Anni vissuti l’una all’insaputa dell’altra. Anni feroci in Italia e nel mondo. Quelli del fascismo, della Seconda guerra mondiale, della sconfitta e della rinascita. Nel mezzo una Nazione allo sbando. Sara è una ragazzina ebrea che, scampata alla Shoà, troverà rifugio nel piccolo borgo di Sperlonga. Silvana, invece, è una ragazzina di Val Melaina, una borgata di Roma, immersa in una giovinezza delicata e povera che la porterà al Forlanini, il Sanatorio di Roma, luogo in cui tenterà di sopravvivere e diventare una donna. Attraverso le loro voci conosceremo gli altri personaggi, alcuni realmente esistiti altri di fantasia, le rispettive famiglie, le avventure di una stagione, la giovinezza vissuta nel periodo della guerra e gli accadimenti del periodo successivo. Come al cinema scorreranno i titoli di coda che racconteranno quale sia stato il destino di ciascuno dei protagonisti, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che si sono arresi. Dalle loro voci ascolteremo uno spaccato di quegli anni, di un’intera stagione che, per quanto si voglia provare a dimenticare, ritorna spesso con un’attualità sconcertante.
Gianna Ferro
Il link alla recensione su Cultura al Femminile: https://tinyurl.com/mwaxvhb4
Dopo i giorni trascorsi a tavola con parenti e amici, un po’ di relax ci vuole e, per chi ama stendersi sul divano o sedersi su una poltrona con un bel libro da leggere, abbiamo pensato di darvi qualche consiglio. Non seguiremo le classifiche dei più venduti, che in molti già avranno ricevuto in regalo, ma quelli che abbiamo letto per voi.
POPOFF – Graziano Gala – Minimum Fax
È notte fonda quando alla porta di Cimino, un vecchio strambo e un po’ smemorato, bussa un bambino che nessuno ha mai visto prima e che sembra essere apparso dal nulla. Con il volto coperto da una sciarpa, e imbacuccato in vari strati di giubbotti, ha una sola domanda per Cimino: “Mi scuci, ciniore, à visto peccaso mio pattre?”. In paese il cibo scarseggia, vecchi rancori mai sopiti sono sempre sul punto di eruttare in tragedia, antiche ingiustizie attendono di essere vendicate e gli abitanti diminuiscono giorno dopo giorno a causa di misteriose lettere di espulsione. Senza un nome e senza una casa, il bambino – ribattezzato Popoff – sa che i genitori sono lì da qualche parte e con l’aiuto dei pochi disposti a dargli una mano è determinato a trovarli. Graziano Gala racconta con incredibile delicatezza la storia del piccolo Popoff, che in un paesaggio umano vecchio di secoli si innamora delle candele votive, segue una dolce ninna nanna cantata nel cuore della notte dalle casse del supermercato, assiste impotente al terribile spettacolo della crudeltà umana. Popoff non è un libro qualsiasi, forse non è neanche un libro. Popoff é un regalo per chi sa capire, per chi il dolore lo guarda in faccia anche quando dilania. Popoff é la storia di tanti ma non di tutti. É un libro che pesa come un macigno perché racconta una verità che troppi si nascondono. Popoff é un bambino infagottato come molti di noi lo sono stati e lo sono ancora. E non te lo dimentichi quel “Mi scu-ci, ci-niò-re, à visto pe-ccaso mio pa-ttre?”
I GIORNI PARI – Maria Caterina Prezioso – Arkadia
Italia 1940-1955. Sara e Silvana, una specchio dell’altra. Due storie che si alternano per poi forse incontrarsi solo anni dopo. Anni feroci in Italia e nel mondo. Quelli del fascismo, della Seconda guerra mondiale, della sconfitta e della rinascita. Sara è una ragazzina ebrea che, scampata alla Shoah, troverà rifugio nel piccolo borgo di Sperlonga. Silvana, invece, è una ragazzina di Val Melaina, una borgata di Roma, che arriverà al Forlanini, il Sanatorio di Roma, luogo in cui tenterà di sopravvivere e diventare una donna. Attraverso le loro voci conosceremo gli altri personaggi, alcuni realmente esistiti, le loro famiglie, la giovinezza vissuta nel periodo della guerra e gli accadimenti del periodo successivo. Al termine del libro verrà raccontato il destino di ciascuno dei protagonisti, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che si sono arresi. Il libro di Maria Caterina Prezioso ha il pregio e la capacità di raccontare uno dei periodi più bui vissuta da Roma durante il fascismo prima e dopo la caduta di Hitler e Mussolini. Ma è la Storia questa volta, che la scrittrice ha studiato e raccontato in modo eccellente, anche con ‘storie’ più piccole ma sempre vere, a fare da scenario alle due protagoniste. Due ragazze prima e poi donne, che sono dovute crescere troppo in fretta, una a causa della sua malattia e l’altra per scampare alle deportazioni del Ghetto di Roma. Le loro vita camminano parallele e dopo poche pagine il lettore si ritrova con loro, nei padiglioni del Forlanini o a guardare il mare di Sperlonga da una finestra. Nonostante il dolore narrato, I GIORNI PARI, è un libro di una delicatezza estrema.
Paola Corradini
Il link alla recensione su RomaLife24: https://tinyurl.com/3shc83jt
Tra la vastità dei generi letterari che leggo da sempre con passione, la narrativa è il mio genere preferito. Quando l’autrice, Maria Caterina Prezioso mi ha chiesto se fossi interessata a leggere la sua storia e a recensirla ho accettato subito con molto entusiasmo. Avevo solo il titolo inizialmente e poi la cover che in pochi attimi ha conquistato il mio cuore di lettrice. Ogni libro, come giustamente asserisce la casa editrice Arkadia che ha pubblicato questa delicata e bellissima opera, è un atto d’amore. Un atto d’amore soprattutto nei confronti di chi quel libro decide di leggerlo lasciando che il suo cuore entri in connessione e coesione con quello dell’autore che lo ha scritto. Si crea un rapporto armonico, musicale, lirico, magico. La scrittura di Maria Caterina è pura poesia, delicata armonia e connubio di emozioni delicate espresse con realismo e con empatia lasciando spazio al lettore di farsi cullare dalle parole e graffiare dal sofferto e dal vissuto dei suoi protagonisti. Già dalle prime righe si intuisce subito il tono con cui l’autrice si rivolge ai suoi lettori, delicato, educato, pacato, sincero, puro, cristallino, aprendo la possibilità all’anima di lasciare fluire le parole che si posano come foglie cadute dall’albero in autunno stendendosi sul nostro cuore, una coltre fatta di emozioni uniche. Esordendo con la frase: “se li nominiamo e se raccontiamo le loro storie i nostri morti non muoiono”; comprendiamo subito il valore della memoria, dei ricordi e come questi ricordi siano eterni, un patrimonio prezioso da tramandare. Il palcoscenico di questa meravigliosa avventura è tra Roma e Sperlonga, luoghi a me molto familiari. Roma la mia città natale, Sperlonga luogo che frequentavo durante le vacanze estive. Tra le pagine di una storia che ci racconta pezzi di storia importante del nostro Paese ho rivissuto fatti e momenti magici attraverso le descrizioni dei luoghi e di quel vissuto antico che ha scavato nella profondità della terra le sue radici, anche quelle della nostra anima. Miriam e Gino sono i genitori di Sara, dei genitori premurosi, due personalità forti e determinanti nella formazione di quella giovane donna che vede nella madre la forza, la tenacia, il coraggio di esprimere il suo pensiero e anche il suo dissenso mentre nel papà Gino l’amore per la famiglia, per il suo lavoro di farmacista, la sua umiltà, il legame con la sua farmacia, la sua casa che intende non abbandonare nonostante inizino a soffiare venti funesti e oscuri, la minaccia di una guerra che si sta muovendo da lontano verso anche l’Italia. Maria Caterina ci parla di storia, ci parla della vita nel ghetto romano e ci parla del cambiamento inevitabile che bisogna accettare con coraggio, ci parla di emozioni e di sentimenti, di guerra, di paura e anche di coraggio. La paura può essere un’acerrima nemica, può farci commettere errori, può salvarci la vita; ma può anche alterare la percezione delle cose. Sara osserva il suo mondo, la sua vita sgretolarsi un pezzo alla volta. Le sue certezze vengono portate via come pezzi di un puzzle che era completo e che ora non potrà esserlo più. Tra lo scorrere di un tempo funesto e orribile la storia sta per scrivere le pagine più terribili della sua vita eppure Sara vede oltre, vede la speranza e il coraggio, affronta le sue paure e riesce ad aggrapparsi al bello di ciò che ha avuto, di ciò che le è stato tolto. Ma nessuno può toglierci i ricordi, l’amore, i sentimenti quelli ce li portiamo dentro fino all’ultimo respiro. Sono preziosi come preziosa è la vita. C’è un’immagine bellissima in questo romanzo (ce ne sono tante ma questa mi ha colpita molto): mamma Miriam e papà Gino sono seduti accanto alla radio ascoltando radio Londra, le cose stanno prendendo un corso violento e in quel momento Sara scatta con la sua mente una fotografia che porta sempre con sé nel cuore, nell’anima e nella forza e determinazione con cui affronterà tutto ciò che sta per accadere. L’armonia di struttura di questa autrice affascina e incanta, colma di bellezza e di profondità emotiva. Desideriamo tutti essere visti per ciò che siamo eppure. In un periodo così doloroso come quello della seconda guerra mondiale era necessario diventare trasparenti, invisibili per poter sopravvivere. La narrazione storica degli eventi e degli sviluppi precedenti, la guerra e il dopoguerra sono descritti in una maniera coinvolgente, dimostrano quanto studio e ricerca ha effettuato questa autrice per poterci consegnare un prodotto letterario che fosse accurato e dettagliato senza appesantire gli eventi ma facendo in modo che fossero da cornice a un quadro bellissimo di vita. Di due vite per l’esattezza, quelle di due donne, Sara e Silvana, che vivono la stessa epoca in contesti diversi, Sara in esilio a Sperlonga, e Silvana invece costretta a trascorrere il suo tempo e la sua giovinezza all’interno del sanatorio Forlanini (io abitavo a pochi km da quell’ospedale, mi ha fatto un forte effetto emotivo sentirne parlare), ho rivisto immagini, padiglioni ospedalieri… ho rivissuto una vita passata che ora è così distante eppure ancora così viva. Certo non ho vissuto il periodo della guerra ma ho visto cosa la guerra aveva lasciato nel cuore della mia famiglia e delle persone a me care. Di guerra mamma e papà me ne hanno sempre parlato ed è un po’ come averne vissuto gli effetti e le emozioni attraverso i loro racconti che ritrovo qui in queste pagine pulite e belle, che non si sporcano con il fascismo, con l’antisemitismo, con il concetto degli ebrei arianizzati, bensì mostrano la forza e la resilienza di un popolo che non ha avuto paura e che non ha mai tradito sé stesso. La paura tarpa le ali, Sara e Silvana possono ancora volare, possono ancora sperare e sognare e lo fanno, con una forza e un coraggio straordinario perché tutti prima o poi dobbiamo lottare per la nostra salvezza. Tra l’odio di Hitler, la furia e il suo abominio, il lato umano resta. Si assopisce, forse, ma affonda le sue radici nella terra e nel cuore delle persone che private di tutto riescono ad aggrapparsi ai propri ricordi, ai sogni, ai desideri. Ad aiutarsi l’un l’altro. Un altro passaggio meraviglioso, perdonatemi se mi dilungo, è il momento in cui Sara mentre sta camminando seguita dai fascisti e dal soldato delle SS. all’improvviso capì che sarebbe stata in grado di volare sopra di loro, di entrare nei loro cuori, di farsi beffa di loro. L’audacia di questa ragazza è ammirevole. Ci porremo innumerevoli domande durante questa lettura, metteremo in discussione noi stessi, il mondo, perfino la fede, ma di una cosa avremo certezza, che nel mondo c’è sempre qualcosa di bello e di buono e che, per quanto il male distrugga tutto, il germoglio dell’amore e della speranza continuerà a fiorire da qualche parte, anche la più impervia. Una prosa dolorosa, malinconica, nostalgica ma colma di una forza crescente. Ispirato a fatti reali e persone realmente esistite, questi anni difficili mostrano con quanta facilità l’amore trova sempre la forza di andare non solo avanti ma oltre e al di sopra di tutto il male possibile. Una lettura che è un dono poetico, un inno alla vita e che guarda alla guerra con rispetto e riverenza. Le brutture degli uomini possono essere spezzate dalla bellezza degli uomini stessi. Che lettura bellissima che mi hai offerto Caterina Prezioso. Dopo aver letto questa storia mi sento più forte, più vera, perfino più bella, almeno nel cuore. Complimenti davvero.
Barbara Anderson
Il link alla recensione su Le fleurs du mal: https://tinyurl.com/3c3rayzd
Superlativamente splendido questo libro di Maria Caterina Prezioso, che “incontro” per la prima volta nella mia veste di biblio-recensora; l’ho letto in un soffio e mi ha fatto appassionare e commuovere per vari motivi. Il primo è la perfetta, attenta e dettagliata contestualizzazione storica delle due vicende parallele che l’autrice sceglie di seguire; entrambe si svolgono tra i giorni precedenti l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940 e il 1955 passando per il 2 giugno 1946 e la ricostruzione post bellica, perfetti i titoli di coda, una sorta di postfazione molto arricchente: bravissima! Complimenti poi di vero cuore per come ha saputo descrivere le due protagoniste, Sara e Silvana, seguendo parallelamente le loro vicende, tra l’esilio a Sperlonga e il ricovero al Forlanini, tra le situazioni familiari e gli amori nascenti e/o vissuti. Queste due ragazze, poi donne, non hanno apparentemente niente in comune ma Prezioso riesce narrare le loro storie con un’empatia magica e struggente; sono davvero tanti/e i/le coprotagonisti/e ma il mio preferito è il dottor Fegiz, è impossibile non innamorarsi della sua profonda umanità unita alla professionalità: standing ovation!
Daniela Domenici
Il link alla recensione su Daniela e Dintorni: https://tinyurl.com/462fzf5p
“I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso (Arkadia Edizioni, 2024 pp. 200 € 16.00) esce nelle librerie il 29 novembre. “Perché se li nominiamo, e raccontiamo le loro storie, i nostri morti non muoiono.” (Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l’oblio). L’epigrafe introduce già la spiegazione emotiva del libro e precede il significato profondo della scrittura lirica e della tensione poetica racchiuse nell’arte letteraria dell’autrice. Maria Caterina Prezioso intreccia il susseguirsi affannoso e coinvolgente di storie e fatti, concentra, nel fluire del vissuto, l’infinita possibilità della narrazione pura, quella che compone verso un orizzonte biografico rimandando la spirale di parole e pensieri nell’unità distinguibile dell’identità umana. L’autrice allestisce una trama evocativa degli avvenimenti, nel contesto della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra, congiunge l’accordo morale, sociale e il vincolo affettivo delle protagoniste Sara e Silvana, unite nella loro empatia, nella solidarietà del loro personale percorso di evoluzione e di emancipazione, nella complicità di intenti e nella condivisione, nella percezione dell’esperienza della vita complementare, nell’integrazione appassionata oltre la discordanza delle contaminazioni personali, le interruzioni impreviste e le sospensioni inesorabili delle proprie biografie.
Maria Caterina Prezioso dedica al lettore un romanzo solido e resistente, contraddistinto da una trama tenace e risoluta, in cui si avvicendano l’oscurità e l’opacità delle vicende e la testimonianza della contraddizione impenetrabile, nel malinconico e invisibile interrogativo sulla natura umana, nello sguardo responsabile sulle ragioni degli incontri e della loro avvincente complicità, nella necessità indispensabile di ogni infelice influenza della cronaca, nella funzione provvisoria e minacciosa della fatalità. Il libro abita l’effetto rivelatore della sconfitta e di ogni successiva sopravvivenza, compie metaforicamente un viaggio realistico, spesso anche contemporaneo, sulla resurrezione di sentimenti di umanità, nella maturità di una sensibilità logorata dalla spaccatura della raffigurazione storica.
Le protagoniste, Sara, ebrea sottratta alla Shoà, in cerca di protezione contro i pericoli materiali e morali, e Silvana, fragile di salute e disagiata per la povertà, si riconoscono e si ritrovano nella connessione di due destini, accomunate dal legame insondabile dell’amicizia e dalla combinazione di tensioni e di inquietudini consumate nel cuore del cambiamento e nell’incantesimo della giovinezza che può rendere immortale il ricordo e la sua trasformazione. L’autrice affronta la sequenza descrittiva delle stagioni brutali e crudeli in Italia e nel mondo, attraverso la lente sottile ed erosiva dell’eredità del fascismo, della guerra, lungo la scia disgregante dello spavento e del turbamento, disegna il tratto comunitario dei personaggi, ammantati dall’universale sentire, nel coraggio della speranza e nel pudore delle illusioni. La scrittura di Maria Caterina Prezioso è misurata e scrupolosa, puntuale nell’inequivocabile attitudine a definire lo scandire del tempo e il susseguirsi delle circostanze, elabora una intessitura catartica ed efficace, in cui si ascolta, rapiti, l’eco della memoria, la commozione dei luoghi dell’anima. “I giorni pari” delineano le vite smarrite, perse, ma rinsaldate grazie alla quotidiana sfida, libera dalla sottomissione e dai compromessi, fondono la tenerezza di una evocativa sorellanza con l’asprezza degli ostacoli, preservano la solidarietà delle decisioni, ripercorrono, nell’intraprendente esortazione del messaggio salvifico, l’autenticità, naturale e struggente, di una storia collegata alla toccante e coinvolgente generosità del cuore. L’entusiasmo di essere artefici della propria fortuna, segue, nella consapevolezza, il suggerimento di riuscire a sostenere le difficoltà e l’incognita del futuro, incarnando l’incrollabile impegno nella lotta per rimanere in vita, sempre.
Rita Bompadre
#
«Come stai?»
«Così e così Silvana. Oggi va un po’ meglio, sono riuscito ad alzarmi. Ma tu non senti freddo amore mio?»
Era settembre. Un settembre caldo e vellutato. Si stava così bene al sole.
Fu allora che lo guardai. Manlio indossava un maglione che gli pendeva sulle spalle magre e il suo sorriso era spento. Respirava a fatica e si portava spesso al viso un fazzoletto bianco a detergere sudore dalla fronte.
Il mio dolce amore stava morendo e io continuavo a far finta di nulla. A sperare che quella vita non si spezzasse.
Eppure quasi un anno di sanatorio avrebbe dovuto insegnarmi qualcosa.
Domani o domani l’altro sarebbe potuto toccare a me. Avevo sperato che l’amore che lui provava potesse essere la spinta giusta… che i sentimenti si potessero tramutare
in salute, in guarigione. Perché Manlio che tanto mi amava doveva morire?
Mi scrisse una lettera qualche giorno prima di andarsene. Mi chiedeva perdono e mi pregava di non piangere troppo e di volare via libera e felice.
Non sei un uccellino da gabbia amore mio. Speravo di costruire per te una bellissima voliera dorata dove poter vivere felici per sempre, ma così non doveva essere. Non era destino. Ti ringrazio per tutti questi mesi di vita. Mai sono stato più felice, ma ora è tempo che tu voli via. La porticina è aperta, puoi spiccare il volo. Io rimarrò
ancora, per quanto ancora non so. A guardarti. Con il viso fisso al cielo a mirare il tuo volo di rondine che si dirige al sud.
Il 20 ottobre del 1941, era inizio sera, Manlio spirò. Fegiz mi fece chiamare e mi concesse il permesso di vederlo. Mi accompagnò nel reparto uomini. Era ancora caldo quel piccolo amore mio e gli occhi aperti fissavano l’alto. La bocca era come alla ricerca di aria e pareva ancora volesse dire qualcosa.
Fu Fegiz con delicatezza a chiudere gli occhi di Manlio e a portarmi fuori tenendomi per mano.
Non so per quanti giorni stetti a letto. Come tutti avevo spesso qualche linea di febbre. La febbriciattola era chiamata, una febbre tipica della tisi che raramente ti abbandonava, ma quella che mi era venuta era una febbre da cavallo.
Per il professor Fegiz era una febbre nervosa. Non riuscivo a piangere per la morte di Manlio. Ero in preda ai brividi, ma cercai lo stesso di raccogliere le forze per tirarmi
su dal letto.
Ada mi guardò storto, poi rise in modo da attrarre la mia attenzione.
«Senti non prendermi per matta, ma tu non puoi fare così ogni volta che ti muore qualcuno.»
La guardai come avesse veramente perso la ragione.
«Domani sarà una settimana che Manlio è morto quindi hai assolto il tuo lutto e ora puoi alzarti per favore da questo letto? Oh, insomma Silvana, ma tu lo sai quanto
campi? Nessuno lo sa, ma la vita continua con o senza di noi e pare che di vita ne abbiamo una sola.»
Ero solo una ragazzina, non avevo ancora quindici anni, ma dentro il Forlanini si moriva o si cresceva velocemente, non c’era molta scelta: o morire, lasciarsi andare,
oppure combattere e provare a resistere.
Crescere, per noi dentro il sanatorio, significava guardare in faccia la morte e tentare di vivere con tutti i mezzi a nostra disposizione, ognuno di noi alla maniera sua.
Il link alla recensione su Satisfiction: https://tinyurl.com/ytncj5j5
Nata a Roma nel 1961 ha pubblicato una raccolta poetica intitolata Nelle rughe del muro (Ibiskos, 1991). Per il teatro ha scritto La risposta di Leonardo (con Giuliana Majocchi, Il Segnale, 1996), messa in scena per la regia di Sergio de Sandro Salvati dalla Compagnia della Medusa (Teatro Oda di Foggia e Teatro Verga di Milano, premio migliore spettacolo) e La stanza. La festa dei Tuareg (Titivillus, 2004). Ha poi pubblicato i romanzi Il gioco n. 33 (Il Ventaglio, 1993), Il colpo (Pequod edizioni, 2008), Cronache binarie (Enzo Delfino Editore, 2011), Blu cavolfiore (Golena, 2013), La ballata dei giorni della pioggia (Kogoi Edizioni, 2016). Nel 2018 esce, coautrice Giuliana Majocchi, Pina & Max (Edizioni Leucotea, 2018). Alcuni suoi racconti e novelle sono stati pubblicati in diverse riviste di letteratura (“Storie”, “Omero”, “In-Edito”, “TutteStorie”, “EllinSelae”). Collabora con la rivista “Satisfiction”. Per Arkadia Editore ha pubblicato I giorni pari (2024).