Xaimaca


Due esperimenti narrativi paralleli: un breve romanzo storico, pieno di parole in quechua, e un secondo testo giocato sulle note dell’avanguardia: «Guerra verticale», da Arkadia

Dall’eredità andina al registro fantastico

Strano destino quello di César Vallejo: enormi difficoltà per farsi riconoscere in vita, quando pubblicò solo un centinaio di poesie, poi una fama in rapida ascesa, già avviata con i postumi Poemas Humanos e via via sempre più larga. Non fu tanto l’incomprensione dei contemporanei a causarne la sorte, quanto il sistematico sperimentalismo della sua scrittura, i libri concepiti come laboratori sempre aperti, la lingua sottoposta a tensioni estreme, come in Trilce (del 1922), il libro più radicale della poesia del Novecento in lingua spagnola.
Anche la prosa mostra una serie di tentativi nelle direzioni più diverse, sospesi tra la ricerca di un’estetica soggettiva e l’inseguimento di un’estetica rivoluzionaria, entrambe sorrette da un grande rigore etico. Se si includono i libri di viaggi e le cronache, la produzione in prosa di Vallejo occupa forse anche più pagine di quella poetica, ma le traduzioni e gli studi critici l’hanno lasciata molto più in ombra, nonostante la sua rilevanza: lo dimostrano i due testi proposti nel volume della coraggiosa editrice sarda Arkadia, Guerra verticale (a cura di Luigi Marfé, pp.126, € 14,00), due esperimenti paralleli, sfide diverse ma non del tutto separate.
Il primo è un breve romanzo storico – quasi un abbozzo – sul quale Vallejo tornò più volte, senza concluderlo, e in cui racconta l’epoca di Tupac Yupanqui, monarca inca del Peru prima della Conquista. Scelto il tema, l’autore si chiede se sia possibile raccontare il mondo incaico prima dell’arrivo degli spagnoli, quando le uniche fonti disponibili sono quelle dei conquistatori o degli storici meticci tardivi; ma la domanda successiva sarà se davvero sia possibile colmare la distanza culturale che divide gli eredi andini dei popoli originari dai bianchi e dai meticci del Peru. In quegli anni si ponevano la stessa domanda José Carlos Mariátegui, José María Arguedas, Gamaliel Churata, senza trovare una risposta definitiva. Vallejo si cimenta dunque in una narrazione piena di parole in quechua, lunghe liste iterative alternate a descrizioni liriche, imita antichi modi narrativi, ma lascia l’impresa a metà per consegnarci un racconto che proprio in questa sfida al- la storia conserva il suo fascino.
Il secondo testo si gioca, invece, tutto sulle note dell’avanguardia narrativa: composto nello stesso periodo di Trilce, presenta non poche convergenze con quel libro fondamentale. Il titolo, Scale, nella prima edizione era seguito dall’aggettivo melografiadas, che ne rivelava la natura di esperimento musical-narrativo. L’incontro tra le due forme d’arte, vecchio sogno ottocentesco, si realizza qui grazie a un lavoro sulla lingua di grande complessità e il titolo sembra proporre uno spazio di incontro intorno alla materia della scrittura, in cui l’allusione al linguaggio musicale fornisce la simultaneità che articola l’esperienza del soggetto narrante su piani alternativi a quelli meramente lineari.
Come le scale musicali, i testi presentano una notevole graduazione dei toni e cercano di captare sulla carta tutte le sfumature di uno strumento, per riprodurne le più diverse espressività. Sono testi che appartengono, dunque, alla frontiera tra i generi letterari, esplorata non solo con gli esperimenti formali delle avanguardie, ma anche grazie alle trasformazioni del genere fantastico, dagli inizi dell’Ottocento fino agli anni in cui scrive Vallejo.
Due le parti, apparentemente non collegate: la prima, intitolata Cuneiformi, è una successione di quadri statici in cui l’io narrante intende trasmettere la sua esperienza del carcere, cercando di renderla più oggettiva possibile: marcato dalle «quattro pareti della cella», prova a trasformarla in uno spazio che oscilla tra le espansioni e le contrazioni dell’Io.
I sei racconti della seconda sezione hanno invece una architettura narrativa più lineare, dove l’Io narrante si presenta alternativamente come testimone e come protagonista, mentre la scissione dell’Io si accorda a volte al registro fantastico, altre volte evoca personalità malate o segnate dalla follia. Il mondo di queste pagine appare, allora, come un teatro di marionette senza più un centro ordinatore, in cui dominano i temi della visione, del doppio e della follia: vi si racconta l’incontro allucinato con la madre morta, la disavventura di un uomo che crede di amare una donna, (ma poi risulterà che le donne sono due) il timore paranoico di un carcerato di morire avvelenato, la triste storia di un platonico innamorato, morto fulminato dopo aver baciato l’amata per una sola volta, l’ossessione zoomorfica degli abitanti di Cayna che si trasformano in scimmie, e al termine, l’alienazione ludopatica del cinese protagonista dell’ultimo straordinario racconto, che si gioca la vita in una partita a dadi dove la coppia d’assi con cui dovrebbe vincere segna però anche la sua con- danna a morte, in un finale in crescendo che il Vallejo poeta aveva già prefigurato nei «dadi eterni» di uno dei suoi memorabili poemi giovanili. 

Stefano Tedeschi



La locanda dei perdenti nella Baires degli anni ‘30

Amico di Roberto Arlt, aderente anch’egli al gruppo letterario Boedo – che nell’Argentina degli anni Venti si contrapponeva, ma sempre nella reciproca stima, al Florida guidato da Borges, a sostegno di una letteratura sociale anziché fantastica – Enrique González Tuñón è prepotentemente schierato dalla parte degli emarginati, dei perdenti, ne segue la vita nella sua attività di giornalista, ne canta le gesta nei racconti. Ad esempio questi, raccolti in Letti da un soldo (Arkadia, traduzione di Ferrazzi e Magliani) e superbamente aperti dal suo testo forse più emblematico, “I cinque”. Lo scrittore argentino descrive la lotta per la sopravvivenza di cinque scansafatiche che vivono alla giornata, cinque “cialtroni”, come li definisce Adrián N. Bravi nella prefazione, che si muovono nei bassifondi della città e si compiacciono della propria condizione di emarginati, contrabbandieri, papponi. González Tuñón è un maestro della giusta distanza, conosce perfettamente la tragicomica realtà nella quale vivono i suoi personaggi, non cede mai al pietismo o alla condanna. La sua prosa è secca, tirata come una di quelle vite miserabili. I “cinque” hanno tutti un passato, ma non vedono un futuro. La sera rientrano in una locanda-bettola, “La pignatta misteriosa”, gestita da un tizio uguale a loro, soltanto che sta dall’altra parte del banco, un uomo senza capelli che vende il diritto a un lenzuolo sciupato nel suo “ospedale di casi disperati” dove il dilemma principale è se credere o non credere in Dio. 

(r. d. g.)



Con Tuñón una mappa narrativa di Buenos Aires

Tornano i racconti di Enrique González Tuñón (1901-1943). Torna il mondo di un artista che amava la sua città quanto la scrittura, e che disse: “quando morirò non piantate un salice, piantate una macchina da scrivere”. Letti da un soldo, uscito nel 1932 con il titolo Camas desde un peso e ora proposto da Arkadia, è una raccolta di racconti che narra di amici perdenti, e della città che morde e annienta. Enrique González Tuñón (1901-1943) gioca a confondere i confini tra realtà e finzione, tragico e comico, rappresentando l’angoscia del vivere e la sua stranezza. Letti da un soldo, la sua opera più riuscita, propone una mappa narrativa di Buenos Aires, in cui la città reale si sovrappone a quella immaginaria, come nell’opera del suo amico Robert Arlt, o in altri grandi scrittori argentini: Jorge Luis Borges, Oliverio Girondo, Roberto Mariani, Raúl Scalabrini Ortiz. I personaggi di Tuñón sono disperati, innamorati, ubriachi, affamati, sognatori: malinconici scheletri del passato, dietro un vetro da museo, che aspettano la visita di qualcuno. Questa edizione italiana comprende anche una scelta degli altri racconti di Tuñón, appartenenti a El alma de las cosas inanimadas (1927) e La rueda del mulino mal pintado (1928). Sono i racconti dell’assurdo, per così dire lunatici, di un narratore che appare nei racconti dicendo di possedere “uno sguardo a raggi x”, incline a “vedere sempre lo stesso malinconico paesaggio di anime” e ad “affrontare la vita da un punto di vista grottesco”, col sorriso di un pazzo docile (“un loco dócil”). Il mondo di Tuñón è il mondo di un artista che amava la sua città quanto la scrittura, e che disse: quando morirò non piantate un salice, piantate una macchina da scrivere.



RACCONTI. Dall’Argentina

Le storie brevi di González Tuñón

Seconda uscita della collana Xaimaca, dedicata dall’Arkadia agli scrittori ispano-americani non ancora tradotti in Italia, “Letti da un soldo” è una raccolta di racconti del 1932 che tra realtà e immaginazione, risate e lacrime, rivelano quanto l’esistenza possa essere ineffabile. L’argentino Enrique González Tuñón (1901-1943) li ambienta nella sua Buenos Aires, popolata da ubriachi, sognatori, affamati: un’umanità derelitta e grottesca, che l’autore non esalta né giudica, figli di un dio minore i quali il traguardo più ambito è riuscire a vedere l’alba del giorno dopo. Il volume è arricchito da una selezione di altri lavori di Tuñón, risalenti al biennio 1927-28.

Fabio Marcello



César Vallejo (1892-1938) è stato uno scrittore peruviano, tra i maggiori poeti del secolo scorso. Tra le sue raccolte figurano libri come Los heraldos negros (1918), Trilce (1922) e Poemas humanos (1931-1938), frutto di un percorso che parte da sperimentazioni moder- niste per giungere a una poesia di tema sociale. Vallejo nacque a Santiago de Chuco; le sue nonne erano indigene. Si laureò in lettere a Trujillo e, durante gli studi, lavorò in una piantagione di zucchero, dove rimase scosso vedendo lo sfruttamento dei peoni. Nel 1917 si trasferì a Lima e si dedicò all’insegnamento. Dopo la pubblicazione dei racconti di Escalas (1923) e della Fabla selvaje (1923), emigrò in Europa. Tra le sue opere narrative, si possono ricordare anche Hacia el reino de los Sciris (1928) e Tungsteno (1931). Scrisse anche libri di viaggio, come Rusia en 1931 (1931), testi teatrali, mai rappresentati durante la sua vita, e i saggi de El arte y la revolución (1926- 1931), una raccolta pubblicata dopo la morte. Durante la guerra civile spagnola, scrisse a favore della causa repubblicana, insieme a Pablo Neruda. Morì a Parigi nel 1938. 



A proposito di “Letti da un soldo” 

Perdenti d’Argentina

La casa editrice Arkadia “scopre” Enrique Gonzáles Tuňón, narratore del primo Novecento. Nei suoi racconti, l’Argentina della miseria e del dolore: una testimonianza (a rovescio) dell’emigrazione italiana 

Letti da un soldo (euro 14) di Enrique Gonzáles Tuňón, mai pubblicato prima in Italia, è l’ultima e meritoria iniziativa editoriale di ArKadia. Si tratta di una silloge di racconti, dialoghi e riflessioni in cui lo scrittore argentino, morto prematuramente nel 1943 a soli 42 anni, non solo dimostra il suo talento di narratore, la sua capacità di giocare con le idee e le parole ma ci offre anche uno spaccato della situazione sociale ed economica dell’Argentina negli anni tra i due conflitti mondiali, quando Buenos Aires cresce a dismisura per l’afflusso di migranti provenienti soprattutto dall’Italia. Vengono inglobati sobborghi che in precedenza erano ai margini se non fuori della cerchia urbana e il tessuto sociale si gonfia e si sfilaccia, mostrando crepe e smagliature.

A livello più specificamente culturale in quel periodo nascono due movimenti, Florida e Boedo che devono il loro nome rispettivamente a un caffè frequentato da alcuni intellettuali, tra cui J. L. Borges, e a una strada dei sobborghi. Gli aderenti a quest’ultimo movimento volevano cambiare il mondo mentre gli intellettuali di Florida volevano svecchiare la letteratura. Questi ultimi guardavano alla vecchia Europa e al surrealismo in particolare mentre i primi si ispiravano a Dostoevskij e a Maiakovskij. Tuňón si muove tra i due movimenti e se da un lato si fa portavoce delle istanze politiche e sociali delle fasce più deboli, dall’altro riesce a rinnovare le arcaiche strutture letterarie e giornalistiche.

Protagonisti di questi racconti, che pur essendo di lunghezza diversa finiscono col costituire quasi i capitoli di un breve romanzo, sono perdenti, disoccupati e ubriaconi, che non hanno una fissa dimora e che quando possono – quando cioè dispongono di un peso – dormono in 5 in una squallida camera di una locanda di infimo ordine, La Pignatta misteriosa dove regnano incontrastate muffa, cimici e puzza di vomito. È la miseria, declinata in tutte le sue forme, la vera protagonista di questi racconti ed infatti l’esergo tratto da una lettera di Oscar Wilde ad André Gide recita testualmente così: “… la povertà, la miseria sono una cosa terribile, infangano l’anima dell’uomo.” E nella miseria più sordida galleggiano i suoi personaggi come topi nella fogna, contrassegnati da una desolata solitudine e da una sofferenza immedicabile ed è allora che il confine tra bene e male, tra odio e amore si fa sempre più labile ed incerto. I contorni delle cose e dei personaggi sfumano e sul dolore degli uomini talvolta prevale o sembra prevalere il sentimento antico della pietà che consola e accomuna ma certo non riscatta, altre volte, invece, in Tuňón si fa strada una comicità che si accende di rabbia per l’assurdità della vita. Ed è allora che la borghesia, che sembra colpevolizzare i poveri perché non sono riusciti ad arricchirsi e perché non hanno il buon gusto e la decenza di nascondere la loro povertà, diventa oggetto di critiche feroci per la sua ipocrisia, per la sua cosiddetta normalità decorosa a cui si contrappone la vitalità febbrile e creativa di quella umanità dolente e passionale.

È l’estetica della marginalità quella di cui lo scrittore argentino si fa portavoce in questi racconti non è un caso che come musica di sottofondo, come ritmo di questa bohème letteraria, abbia scelto il tango a lui particolarmente caro avendo, tra l’altro, composto dei testi musicati da Carlos Gardel.

Negli ultimi racconti della raccolta, desunti da altre due sillogi, prevalgono invece la leggerezza, il tono stralunato e surreale e quel pizzico di malinconia che è proprio dei clown circensi in cui lacrime e sorrisi si fondono perfettamente e confermano la ricchezza interiore, la complessità e la modernità dello stile di Enrique Gonzáles Tuňón.

 

Francesco Improta



Enrique González Tuñón | Letti da un soldo

Sono stato amico di ladri, biscazzieri, gente miserabile. Ho conosciuto gente spregevole, donne ipocrite, puttane. La vita è amara, pesante, difficile. Adesso penso che avrei dovuto morire quando mi operarono per non so quale malanno, venti e più anni fa. Ero un bambino, e mi avrebbero portato al cimitero in una cassa bianca. Invece di trascinarmi per il mondo starei molto più in alto delle nubi, nella purissima felicità che cantano gli angeli nel cielo limpido [dal racconto I cinque, Enrique González Tuñón, trad. M. Magliani e R. Ferrazzi]
La raccolta di racconti “Letti da un soldo” di Enrique González Tuñón uscì in Argentina nel 1932 ed è stato pubblicato in italiano dalla casa editrice Arkadia editore, con la traduzione di M. Magliani e L. Marfè, secondo volume della collana Xaimaca. I racconti presenti provengono da tre diverse raccolte di González Tuñón.

“Letti da un soldo” comprende cinque racconti provenienti dall’opera orginale “Cama desde un peso“, cinque storie che si possono leggere quasi come un romanzo, dove i protagonisti portano nel cuore il personale carico di dolori e dispiaceri, e si ritrovano nella squallida e lurida locanda chiamata “La pignatta misteriosa“, un luogo dove i letti per dormire costano solo un peso, un soldo.
Sei racconti brevi provenienti da “El alma de las cosas inanimadas“, dove i protagonisti sono bizzarri e molteplici: un telefono epilettico, un gliptodonte, uno smilodonte e un uomo sui pattini; infine, due racconti provenienti da “La rueda del mulino mal pintado“, che hanno come protagonsiti uomini nuovamente sull’orlo del disagio sociale.
Enrique González Tuñón, fratello del celebre poeta argentino Raúl, nacque nel periferico quartiere di Once, a Buenos Aires, e fu scrittore di romanzi, racconti e giornalista. Entrambi non furono molto apprezzati in vita e subirono parecchie critiche legate, in particolare Enrique, all’essere romanticamente anarchico e bohémien.
Aspetto l’amore con il disperato desiderio dei vent’anni. Se tardasse a venire uscirei in strada ad annunciare come un banditore la mia disgrazia perché qualche donna mi consolasse con una carezza; andrei a bussare a tutte le porte fino a quando una mano gentile e sensibile mi chiamasse e una voce mai sentita, una voce appena nata, mi dicesse, vieni (…) L’avventura della mia gioventù non è altro che una meschina e interminabile scaramuccia [dal racconto La miseria permanente, Enrique González Tuñón, trad. M. Magliani e R. Ferrazzi]
“Cama desde un peso“, titolo originale della raccolta, raccoglie quindi le storie di persone disagiate, perdenti della vita, ladri, ubriaconi, disperati, prostitute, spacciatori e vagabondi, affrescando la periferia di Buenos Aires degli anni Venti e dei primissimi anni Trenta del Novecento.
Anni in cui il cambiamento sociale fu importante: le periferie vennero quasi inglobate con la città vera e propria, la quale si ritrovò ad diventare una capitale grande e cosmopolita, abitata in particolar modo da migranti giunti da ogni dove e da persone di nazionalità argentina in cerca di fortuna e ricchezza.
Perché vivono in me tanti ricordi di epoche trapassate? Occorre credere per vivere (…) Il giorno in cui non ci crederai più finirai di esistere [dal racconto Lo smilodonte scettico, Enrique González Tuñón, trad. M. Magliani e R. Ferrazzi]
Si tratta di una raccolta di racconti completa, utile per scoprire una voce della letteratura argentina pressoché sconosciuta in Italia. I racconti sono inoltre interessanti per conoscere la situazione dell’Argentina a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, con particolare riguardo verso i ceti sociali meno abbienti. I racconti proveniente dalle altre due raccolte originali offrono uno sguardo su quella che sarà una letteratura dell’assurdo e del grottesto.
“Letti da un peso” è una raccolta di racconti che consiglio a chi cerca una letteratura sudamericana di nicchia, una serie di storie scritte da autore sudamericano poco noto in Italia, una tipologia di storie che la collana Xaimaca della casa editrice Arkadia mira a proporre ai lettori italiani.

Claudia Pezzetti



Piccoli uomini

Per l’argentino González Tuñón (1901-1943) non esistono più torri d’avorio destinate a proteggere i letterati. “Sono state abbattute a cannonate”, la vita moderna vuole che gli artisti scendano in strada. Il suo Letti da un soldo è un libro grottesco, aggressivo, dolente ma non privo di uno strano umorismo. Perduti in una “città ambiziosa, febbrile, frettolosa”, gli invisibili piccoli uomini che affollano questi brevi racconti sono ossessionati dalla fame e presentano punti di contatto con il mondo marginale descritto nelle arltiane Acqueforti di Buenos Aires. C’è però una differenza: per González Tuñón la scrittura non è un gancio alla mandibola del lettore, come in Arlt, ma “una sghignazzata dentro una bara”.

Loris Tassi



Enrique González Tuñón nacque nel 1901 a Buenos Aires, nel quartiere popolare di Once. Tra i protagonisti della scena letteraria bonaerense degli anni Venti e Trenta, Tuñón sperimentò diverse forme di scrittura. Come il suo amico Roberto Arlt, contribuì a rinnovare il giornalismo letterario dell’epoca, con uno stile sperimentale e inconfondibile, scrivendo su “Crítica” e collaborando con riviste come “Proa” e “Martín Fierro”. Fu uno degli esponenti della bohemia literaria di Buenos Aires, città che conosceva perfettamente e che attraversava ogni giorno per lavoro, ma soprattutto per il gusto del flanerismo, spesso in compagnia di suo fratello, lo scrittore e poeta Raúl González Tuñón. Scrisse testi per i tanghi di Carlos Gardel e sceneggiature per il cinema. La sua produzione narrativa annovera raccolte di racconti come El alma de las cosas inanimadas (1927), La rueda del molino mal pintado (1928) e Camas desde un peso (1932). Morì nel 1943, a Cosquín, nella provincia di Cordoba. 



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

P.iva: 03226920928




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