Boati di solitudine e il silenzio delle istituzioni: storie di ordinaria indifferenza

da: Giustizia Giusta (www.giustiziagiusta.info)
Giustizia Giusta (www.giustiziagiusta.info)
13 settembre 2010

Come immaginavo. La pubblicazione del mio libro “boati di solitudine” edito da Arkadia, ha incontrato l’atavica indifferenza delle solite baronie sarde. Nella mia consueta buonafede (che spesso sconfina nella pura ingenuità), speravo che un argomento così socialmente importante e eticamente profondo smuovesse l’interesse generale e riaprisse il dialogo su temi spesso dimenticati e polverosi come una vecchia valigia in soffitta. Speravo anche di fare cosa gradita, di rinvigorire un confronto da tempo stagnante che spesso si accende solamente quando si tratta di litigare su interessi privati circa questa o quella comunità di recupero da finanziare. In quell’occasione il dialogo abbonda e la partecipazione è folta. Il libro racconta la quotidianità della vita in un istituto penale minorile e stringe con decisione il fuoco sulle singole personalità dei detenuti analizzandoli e scavando a fondo nelle loro anime, nei loro piccoli e grandi problemi. E’ il ragazzo e non il “detenuto” il centro e il fine ultimo del mio racconto. Spesso una volta etichettata una persona come “delinquente”, la così detta “società civile” chiude l’argomento e non si impegna più a cercare, sondare, capire le vere motivazioni, i veri motivi che possono portare un ragazzo nella facile strada della devianza. L’etichetta ci libera dal doverci interrogare. Autorevoli studi di Clemmer circa la condizione detentiva parlano di “sindrome da prigionizzazione”; vera e propria malattia con tanto di segni e sintomi psicofisici invalidanti. Stigmatizzazione, alienazione, disculturazione, destrutturalizzazione, diventano allora pesanti conseguenze di una detenzione precoce che di certo non “redime” il detenuto ma lo inchioda cronicamente alla sua condizione. Rimango sempre più convinto che la responsabilità circa gli errori commessi da un cittadino sia una responsabilità di tipo “sociale” e non “individuale” come suggerisce il libro bianco del welfare. Anche la Costituzione parla di “rimozione” di ostacoli che a vario titolo impediscono al cittadino la piena realizzazione della sua persona. Parlare di “fragilità individuale” a mio avviso rappresenta un sistema ipocrita per deresponsabilizzarsi. Al contrario Gibran parlava di “pietra d’inciampo” rimossa da chi precede per la salvaguardia di chi segue. Ancora mi sta stretta la logica del populismo che si fa carico degli effetti e delle conseguenze del crimine ignorando quasi del tutto le sue profonde cause. Anche nell’ottocento la “regola della specificazione ottimale” dava attenuanti a chi si trovava in evidenti condizioni di svantaggio. Ricordo che anche Aldo Moro sottolineava con forza la differenza esistente tra “vendetta” e “ordinamento giuridico” per evitare che temi così complessi e delicati venissero lasciati nelle mani di giustizialisti da bar. Insomma, il tema è complesso e non può di certo essere semplificato a uso e consumo di questo o quell’interesse personale. Già da tempo Foucault aveva denunciato il fatto che il “processo penale” vede i riflettori accesi in fase di svolgimento (e i media sanno bene quanto sia conveniente puntare bene le luci) ma che vengono immediatamente spenti subito dopo l’emissione della sentenza, confinando la pena e il detenuto in un oblio pressoché totale. Pecco ancora adesso di ingenuità nel credere che si sia trattato di semplice indifferenza e non di volontaria e condivisa defezione. Ho mandato gli inviti per tempo a tutte le personalità che a vario titolo rappresentano le più importanti istituzioni locali del settore. Ho sollecitato, incontrato personalmente alcuni di loro, telefonato, regalato a mie spese copie del libro. Neppure un ringraziamento. Da parte mia nessuna intenzione di organizzare una “trappola” dove “torchiare” gli invitati una volta seduti nella sala, ma semplicemente la forte e sincera volontà di alimentare il confronto su argomenti così delicati. Il libro tratta temi come la solitudine, il profondo disagio sociale, la sofferenza mentale, la quotidianità che governa qualsiasi IPM. Nessun cenno nel libro a polemiche o denuncie dirette contro nessuno. Ho volutamente e scientificamente evitato una tale impostazione proprio per non compromettere l’apertura di un successivo confronto con i diretti referenti. Non è servito a nulla. Le istituzioni non hanno reagito, hanno optato per una generale e condivisa astensione di massa. Oggi mi interrogo; mi interrogo circa il perché di tale indifferenza. Ho sbagliato? In cosa? Dovevo concordare i contenuti del libro con qualcuno? Ho intralciato qualcosa? Le domande sono tante mentre la delusione è soltanto una, ma cocente. Comunque sia, la presentazione si è svolta alla presenza di un centinaio di cittadini profondamente interessati all’argomento che hanno interagito con gli autori e reso stimolante e interessante il confronto. Un confronto “privato” visto che anche i media locali hanno seguito la stessa strategia dell’assenteismo. Sono tentato di cedere alla lusinga di pensare che alcuni argomenti di profonda valenza politica e sociale siano da considerarsi “tabù” per un semplice cittadino come me. Ma poi, per fortuna, il dubbio subito si dipana e mi balzano prepotentemente alla mente le parole di Giorgio Gaber quando ricorda che in fondo” la libertà è partecipazione”.

(Salvatore Bandinu)


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