Mercoledì 27 novembre, a partire dalle ore 17,30, presso il centro culturale e residenza letteraria “Itaca”, in Via di San Domenico 22, si terrà un evento che raccoglierà la maggior parte degli autori toscani della casa editrice sarda Arkadia, che parleranno dei loro libri con la conduzione del direttore della residenza (e autore e co-curatore della collana arkadiana “Senza rotta”) Paolo Ciampi e, nella seconda parte, dello scrittore e traduttore Giovanni Agnoloni. Saranno presenti Tito Barbini (con Il fabbricante di giocattoli e Storie di amori e migrazioni sull’isola dalle ali di farfalla), Anna Bertini (con Le stelle doppie), Mauro Caneschi (con La chimera di Vasari, Le figlie dell’uomo e Il codice Stradivari), Paolo Codazzi (con Lo storiografo dei disguidi e Lo specchio armeno), Carlo Cuppini (coautore con Giovanni Agnoloni e Sandra Salvato del concept-book Da luoghi lontani), Massimo Granchi (con Il principe delle arene candide e Se/dici) e Marisa Salabelle (con Gli ingranaggi dei ricordi e La scrittrice obesa). Giovanni Agnoloni, oltre a parlare del suo romanzo Viale dei silenzi, intervisterà la “special guest”, la scrittrice e nota traduttrice milanese Olivia Crosio, con la sua nuova uscita Josh in fuga e con la precedente pubblicazione La mentalità della sardina, ampiamente ambientata in Toscana. Lo scrittore e traduttore fiorentino Alessandro Gianetti, autore del romanzo La ragazza andalusa e di numerose traduzioni della collana arkadiana di lingua spagnola “Xaimaca”, interverrà in collegamento video da Siviglia, e con lui l’editore di Arkadia Riccardo Mostallino. Interverrà in video anche il presidente dell’Associazione Sardi in Toscana.
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Nel terzo appuntamento con “Scrittori in fuga” incontriamo Alessandro Gianetti, nato a Firenze. Si avvicina al mondo dell’editoria scrivendo testi rivolti a turisti curiosi, mescolando viaggio e letteratura, e successivamente si dedica alla traduzione. Come romanziere esordisce nel 2020 con La ragazza andalusa, una storia ambientata tra Madrid e Siviglia. Ispirandosi alla propria esperienza di vita personale, il romanzo (che è stato anche tradotto in spagnolo) regala una fotografia accurata delle sfide che una persona deve affrontare in termini di interculturalità e adattamento quando si trasferisce, lavora, stringe amicizie e si innamora in un altro paese.
In quale paese risiedi attualmente e da quanto tempo vivi lì?
Vivo in Spagna da molti anni, ma in Italia vengo spesso.
Perché hai deciso di trasferirti?
Sentivo il bisogno di tracciare un percorso diverso da quello che mi si apriva dopo aver concluso l’Università, e come tutti i giovani ho cercato all’esterno ciò che avrei potuto trovare all’interno di me stesso. Vivere all’estero mi ha dato un’opportunità: essere di nuovo bambino. Poi ho finito per affezionarmi a un’esistenza iniziata due volte.
Di cosa parlano i due libri più recenti che hai pubblicato in Italia?
Ho pubblicato tre libri, solo uno tradotto in spagnolo. Il primo era una guida ai bar di Madrid, quelli che sembrano tane di coyotes spelacchiati. Il secondo era un omaggio al bacio. Il terzo un viaggio in Andalusia, che raccoglie alcuni elementi della mia esperienza personale.
In che modo la tua esperienza di vita all’estero ha influenzato la tua scrittura?
Vivere in un paese che non è il tuo induce a mettere in discussione ciò che appare scontato, come chiamare casa quando ti senti solo. Questo, credo, ha sviluppato l’attaccamento alle piccole cose che prima non consideravo. Impari a farti amico del buio.
Ci sono temi specifici legati alla tua esperienza di espatriato che ami esplorare nei tuoi lavori?
Credo che non vi sia scrittore espatriato che non cerchi di tornare, con le parole, nel proprio paese. M’interessa anche per questo il tema della memoria, la sua colpevolezza in qualsiasi fatto letterario venga raccontato, sia essa in forma di ricordo o di omissione.
Quali sono le principali sfide che hai affrontato come scrittore italiano all’estero?
Lo scrittore che vive all’estero è attratto da un gran numero di novità, pensiamo all’entusiasmo di Calvino o quando mise piede a New York. Si deve però prestare attenzione al fatto che la scrittura non è solo meraviglia, è allenamento dello sguardo.
Quali sfide hai incontrato nel promuovere i tuoi libri nel mercato italiano mentre vivi all’estero?
Le difficoltà sono di ordine pratico, sei fuori e devi muoverti per canali laterali, che d’altra parte mi si confanno.
Hai riscontrato resistenze da parte degli editori italiani a causa della tua residenza all’estero? Se sì, come hai affrontato queste difficoltà?
Nessuna in particolare, anche se devo prendere un aereo per parlarci di persona.
Puoi parlarci di alcuni dei tuoi progetti attuali o futuri?
Sto lavorando a un progetto su un giornalista spagnolo che, benché già tradotto in Italia, è ignorato dai più. Lavorò per evitare la Guerra Civile, che poi sarebbe diventata mondiale. Mi piacerebbe scrivere un libro sulla sua vita.
Pensi di tornare a vivere in Italia o di trasferirti in un altro paese in futuro?
Chi lo sa? Forse tra un po’ faccio di nuovo le valige.
C’è una citazione tratta da un tuo libro che vorresti condividere con noi per chiudere questa intervista?
Una frase dell’ultimo libro che ho tradotto, di Edgardo Cozarinsky, recentemente scomparso a Buenos Aires. Serva da omaggio e da saluto a un vero scrittore: “A un certo punto capì che per realizzare la sua ambizione di scrivere doveva affrontare una sfida imprevista: raccontare non solo un’azione, non solo un’avventura al di fuori della sua vita quotidiana, ma mettere in parole l’assenza che aveva appena scoperto, e che sembrava impermeabile a ogni finzione. Doveva provare a scrivere la morte in vita”.
Giuseppe Raudino
Il link all’intervista su Quaderni Boreali: https://tinyurl.com/44rfc7yf
Il Casinò di Sanremo continua a onorare la sua lunga tradizione culturale conferendo prestigiosi premi a individui che hanno contribuito in modo significativo ad arricchire il patrimonio intellettuale italiano. Tra i premiati di quest’anno troviamo Pupi Avati, un eclettico regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e scrittore, che ha trascorso oltre mezzo secolo narrando le sfide dell’Italia e della società contemporanea, sempre con uno sguardo al futuro. Marina Valensise, giornalista e scrittrice, è stata riconosciuta per aver evidenziato l’inquietudine degli intellettuali di fronte alla Seconda Guerra Mondiale e per aver sottolineato la fragilità della libertà. Carlo Miccichè, un esperto dell’industria televisiva e appassionato di storia napoleonica, è stato premiato per il suo contributo nell’adattamento di romanzi per il cinema e la fiction, oltre a insegnare progettazione e scrittura per l’audiovisivo nelle università. Luciano Violante, magistrato e studioso della storia italiana e della cultura classica, ha ricevuto il “Gran Trofeo alla Carriera” per la sua ricerca del perdurare dello spirito della Costituzione italiana. La cerimonia di premiazione sarà condotta da Mauro Mazza, già direttore del Tg 1, e ha visto la partecipazione di illustri esperti e storici, tra cui Carlo Sburlati, Matteo Moraglia, Francesco De Nicola e Aldo Mola. La giuria popolare ha decretato i vincitori tra le terne finaliste delle sezioni in gara, tra cui “Narrativa” e “Saggistica”. La sezione “Narrativa” ha premiato i finalisti Adrian Bravi, Alessandra Necci e Claudio Paglieri, mentre la sezione “Saggistica” gli autori Giulio Dellavite, Leonardo Giordano e Giacomo Sartori. Per la sezione “traduzioni d’autore” sono stati premiati: Riccardo Ferrazzi, Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco e Alessandro Giametti. Inoltre il Premio speciale della prefettura è stato conferito all’avv. prof. Tito Lucrezio Rizzo per l’opera “Il Capo dello Stato dalla Monarchia alla Repubblica (1848-2022)”. Questo prestigioso premio è stato intitolato ad Antonio Semeria, presidente del Casinò negli anni ’80, che ha sostenuto la nascita dei “Martedì Letterari” come continuazione dei “Lunedì Letterari” di Luigi Pastonchi, preservando così l’eredità culturale e l’immagine di Sanremo come centro di cultura.
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Il protagonista la sera in cui tutto ha inizio si trova a capitare per caso in un locale madrileno, un bar messicano in calle del Olmo che si chiama Mi madre era una Groupie, detto anche Maria Bonita, su invito dell’amico Eduardo, a sua volta lì per festeggiare il compleanno di un’amica, una giornalista ecuadoregna all’esordio nella narrativa con un libro di racconti dal titolo evocativo Una bulla tra i galli. Quando arriva, il locale è ancora chiuso e insieme a Eduardo al bancone c’è un altro amico, Agostino: entrambi se ne stanno con i gomiti poggiati sul piano del bar, di tanto in tanto sorseggiando una tequila, e partecipano al gioco di ambigui palpeggiamenti di María Fernanda de Guzmán, il cui regno è la pista da ballo, dove soverchia la schiera di amici dalle tendenze sessuali intercambiabili come una direttrice d’orchestra, una burattinaia o una sacerdotessa. Per il protagonista non è il primo incontro con María Fernanda de Guzmán: si sono già visti l’anno precedente, a Halloween… Trent’anni, poche idee ma confuse, il desiderio di vivere la vita con leggerezza e freschezza – la stessa della prosa di questo romanzo fatto di colori vividi e personaggi, emozioni e situazioni dall’abile caratterizzazione, un omaggio alla Spagna e alla varia umanità che la popola, specialmente nelle lunghe e divertenti notti -, nonostante la crisi del 2015 lo attanagli e gli faccia bramare una svolta: è italiano, vive in Spagna e nella capitale iberica il protagonista del romanzo incontra una ragazza andalusa. Bella, seducente, intrigante: inevitabile, o quasi, che fra loro si instauri una relazione, certo complicata, anche se scandita da momenti di allegria, esperienze, viaggi, perché quando si hanno radici, ideali, valori, punti di riferimento diversi e persino lingue materne dissimili venirsi incontro e capirsi non è facile. Una relazione a tempo, un anno lungo il quale i due, tra complicità e malintesi, si spingono fino in Portogallo e a Siviglia, nella terra d’origine della ragazza, che il protagonista scopre davvero molto lontana dall’immagine che si era fatto di lei, capendo al tempo stesso molte cose anche di sé.
Gabriele Ottaviani
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Il più delle volte, sono i libri a venirmi a cercare, è come se intuissero, secondo quale legge sovrannaturale non saprei, di essere sulla buona strada per entrare nella cerchia dei miei favoriti. E, questo, spesso mi capita a scoppio ritardato, diciamo, coi miei tempi, i tempi di chi aspetta che si venga a creare un invisibile legame tra me (la mia attenzione, la mia curiosità, la mia empatia) e, in questo caso, il libro. Mi capita così, infatti, anche con le persone, ci possono essere mille occasioni di contatto, di avvicinamento, a volte perfino di condivisione, ma ce ne sarà una soltanto, che io chiamo “scintilla”, in cui la nostra attenzione verrà catturata con la testa, con la pancia e anche con il cuore. In questo caso, bisogna soltanto approfittare e gettarsi all’avventura. La ragazza Andalusa di Alessandro Gianetti (Arkadia – Senza rotta) ha fatto lo stesso percorso, a rilento, tanto a rilento che circa un mese fa, prima di acquistarlo, ho chiesto ad Alessandro quando sarebbe uscito il libro e lui, preso senz’altro dai turchi, mi ha risposto con la garbata calma, che gli è senza ombra di dubbio congeniale, che il libro era uscito più di un anno fa. Pazzesco! Pazzesco perché sono andato poi a rileggere i posts di un anno fa e mi sono ricordato, eccome. Insomma, tutto questo per dirvi che c’è voluto un anno per avvicinarmici e, una volta avvicinato, l’ho voluto e dovuto avere subito. Mi attirava come una calamita. Sarà che di Gianetti avevo da poco letto la sua traduzione puntuale e felice di un altro splendido libro, sempre di Arkadia, di Edgardo Scott, Lutto, sarà che il mestiere di traduttore è un mestiere d’amore nei confronti di ciò che si traduce. Sta di fatto che mi ci sono buttato dentro e lì mi trovo ancora, con mia grande gioia, in questo momento. La ragazza andalusa è la storia di un giovane adulto trentenne che decide di trasferirsi in Spagna e, precisamente, a Madrid. Viene descritto con un carattere mite ma deciso, affettivamente disincantato ma non privo di curiosità nei confronti dell’altro sesso, a tal punto da finire “imbrigliato” in una relazione amorosa. Per questa ragione, per il disincanto di cui sono pervasi i suoi dialoghi e le sue considerazioni, il personaggio del romanzo mi ha fatto subito pensare a Leo Gazzarra, il protagonista de L’ultima estate in città di Gianfranco Calligarich, entrambi infatti fuggono dai loro luoghi, entrambi senza avere idee chiare su ciò che vorrebbero fare, entrambi si legano a una persona fuori dal comune, ma estremamente bella (chissà perché ma le due cose vanno spesso insieme) e, soprattutto, malgrado ancora giovani, entrambi vengono “disegnati” sempre trasognati e già disillusi dalla vita. La relazione che intraprende il protagonista del libro di Gianetti lo costringe ad ampliare e ad allungare il suo “viaggio” dall’Italia, suo paese di origine, e raggiungere Siviglia con ulteriori tappe in altri luoghi che Gianetti ci descrive con la perizia di uno studioso paesaggista. Le pagine in cui descrive i suoi viaggi hanno qualcosa di magico, per la quantità di immagini che descrivono, e di emozioni e suggestioni che suscitano, “In mezzo a tanto nulla, le poche cose che scorgevo, una casa colonica, un uliveto, un ciuco, si separavano dalla loro oggettività fisica e galleggiavano in uno spazio che vibrava al calore del Sole, assumendo le sembianze di un miraggio. Il confine tra la Castiglia e l’Andalusia fu annunciato dagli alberi di eucalipto sul ciglio della strada. Le loro foglie oblunghe si accumulavano ai bordi di uliveti sterminati, che si alternavano ai campi di grano con le balle di fieno rettangolari, come enormi lingotti d’oro”. Per non parlare degli spostamenti all’interno delle due città. Io che ne ho calpestato i marciapiedi di entrambe, vi assicuro che sono state tantissime le volte in cui ho aperto Google Maps per rivivere quei luoghi straordinari, e straordinario è l’effetto che produce il suo modo preciso ma per niente pedante di descriverci vie, piazze, palazzi, monumenti, pub, bar. Sono tornato al Paseo del Prado, a Plaza de Santa Ana, alla Puerta del Sol, a Triana, in Calle San Jacinto. E non c’è cosa più bella di ricevere restituzioni geografiche così precise e riuscire a rivivere i propri luoghi del cuore, “Ci era venuto un certo appetito, e attraversammo il Barrio de las Letras per arrivare in Plaza de Santa Ana, dove la statua di García Lorca ci suggerì un posticino aperto fino all’alba, in calle del Prìncipe”. Perfino quando indugia sul corpo di Beatrix, si sofferma sui più piccoli dettagli, con un linguaggio peraltro talmente efficace da farci sentire lì, insieme a lei, “Erano piedi carnali e insieme metaforici, toccandoli non avevo la sensazione di sfiorare soltanto il suo corpo, ma di carezzare anche l’incomprensibile significato della sua presenza nel mondo, quel pulviscolo di colore, odore e geometria che aleggia intorno a una donna, una sensazione che indica fino a che punto ti puoi fidare, che induce in definitiva a essere ingannati”. Per questa ragione, questa sua passione per il particolare, questo suo indugiare sul paesaggio, sui colori, sulle forme, persino sulle sensazioni tattili, nel posare per esempio i polpastrelli sul corpo di lei, non è nient’altro che amore, e questo libro, malgrado l’aria disincantata del protagonista, malgrado il tema dominante di cosa possa significare vivere fuori dal proprio Paese, malgrado l’annoso problema occupazionale, è un libro che parla anche d’amore. Ma l’amore qui non è il fine, rappresenta il “motore” che lo aiuta ad andare avanti, che spinge il protagonista a osservare oltre la punta del proprio naso. L’obiettivo, se mai si possa dire che un libro debba avere un obiettivo, è altro, che io ho intercettato nell’importanza che il protagonista dà al ritorno, nell’ambito del viaggio in generale. Lui ci dice che il ritorno, da un viaggio, è una sorta di cartina tornasole del viaggio stesso e che un viaggio, di qualsiasi tipo, senza un ritorno non può essere raccontato e, di conseguenza, risulta monco, come amputato, “Senza il ritorno il viaggio non esiste, si dissolve, e io non desideravo la dissoluzione, aspiravo al contrario alla congregazione dei fatti e alla loro spiegazione”. L’autore sente il bisogno di verbalizzare questa considerazione che sta vivendo sulla propria pelle. Anche lui, infatti, è emigrato dal nostro paese, anche lui è senz’altro alla ricerca di qualcosa che possa dare una svolta alla propria esistenza, anche lui, infine, come il protagonista, ci riesce, trovano entrambi una “soluzione” attraverso la loro lingua madre, “Si torna sempre alla lingua, come nel mio mestiere di traduttore. Sprovvisto della lingua sarei stato come uno di quei satelliti che si lanciano per esplorare lo spazio profondo, senza una precisa data di ritorno: solo andata”. E questo poiché entrambi intraprendono un’attività che rinsalderà loro le radici, diventano cioè traduttori e attraverso la scrittura riescono a “tornare” a casa. “Finii per scegliere un modo diverso di tornare: scrivere. Si scrive sempre per tornare in un altrove, in un quando o in un dove. Scrivendo mi mettevo in viaggio, e viaggiavo in Italia. Era un continuo ritorno, per me, la scrittura”.
Riccardo Sapia
Il link alla recensione su Border Liber: https://bit.ly/3vdW3hz
È una storia d’amore? È un romanzo di formazione? Sì e no, sfugge a una collocazione nel momento in cui lo si ripone in libreria, La ragazza andalusa (Arkadia) di Alessandro Gianetti. La copertina, azzeccatissima, parla da sola, soprattutto a chi un po’ di Spagna l’ha vista, possibilmente non da turista. Ma attenzione: la ragazza andalusa in questione non è quella della copertina, tutt’altro, l’esatto opposto verrebbe da dire. Non è Beatriz (nome sul quale molto si potrebbe congetturare) che si nasconde dietro il sensuale ventaglio il cui colore dominante è sicuramente il rosso: in copertina c’è la vera protagonista di questa storia, cioè la Spagna. È un viaggio sentimentale allora? Vada per il viaggio sentimentale… non risolve comunque il dilemma dello scaffale più adatto… ma pazienza. La Spagna dunque: non una qualunque, ma quella della crisi del 2015, la Spagna alla ricerca febbrile di una sua collocazione in Europa e nel mondo, esattamente come il protagonista del romanzo. È la Spagna della vita notturna, dei paesaggi che non ti aspetti, dell’incrocio di culture che hanno messo radici qui da secoli e di tanto in tanto ricompaiono. Gianetti ci fa percepire tutte quelle atmosfere, di afa, di crepuscolo, di penombre; ci presenta una galleria di luoghi e personaggi che a modo loro si barcamenano nell’incertezza di sottofondo che caratterizza quegli anni, personaggi persi nei meandri di vie, nominate in modo preciso, una per una, tanto che viene voglia di aprire Google Maps per studiare i reticoli stradali di Madrid o di Siviglia, per aiutarli a uscire da quei labirinti; ma persi anche nei vicoli non meno ingannevoli del linguaggio, di una comunicazione che stenta sempre ad essere autentica, fatta di incomprensioni, di etimologie arcane e misteriose. Questa storia ci fa riflettere su come la ricerca di sé sia un percorso complesso e altalenante, soprattutto se la si intraprende attraverso “l’altro”. L’altro è una donna misteriosa, sfuggente, incostante, ambigua… ma anche un paese ricco di contraddizioni e di fascino, uno di quei paesi raccontati in tutta la loro mediterranea vitalità e dove, dopo aver letto questo romanzo, ti viene voglia di tornare.
Annarosa Francescut
Il link alla recensione su I libri di Mompracem: https://bit.ly/3n3ZthO
Sono stato sia in Spagna sia in Portogallo, nella mia vita: che poi è come dire tutto e niente, perché i due Paesi, in realtà, restano frantumati, oggi come ieri, in una miriade di spazi sia fisici sia immaginifici che nulla hanno a che fare gli uni con gli altri. Dunque anche la mia Penisola iberica no, non ha nulla a che fare con quella di Gianetti: e proprio per questo quella di Gianetti mi rimarrà addosso. Sarà che io molti dei luoghi di questo romanzo – dall’Andalusia all’Algarve, dall’Estremadura a ciò che uno ha dentro – li ho vissuti nel battito di ciglia di una vacanza o poco più: un’andata tra amici in un Paese straniero a cercare divertimento, e a non trovarlo se non nelle parole degli amici stessi con cui si era là, e con i quali si poteva anche andare solo al bar, a bere una cosa. Inutile ripercorrere la trama del romanzo, almeno per me, tanto le dimentico tutte: non ricordo, credo, un solo finale di un romanzo che ho letto nella mia vita. Ciò mi accade per un motivo: i fatti di un romanzo, non riesco a trattenerli; mi restano dentro le parole. E la semantica di Gianetti è tutto, è il silenzio di questa ragazza conosciuta dal protagonista e vissuta attraverso silenzi laconici. È un rapporto, il loro, che sta nel silenzio di quelle case coloniche bianche, sperse nel nulla lungo le campagne iberiche. E c’è questo silenzio, in Gianetti, che è ciò che ho dentro. E li è il cuore del romanzo, che pure è frantumato nella grande sapienza di chi sa narrare un viaggio, di chi sa far entrare il lettore nei luoghi che sta attraversando. Gianetti sa tutto questo e lo dimostra divertendosi, e facendo divertire i suoi protagonisti, citando scrittori e opere: mescolandoli al tessuto narrativo sino a scioglierli in esso, come dovrebbe fare chiunque scrive, nel silenzio. C’è un momento in cui il protagonista, nell’attraversare insieme a Beatriz l’Estremadura, «regione dalla miseria grandiosa», cerca un dialogo con lei proponendole l’accostamento tra il paesaggio e la mano di una musa, che avrebbe aiutato alla creazione dello stesso. Lei, Beatriz, dopo aver fatto notare che quello stesso paesaggio è adatto alla fame dei maiali, prende a mimarne con le mani il profilo, perché: «ogni scusa era buona per non articolare un discorso». Ecco, vorrei che restasse questo della mia lettura di Gianetti, al di là delle citazioni di altri romanzi o altri scrittori: la capacità di racchiudere il senso di un amore – o forse più: di una fede nell’altro – nella decisione secondo cui basta un gesto, e tutto il resto non serve. In quel gesto, in quell’assenza di parole inutili sta il centro di un romanzo che ha parlato in qualche modo anche della mia vita. Ché cercare noi nell’altro è in fondo ciò che si fa quando si espatria, si cambia Paese, si cerca un amore: si prega su una pagina.
Stefano Costa
Il link alla recensione su La poesia e lo spirito: https://bit.ly/3hSog6Y
PISA. Proseguono gli appuntamenti online promossi da Silvia Ceriegi. Oggi, alle 19, sul canale YouTube di “Trippando”, intervistata da Silvia, sarà ospite Marisa Salabelle per la presentazione del suo romanzo “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu”, pubblicato da Piemme nel luglio 2015 e finalista al premio “La Provincia in Giallo” nel 2016. Un romanzo ironico, tendente al grottesco dove i temi, sebbene impegnativi, sono trattati con leggerezza. Pistoia, 25 luglio 1994: è la festa del patrono, San Jacopo. Poco fuori città due ragazzini trovano un cadavere: è una donna, priva di documenti, vestita e truccata in modo tale da far pensare che si tratti di una prostituta, probabilmente extracomunitaria. Si scoprirà invece che il corpo è quello di Efisia Caddozzu, maestra elementare, che tutti credevano in vacanza. Le indagini condotte dai carabinieri e l’inchiesta svolta da un giovane giornalista sembrano portare sulle tracce della comunità albanese. In parallelo allo svolgimento dell’inchiesta viene narrata la storia di Efisia, venuta dalla Sardegna agli inizi degli anni Sessanta: le amicizie, gli studi, la militanza in Lotta Continua, le vicende sentimentali, l’abbandono da parte della madre e la malattia del padre. Gli eventi su “Trippando” proseguono domani, sempre alle 19, con Alessandro Gianetti che parlerà del suo romanzo “La ragazza andalusa”, pubblicato da Arkadia Editore. Per seguire la diretta: andare su YouTube, cercare “Trippando”, selezionare il canale e iscriversi attivando la campanella: mezz’ora prima della diretta si riceverà sul proprio smartphone una notifica che ricorda di collegarsi, fornendo il link.
R.G.
È davvero un paradosso, per uno che di mestiere fa il traduttore, non riuscire a decifrare, a “tradurre” la ragazza che ama! Il protagonista-narratore di questo bel libro, La ragazza andalusa, di Alessandro Gianetti (Arkadia Editore), è un italiano che vive a Madrid: si mantiene facendo traduzioni, ha alcuni amici coi quali frequenta i locali della capitale per tirar mattina. Una sera, al Mi madre era una Groupie, dove approda dopo aver visitato diversi altri bar e pub, incontra una ragazza. Ha un foulard colorato intorno al collo, un maglioncino bianco, l’aria assorta di chi osserva senza partecipare veramente, e i suoi occhi azzurri irradiano una “luce chiara”. Da quel momento la vita del nostro anonimo traduttore cambia: fa di tutto per conoscere la ragazza, che risponde al nome di Beatriz, particolarmente significativo per lui che è fiorentino; passerà diversi mesi tra Madrid, dove la ragazza periodicamente verrà a trovarlo, Siviglia, dove andrà lui a trovare Beatriz, e altri luoghi della Spagna e del Portogallo dove i due si recheranno in viaggio. Vita cittadina, tra tapas e cerveza, paesaggi della costa e dell’interno, polvere e caldo, il caldo implacabile di Siviglia, “la calò”. Beatriz in questi diversi contesti appare enigmatica, silenziosa, apatica e pigra come un gatto: il suo innamorato, letteralmente, non riesce a interpretarla. E dire che sarebbe il suo mestiere! Lo ama? È solo abituata a lui? È troppo indolente per prendere una qualunque decisione? Il romanzo, sorretto da una lingua particolarmente curata e arricchito da colte citazioni, è tutto qui: la storia di un amore che non prende forma, di una ragazza indecifrabile, di parole e silenzi, di viaggi e di ritorni. Suggestivo.
Marisa Salabelle
Il link alla recensione su I libri di Mompracem: https://bit.ly/3c0BtqF