Le aspettative generano inquietudine, oltre ad una febbrile speranza. L’attesa, a volte, illude il desiderio sgonfiando la fiducia riposta nelle proprie ambizioni. Capita anche di non averne, di vivere senza il frizzante slancio della conquista. Alcuni scaricano la troppa tensione emotiva con la scrittura. Ma in essa non c’è quiete, tutto il contrario. Scrivere è uno sforzo, specie per gli scrittori veri. E’ facile riempire i fogli d’inchiostro, cosa ben diversa e decisamente più complicata è scrivere un libro che sappia dire qualcosa, che faccia la differenza, che sia accolto dall’editoria, dai lettori, dalla critica. L’arte, la letteratura, la musica e le svariate forme espressive, non sono fatte per una sola voce, quella del talento, e si aprono a più orecchie, non solo a quelle esercitate degli addetti ai lavori. Abbracciano tutti e le trovi in ogni cosa, ovunque, per trasferirle poi nel teatro della vita. Nel realizzare i propri sogni bisogna sostare nelle ore buie, tormentate. Chiudere gli occhi, fantasticare, attendere e poi come viene viene. In Il desiderio imperfetto di Sebastiano Martini sei a Montemarcello un piccolo borgo, incastrato tra la Liguria e la Toscana, affacciato sul mare. Lì vivono due amici fraterni, Enrico e Fabrizio. Il primo ha in serbo un destino da artista, ambizione che coltiva sin da bambino. il secondo, invece, legge molto e scrive di più, vuole diventare uno scrittore. Nel suo percorso di formazione scopre la grande letteratura come quella di Vincenzo De Petri, il famoso autore che trascorre le sue estati in paese. Fabrizio si imbatte, poi, nella figura di Ines, una donna anticonformista, giornalista e critico lettererio, che si offre di aiutarlo a trovare un editore per il suo romanzo. Mentre le aspirazioni di Enrico, sospinte dall’intraprendenza, paiono concretizzarsi, i sogni dell’amico si frantumano nella complessità del mondo editoriale.
Il romanzo si apre e si chiude nell’intima frustrazione dei desideri che sino a quando non conoscono la luce restano imperfetti. La scrittura è evocativa, in certi passaggi è sublime, in altri è piatta. Nel complesso però è giudiziosa, porta alla riflessione.
Lucia Accoto
La recensione su M Social Magazine
In letteratura, segnatamente in narrativa, si verifica quanto accade nella realtà, le trasformazioni indotte dall’era digitale segnano il cambio di scenari nella rappresentazione del mondo. A noi, rispettivamente nelle vesti di lettori da un lato, di cittadini dall’altro, tocca il compito di coglierne le mutazioni, di rifiutarli o, peggio, di ignorarle.
Al riguardo, il successo della formula del circolo di lettura, fiorito ovunque, in sostituzione del singolo recensore dell’opera, amplifica il concetto rendendolo intellegibile. Nel tumultuoso succedersi degli eventi, legati alla fase del postmodernismo, la funzione della cultura, in essa l’arte, si trasforma rapidamente, percepita al vaglio delle sensibilità soggettive, maturata nel confronto collettivo di idee.
Premessa per introdurre il testo emblematico nel quale mi sono imbattuto di recente, a segnare il superamento della linea di demarcazione tra passato e presente. Anche qui, una indispensabile precisazione riguardante il netto stacco tra la narrativa degli ultimi decenni del Novecento con gli esiti delle innovazioni apparse negli anni due del terzo millennio.
Ecco, quantunque in sintesi, delineato il quadro di riferimento di “Nulla d’importante tranne i sogni”, autrice Rosalia Messina, edito da Arcadia Eclypse.
Per esplicitare la premessa, il romanzo sarebbe adatto a contenere un occhiello, “Ritratto d’artista postmoderno”. Non tanto e non solo, a esergo della personalità letteraria della Messina, quanto per le atmosfere, i contenuti, la scrittura, in sé fluente, nondimeno da mondare in funzione assertiva.
Tra i più acculturati, chiunque si inalberasse, per il trasversale riferimento a “Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane”, si dia pace, quantunque il paragone sia improponibile, il disagio espresso dall’inarrivabile James Joyce, ha tanto da spartire con il disperante tentativo di palingenesi in atto nell’ambito letterario globale, nel novero del quale s’inscrive la Messina.
A sceverare tra le righe del testo, per chi si muove nelle pieghe della narrativa del primo quarto di secolo del Duemila, sarà agevole cogliere il periodare insistito eppure irrompente, tutto imperniato sul fluire paratattico, dove le coordinate, in fila una dietro l’altra, rendono il flusso di coscienza una sorta di rimorso sociale per la deriva in cui sono precipitati i personaggi in scena, con loro la Sicilia, metafora del mondo.
Nell’attingere agli appunti vergati sul taccuino durante la lettura, la prima annotazione porta il segno del genere del romanzo, a catalogarlo psicologico si farebbe torto alla trasparente allegoria contenuta in favore degli aspetti sociali. E, pur tuttavia questa è una notizia, non siamo reiteratamente di fronte alla solita indagine sul più recente degli omicidi con il frusto poliziotto a caccia dell’assassino. In un’Italia in cui la giallistica ha agito da padrona, la potenza senza controllo della scrittura della Messina netta l’aria dalle scorie di esercizi intesi a lisciare il pelo al pubblico per il verso… imposto dal mainstream.
Va da sé, riguardo all’osservazione precedente, l’iperbole della potenza senza controllo, lungi dal riproporre la nota pubblicità, vuole solo essere la premessa per attendere sulla soglia della successiva pubblicazione l’autrice, nell’attitudine di scoprire le potenzialità nascoste dietro l’angolo di “Nulla d’importante tranne i sogni”. In quella capacità di organizzare la debordante fantasia creativa, calzante con l’utilizzo dei registri linguistici, sicuramente da rendere più snelli, insistendo per plasmare il periodo in speditezza e incisività, è racchiuso l’approdo del genere narrativo attualmente in sperimentazione non contemplato nei manuali di narratologia, affermatosi in questi anni due del ventunesimo secolo.
In più, da quell’unico sostantivo a campeggiare nella prima di copertina, sogni”, s’intuisce nella sua insita polisemia, la quintessenza della narrazione. Da solo vale la lettura del romanzo.
Sulla duplice ermeneutica poggia l’intero spartito semantico. A sua volta, fissato nel narrato attraverso due concetti chiave, uno tipico del nostro tempo, il desiderio sublimato in sogno, nel caso in ispecie quello di Dora Mariani, vissuta scrittrice, prestatasi a tenere a battesimo, nell’agone editoriale, la giovane promessa letteraria, Rosaria Mortillaro, detta Ro, vagheggia e insegue la voglia di portarla a letto. Da contraltare, sul fronte opposto, il sogno inteso nella sospensione dell’attività psichica superiore con l’immersione in impressioni visive, pensieri e sensazioni a latere delle immagini, proiezioni oniriche sedimentate durante il sonno. Nella finzione sarà Emir, figlio adottivo della protagonista, appunto Ro, a fungere da sognatore di traslucide fantasie rese dalla maestria dell’autrice tramite un retablo di colori, suoni, odori, con l’esito suggestivo di assegnare alle visioni la valenza della premonizione.
Evitando di annoiare chi desiderasse godere della lettura, basti notare la leggerezza con la quale il testo adotta tre voci narranti. Senza sforzo palese, dall’io della prima persona, abilmente distribuito, a seconda delle esigenze del plot, tra diversi personaggi, almeno due, impiegando il meccanismo della missiva, si passa al racconto affidato al narratore extradiegetico, si perdoni il tecnicismo narratologico, da intendersi fuori dalla cerchia dei personaggi. Altrimenti come dipingere il rarefatto e pur profondo dolore di Fosco Beltrami, nipote di Rosamaria Mortillaro, di fronte a un evento straordinario, del quale è vietato dire per non svelare il mistero, orchestrato per mezzo del climax, figura retorica a indicare l’apogeo degli eventi, uno dei tanti, a movimentare la scena del romanzo?
A reggere l’intero plot, l’approccio imperniato sul radicale scontro tra le sorelle Mortillaro, Rosamaria la maggiore, Annapaola la piccola, in un contesto di situazioni in cui luoghi, persone, ambienti, atteggiamenti, pensieri ed emozioni hanno sapori, odori, di una Sicilia di commoventi bellezze paesaggistiche, in commistura con un inesprimibile nulla.
Sullo sfondo della narrazione di Nulla d’importante tranne i sogni, la mescola tra la vocazione letteraria della protagonista, Ro, ovvero Rosaria Mortillaro, scrittrice di fama, con la crisi epocale della società attuale, trova il duplice sbocco sia nella scrittura, sia nei conflitti della quotidianità familiare, a loro volta riconducibili al buio interiore di ciascuno dei personaggi. Nella loro compulsante solitudine in una società di comparse, costoro si muovono nella nebbia del disorientamento, al pari dei soggetti evocati negli Anni perduti, a citare l’intramontabile Brancati, con il peso di una quotidianità da inferno dantesco.
Nello sviluppo della trama l’azione si combina con il narrativo, dando luogo a più racconti, stanze, dentro un’unica cornice. Di un tale effluvio beneficeranno i lettori. In ogni pagina, troveranno atmosfere riconducibili alla delezione dei tempi.
In favore della snellezza di esposizione, accenno per titoli a taluni argomenti, veri e propri topoi, all’origine dello spaccato narrativo della Messina, a mio parere giocato sulla istintualità, dalla danza della vita al limitare della fine, sceverata da Cioran nel “Funesto demiurgo”, alla “Morte del sole”, per usare la metafora di un saggio di Sgalambro, fino al rimpianto della religiosità perduta raccontata da Hillman nella “Vana fuga dagli dei”. Sì, nell’aura del romanzo s’avverte, nella disperazione irrimediabile della protagonista, Rosamaria Mortillaro, la deriva della società multimediale, privata dell’anima mundi.
Nel concludere la riflessione la sensazione predominante è stata di essere dinnanzi a un processo di svolta della narrazione contemporanea, generatrice di una gamma di sensazioni afferenti alla disperante voglia di dare un senso alla postmodernità, con essa alla vita.
angelo mattone (a.mattone@icloud.com)
Angelo Mattone
La recensione su Pio La Torre
I giorni pari di Maria Caterina Prezioso, Arkadia
Un racconto, che come spesso oggi fa accadere chi scrive, intreccia la realtà e la fantasia, e lo fa bene, con attenzione per i dettagli, quelli della nostra storia italiana. Tra la scalata e la caduta del fascismo, due donne, le loro famiglie: Sara ebrea, Silvana malata di tubercolosi. I fatti – che oggi assumono impressionante attualità alla luce della rilettura, spesso impietosamente banalizzante se non addirittura irrispettosa, dei drammi che molti cittadini del nostro paese hanno vissuto sulla propria pelle – sono visti e narrati internamente al contesto famigliare, con un taglio intimo che mi ha ricordato le opere di Natalia Ginzburg, dove, da dentro le stanze della vita quotidiana, assistiamo all’invadenza della storia nella traccia della vita. La lingua scelta è adatta ai contesti, l’uno medio-borghese l’altro popolare, in cui le due protagoniste si trovano ad agire, e qualche volta suona volutamente retrò con l’esplosione un po’ drammatica dei sentimenti, giovani e indomiti, di caratteri che si trovano del resto calati in un periodo di continui sconvolgimenti.
Sara è figlia di un farmacista ebreo “ingentilitosi” per non perdere tutto, all’uscita delle leggi raziali; un “gentile” è infatti una persona che si è fatta “arianizzare”, rinunciando al proprio culto. Una legge del Ministero degli Interni introdotta nel ’39 e usata in modo assai discutibile, tanto da poter essere accessibile solo a chi se la potesse “economicamente” permettere, consentiva di tornare a “vivere”, nel tessuto sociale dal quale i non ariani si vedevano esclusi. Tuttavia, gli altri membri della famiglia restavano “ebrei” e quindi, dovevano vivere in un cono d’ombra, che impedisse alla società di “accorgersi” di loro. Per questo Sara viene mandata via da Roma, è costretta ad abbandonare l’abitazione borghese dei genitori allo scoppio della guerra, e viene “accolta” da una famiglia di Sperlonga, pagata per spacciarla per una parente. Sarà la svolta del destino che cambierà tutta la sua vita, ma che non sopirà il suo senso di ricerca della giustizia. L’incontro con gli ideali dei partigiani, con gli intellettuali del “Manifesto di Ventotene”, la porterà a fare scelte che devieranno da quelle di una vita al “riparo” dal male, scelta dai i genitori, in buona fede, per lei. Silvana è figlia della borgata romana, delle case popolari dove il duce aveva trasferito il più indigente proletariato romano. Da suo padre, invalido della Prima Guerra Mondiale, ha avuto un’unica e sfortunata eredità: la tubercolosi. Sarà la malattia ad allontanare anche lei dal contesto famigliare, per entrare, giovanissima, al sanatorio Forlanini, dove il professor Fegiz (personaggio reale), luminare ebreo “imboscato” nel perimetro ospedaliero perché troppo bravo e utile alla medicina, la curerà, insieme alla popolazione di sfortunati che abitano una realtà drammaticamente parallela ai fatti della storia, quella della malattia. La sua vita sarà plasmata dal rapporto con il grande luminare che l’ha in cura, capace di apprezzare l’intelligenza emotiva della ragazza, la sua apertura verso la vita, la capacità di prendere in mano il destino, nonostante tutto. Le due protagoniste vivono, ciascuna per sé, una vita calata nel reale panorama dell’epoca più cupa dell’Italia, ed è scorrevole e appassionate il disegno finzionale che Maria Caterina Prezioso traccia, ponendole in parallelo, su binari che, solo leggendo il bel romanzo, sapremo se e come si toccano.
Anna Bertini
La recensione su Letteralmentelive
«Ma allora cosa bisogna fare?», dice lei, con un singulto.
«Le istruzioni sono tutte nel libro, Miranda. Devi solo leggerlo con
calma e rifletterci. Diciamo che se riesci ad assorbire e mettere in
pratica almeno un venti per cento, è già un buon risultato.»
La recensione di Josh in fuga, Olivia Crosio
Poche ore di libertà a disposizione, una fuga, un obiettivo preciso: mangiare una pizza e bere una Coca-Cola.
Ma questa umanità ha una vita così complicata, degli atteggiamenti così strani e a volte violenti…
E Miranda, che ha a che fare all’improvviso con Josh, non sa se fidarsi di “quest’uomo che riceve continui messaggi dagli auricolari ma non possiede un telefonino” e che “sembra proprio, diciamocela tutta, un terrorista mediorientale, se non addirittura una sorta di replicante. Non convince, ma quando sorride è così affascinante che Miranda potrebbe persino innamorarsene.”
È quello che succede a tutti gli esseri umani da sempre. Appena ti accorgi che la realtà va vissuta e qualcuno si aspetta qualcosa da te, finisce la festa.
La mia opinione su Josh in fuga, Olivia Crosio
Sapete, vero, che ci sono storie, libri, che sono come acqua fresca in una giornata di sole cocente? Arrivano all’improvviso, senza farsi scoprire, senza un minimo accenno al loro tesoro nascosto e poi si fanno leggere in un solo respiro e risuonano profondamente dentro di noi.
Con Josh in fuga di Olivia Crosio è andata proprio così, per me. Josh è arrivato leggero, in silenzio come la sua apparizione nella fermata della metro, e minuto dopo minuto è diventato amico. E ha lasciato una scia dolce e gentile di leggerezza e sollievo.
Continuare a scrivere sarebbe un po’ tradire il segreto di Josh: dovrete leggerlo, questo libro, per poterne sapere di più!
Miranda è acqua fresca, vivace zampillante. Dice quello che pensa e pensa sempre giusto, perché sta appiccicata alla realtà e niente le sfugge. Miranda mi ha preso per quello che sembravo, uno qualunque né carne né pesce, uno scappato di casa senza documenti, e invece adesso viene fuori che sono Joshua, altro che un mobiliere di Caronno Pertusella, e questo si chiama tradire la fiducia.
No Josh, io non credo tu l’abbia tradita, Miranda. Anzi. ❤️
La recensione su Zebuk
Arkadia Editore pubblica Quaderno d’inverno, la prima raccolta di poesie di José Luis Cancho. La silloge è stata tradotta da Marino Magliani, che come sempre ci restituisce una traduzione eccellente.
In Quaderno d’inverno l’autore osserva il mondo, quello che conosce, quello che gli sta davanti e quello che appartiene al passato. Il poeta si dice stanco, e forse lo è davvero. José Luis Cancho scrive poesie che affrontano l’attualità, adottando, consciamente o inconsciamente, uno stile che, per certi versi, può essere accostato a quello di José Saramago. Quaderno d’inverno disegna personaggi, oggetti, situazioni e paesaggi, cioè la vita di tutti i giorni; il poeta non cede facilmente alla tentazione di estrinsecare in maniera netta il proprio giudizio, mantiene quasi sempre una accorta quanto fragile distanza dall’oggetto poetico: “Rimpiango la tua pelle: / e le mie notti diventano / un lago malato. // Uccelli stanchi / osservano dalla riva / l’acqua disperata.” (da Quaderno d’inverno, Dell’abbandono, II, pag. 24). In Quaderno d’inverno di José Luis Cancho troviamo l’umano esistere, che procede a volte con non misurabile speditezza, a volte con estrema lentezza. Gaston Bachelard evidenzia nel suo saggio La poetica dello spazio che “l’immagine poetica emerge dal cuore, dall’anima, dall’essere dell’uomo colto nella sua attualità”. José Luis Cancho, poeta e scrittore, nel 2018 ha ottenuto il Premio della Critica di Castilla y León con la sua opera autobiografica I rifugi della memoria (Arkadia, 2020). È stato un attivo militante antifranchista prima di dedicarsi a una vita nomade e alla scrittura. Quaderno d’inverno segna il debutto di José Luis Cancho nel vasto mondo della poesia.
Giuseppe Iannozzi
La recensione su Fai.informazione.it
Manifestazione del 28 aprile 2024 per l’Inaugurazione del monumento ai patrioti sardi in via Quarto a Sassari.
“Primavere sarde” compie tredici anni. L’iniziativa commemorativa della Sarda Rivolutzione ideata da Teatro S’Arza, nel corso del tempo ha trovato nuovi compagni di viaggio, in particolare Sa Domo de Totus ed è diventato un’importante tradizione che, in occasione di Sa Die de sa Sardigna, celebra la storia della Sardegna e le sue radici più profonde. La commemorazione, da quattro anni a questa parte infatti, si trasforma in un’opportunità di apprendimento e riflessione storica, che quest’anno vedrà la partecipazione di circa 400 studenti sardi appartenenti ad una rete di scuole. Questi giovani saranno coinvolti in attività di laboratorio, formazione e approfondimento sugli eventi che segnarono la storia dell’isola e la lotta per l’autodeterminazione.
Si inizierà la mattina del 23 aprile, nell’auditorim provinciale di via Monte Grappa a Sassari. Dopo il saluto delle autorità comunali gli esperti Cristiano Sabino e Federico Francioni incontreranno gli studenti e contestualizzeranno fatti e personaggi dei moti rivoluzionari. Il racconto rivivrà poi nei testi della rappresentazione teatrale Sa Sarda Rivolutzione in carrela a cura della compagnia Teatro S’Arza, per la regia di Romano Foddai: “questa iniziativa – precisa Foddai – non è solo una commemorazione, ma un atto di resistenza culturale. Per questo ci rivolgiamo ai giovani a cui è stata tagliata la memoria. Questa ferita va a detrimento della loro intera formazione, perché senza memoria non c’è futuro.” Proprio sull’attualità della “Sarda Rivolutzione” interverrà Cristiano Sabino, rappresentante del Liceo Figari, scuola capofila della parte didattica del progetto:”Il filosofo Croce sosteneva che ogni storia è storia contemporanea, ciò vale anche a proposito di Sa Die. Nonostante le differenze tra due periodi storici assai diversi, alcuni dei meccanismi che stroncarono la voglia di libertà di quella generazione rivivono nei nostri giorni ed esserne consapevoli può fare la differenza”. Fondamentale la cooperazione tra scuole: “lavorare a stretto contatto con altri istituti scolastici – conclude Sabino – ci consente di costruire una rete di consapevolezza preziosa, si semina oggi perché raccolgano le generazioni future. È a questo che servono scuola e reti culturali”. Mentre lo storico Federico Francioni interverrà su “Il ruolo di Sassari nei moti del 1793-96”. Da non sottovalutare anche il legame tra scuola e tessuto associativo cittadino: “la partecipazione a Sa Die de sa Sardigna è fondamentale per costruire una comunità che sia realmente consapevole delle sue radici – riassume Fabrizio Cossu, presidente di Sa Domo de Totus – per questo motivo abbiamo organizzato, insieme a Plastic Free, la pulizia del giardino dove sorge il monumento. Puntiamo ad una cittadinanza consapevole che si prende cura, insieme al decoro urbano, degli aspetti fondamentali della nostra identità.” Il pomeriggio del 26 aprile le strade del centro cittadino si animeranno grazie all’arte della compagnia Teatro S’Arza. Nel cuore del centro storico, nelle stesse vie che videro muoversi i protagonisti della Sarda Rivolutzione, i cittadini sassaresi potranno rivivere le gesta di Cillocco, Angioy, Mundula e tutti i rivoluzionari sardi, attraverso un’affascinante e brillante spettacolo teatrale itinerante che prenderà vita dalle 18:00. Il percorso attraverserà luoghi emblematici come Piazza Tola, Piazza Azuni, via Luzzati e Piazza Rosario, offrendo ai partecipanti un’esperienza coinvolgente e istruttiva, arricchita dal coro degli Amici del Canto Sardo diretto dal Maestro Salvatore Bulla e dal gruppo di ballo sardo Monte Alma di Nulvi. L’evento, per la regia di Romano Foddai, promette di trasformare il centro cittadino in un palcoscenico vivente, dove arte e tradizione si fondono in una performance emozionante. In scena Paola Dessì, Stefano Petretto, Francesco Petretto, Giovanni Trudu, Nicolino Murru, Fabio Uleri e i ragazzi del laboratorio del Teatro S’Arza. La mattina del 28 aprile, verrà posta una corona di fiori per ricordare gli otto «martiri della Sarda Rivolutzione» trucidati proprio nel luogo dove sorgevano le Forche del Carmine Vecchio. L’omaggio floreale sarà depositato ai piedi del monumento ai patrioti posato lo scorso anno grazie ad una raccolta fondi popolare la cui comunicazione è stata affidata agli studenti del corso di Grafica del Liceo Figari. Dopo i saluti del sindaco Giuseppe Mascia, interverranno gli storici Federico Francioni e Antonello Nasone. Il calendario si chiude con la presentazione del volume “Rivoluzionari sardi in Francia. Personaggi e documenti”, di Adriana Valenti Sabouret, uscito a dicembre del 2024 per Arkadia editore. L’appuntamento è fissato alle ore 17 del 28 aprile nella sala Angioy della Provincia. Attraverso un lavoro di ricerca storica, utilizzando anche fonti inedite, l’autrice ci offre un tributo a diverse figure dell’esilio sardo. In particolare spicca il profilo del giudice della Reale Udienza Giovanni Maria Angioy che si pose a capo di un movimento che reclamava per la sua “isola” uguaglianza sociale e autodeterminazione. Dialogheranno con l’autrice Cristiano Sabino e Federico Francioni.
La segnalazione su Il Tamburino Sardo
Maria Caterina Prezioso è nata a Roma nel 1961. Operatrice culturale, scrittrice e drammaturga è autrice di poesia, di teatro e di narrativa, ma è soprattutto una donna sensibile e caparbia. Il suo ultimo libro I giorni pari, edito da Arkadia, racconta di donne, belle e vere, ruvide e cattive. Un viaggio nei sentimenti, attraverso gli eventi di una guerra che si combatte dentro e fuori. Una scrittrice raffinata, con la passione per il suo lavoro che inevitabilmente trasmette attraverso la sua penna, trascinando il lettore in un vortice di emozioni. Cultura al femminile l’ha incontrata.
Benvenuta Maria Caterina! Dopo aver letto e recensito il tuo bellissimo libro mi piacerebbe conoscerti meglio. Ci parli un po’ di te?
Innanzitutto Gianna grazie di questo spazio che insieme ad Emma Fenu mi avete concesso. Cultura al Femminile è una bella realtà nel panorama delle riviste. Domanda non semplice, non è facile parlare di se stessi… ci provo in maniera indiretta, attraversando a ritroso il tempo, dieci anni in dieci, partendo dal 1974, quando di anni ne avevo tredici. Il 4 agosto del 1974 ero sul treno Italicus, Roma-Brennero; nel 1984 mi sono laureata in scienze politiche con una tesi in diritto costituzionale; nel 1994 ho incontrato la danza ed il suo sorriso e ho scoperto la scrittura teatrale; nel 2004 ho finalmente capito che 1984 il famoso romanzo di George Orwell, scritto nel 1948, il titolo è stato ottenuto invertendo le ultime due cifre; il 2014 ha aperto a un tempo nel quale ho visto chiudersi porte, e se pur non si sono aperti portoni, ho imparato a riconoscere quella che per me è “la magia della cura”, saper prendersi cura uno dell’altro; nel 2024 Arkadia Editore pubblica “I giorni pari” e finalmente, Sara della mia immaginazione e Silvana del mio ricordo, escono allo scoperto e ritrovano il sorriso e la voce.
Come e quando hai scoperto la passione per la scrittura?
Più che passione è un modo di stare al mondo, di vedere le cose. Ho iniziato scrivendo poesie, ma avevo bisogno di altro, desideravo che un racconto orale diventasse scrittura. Sono per natura curiosa e mi piace molto “mettermi in ascolto”. Da lì il passo è stato breve. Raccontare di noi, di voi. E poi la scrittura mi offre una risorsa formidabile quella di poter cambiare il finale. Per me la scrittura è gioco.
Quando inizi la stesura di un libro hai già in mente tutta la storia o la elabori durante il percorso?
La narrazione è magia. Sicuramente hai una trama in mente, ma poi durante il gioco della scrittura si affacciano altre storie che vogliono essere raccontate. E questo è bellissimo. Bussano alla porta e tu devi essere in grado di saperle accogliere. Trovare un posto anche per loro.
Quanto tempo prima di scrivere la prima riga di un libro inizi le tue ricerche?
Assolutamente dopo. Inizio sempre a scrivere, lavorando sul ricordo, i racconti che ho ascoltato, quello che ho osservato, solo in seguito ho bisogno di un contesto narrativo che sia riscontrabile. La storia che mi interessa raccontare è attraversata dalla Storia con la S maiuscola, ma il respiro della narrazione è di per sé unico e a suo modo irripetibile.
Cosa ti ha spinto ne ‘I giorni pari’ a raccontare un periodo doloroso della nostra storia attraverso la vita delle due protagoniste?
Volevo scrivere di Sara e Silvana e di quegli anni così forti e impietosi. Però volevo scrivere anche un romanzo di “personaggi” e raccontare anche di quei ragazzi e ragazze che hanno vissuto, amato e sperato, di fatti semplici ma oltremodo grandi, a volte episodi marginali che non si trovano nei libri di storia, ma che hanno fatto la Storia. Personaggi vissuti realmente e altri immaginati che dialogano tra loro, che hanno pari dignità di esistere.
Ti senti più Sara o più Silvana? Mi riferisco al loro carattere e al loro percorso interiore.
Sara ha tutta la mia immaginazione e Silvana mi ha lasciato in dono la sua caparbietà, il suo perseverare nonostante tutto. Mi piace pensare di essere riuscita a dare loro voce.
Le tue precedenti pubblicazioni spaziano tra storie di vita e periodi storico-politico di rilevante importanza dell’Italia del secolo scorso. Hai un pubblico ideale e quale messaggio vuoi trasmettere attraverso la tua scrittura?
Pubblico ideale? Per me è una gioia scoprire quanti diversamente si avvicinano ai miei romanzi. Caratteri diversi, mondi diversi. Per quanto possibile cerco sempre di instaurare un rapporto con il lettore/lettrice e mi piace quando attraverso un mio scritto, chi legge non solo si possa innamorare della narrazione, ma la fa sua e apre la strada al suo vissuto. I giorni pari vorrei tanto lo leggessero anche i giovani, arrivare a loro attraverso tutti i personaggi, oltre Sara e Silvana, che sono loro coetanei. Utilizzare la memoria di un tempo passato per dialogare con il presente e dare una chiave di lettura per il futuro.
Di cosa non scriveresti mai?
Un giallo, anzi meglio un noir, non saprei da dove cominciare. A me interessa, come dire, “risvegliare” la fantasia e non ingabbiarla in meccanismi collaudati di analisi psicologiche.
Cosa pensi dell’attuale editoria italiana?
Sono felice di aver incontrato sulla mia strada Arkadia Editore, è una realtà interessante capace di lavorare ad alto livello, ma mantenendo un rapporto “affettivo” con i propri autori. Che non sempre significa tutto “rose e fiori”, ma significa condividere, discutere, fare un lavoro di squadra per dare la possibilità alla scrittura di farsi piena, una scrittura di respiro. Le grandi casi editrici non lo fanno, forse non ne hanno il tempo o forse sono solo troppo attente al rientro economico e soprattutto puntano su nomi che assicurano visibilità e quasi mai su voci nuove. Così accade che quelle poche voci diverse che ci possono essere, diventano per loro dei fenomeni da sfruttare per una stagione. E’ sciocco stremare un cavallino di razza. La scrittura ha bisogno di crescere, di farsi conoscere poco a poco. Dall’altra, le piccole case editrici non trovano spazi adeguati perché l’attenzione è tutta per le grandi e quindi faticano non poco a rimanere sul mercato, nonostante siano loro le prime a fare un lavoro di ricerca interessante. Le piccole, medie case editrici rischiano, le grandi si adeguano a quello che vuole il mercato oppure cercano di influenzarlo. Un poco come succede in economia.
C’è una domanda che avresti voluto ti facessi?
La scrittura è come una partitura di musica. C’è sempre tempo per un’altra domanda. Grazie per quella domanda che non mi hai fatto ed è rimasta sospesa, come una pausa tra un suono e l’altro.
Grazie Maria Caterina per la tua disponibilità, al tuo prossimo libro e alla nostra domanda sospesa…
La scrittrice ha pubblicato poesia: Nelle rughe del muro (Ibiskos 1991); drammaturgia: La risposta di Leonardo (coautrice con Giuliana Majocchi, Il Segnale 1996) testo di teatro-danza che ha ottenuto il patrocinio del Comune di Vinci, La stanza – la festa dei Tuareg (Titivillus 2004); narrativa: il Colpo (peQuod 2008), Cronache binarie (EDE 2011), Blu Cavolfiore (Golena edizioni 2013), La ballata dei giorni della pioggia (Kogoi edizioni 2016), Pina & Max (coautrice con Giuliana Majocchi – Edizioni Leucotea 2018) una favola ecologica. Ha collaborato con le pagine culturali di «Avvenimenti», realizzando tra l’altro un ciclo di interviste ad autori della drammaturgia italiana del novecento. Collaboratrice della rivista di teatro «Primafila». Ideatrice della rubrica «Leggere il Teatro» per Ex Libris (dalla critica dello spettacolo alla lettura del testo teatrale). Ha tenuto corsi di scrittura creativa. Ha seguito l’organizzazione e l’ufficio stampa di spettacoli di teatro e di teatro danza. Alcuni sue novelle sono stati pubblicate su varie riviste («Storie», «Omero», «In-Edito», «TutteStorie», «EllinSelae» e «Satisfiction»). Il premio di Poesia e Narrativa «Negativo del Silenzio» vinto con il racconto Le caviglie del Treno I edizione (Centro Giovani «il buco» del Comune di San Nicola la Strada – Città per la pace).
Gianna Ferro
L’intervista su Cultura al Femminile