La prima cosa che mi viene in mente, dopo aver letto questo bel lavoro, è il prodigio dell’incontro. L’incontro con il partner, il riconoscimento dell’altro verso cui si orienta una scelta di vita, uscendo da uno schema predefinito di relazioni, non cedendo alle regole e affidandosi, come nel caso di Lypsia e Balthus, a un destino da sperimentare, seppure sovrinteso dagli Dei. Una pari di Sparta, la prima, un avveduto e sapiente mercante della Beozia l’altro. Un uomo e una donna dell’antichità che avevano nella mente e nel cuore una sorta di modello etico, fatto di conoscenza, determinazione, apprendimento. Ed è nell’ambito di simili valori morali che la conoscenza tra i due va evolvendosi fino a diventare progetto, sfida, futuro, non prima di essere passata attraverso un confronto, dove la valutazione dell’altro avviene tramite meccanismi che il tempo non può modificare, poiché appartengono all’istinto e alla ragione sin dai primordi dell’umanità. Resta difficile, in quest’ottica, non pensare agli “scansanti” contemporanei, a coloro, cioè, che in quest’epoca così complessa e per certi versi minima si difendono dal rischio di amare, rinunciando alla visione comune e al legame che ne scaturisce, preferendo, invece, la brevità e l’inconsistenza di un rapporto non arricchente e men che meno formativo. D’altronde, pare abbastanza chiaro che costruire il senso del “noi”, oggi, a ogni livello e non solo in coppia, resta un compito abbastanza arduo, considerato il dilagare di un egotismo sfrenato e poco coinvolgente, vero e proprio deterrente per ogni esperienza emotiva e di attrazione. Ecco perché, Se tutti diventassero re, edito da Arkadia, rappresenta, da un punto di vista meramente sentimentale, una chiara traccia che riconduce, con maestria e leggerezza, lo sguardo moderno verso la verità ancestrale delle forme amorose e di fascinazione, intrise evidentemente di positività assoluta, dove la condizione lamentosa e soffocante della relazione non trova ragioni di esistere. Lypsia e Balthus sembrano avere bene in mente che non è possibile cambiare il passato, ma possono fare in modo, attraverso l’esplorazione dell’esperienza, che questo non influenzi il presente e il futuro! E, quando a distanza di migliaia di anni, la loro vita, i loro gusti, la stessa dimora dove si è consumata la loro esistenza diventano un unicum di splendida antichità, a rappresentazione concreta dell’oggetto di studio di un divulgatore scientifico, la testimonianza materiale e immateriale che hanno lasciato sembra avere una sublimazione a cui la loro relazione era destinata come fine ultimo. Così, una villa di Taras, l’attuale Taranto, rende conto del mondo appartenuto ai suoi proprietari: il reperto che diventa motivo letterario e di congiunzione tra il mondo antico e quello moderno, dove Andrea Saverio Ronchi – e chi altri? – uno studioso dal passato misterioso e il futuro tutto da scoprire, si adopera da par suo per interpretare la simbologia di un mosaico rivelatore, sintomatico dell’identità di chi, tanti secoli addietro, lo ha voluto come ornamento distintivo della propria abitazione. L’interpretazione archeologica che diventa indagine letteraria è senz’altro un motivo suggestivo e avvincente, di cui l’autore ha fatto un uso magistrale e ben dosato, dimostrando uno stile proprio e una sua originalità, servendosi di un linguaggio fresco e presente ed evitando, in tal modo, di rincorrere il fantastico e il mistero di canonico richiamo, tipico di diversi maestri del passato, a partire da autori ottocenteschi come Nathaniel Hawthorne e Théophile Gautier, per arrivare al nostro Umberto Eco. È attraverso un processo di interpretazione che Foderaro costruisce il suo romanzo, dove descrive con spiccato senso della realtà un mondo eternamente attuale e possibile. L’autore sa perfettamente che un reperto archeologico è qualcosa di molto diverso da un’opera d’arte: non si presenta nella sua forma perfetta e usurata, non è integro e non è stato fatto per essere ammirato in un tempo che ha da venire, ma vissuto nella funzionalità del suo presente, e, infine, quando viene scoperto diventa una rovina. Passa da qui la decodificazione romanzesca delle identità di Lypsia e Balthus da parte dello specialista Ronchi, a cui lo scrittore ha affidato la visione del futuro, partendo dalla tangibile memoria di persone vissute nell’antichità.
Oscar Nicodemo
Il link alla recensione su Gli Stati Generali: http://bitly.ws/HHwZ
C’era una volta un uomo che ad ogni occasione gli si presentava prendeva in mano un libro, lo apriva, lo annusava, lo sfogliava per consentire al profumo di diffondersi, e lo leggeva, con passione, pur senza comprendere fino in fondo ciò che leggeva. Spesso. Oggi leggo ancora e con passione maggiore, e per fortuna qualcosa in più capisco. Leggere “Se tutti diventassero re”, scritto da Giuseppe Foderaro, e pubblicato da Arkadia Editore nella Collana Narratori Eclypse al n. 142, mi ha dato la gioia di comprendere che la scrittura di Giuseppe è cresciuta, è maturata, ha raggiunto livelli importanti. Ho percepito sicurezza nelle frasi, nei periodi, nella struttura del romanzo che non vacilla mai. Lo presento allora con grande soddisfazione, con grande gioia per lui ed il suo percorso di scrittore, sperando che molti decidano di godersi questa storia molto particolare, e caratterizzata ancora una volta da quella che io definisco una pacatezza speciale che l’autore possiede e diffonde con il suo sguardo, quando si ha la fortuna di incontrarlo, e ammantandone appunto le sue storie, pur se contengono fatti cruenti, graffianti, a loro modo provocatori, ma il tutto non scade mai in manifestazioni fuori controllo. Il romanzo è costituito da due vicende, ambientate in tempi molto lontani, in luoghi relativamente vicini, e unite dalla storia che tutti abbiamo studiato e dall’arte di cui godiamo la bellezza. I personaggi che si incontrano sono molti, ognuno caratterizzato con estrema precisione, collocandolo nella propria realtà a svolgere quello specifico ruolo pensato dall’autore, e vissuto dal personaggio nella vita della sua comunità. Il primo luogo in cui infatti ci troviamo, leggendo le prime pagine, è la comunità spartana, e nello specifico una grande famiglia di spartiati inserita nel preciso sistema di regole di un popolo fiero e coraggioso, ove ognuno ha compiti chiari, ma anche destini segnati, poche possibilità di un futuro sorprendente, inaspettato. Eppure tutto comincia con sorprese a profusione, fatti eclatanti che ci catapultano in un’epoca lontana dove Giuseppe Foderaro saprà farci stare molto bene e per molte pagine. La vicenda iniziale è un fatto drammatico e nello stesso tempo immensamente gioioso, un fatto dirompente, un evento che stravolge in un sol colpo la vita di almeno tre persone, regalando loro la gioia più grande, la gioia per la vita.
“Vedi che meraviglia la natura? Non sai mai quello che ti capita.”
Un uomo, una donna e un bambino, ci prendono per mano e ci accompagnano a scoprire e anche apprezzare l’originalità della loro vita quotidiana, insieme a riflessioni filosofiche molto puntuali, e considerazioni politiche che svelano sicuramente a tanti di noi realtà inaspettate. Sparta ed Atene, sembra non siano state proprio quelle che abbiamo conosciuto nei libri di scuola. La bellissima lezione di storia che attraversa la prima metà del romanzo, è perciò ulteriormente arricchita dalla concretezza degli usi e costumi quotidiani, regala momenti di lettura davvero piacevole, e a tal proposito vi segnalo alcune pagine per me davvero stupende, pagina 36, 74, 94 e 95. Per scriverle Giuseppe ha viaggiato molto, come Balthus, ha studiato ancor di più, ma ci ha messo molto del suo stile, del suo essere per regalarci pagine così belle.
“La gente dovrebbe tenere a freno la sua smania di giudicare chiunque solo per sentirsi importante o per vivere un attimo di gloria.”
Con questa considerazione di per sé quasi banale, ma di importanza capitale, il viaggio dei nostri spartiati fa un salto temporale di oltre 2.000 anni, ma continua ancora, ovvio con nuovi personaggi, che però mantengono elevatissimo il livello intellettuale di questo romanzo, e ci consentono di assistere ad una sorta di caccia al tesoro moderna, tra libri, studi, ricerche, alla scoperta del senso di un’opera potremmo dire, alla ricerca non tanto di un colpevole, ma del genio di un artista. Fantastico, meraviglioso questo percorso, che pur passando da tempi e luoghi che apparentemente non hanno nulla a che fare tra loro, mantiene inalterata la tensione positiva, la meraviglia, lo stupore della storia e dell’arte. Prosegue la lezione di storia del nostro autore, attraverso parole e considerazioni dei suoi personaggi, ma prosegue anche tra le righe e non troppo nascosta, una chiara lezione di vita.
“… perché non si poteva supporre… che un’opera d’arte, qualsiasi essa fosse, non venisse generata e commissionata solo per appagare il piacere personale del committente, o per suffragare il suo stato di benessere, né tantomeno con il solo scopo di impressionare i suoi contemporanei, quanto piuttosto per raccontare semplicemente una storia, capace magari di attraversare i secoli?”
Lasciare delle tracce, profonde, nette, visibili, diffondere messaggi e parole importanti, essere presenza viva e significativa nel breve passaggio terreno che ci viene concesso, non è un automatismo, non succede per caso, bisogna decidere di farlo e talvolta non funziona nonostante progetti, impegno e passione. Con questo nuovo lavoro, l’autore Giuseppe Foderaro, lascia segni e lancia segnali di grande rilevanza, e lo fa nel modo che gli riesce meglio, raccontando una storia, lunga, ricca, complessa, accattivante, bellissima e molto interessante, a mio modesto parere. E non è certo la prima volta. Bravo Giuseppe, ancora una volta un gran bel lavoro. “Le parole lanciate al vento con troppa leggerezza attiravano disgrazie come un cadavere richiamava gli avvoltoi.”
Claudio Della Pietà
Il link alla recensione su Senzaudio: https://bit.ly/3Nhf7nW
Apriamo il nostro appuntamento con le news letterarie con un libro che ben si allinea con le notizie delle ultime settimane (e giorni, anzi): Crypto Bluff di Ginox, uscito per Eris Edizioni. Un piccolo saggio, divertente e al tempo stesso molto acuto nell’analizzare la bolla delle criptovalute. Per Il Saggiatore invece esce un libro che è un invito a riscoprire il mondo all’aria aperta e ciò che offre la natura: Piccolo manuale illustrato per cercatori di fiori, con le bellissime illustrazioni di Marina Lombardi. Un libro in cui ogni capitolo, ogni personaggio, dà vita a quello successivo; un libro in cui mille fili si uniscono in molteplici vite. Parliamo di Madama Matrioska di Anja Boato, in libreria per Accento Edizioni. Sempre un gioco di incastri e intrecci troviamo in Se tutti diventassero re di Giuseppe Foderaro, in uscita per Arkadia Editore, dove passato e presente si intersecano magistralmente. La principessa, figura delle fiabe, da proteggere e salvare. Ma se le principesse riacquistassero la loro voce? Se mettessero in mostra limiti e gabbie del patriarcato? Lo racconta Giusi Marchetta in Principesse Eroine del passato, femministe di oggi, in libreria per add. Torna Mazo de la Roche, per Fazi Editore, con I frutti di Jalna, nuovo capitolo della saga familiare dei Whiteoak. Delle conseguenze del cambiamento climatico e condito da elementi noir parla invece Prima della rivolta, suggestivo romanzo di Michele Turazzi in uscita per nottetempo. Suggestivo è anche il romanzo di Daniele Petruccioli, in uscita per TerraRossa, Si vede che non era destino. Storia di una bambina, di una donna, di una vita speciale, quella di Maria. Sarajevo, 1992. Conosciamo bene il dramma, i fatti che portarono all’assedio e la tragedia. Damir Ovčina ripercorre con la memoria quei giorni dando vita a un formidabile esordio, Preghiera nell’assedio, il libreria per Keller. Ed infine per Morellini Editore troviamo L’aroma inconfondibile del tè, romanzo di spionaggio e di formazione di Maria Elisabetta Giudici ambientato nel medio oriente dell’Ottocento.
Il link alla segnalazione su The Bookish Explorer: https://bit.ly/42y5S8k
BLOG Tra fiori, sociopatici, velleitari re, venditori di aria in Terrasanta e i ritorni di Gamberale, Foderaro, Pecoraro, Oggero e Arminio, le curiosità più attese sono garanzia. Librocopertina al capolavoro di Raffaele Mantegazza “Elogio dell’ebraismo. Le radici di un’identità e il dialogo con il futuro”, pubblicato da Fefè editore e controcopertina a Pier Franco Brandimarte con “La vampa” per il Saggiatore
Settimana da leggere intinta di colori e di generi diversi quella che procede dal 7 al 13 marzo. Diversi i ritorni attesi: da Chiara Gamberale con “I fratelli Mezzaluna” (Salani), a Mónica Ojeda con “Voladoras” (Polidoro editore), da Susan Taubes con “Divorzi” (Fazi) a Simona Baldelli con “Il pozzo delle bambole” (Sellerio). Due giganti fanno trepidare: Franco Arminio con “Sacro minore”, (Einaudi) e Margherita Oggero con “Brava gente” (HarperCollins Italia).
Suscita interesse “Sociopatici in cerca di affetto” di Michele Mellara per Bollati Boringhieri. L’Officina Saggiatore regala una chicca, “Piccolo manuale illustrato per cercatori di fiori”. Omer Friedlander con “L’uomo che vendeva l’aria in Terrasanta” (NN Editore); Giuseppe Foderaro con “Se tutti diventassero re” (Arkadia), Anna Vaught con “Bang Bang Mussolini” (8tto edizioni), Anja Boato con “Madama Matrioska” (Accento), Francesco Pecoraro con “Solo vera è l’estate” (Ponte alle Grazie) e Scott McClanahan con “Crapalachia. Biografia di un luogo” per Pidgin chiudono le nostre proposte. Ops… e in copertina? Tranquilli, non lo dimentichiamo: “Elogio dell’ebraismo. Le radici di un’identità e il dialogo con il futuro” di Raffaele Mantegazza per Fefè editore e controcopertina a Pier Franco Brandimarte con “La vampa” per il Saggiatore.
Tanta e variegata carne al fuoco. Buone letture!
Le uscite di martedì 7 marzo
Mónica Ojeda, Voladoras, A. Polidoro editore
Dopo Mandibula (A. Polidoro editore, 2021), arrivato in finale al National Book Award nel 2022, Mónica Ojeda torna in libreria con un romanzo già accolto positivamente dalla critica (è stato inserito dal «New York Times» nella lista delle dieci migliori opere in lingua spagnola). Voladoras è una raccolta di otto racconti ambientati lì dove la violenza e il misticismo appartengono allo stesso piano poetico. Avvalendosi del gotico andino, Ojeda ci racconta il femminicidio, il lutto, i maltrattamenti sui minori, l’aborto, gli amori proibiti; e indaga la paura, sullo sfondo della cordigliera delle Ande, tra miti e simboli.
Chiara Gamberale, I fratelli Mezzaluna, Salani
AGabaville nessuno litiga mai e tutti vorrebbero viverci. Tranne Lena e Alen, i gemelli Mezzaluna, figli di Maddy La Matta e nati in una notte di luna spaccata. Lena ha la capacità di fare domande di fuoco che rovistano nei cuori, mentre Alen legge i pensieri di chi gli è davanti. Nessuno sa chi sia il padre. Lena e Alen sanno solo che viveva sulla luna e che un giorno si è perso tra le galassie. Ma quando i gemelli scoprono che la madre gli ha raccontato una bugia, scappano e vengono risucchiati nel Mondo Sottopelle in cui regnano la rabbia, la paura e la vergogna. Ed è qui che i due cambieranno le sorti dei due mondi.
Simona Baldelli, Il pozzo delle bambole, Sellerio
Nell’immediato dopoguerra Nina viene lasciata in un orfanotrofio. Qui le suore fanno la cresta su tutto, e il limite fra disciplina e oppressione è molto labile: punizioni corporali e psicologiche fanno parte dell’iter educativo. Una volta diciottenne Nina raggiunge quel mondo che ha sempre potuto vedere solo dalle mura dell’istituto. Ed è in questo mondo che Nina dovrà iniziare da capo. Il pozzo delle bambole è il racconto di un riscatto sullo sfondo di un’Italia che dalle rovine della guerra va verso gli struggenti anni Settanta.
Susan Taubes, Divorzi, Fazi
Questa storia inizia dalla fine: Sophie Blind viene investita e uccisa mentre sta camminando per le strade di Parigi e per lei è una liberazione. Immigrata in America dall’Ungheria, figlia di uno psicanalista ebreo e nipote di un famoso rabbino, Sophie non crede in Dio né nella psicanalisi. Mentre tenta di ottenere il divorzio da un marito donnaiolo e assente, cerca anche di scrivere un romanzo, ma è continuamente disturbata dalle soffocanti presenze maschili che le girano attorno. Divorzi, pubblicato per la prima volta nel 1969, è l’unico romanzo di Susan Taubes, morta suicida poco dopo.
Margherita Oggero, Brava gente, HarperCollins Italia
Questa storia è ambientata nella periferia nord di Torino, in un quartiere popolare. È qui che vive Deborah, detta Debby, una quindicenne che ha lasciato la scuola per fare la babysitter e la badante e che propone alla madre, un tempo benestante, di uccidere il padre. È qui che vive anche Oreste, adesso camionista, e prima colui che ha dilapidato la fortuna della moglie. Ci vive pure Caterina Mazzacuti, la donna cui Debby fa da badante e anche da spacciatrice. Sono molte altre le esistenze che si avvicendano in questo romanzo che restituisce al lettore la coralità dell’esistenza umana, in tutte le sue quotidiane miseri e improvvisi splendori.
Franco Arminio, Sacro minore, Einaudi
«La poesia di Arminio nasce tutta nel “qui” dei corpi e della geografia. […] Non potendo vedere ciò che non esiste, Arminio ha costruito con Sacro minore un calibrato e assai originale breviario poetico con l’intento struggente di affermare il sacro unicamente con quello che c’è intorno a noi: un filo d’erba, una lumaca, una radiografia. Così dicendoci che non solo è possibile ripensare il sacro, ma anche imparare a pregare nuovamente. Perché per Arminio la poesia è anzitutto questo: pregare» (Andrea Di Consoli).
Scott McClanahan, Crapalachia. Biografia di un luogo, Pidgin
Crapalachia è un’ode alle persone e alla storia del West Virginia rurale, ambientato durante gli anni formativi di McClanahan trascorsi con personaggi oltraggiosi come lo zio Nathan, la nonna Ruby, Little Bill e una miriade di altri individui strepitosi. In questo romanzo McClanahan decide di mettere il lettore a disagio e al tempo stesso di accoglierlo. Questo è il ritratto di un luogo ritenuto irrecuperabile da chi lo ha visto da lontano senza coglierne il sublime.
Francesco Pecoraro, Solo vera è l’estate, Ponte alle Grazie
Dopo la raccolta di racconti Camere e Stanze (Ponte alle Grazie, 2021), Pecoraro torna al romanzo con una storia di amicizia ambientata durante i giorni del G8 a Genova. Enzo, Filippo, Giacomo e Biba sono amici. È soprattutto quest’ultima a fare da perno della comitiva. È il 20 luglio del 2001 e in auto lungo la Pontina in direzione del mare in radio passano le notizie su quanto sta accadendo a Genova. Biba si trova proprio lì, partita per capire cosa accade, e diventa testimone delle violenze sui suoi coetanei. Quando fa ritorno a Roma, racconta agli amici ciò che ha visto, con la consapevolezza che nulla sarà più come prima, e nulla cambierà mai sul serio.
Le uscite di mercoledì 8 marzo
Anja Boato, Madama Matrioska, Accento
Chi è il vero padre di Sean Penn? Cosa lega il Marione, di cui non si sa il motivo della morte, a Cecilia, presentatrice televisiva; e cosa, a sua volta lega lei ad Alba, la madre di Sean Penn? Nel suo esordio, la vincitrice al Campiello giovani 2015 Anja Boato costruisce una storia piena di rimandi interni e collegamenti simili a una matrioska, appunto, in cui le comparse di un capitolo diventano protagoniste in un altro; e in cui ogni evento ha una causa che lo precede e una che lo segue.
Le uscite di giovedì 9 marzo
Anna Vaught, Bang Bang Mussolini, 8tto edizioni
In Bang Bang Mussolini, Anna Vaught ripercorre la storia di Lucia Joyce, che dal 1932 fino alla morte trascorse l’esistenza negli ospedali psichiatrici. Ogni suo scritto e documentazione venne cancellata dal nipote nel 1988. Una damnatio memoriae a cui fu costretta anche Violet Gibson che nel 1926 provò a uccidere Mussolini, e così pure altre donne nel corso della Storia, vittime di un marchio che era anche una condanna, quella della follia e dell’isteria.
Le uscite di venerdì 10 marzo
Giuseppe Foderaro, Se tutti diventassero re, Arkadia
Lypsia è una fiera e nobile spartiate in fuga dagli obblighi civici di uno Stato troppo oppressivo, che sulla sua strada incontra, grazie all’intercessione onnipresente degli Dei, il mercante Balthus, nativo della Beozia, terra ricca di risorse ma anche patria di spudorati avventurieri. In una lunga odissea alla ricerca di nuove opportunità, i due finiscono per creare un sodalizio, accogliendo nella loro casa un assortimento eterogeneo di personaggi raccolti ai margini della società di Atene, città liberale ma anche spietata nei confronti dei poveri e degli emarginati. Coinvolti nel salvataggio di un facoltoso trafficante di sale, viene loro offerta la possibilità di riparare verso l’unica colonia fondata da Sparta, la prosperosa e vivace Taras (l’attuale Taranto). Migliaia di anni dopo le loro vite saranno al centro dello studio del divulgatore scientifico Andrea Saverio Ronchi, costretto suo malgrado a fare i conti con un passato misterioso ma ricco di spunti e con un futuro, per lui, ancora assai incerto. Il nuovo romanzo di Giuseppe Foderaro è un autentico gioco di incastri, un racconto sapientemente costruito dove epoche e personaggi si intrecciano in un mosaico dal forte gusto letterario.
Omer Friedlander, L’uomo che vendeva l’aria in Terrasanta, NN Editore
“Le luci si accendono, il sipario si apre. Il pubblico è un mare di buio.
Inspira a fondo e si prepara a camminare nell’aria”
Israele è il paese dove la geografia e la storia sono inscritte in ogni pietra, si respirano in ogni vento e intrecciano inesorabilmente i destini di uomini e donne, capaci di sfuggire alla violenza con un’immaginazione potente e sconfinata. Così, tra i vicoli di Tel Aviv, un truffatore e sua figlia vendono bottiglie di “aria santa” a turisti creduloni per non arrendersi all’evidenza della povertà; in un aranceto di Giaffa un vecchio coltivatore ebreo riconosce negli occhi neri di una donna lo sguardo dell’amico palestinese che ha dovuto tradire; in una Beirut devastata da una guerra logorante, si avverano gli ultimi desideri di tre giovani soldati, per mano di una donna affascinante che si fa chiamare Sheherazade.
L’uomo che vendeva l’aria in Terrasanta è una costellazione di fiabe capovolte in cui la realtà opaca si colora delle tinte accese della fantasia, come in un quadro di Chagall. L’esordio letterario di Omer Friedlander è un libro intenso e delicato, una raccolta di racconti che, sulla scia dei romanzi di Eshkol Nevo, disegna una mappa dell’animo umano, un luogo vulnerabile e imperfetto ma sempre aperto alle possibilità della speranza.
Questo libro è per chi sfida la vertigine per godersi un panorama inaccessibile, per chi non si stanca mai di leggere Le mille e una notte, per chi combatte le proprie paure scrivendole sui post-it, e per chi a volte si rifugia nella sua stanza dei sogni, un luogo minuscolo e fragile con le pareti ricoperte di conchiglie marine, dove sentirsi al sicuro.
Libro copertina, Elogio dell’ebraismo. Le radici di un’identità e il dialogo con il futuro di Raffaele Mantegazza, Fefè editore
Quali le radici della “strana” miscela di religione, ritualità, cultura, fede, speranza, arte, letteratura che fanno l’identità del popolo ebraico? Come ha fatto un popolo che sottolinea l’importanza di un’identità “biologica” a generare pensieri di tale universalità, di tale apertura a tutto l’umano? Ribadire la particolarità dell’identità ebraica o lasciarsi contaminare dalle culture dei popoli con cui gli ebrei sono da sempre venuti in contatto? Quanto del pensiero ebraico è comprensibile da un non ebreo? E quanto anche il non capire sia un capire
Io sono un goy. Un goy è un “gentile”, ovvero una persona che non appartiene al popolo di Israele. Un non ebreo. Il che significa che mia madre non è ebrea, dal momento che l’appartenenza al popolo ebraico è matrilineare [..] Quello che è certo è che il mio immenso amore per l’ebraismo non nasce da riti famigliari né da appartenenze religiose né da pedagogie incontrate da bambino. L’ebraismo mi è venuto incontro prima di tutto con il volto dei libri di Primo Levi e di Elie Wiesel; l’ho incontrato, tenace e resistente, al fondo del progetto che lo voleva cancellare dalla faccia della Terra. Ho allora voluto iniziare un percorso di conoscenza, attraverso gli studi e le letture, due viaggi a Gerusalemme, l’apprendimento dell’ebraico biblico e soprattutto la frequentazione del TaNaK, la Bibbia ebraica […] Non posso dire quali emozioni contrastanti mi regala sempre l’ebraismo. […] Oggi mi è stato chiesto di scrivere un elogio dell’ebraismo.Ovviamente non si tratta di una storia, di una teologia o di una filosofia del pensiero ebraico (“non eran da ciò le proprie penne”), ma solamente di alcune riflessioni attorno a nuclei di pensiero che l’ebraismo ha incistato su di me, in particolare sulla mia sensibilità educativa e sulla mia passione pedagogica.
Libro controcopertina, La vampa di Pier Franco Brandimarte, il Saggiatore
La vampa è un libro sul potere. Sul potere che costruisce e dissolve ogni cosa: persone, famiglie, imperi commerciali, stati. Al centro del romanzo ci sono due figure, un bambino e suo nonno, Annibale e Riccardo. Riccardo viene chiamato «il fondatore», ha dato vita a una delle maggiori imprese di import-export alimentare in Italia, la Angelini Grani, uno spazio oscuro nei cui successi è possibile leggere la storia segreta, mitologica e criminale del nostro Paese: dalla Resistenza fino a Tangentopoli. Annibale ha sei anni ed è lui a raccontarci questa storia oscura. Possiede, infatti, la capacità di vedere, nel passato e nel futuro, tutto quello che è successo e succederà alla sua famiglia, non lo comprende, non può modificare gli eventi, può esserne solo testimone; questa capacità viene chiamata «la vampa», perché come un fuoco primordiale, lo avvolge, lo distorce dal presente e gli permette di assistere agli omicidi, alle relazioni pericolose, alle parole della mafia, alle promesse dei politici, che, come fiamme, si accendono e si spengono attorno ai suoi famigliari. Finendo, inevitabilmente, per bruciarlo.
Michele Mellara, Sociopatici in cerca di affetto, Bollati Boringhieri
Qualsiasi passione, se estrema e totalizzante, può diventare ossessione, solitudine. Una raccolta di racconti originali e ironici, nonché esordio letterario dell’autore, in cui le storie sono interconnesse e narrano le passioni e gli amori estremi di una galleria di personaggi insoliti e insieme comici e malinconici.
Officina Saggiatore, Piccolo manuale illustrato per cercatori di fiori, Il Saggiatore
Questo libro è un invito aperto a tutti gli esploratori di prati, giardini e vivai: a chi, sfiorando una corolla o piantando un bulbo, riscopre l’emozione di una giornata primaverile o il ricordo di un profumo lontano. Accanto alle illustrazioni di Marina Lombardi ogni lettore troverà in queste pagine uno spazio bianco in cui conservare i petali dei fiori che ha raccolto nelle sue passeggiate dopo averne scoperto la storia e la simbologia, le tecniche di coltura e i segreti della natura: una piccola guida al prato infinito che si stende ovunque attorno a noi, per smarrirsi tra i suoi colori e odori come dentro una grande avventura.
Salvatore Massimo Fazio
Il link alla segnalzione su SicilyMag: https://bit.ly/3yo7ovK
Arkadia Editore, 2021 – Guardandoci bene dal minimo accenno al segreto che giustifica tutto l’impianto narrativo e che si apprenderà regolarmente, ecco il nuovo romanzo dello scrittore milanese che parla di alpinismo ma non lo ama.
Sono belli, biondi, con l’incarnato chiaro Lorenzo e Ludovico Coisson, ragazzini italiani nelle Antille, amati da tutti nella missione dei gesuiti e fuori. Sono nati uno poco tempo dopo l’altro da genitori giovani esiliati ai Tropici su consiglio del fratello prete di papà Osvaldo, per una gravidanza indesiderata e un matrimonio riservato, in avvio del romando di Giuseppe FoderaroLa santità del padre, pubblicato a giugno dalle edizioni Arkadia di Cagliari, nella collana Eclypse (2021, 214 pagine). È una storia di crescita e di formazione, che vive di estremi, di diversità che coesistono, di due in uno: la natura selvaggia del Centro America caraibico e quella asettica delle Alpi in Europa, cicloni devastanti e il candore spesso immobile e freddo delle nevi, i valori cristiani e le superstizioni pagane, le regole e la trasgressione. I due fratelli crescono unitissimi. Sono fisicamente differenti, il primo asciutto ed esile, Ludovico più robusto e prestante. Sono caratterialmente all’opposto, uno affabulatore, immaginifico e tuttavia dispersivo, l’altro per niente espansivo, silenzioso, ma concreto e operativo. La cosa principale è che si completano, stanno bene insieme, sono in costante comunicazione extraverbale. Hanno avuto l’opportunità unica di crescere in un mondo senza uguali, un Paese incantato. I genitori sono stati combattuti tra il vederli crescere come due ribelli, senza patria e senza dio, ignari al ritorno in Italia delle regole non scritte in una società civile e il timore che diventassero sofisticati, freddi, altezzosi. Ancora peggio: che si ritrovassero emarginati, incapaci di adeguarsi a un contesto sociale più restrittivo e formale. Come sempre, il problema è risolto dallo zio sacerdote, che in attesa di organizzare il rientro, consiglia un valido istitutore, Padre Andrè. Intanto i due, attraenti, disinvolti, capaci di esprimersi in italiano e francese, hanno imparato ad avere rispetto allo stesso modo di tutte le autorità, quelle ecclesiastiche dei gesuiti e quelle non ufficiali degli stregoni del villaggio. Si sono formati ascoltando le credenze locali tramandate oralmente e divorando tutti i testi della biblioteca della missione. Intelligentemente, il loro precettore si guarda bene dall’arginare la voglia di libertà dei ragazzi, tanto meno tentare di domare la loro volontà inflessibile, ritenendole qualità innate, da incanalare semplicemente nella giusta direzione: guardare ad alti ideali e fantasticare sulla costruzione di un mondo migliore. Il progressivo aggravamento delle condizioni di salute della moglie, convincono Osvaldo Coisson a condurre i ragazzi in Europa, per lasciare a Leda il tempo di “fare chiarezza su se stessa”, di “accomiatarsi dal mondo con serenità”, evitando allo stesso tempo ai due di soffrire per quello che le sta capitando. A questo punto i lettori — senza conoscere ancora i particolari — apprendono di un segreto custodito dai coniugi e ignorato dai ragazzi. Il padre è consapevole di dover fare la scelta da solo, pensando prima ai figli che a se stesso. Senza Leda, un luogo varrà un altro, l’importante sarà ripartire da capo, in un posto nuovo, in cui siano degli sconosciuti, dove nessuno farà domande e non ci saranno spiegazioni da fornire a questioni imbarazzanti. Il segreto dovrà tenere, almeno fino alla sua morte, Lorenzo e Ludovico non sono pronti a conoscerlo. Anzi, è Osvaldo che non si sente pronto a rivelarlo. Forse ne parlerà al maggiore, prima della fine. Il resto lo affiderà a un testamento spirituale, per non trovarsi di fronte a cosa fare… Sì, è un passaggio piuttosto criptico, ma necessariamente. E comunque troverà una spiegazione. I tre vanno in Europa, per i fratelli è la prima volta. Foderaro descrive bene la meraviglia innocente dei fratelli per quello che vedono. Non hanno occhi che per i grandi edifici in marmo, le vecchie chiese di pietra, i campanili svettanti verso il cielo. Cose che hanno visto finora solo nelle illustrazioni sui libri. Osvaldo lo ritrova invece un mondo ostile, trafficato, convulso, pieno di gente estranea in movimento, che passa indifferenti accanto a cumuli di immondizia. A questo punto, comincia una fase nuova a casa Coisson, sulle Alpi. L’educazione in Europa è più strutturata rispetto alle Antille, le regole pretendono osservanza e nessuna indipendenza nel collegio dei gesuiti in montagna, dove sempre lo zio prete ha voluto che avvenisse la formazione. Il romanzo si focalizza soprattutto su Lorenzo, anche per un incidente che lo condiziona pesantemente. Con Ludovico sempre pronto a supportarlo, impara a dissimulare, a fingere condiscendenza nei riguardi delle convenzioni, a nascondere le debolezze, il carattere. La società occidentale in cui si ritrovano è in costante competizione. Non è la loro, non vi si riconoscono, ma devono viverci. Poi arriva una notizia da Roma, dal nuovo conclave. Giunto a un buon terzo, il libro prende un altro ritmo, da discorsivo-preparativo ad attivo-operativo. Nell’insieme e senza trascurare la nostalgia sempre latente per la vita naturale che si conduceva nell’isola, è un romanzo che incuriosisce e prepara la rivelazione, sempre sospesa…
Felice Laudadio
Il link alla recensione su SoloLibri.net: https://bit.ly/3o1I5uB
Sono belli, biondi, con l’incarnato chiaro Lorenzo e Ludovico Coisson, ragazzini italiani nelle Antille, amati da tutti nella missione dei gesuiti e fuori. Sono nati uno poco tempo dopo l’altro da genitori giovani esiliati ai Tropici su consiglio del fratello prete di papà Osvaldo, per una gravidanza indesiderata e un matrimonio riservato, in avvio del romando di Giuseppe FoderaroLa santità del padre, pubblicato a giugno dalle edizioni Arkadia di Cagliari, nella collana Eclypse (2021, 214 pagine). È una storia di crescita e di formazione, che vive di estremi, di diversità che coesistono, di due in uno: la natura selvaggia del Centro America caraibico e quella asettica delle Alpi in Europa, cicloni devastanti e il candore spesso immobile e freddo delle nevi, i valori cristiani e le superstizioni pagane, le regole e la trasgressione. I due fratelli crescono unitissimi. Sono fisicamente differenti, il primo asciutto ed esile, Ludovico più robusto e prestante. Sono caratterialmente all’opposto, uno affabulatore, immaginifico e tuttavia dispersivo, l’altro per niente espansivo, silenzioso, ma concreto e operativo. La cosa principale è che si completano, stanno bene insieme, sono in costante comunicazione extraverbale. Hanno avuto l’opportunità unica di crescere in un mondo senza uguali, un Paese incantato. I genitori sono stati combattuti tra il vederli crescere come due ribelli, senza patria e senza dio, ignari al ritorno in Italia delle regole non scritte in una società civile e il timore che diventassero sofisticati, freddi, altezzosi. Ancora peggio: che si ritrovassero emarginati, incapaci di adeguarsi a un contesto sociale più restrittivo e formale. Come sempre, il problema è risolto dallo zio sacerdote, che in attesa di organizzare il rientro, consiglia un valido istitutore, Padre Andrè. Intanto i due, attraenti, disinvolti, capaci di esprimersi in italiano e francese, hanno imparato ad avere rispetto allo stesso modo di tutte le autorità, quelle ecclesiastiche dei gesuiti e quelle non ufficiali degli stregoni del villaggio. Si sono formati ascoltando le credenze locali tramandate oralmente e divorando tutti i testi della biblioteca della missione. Intelligentemente, il loro precettore si guarda bene dall’arginare la voglia di libertà dei ragazzi, tanto meno tentare di domare la loro volontà inflessibile, ritenendole qualità innate, da incanalare semplicemente nella giusta direzione: guardare ad alti ideali e fantasticare sulla costruzione di un mondo migliore. Il progressivo aggravamento delle condizioni di salute della moglie, convincono Osvaldo Coisson a condurre i ragazzi in Europa, per lasciare a Leda il tempo di “fare chiarezza su se stessa”, di “accomiatarsi dal mondo con serenità”, evitando allo stesso tempo ai due di soffrire per quello che le sta capitando. A questo punto i lettori — senza conoscere ancora i particolari — apprendono di un segreto custodito dai coniugi e ignorato dai ragazzi. Il padre è consapevole di dover fare la scelta da solo, pensando prima ai figli che a se stesso. Senza Leda, un luogo varrà un altro, l’importante sarà ripartire da capo, in un posto nuovo, in cui siano degli sconosciuti, dove nessuno farà domande e non ci saranno spiegazioni da fornire a questioni imbarazzanti. Il segreto dovrà tenere, almeno fino alla sua morte, Lorenzo e Ludovico non sono pronti a conoscerlo. Anzi, è Osvaldo che non si sente pronto a rivelarlo. Forse ne parlerà al maggiore, prima della fine. Il resto lo affiderà a un testamento spirituale, per non trovarsi di fronte a cosa fare… Sì, è un passaggio piuttosto criptico, ma necessariamente. E comunque troverà una spiegazione. I tre vanno in Europa, per i fratelli è la prima volta. Foderaro descrive bene la meraviglia innocente dei fratelli per quello che vedono. Non hanno occhi che per i grandi edifici in marmo, le vecchie chiese di pietra, i campanili svettanti verso il cielo. Cose che hanno visto finora solo nelle illustrazioni sui libri. Osvaldo lo ritrova invece un mondo ostile, trafficato, convulso, pieno di gente estranea in movimento, che passa indifferenti accanto a cumuli di immondizia. A questo punto, comincia una fase nuova a casa Coisson, sulle Alpi. L’educazione in Europa è più strutturata rispetto alle Antille, le regole pretendono osservanza e nessuna indipendenza nel collegio dei gesuiti in montagna, dove sempre lo zio prete ha voluto che avvenisse la formazione. Il romanzo si focalizza soprattutto su Lorenzo, anche per un incidente che lo condiziona pesantemente. Con Ludovico sempre pronto a supportarlo, impara a dissimulare, a fingere condiscendenza nei riguardi delle convenzioni, a nascondere le debolezze, il carattere. La società occidentale in cui si ritrovano è in costante competizione. Non è la loro, non vi si riconoscono, ma devono viverci. Poi arriva una notizia da Roma, dal nuovo conclave. Giunto a un buon terzo, il libro prende un altro ritmo, da discorsivo-preparativo ad attivo-operativo. Nell’insieme e senza trascurare la nostalgia sempre latente per la vita naturale che si conduceva nell’isola, è un romanzo che incuriosisce e prepara la rivelazione, sempre sospesa…
Il link alla recensione su SoloLibri.net: https://bit.ly/3rL6F3S
Felice Laudadio
A seguito di un misterioso evento che potrebbe arrecar loro disdegno sociale, i coniugi Coisson sono costretti a emigrare per un lungo periodo nelle Antille, alle prese con una vita immersa nella natura primordiale, molto diversa da quella di città: in questo contesto verranno alla luce i loro figli, Lorenzo e Ludovico, che fino a circa dieci anni di età quindi non vedranno mai una città. La mamma, però, già malata al momento della partenza per le isole, dopo aver resistito a lungo non ce la fa: per il signor Coisson e prole si apre una nuova vita, in cui i ragazzi conosceranno gioie e dolori dell’alpinismo, sport che scoprono ben presto essere il loro prediletto, avranno le loro prime esperienze sessuali – non tutte completamente ortodosse – e svilupperanno una personalità concreta e tutta tesa al risultato, sull’onda degli insegnamenti ricevuti dai Gesuiti. Anche se entrambi sono focalizzati più sulle mete e sulle ambizioni che sui rapporti umani, è Lorenzo quello dei due che rischia più di perdersi per strada, scoraggiato da 2/4 un incidente che gli sta facendo perdere quasi del tutto la propria forza morale. Tutto muterà per lui, e si farà gradualmente più luminoso, quando uno zio dei Coission, lo “zio prete” che a lungo è stato nume tutelare dei due fratelli, diventa niente meno che Sommo Pontefice e decide di assegnare un incarico proprio al nipote… Prevalentemente romanzo di formazione, anche se scritto con un’ottica a tutto tondo che non si focalizza mai pienamente solo sul punto di vista di un protagonista, questo libro non è affatto di semplice lettura: è riuscitissimo, potente e poetico nelle descrizioni quanto vacillante e incerto nella struttura generale. Quasi “dimentica” il discorso diretto, che nell’intera prima metà del romanzo è usato in sole due pagine, con ovvie ripercussioni sulla dinamicità e scorrevolezza della storia; e soprattutto, come si accennava, per lungo tempo – diciamo fino all’ultimo terzo della trama che è più intrigante e avvincente – rischia di divenire dispersivo non permettendo al lettore di concentrare la propria attenzione su un preciso personaggio e sulle proprie vicende. Non vi sono dubbi sull’originalità della storia, sia per argomento sia per intreccio, ma il suo dipanarsi resta a lungo compresso, nascosto nella mente dell’autore, che poi le lascia briglie sciolte solo nell’ultima parte, dove appunto l’opera assume i chiari caratteri del romanzo di formazione. Verosimilmente il senso profondo del libro è da riscontrarsi nel tema della ricerca di sé, attraverso le riflessioni sugli episodi della propria vita, ma anche tramite l’esplorazione della natura circostante, e non da ultimo grazie alla scoperta profonda e sincera del sacro. Una maggiore fusione e compattezza tra questi elementi, presi singolarmente molto ben tratteggiati, avrebbe senz’altro giovato al comunque positivo risultato finale.
Giuseppe Cirillo
Il link alla recensione su Mangialibri: https://bit.ly/3qtvJxp
Lorenzo e Ludovico Coisson sono due fratelli dalle vite tutt’altro che ordinarie. Nati e cresciuti su un’isola delle Antille, presso una missione gesuita, rientrano in Italia negli anni dell’adolescenza e sempre presso una struttura dei Padri Gesuiti, compiono gli studi liceali. Tra le montagne si appassionano all’alpinismo, disciplina sportiva già praticata da Leda e Osvaldo, i genitori che proprio tra le Alpi, si innamorarono nei primi anni ’60. A scandire il ritmo della vita della famiglia Coisson c’è un’onta che li accompagna fin dalle prime pagine: il concepimento del primogenito Lorenzo al di fuori del matrimonio, motivo per cui la famiglia scappa alle Antille e nella professione di fede trova riscatto. I fratelli Coisson crescono così, sotto l’ala protettrice dei gesuiti i quali predispongono per loro e per il padre – rimasto vedovo in giovane età – una serie di opportunità, indirizzandoli lungo il cammino, incoraggiandone le virtù e smussandone gli spigolosi angoli delle loro profonde personalità. Lorenzo e Ludovico vivono le loro esistenze quasi in simbiosi, l’uno il completamento dell’altro, arrivando a condividere anche le gioie del sesso. L’uno privo di senso pratico e disorganizzato, l’altro vigile e solidale. Il primo sognatore, il secondo pratico e concreto. Lorenzo dall’eloquio fluente ma dai movimenti impacciati e Ludovico che invece «faticava a tirar fuori una parola e lo faceva quando era strettamente necessario» ma «sapeva ballare su qualsiasi ritmo»: Erano due soci ben affiatati, il piccolo energico pensatore e il solido costruttore, entrambi concentrati sulla propria ascesa, prima individualmente poi insieme. I due fratelli erano degli estranei rispetto alla società tradizionale, nati in un territorio straniero, con il doppio passaporto, italiani ma di nazionalità francese. Entrambi erano portati a mascherare la verità quando conveniva, però mai a mentire. Erano simili sotto molti aspetti. Il fatto che la passione amorosa non li coinvolgesse in alcun modo, non faceva che accrescere la loro intesa di fratelli, come se ogni relazione non fosse altro che breve interludio in un progetto a più lunga gittata, di gran lunga più entusiasmante. Dall’alpinismo, ai reportage fotografici, fino alla Roma dei papi. La crescita dei fratelli Coisson è tutta una scalata. Tra battute d’arresto – vere e proprie slavine che seppelliscono i sogni in una bianca coltre nevosa di disillusioni e scoramenti – e slanci verso la vetta, i Coisson arrivano in Vaticano, da quello zio prete gesuita di paese – che ha sempre guidato i due fratelli lungo il cammino della vita – divenuto inaspettatamente un Papa rivoluzionario. A Roma però una terribile verità farà vacillare e mettere in discussione tutto il loro mondo eppure una nuova e stimolante avventura darà nuovo slancio alle loro esistenze.
La santità del padre di Giuseppe Foderaro a un livello prettamente superficiale si presenta, devo ammettere, come quanto di più lontano da ciò che di solito ricerco in una nuova lettura. L’alpinismo e in generale la montagna, non mi hanno mai affascinata inoltre rifuggo da tutte le letture che ruotano intorno alla religione – e la pressante ingerenza dei padri gesuiti nella vicenda della famiglia Coisson conferma le mie riserve – così tanto che storie di Papi o libri con Papi e sacri paramenti in copertina non mi entusiasmano particolarmente. Ma, mai giudicare un libro dalla copertina! E infatti il romanzo di Foderaro è una bella lezione di vita! Ho imparato che si può trovare il bello nei luoghi più inaspettati. Sì! perché questo romanzo mi ha piacevolmente sorpresa! Ho iniziato la lettura con titubanza e poi invece sono andata avanti spedita e con grande interesse. Gli aspetti relativi all’alpinismo non sono risultati affatto noiosi, come credevo, ed anzi mi hanno provocato l’effetto contrario: una sana curiosità. E poi la storia è ben scritta e i personaggi delineati con grande cura. Mi sento di consigliare questa lettura anche a chi come me ha riserve sugli argomenti trattati perché l’ottima scrittura di Giuseppe Foderaro non può che appassionare anche il lettore più esigente tenendolo incollato fino alla fine.
Virginia Addazii
Il link alla recensione su Ex libris 20: https://bit.ly/3yDMGpb