Mercoledì 27 novembre, a partire dalle ore 17,30, presso il centro culturale e residenza letteraria “Itaca”, in Via di San Domenico 22, si terrà un evento che raccoglierà la maggior parte degli autori toscani della casa editrice sarda Arkadia, che parleranno dei loro libri con la conduzione del direttore della residenza (e autore e co-curatore della collana arkadiana “Senza rotta”) Paolo Ciampi e, nella seconda parte, dello scrittore e traduttore Giovanni Agnoloni. Saranno presenti Tito Barbini (con Il fabbricante di giocattoli e Storie di amori e migrazioni sull’isola dalle ali di farfalla), Anna Bertini (con Le stelle doppie), Mauro Caneschi (con La chimera di Vasari, Le figlie dell’uomo e Il codice Stradivari), Paolo Codazzi (con Lo storiografo dei disguidi e Lo specchio armeno), Carlo Cuppini (coautore con Giovanni Agnoloni e Sandra Salvato del concept-book Da luoghi lontani), Massimo Granchi (con Il principe delle arene candide e Se/dici) e Marisa Salabelle (con Gli ingranaggi dei ricordi e La scrittrice obesa). Giovanni Agnoloni, oltre a parlare del suo romanzo Viale dei silenzi, intervisterà la “special guest”, la scrittrice e nota traduttrice milanese Olivia Crosio, con la sua nuova uscita Josh in fuga e con la precedente pubblicazione La mentalità della sardina, ampiamente ambientata in Toscana. Lo scrittore e traduttore fiorentino Alessandro Gianetti, autore del romanzo La ragazza andalusa e di numerose traduzioni della collana arkadiana di lingua spagnola “Xaimaca”, interverrà in collegamento video da Siviglia, e con lui l’editore di Arkadia Riccardo Mostallino. Interverrà in video anche il presidente dell’Associazione Sardi in Toscana.
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PISTOIA – Giovedì 28 novembre alle ore 18.00 Massimiliano Scudeletti presenta La laguna del disincanto (Arkadia editore, 2024, p. 272, euro 17,00) presso la libreria Lo Spazio Pistoia (via Curtatone e Montanara 20/22, Pistoia).
Dialoga con l’autore, Marisa Salabelle.
Alessandro Onofri è un reporter stanco di guerra, quasi dimentico della propria infanzia tra Venezia e il petrolchimico di Porto Marghera, dove è rimasto invischiato in una brutta storia tra sette e delinquenti comuni, ma quando un’amica disperata gli mostra il filmato del figlio che terrorizza il fratello mimando una lezione di scuola dai macabri rituali, non riesce a tirarsi indietro. Scoprirà che altri bambini della stessa scuola presentano gravi traumi. Le loro foto circolano nelle bacheche di Silk Road, il mercato illegale di droga, armi e pornografia celato nel Dark Web, la parte di Internet più nascosta. Forse lì, tra le pieghe della rete anonima, antiche credenze hanno trovato una nuova collocazione. Se quei bambini sono solo vittime di insegnanti malati come tutti sostengono, perché i massimi livelli della Polizia Postale e dell’Interpol se ne stanno interessando? Cosa si cela nella scuola? L’agire di isolati pervertiti? Una mafia internazionale che vende immagini pedopornografiche o, ancora una volta, qualcosa di più oscuro? Per scoprirlo Alessandro sarà costretto a mettere in dubbio le certezze con cui ha sopito i terrori dell’infanzia e a perdersi in un viaggio che lo riporterà verso il suo passato di tenebra.
Massimiliano Scudeletti nasce e vive a Firenze. Dopo gli studi si dedica alla realizzazione di documentari e spot televisivi, prima come sceneggiatore, poi come regista. Nel passaggio dall’analogico al digitale abbandona l’attività per collaborare con un’agenzia assicurativa che opera prevalentemente nella comunità cinese. Continua a viaggiare nel Sud-est asiatico per passione. Compiuti i cinquant’anni, decide di dedicarsi completamente alla cultura tradizionale cinese e alla scolarizzazione di adulti immigrati. Nel 2018 pubblica il suo primo romanzo, un giallo con protagonista il videoreporter di guerra Alessandro Onofri, Little China Girl (Betti Editrice), giunto secondo al premio “Tramate con noi” di Rai Radio1, vincitore del premio Emotion al “Premio Letterario Città di Cattolica”. Dopo numerosi racconti, alcuni con protagonista sempre Alessandro Onofri, nel 2019 pubblica il suo secondo romanzo, L’ultimo rais di Favignana. Aiace alla spiaggia (Bonrraro). Con Arkadia Editore ha pubblicato il fortunato romanzo La laguna dei sogni sbagliati (2022) e La laguna del disincanto (2024). I suoi reportage di viaggio sono apparsi sulla rivista “Erodoto 108”.
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A metà degli anni ’70 Davide, un ragazzino di dieci anni, vive una vita nettamente divisa in due: da un lato ci sono i mesi dell’anno nella sua casa di Cagliari, rione San Michele, dove vivono famiglie di bassa estrazione sociale e dove regnano i bulli di quartiere; dall’altro l’estate, che la famiglia di Davide trascorre in campeggio a Cala Cipolla, un luogo selvaggio e incantato dove il ragazzo è felice nella libertà più totale e nella fusione col mare, il suo elemento. Davide è un ragazzino pieno di rabbia, e lo è perché non sopporta il quartiere di San Michele dove è costretto a vivere per la maggior parte dell’anno, ma anche perché la rabbia è una caratteristica che gli elementi maschili della sua famiglia si tramandano di padre in figlio. Ai primi del Novecento la famiglia Contu è una delle più importanti di Cagliari: il cavalier Leonardo Contu, trisnonno di Davide, è un imprenditore di successo e il segno più evidente di quel successo è il bellissimo attico in cui vive, in uno dei palazzi di via Roma, proprio sopra il caffè Torino, dalle cui finestre si gode una vista spettacolare. Poi si sa come vanno queste famiglie: man mano che le generazioni si succedono le capacità imprenditoriali si annacquano e la fortuna inizia a calare. Così il padre di Davide non ha più nulla dell’antica ricchezza e del prestigio della famiglia. Andando avanti e indietro da una generazione all’altra, il romanzo racconta non solo la storia di una famiglia, ma anche quella di Cagliari e dell’Italia del Novecento in un affresco suggestivo. Crescendo, Davide trova la sua strada e riesce a far luce su alcune vicende familiari e a chiarire il perché dei difficili rapporti che hanno legato suo padre ai propri genitori: in questo modo può svelare il segreto della rabbia che ha corroso la sua famiglia e che ha rischiato di tagliare le gambe anche a lui; con l’aiuto della madre, una donna saggia e generosa, impara a capire e a perdonare.
Marisa Salabelle
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Ho “incontrato” per la prima volta Marisa Salabelle, scrittrice pistoiese di origine sarda, un anno fa con il suo “La scrittrice obesa” e ho sentito il desiderio di leggere questa sua opera precedente che mi ha affascinato per vari motivi. In primis perché è un commovente inno alla sua terra d’origine, la Sardegna, ai suoi straordinari paesaggi, alla sua lingua, alle sue tradizioni e agli eventi storici che hanno avuto luogo durante la seconda guerra mondiale ricostruiti perfettamente grazie all’escamotage dei capitoli che si alternano tra il 1943-1944 e il 2015; Salabelle sceglie di seguire, in parallelo, la storia di due famiglie, quella che fa capo a signora Generosa, al marito medico e alla sua numerosa prole e quella di Demy, di Felice e di Bella, non vi anticipo altro; soltanto alla fine si capirà il perché di questa scelta: bravissima!!! Complimenti per la dettagliata ricostruzione storica dei piccoli e grandi fatti di cronaca, purtroppo dolorosa, che sono accaduti sia in Sardegna che a Roma in quel periodo e per l’empatia, istintiva e travolgente, che fa provare a chi legge verso i/le suoi/e tanti/e co-protagonisti/e, soprattutto zia Demy di cui non possiamo non innamorarci subito: standing ovation!
Daniela Domenici
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È molte cose insieme, questo piccolo libro di Tito Barbini, Storie di amori e migrazioni sull’isola dalle ali di farfalla. Breve, cento pagine appena, ma denso. È, per aperta e ripetuta dichiarazione dell’autore, un romanzo d’amore. È un saggio, o una serie di microsaggi, sulle migrazioni, sulla letteratura, sul mito. È un libro di viaggi, di mare e di isole; è infine un metaracconto, perché l’autore, mentre scrive, si interroga e riflette sulle ragioni del suo scrivere, sul modo in cui intende sviluppare la trama, sui dubbi che lo assalgono, sui rischi che teme di correre. Di cosa si parla, dunque, in questo libro? Di un’isola, Astypalea, la più occidentale del Dodecaneso, che Barbini chiama poeticamente “l’isola dalle ali di farfalla” (ho guardato la mappa ed effettivamente ha la forma di una farfalla). Un’isola brulla e montuosa, bagnata da un mare limpidissimo. Di un pescatore, Apostolos, e di una giovane donna, una profuga siriana chiamata Samira, che sbarca sull’isola-farfalla a bordo di un barcone insieme ad altre quarantadue persone. Dell’amore a prima vista che scoppia tra i due: un amore non destinato a codificarsi in una relazione stabile, ma che vive della propria luce per tutto il tempo che gli è concesso. Di Enea e Ulisse, illustri profughi e naufraghi, cui una civiltà più accogliente seppe offrire ospitalità. Dei profughi e dei migranti che attraversano il Mediterraneo spinti dalla necessità, dalla disperazione ma anche dalla speranza di potersi ricostruire una vita. Dei feroci sistemi che l’Europa mette in atto per impedire a profughi e migranti di entrare nel suo territorio o, quando vi entrano, per relegarli in disumane strutture di detenzione. E del richiamo del viaggio, della nostra ambivalenza tra avventura e ricerca di stabilità, tra il fascino del mare e la sicurezza della terraferma. Un piccolo libro, dunque, come dicevo molto denso, che ci trascina da un pensiero all’altro, da una suggestione all’altra, seguendo il filo dei pensieri vagabondi del suo autore.
Marisa Salabelle
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Pinuccio Badalà ha solo cinque anni quando, in un giorno d’agosto del 1980, suo padre Michele e suo zio Salvatore si trovano a Bologna, alla stazione: devono prendere il treno per tornare a casa, in Sicilia, dove la famiglia li aspetta. Zio Salvatore ha persino comprato un regalino per Pinuccio: un libro. Ma quando la sorte ci si mette di mezzo c’è poco da fare: un boato immenso, la stazione salta in aria, zio Salvatore muore sul colpo, Michele invece se la cava ma tornerà a casa dopo mesi, gravemente menomato. È così che la Storia con la esse maiuscola irrompe nella piccola storia della famiglia Badalà. Pinuccio, traumatizzato dall’evento cui non ha assistito ma di cui paga le conseguenze, non riceverà mai il regalo dello zio Salvatore, ma in qualche modo la passione per i libri gli si incollerà addosso e non lo lascerà più. Il romanzo di Vladimir Di Prima, Il buio delle tre, racconta la vita del giovane Badalà, un ragazzo che ha una sola ambizione, quella di diventare uno scrittore. Come sappiamo non è facile realizzare questo sogno: tanti hanno la passione di scrivere, pochi riescono a dar corpo ai propri sogni, a pubblicare i loro romanzi, ad avere successo, a sfondare. L’odissea di Pinuccio, descritta con molto brio dall’autore, contempla tutti i passi della via crucis: scrivere è il meno, il difficile viene dopo. Trovarsi un mentore, cercare un editore, intrufolarsi in un programma televisivo, tentare di fare amicizia con un autore già famoso o con un giornalista capace di esercitare la sua influenza… E, con l’avvento di internet, seguire i blog letterari, lasciare commenti, cercare gli indirizzi di persone influenti, importunarle come un volgarissimo troll. Nel frattempo la vita di Pinuccio si dipana, tra la madre Santina, comprensibilmente preoccupata per il suo avvenire, il maestro Magazù, suo confidente e consigliere, la possibile fidanzata Enzuccia sponsorizzata da Santina e altri esilaranti personaggi. Un romanzo che si legge con grande divertimento, scritto in una lingua elegante e un po’ ricercata: chissà, se l’avesse scritto Pinuccio avrebbe coronato il suo sogno di successo…
Marisa Salabelle
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Un cinquantenne si trova a passare qualche giorno, intorno a Ferragosto, nella casa di Fregene dove da bambino trascorreva le vacanze. Mentre guarda fuori dalla finestra, incapace di prender sonno, la sagoma di un bambino sui cinque anni gli sfreccia accanto, indossando vistosi pantaloncini gialli: di chi si tratta? È una presenza reale o un’allucinazione? L’uomo segue il bambino, svolta l’angolo del corridoio, quasi si schianta contro il muro… e si ritrova proiettato nella propria infanzia: è lui, quel ragazzino, è lui il “bambino sbagliato”. Ma come può un bambino essere sbagliato? Col piglio naïf ma al tempo stesso saggio tipico di certi bambini, è lui stesso che ce lo fa capire: basta mettersi nel suo punto di vista, vedere le cose come le vede lui. Prima di tutto, quando è nato la sua mamma non era lì con lui: la donna che lo ha messo al mondo, gli hanno spiegato, non poteva tenerlo e lo ha dovuto lasciare, ma per lui è stato un colpo di fortuna, perché così è potuto entrare a far parte di una famiglia formidabile, con genitori affettuosi e comprensivi, una nonna gagliarda, un’infinità di cugini e cugine, zii e zie, uno più divertente e originale dell’altro. Giovanni si accorge di essere “sbagliato” perché i suoi gusti non si allineano a quelli degli altri maschietti e a ciò che il mondo degli adulti si aspetterebbe da lui. Gli piacciono i colori vivaci e brillanti, adora il rosa, gli piacciono le Barbie e detesta Big Jim, che invece gli viene regolarmente regalato con tutti i suoi accessori dai colori spenti e dall’aspetto poco invitante. Sarebbe bello, pensa Giovanni, che ognuno potesse divertirsi con i giocattoli che vuole senza che gli altri pretendano di imporgliene di diversi, socialmente più accettabili; sarebbe bello che gli altri, specialmente gli adulti, ci prendessero semplicemente per quello che siamo, e non per quello che loro vorrebbero che fossimo. Succede anche alla zia Luciana, “comunista e femminista”, di non essere vista di buon occhio; a Pierluigi, un bambino timido che non ama giocare a pallone, alla cugina Fabiola, nata con una malformazione a un braccio e soprattutto così poco femminile da essere scambiata per un maschio e perciò insultata e offesa dagli altri ragazzi. Giovanni è un bambino e proprio per questo vede le cose con occhi limpidi, non ancora incrostati da pregiudizi e stereotipi. Ma imboccare la sua strada non gli è facile, pressato com’è dalle aspettative della sua famiglia. Come quando gli viene regalata una bicicletta, e tutti vogliono che impari presto a guidarla, tutti vogliono insegnargli come fare, e intanto gli mettono addosso un’ansia che lo paralizza. Finché una mattina, mentre tutti ancora dormono, esce piano piano di casa, inforca la bici e dopo qualche tentennamento prende a filare liscio come l’olio: era tanto facile, alla fine!
Marisa Salabelle
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Della strage degli innocenti scrive solamente Matteo nel suo vangelo: Erode re, parlando coi Magi seguitori di stelle, nell’apprendere che nascerà a Betlemme un altro re dei Giudei e che loro andranno ad omaggiarlo li prega di tornare da lui, una volta l’avessero trovato, a tutto riferirgli. E vedendosi gabbato da loro: “…si adirò fortemente e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni, dai due anni in giù…”. Giuseppe Flavio, lo storico ebreo del tempo, non ne fa cenno nei suoi commentari, del resto il numero dei bimbi che avrebbero dovuto essere sacrificati era insignificante se paragonato a ben altre stragi che Erode avrebbe perpetrato durante il suo regno. Nessun dubbio per l’immaginario collettivo di noi gente comune, né nei capolavori che ci hanno lasciato descrivendolo con la loro pittura i vari Giotto e Duccio da Boninsegna e Beato Angelico, per citare che i più grandi. La famiglia di Gesù, da un Angelo avvertita in sogno a babbo Giuseppe, fuggì in Egitto. Oggi non l’avrebbero fatta passare, al valico di Rafah. E finalmente, sempre da oggi, non ci saranno più dubbi che una strage di innocenti si va perpetrando in quelle lande, e che numeri sono in ballo: cinquemila, settemila… e quelli che non sono contati sotto le macerie delle loro case? Non ci sono pallottolieri abbastanza grandi a numerarli tutti. Chi non muore subito ha ampie possibilità di farlo a breve, di fame, di freddo, di malattie, di acqua non potabile, di interventi eseguiti senza anestesia. L’Erode di oggi si chiama Netanyahu, anche lui “re” dei giudei, non che ce l’abbia coi bimbi in particolare, lui sterminerebbe solo i macellai-stupratori- rapitori di Hamas che, se potessero, taglierebbero la gola anche loro a migliaia a giudei e abitanti d’Israele. Sono riusciti a farlo “solo” a 1400, altrettanto innocenti del resto. Due facce della stessa miserabile medaglia. E stante che i padroni del mondo, stati uniti d’America, stanno con Israele finché morte non li separi, a cui regalano miliardi in armi, la carneficina non accenna a fermarsi, dinanzi agli occhi attoniti del resto del mondo. Che sbraita, protesta, marcia, ma nulla fa o può fare, neanche per una tregua che porti viveri e medicinali a Gaza, che porti una qualche bottiglia d’acqua potabile. Non c’è più ONU che tenga, né Amnesty, FAO, Organizzazione Mondiale della Sanità, Papa Francesco. Bibi e Jo se ne fottono, e vanno avanti tranquillamente. Pure Hamas continua a sparare razzi a casaccio su Gerusalemme e dintorni. Non pensate che questo tipo di comportamento folle non minerà, alla grande, le basi democratiche su cui si fonda la civiltà occidentale, europea in particolare. Lo farà eccome! E’ l’umanità in quanto tale che fa indietro passi da gigante. E nessuno, che non si sia precipitato a morire per Gaza, può vantarsi d’innocenza. Nessuno. E’ il nuovo peccato originale: di quella generazione che non ha fatto abbastanza perché questa mattanza di innocenti avesse termine. E ha continuato a vedersela sfilare nella televisione del salotto. Di tutto questo si è parlato, a Peschiera Borromeo, circolo Nuova Sardegna. Mercè il libro di Marisa Salabelle, che ad onta del suo cognome è sarda di Cagliari, classe ‘55, anche se la sua famiglia si è poi trasferita a Pistoia, lei decenne, dove tuttora abita. Studi storici all’Università di Firenze, e anche di Teologia sempre nel capoluogo toscano. Insegnato materie letterarie negli istituti superiori sino al 2016. Sposata, quattro figli: femmina/maschio/femmina/maschio, un nipote. La guerra di cui narra questo suo libro: “Gli ingranaggi dei ricordi”, Arkadia ed. , è la seconda mondiale, ricchissima essa stessa di massacri di civili innocenti, e in particolare quella che si svolse nella Sardegna natia che ebbe la sorte, in quanto “portaerei del Mediterraneo” di mussoliniana memoria, e anche “Bastione della Patria”! “Ellusu”, di esser bombardata da subito dagli alleati, mentre il resto d’Italia avrebbe dovuto attendere l’8 settembre ‘43 e il cambio di alleanze, e di restare poi relativamente tranquilla mentre, soprattutto al nord, regnava la lotta partigiana, e gli alleati bombardavano alla grande le città principali, specie Napoli, ma anche Roma e Milano. Cagliari comunque fu, dopo Napoli, quella che ebbe più bombe e distruzioni in assoluto, a sentire Marisa alla fine erano rimasti in città poco più che mille dei suoi abitanti. Gli altri sfollarono per l’sola tutta. In particolare, dei parenti di Marisa, alcuni sino a Olbia, da cui sarebbero poi scesi passando per Sassari e Thiesi e Berchidda e poi sempre più a sud, altri sin dall’inizio in quel di Sanluri, i più ricchi, babbo dottore che resiste a Cagliari a curare la gente. Mamma e tre figli, incinta di altri due anche se ne aspettavano uno solo, due “servette” tutti stipati in una casa del posto. Dove si incontrarono coi “poveri”, e gli “ingranaggi” del titolo presero a incastrarsi e a generare altre storie. I “poveri” che scendono da nord sono tre fratelli, Felice il più grande sui sedici- diciassette anni, si tira dietro due sorelle più piccole: Bella e Demoiselle detta Demy, quest’ultima con una gamba che la polio ha reso malferma, mamma morta giovane e babbo “commerciante” e indaffaratissimo nei suoi “affari”; gran bell’uomo e conoscitore di molte signore. I figli non sopravviverebbero se Felice, che i gesuiti a Cagliari hanno fatto studiare di greco e di latino, non si muovesse per una strada di canoniche e chiese in cui, lui chierichetto, le sorelle a lavare panni e pulire di tutto, avrebbero trovato un pezzo di pane e un po’ di minestra, che di cibo ce ne era poco per tutti. A rubare pane si erano trovate anche a Sassari, quando la gente affamata aveva assaltato i panifici nel ‘44 e in quel frangente uno dei “signorini” a cui Felice dava lezioni di latino, tale Berlinguer Enrico, era finito in galera, seppur per pochi mesi, che la sua famiglia molto era potente, imparentata anche coi Segni e i Cossiga i cui rampolli sarebbero diventati Presidenti della neonata Repubblica. A Berchidda Felice avrebbe fatto amicizia con il parroco, tale Pietro Casu, detto Babai: “…uno di cultura, eja, quanti libri che aveva scritto, e articoli su riviste, in tutta la Sardegna famoso era. Figurati che aveva scritto la “Divina Commedia” in sardo…cos’e maccus”! “…a dormire per terra in una specie di ripostiglio, eja, in mezzo alle scope e ai secchi per lavare per terra…su due materassi pisciosi direttamente sul pavimento…”. E’ Demy, ormai anziana, che ricorda e narra la sua storia alla nipote, che vive in continente e la va a trovare perché ha avuto un colpo e non ci sta più con la testa. Si dimentica le cose dell’altro ieri, che suo fratello Felice è oramai morto, ma ha una memoria di ferro per le cose della sua infanzia. E se lo ricorda bene quel viaggio in cui dovevano pietire un passaggio a qualche camion, qualche carretto, quando spesso un qualche Chicchinu se ne approfittava per aiutarle a salire, lei e Bella, e la gonna si sollevava un poco: “… come faccio a sapere che era un porco? Ma perché gli uomini sono tutti porci, bella mia! Che se poco poco ti distrai, ti mettono le mani addosso che è un piacere…”. Altri tempi! Oggi invece…A Sanluri c’è più benessere, nascono i due gemelli, un maschio più vigoroso, la bimba più minuta, a Maria Ausilia, la figlia maggiore adolescente, tocca occuparsi degli altri fratellini, è sempre imbronciata, se ne vorrebbe tornare a Cagliari, i gemelli vengono posti in un lettino con le sbarre, uno di testa e uno di piedi, secondo tradizione. “Va a finire che la soffoca, grosso com’è” aveva commentato Maria Ausilia. “Ohi, ta segament’e culu! Maria Disgrazia ti dovevo chiamare, non Maria Ausilia”! Marisa mi dice che non parla sardo, il poco che aveva imparato nei suoi primi dieci anni cagliaritani se lo è oramai dimenticato, eppure queste “perle sarde” che lascia cadere ogni tanto nelle pagine del libro sono davvero illuminanti. E divertenti. Sentite questo scambio di battute delle due servette anche loro adolescenti: “Già l’ho visto come l’hai guardato” disse Giannina che delle due era la più sveglia. “Chi ho guardato?” “Mulas”. “Mulas? Ma se sembra una scimmia! T’arrori” “Eja, puoi dire quello che vuoi, tanto lo so che ti piace”. “E tu allora? Sei innamorata di Setzu…” “Setzu? Mai’n sa vida”! Chi si innamorerà davvero saranno invece Maria Ausilia e Felice, lei a Cagliari non ci vorrà tornare troppo presto, lui dimenticherà subito i suoi trascorsi “preteschi”. E poi c’è un pronipote che sulle orme del fratello della madre di Maria Ausilia, sfollato a Roma con mamma e sorella, a nome Silvio Serra,si laurea in storia e si mette sulle tracce di questo parente, antifascista, che finisce implicato sulla strage di via Rasella, scampa alle Fosse Ardeatine nonostante il tradimento di tale Blasi che fa arrestare un bel po’ dei Gap che presero parte all’eccidio, si arruola nel neonato esercito italiano che risale la penisola scontrandosi con la resistenza tedesca, e muore giovanissimo sulla linea gotica, nelle vicinanze di Ravenna. E’ una bella parte del libro, in cui questo Kevin, giovane dei nostri tempi, si deve appropriare di una storia che, per lui, è altrettanto lontana quanto quella dei romani o dei babilonesi. E in queste pagine servono a mettere un punto fermo in quella che veramente fu la storia di via Rasella e le conseguenze che ne derivarono. Usando fonti storiche, come debbono fare gli storici che abbiano in mente di scrivere sulle cose del passato. C’è il declino di Demy, nel libro, il destino delle persone anziane che diventano non più autosufficienti, che finiscono in una RSA: “…luoghi malinconici, pervasi da odore di minestrone e corpi vecchi non troppo puliti, popolato da una fauna strampalata le cui bizzarrie, però, non generavano allegria ma una profonda tristezza”. La storia della gente semplice che a stento capisce cosa sia la guerra e perché i giovani siano chiamati a combatterla, spesso loro malgrado. Un libro questo di Marisa Salabelle che si dimostra essere di un’attualità sconcertante. Aveva esordito con due “gialli” Marisa: “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu” e “L’ultimo dei Santi e il ferro da calza” (Tarka editore); “Gli ingranaggi dei ricordi”( Arkadia edit.) è uscito nel 2020. E sempre per Arkadia: “La scrittrice obesa”, tanto per mettere in chiaro che lei è capace di spaziare in tutti i generi della letteratura, dal giallo al tragicomico, passando per il romanzo a fondo storico. Presto, mi dice, ne uscirà uno nuovo.
Sergio Portas
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