Consiglio
Enrico Criaco, scrittore di successo, dopo cinquant’’anni torna a Leuta, una piccola isola adagiata nel Mar Mediterraneo tra Malta e Lampedusa, dove è nato e cresciuto. Appena diciottenne se n’era andato in seguito alla morte prematura dei genitori. Ora è convinto che l’isola natia possa essere il suo “buen retiro” per gli anni che gli restano da vivere. Ritrova l’affetto di ciò che rimane della sua famiglia e dei vecchi amici. Nonostante il successo che continua a riscuotere come scrittore, Enrico è un uomo stanco e disilluso in perenne conflitto con se stesso. Deve comunque rimettere insieme i cocci di una vita di successi ma anche di errori, scelte sbagliate, rinunce e perdite dolorose come la morte del figlio. Tuttavia sull’isola si scontra con una serie di eventi che daranno una svolta inattesa ai suoi progetti iniziali e sarà costretto, ancora una volta, a fare i conti con l’imprevedibilità della vita.
Clara Domenino
La segnalazione su Perfect Book
Andrea Alba racconta, nel romanzo L’ombra di Kafka, di recente edito da Arkadia, una storia di formazione ambientata a Roma, in un piccolo appartamento nel quale vivono, sognano, maturano tre coinquilini, Fabio, Giulia, Cristina. I tre giovani formano un triangolo non convenzionale; le alleanze, le attrazioni, l’eros che circola fra loro sono quelli dell’età più avventurosa della vita. L’età della scoperta di sé e degli altri, delle infinite possibilità di relazionarsi con il prossimo. Età di scelte, di grandi interrogativi: chi voglio essere, chi sono, chi vogliono che io sia gli altri (famiglia, amici)?
Tre personalità differenti, tre ragazzi aspettative diverse, tre percorsi che camminano paralleli a volte, divergenti altre volte, per intrecciarsi e intersecarsi in alcuni punti nodali.
Il personaggio maschile, Fabio, che a un certo punto si scuote dalla sua letargia e trova lavoro in una videoteca, è ossessionato dal millennium bug. Cosa sarà esattamente? Si chiede. Come funzionerà? Cosa succederà nel mondo già dominato dalla tecnologia digitale?
Fino a un certo punto la narrazione abbraccia simultaneamente le vite dei tre coinquilini, soffermandosi sulle relazioni fra loro e aprendo spiragli sul mondo esterno all’appartamento che condividono: le rispettive famiglie, il relatore della tesi di Cristina, un giovane studioso – l’ambiguo Daniele – di cui Cristina si innamora. Dalla metà in poi, all’incirca, fa la sua comparsa Kafka.
Cosa c’entra Kafka? Cristina, laureanda, sta scrivendo la sua tesi proprio sull’autore boemo e sulle sue opere e, durante il lavoro di ricerca necessario, si imbatte in un mistero che la incuriosisce. Si appassiona alla questione delle prime traduzioni di Kafka in italiano: ciò che scopre la scombussola e cambia la sua vita.
“Non sapeva che cosa la aspettasse, non aveva idea di cosa potessero nascondere le infinite possibilità di traduzione di Kafka o di qualsiasi altro autore, le sue implicazioni nel reale, la pagina che prepotentemente si fa viva, il perturbante del quotidiano che diventa letteratura e il suo contrario”.
Tra amori che si accendono e svaniscono, rapporti amicali che si rafforzano, sbiadiscono, tornano a fiorire, si insinua una storia di libri, di verità e finzione. La scrittura ha un timbro giovanile, le vicende e i personaggi sono accattivanti. L’indagine su Kafka e sulle traduzioni delle sue opere, inserendosi con naturalezza nella trama, risulta avvincente e forse costituisce la parte più interessante del romanzo:
“Un’opera di Kafka è come una casa che ha molteplici porte, finestre, ingressi, balconi. Ma la complessità maggiore non è districarsi tra questa moltitudine di vie di fuga, quanto comprenderne le leggi che la regolano, le ragioni per cui entrare da un punto x ci conduca a y. Forse serve un architetto, più che un traduttore. E che cosa sia una traduzione nessuno lo sa con precisione e infatti non è nostro obiettivo tentare di stabilirlo qui e ora con assoluta certezza. Anzi, che il concetto di traduzione rimanga quanto più indefinito possibile è tra i nostri obiettivi non celati”.
Le vicende diventano kafkiane e surreali, fino allo scioglimento di tutti gli intrecci che l’autore ha abilmente costruito.
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La scheda del libro: L’ombra di Kafka di Andrea Alba (Arkadia, 2025)
Roma, 1999. Cristina, giovane laureanda in Lingue, lavora a una tesi sulle opere di Kafka e le sue traduzioni italiane, ma la ricerca prende una piega inaspettata quando scopre un’edizione apocrifa de La metamorfosi, firmata da un misterioso traduttore. Seguendo le tracce dell’enigmatico curatore, Cristina scopre che è un falsario, autore di una lunga serie di inganni editoriali. La rivelazione manda in frantumi la sua tesi e la sua autostima. Inizia così per Cristina un viaggio che non solo mette in discussione le sue convinzioni, ma la costringe a riflettere sulla verità e sull’autenticità delle storie che raccontiamo, su chi decide cosa sia reale e su come la finzione possa talvolta prendere il posto della realtà. Quando tutto sembra ormai perduto, una sorpresa arriva all’alba del nuovo millennio.
Rosalia Messina
La recensione su Letteratitudine News
Il Caffè Letterario si appresta a salutare il suo pubblico, concludendo un percorso ricco di parole, ascolto e partecipazione. Domenica l’ultima puntata della stagione vedrà come ospite Ilario Carta, scrittore cagliaritano di grande sensibilità
Con un appuntamento dal sapore intenso e carico di emozione, il Caffè Letterario guidato da Margherita Musella si appresta a salutare il suo pubblico, concludendo un percorso ricco di parole, ascolto e partecipazione. Domenica 11 maggio, presso l’ex blocchiera Falchi di Tortolì, l’ultima puntata della stagione vedrà come ospite Ilario Carta, scrittore cagliaritano di grande sensibilità e profondità narrativa. Autore di quattro romanzi pubblicati con Arkadia, tra cui il fortunato “I giardini di Leverkusen”, vincitore del Premio Osilo 2017, e l’irriverente “Lo scorpione nello stomaco”, Carta ha saputo raccontare il presente con intelligenza e ironia, senza rinunciare allo sguardo umano e attento che lo contraddistingue. In questa occasione si parlerà della sua ultima opera, “Japanischer Garten” (2024), un libro che, come suggerisce il titolo evocativo, apre le porte a riflessioni intime e complesse. Il tema scelto per l’incontro — “Io e mio padre” — sarà il filo conduttore di una serata che si preannuncia coinvolgente e profonda. Il libro sarà punto di partenza per affrontare un argomento delicato, universale e capace di toccare corde profonde. «Sono fiduciosa nella partecipazione attiva e coinvolgente del pubblico, con poesie e riflessioni», afferma Margherita Musella, anima del Caffè Letterario, che con passione e delicatezza ha condotto questo progetto sin dalle sue origini. «È arrivato il termine di questo cammino insieme vissuto in un’aria leggera e affettuosa, che ha fatto, e farà nel tempo — mi auguro — molto bene all’anima». In effetti, il Caffè Letterario ha rappresentato, anche in questa stagione, molto più di una semplice rassegna culturale. È stato un luogo di incontro tra generazioni, tra lettori e autori, tra pensieri e parole. Un presidio di umanità e dialogo, capace di costruire relazioni e senso di appartenenza attraverso la cultura. Le tematiche affrontate, spesso profonde e attuali, hanno stimolato il pensiero critico e l’introspezione, contribuendo in modo concreto alla crescita culturale e sociale della comunità. L’appuntamento è quindi per l’11 maggio, con accoglienza alle ore 17.30 e inizio alle 18.00, per chiudere insieme il ciclo 2024/2025 con un incontro che promette di lasciare il segno nel cuore dei partecipanti.
La segnalazione su Vistanet
“Avete idea di come si possa entrare nel complesso edificio letterario di Kafka? Stiamo parlando di una planimetria impossibile, di uno spazio tanto irreale quanto verosimile, funzionante. Un’opera di Kafka è come una casa che ha molteplici porte, finestre, ingressi, balconi. Ma la complessità maggiore non è districarsi tra questa moltitudine di vie di fuga, quanto comprenderne le leggi che la regolano, le ragioni per cui entrare da un punto x ci conduca a y. Forse serve un architetto, più che un traduttore.”
All’alba del tanto temuto Millennium Bag, Cristina, Fabio e Giulia si trovano ad affrontare una storia densa di mistero che avvolge un’edizione apocrifa de La metamorfosi di Kafka ma soprattutto del suo fantomatico traduttore, Gregorio Boemo. Andrea Alba firma così una storia fatta di carta, di polvere di biblioteche, di finzione e verità, perché nella letteratura c’è soprattutto finzione, quella che viene narrata ma che è tanto fragile nell’immenso universo degli apocrifi dove il vero si mescola con il falso d’autore. L’ombra di Kafka, edito da Arkadia editore, ci catapulta in questo strano eppure affascinate mondo della scrittura e del suo potere persuasivo.
“Erano le biblioteche i luoghi della conoscenza da consultare per avere delle risposte, c’era poco da girarci intorno, tra le vecchie polveri e gli schedari. Solo lì, qualora ci fosse stata, si poteva trovare una qualche risposta.”
Cristina è alle prese con la sua tesi di laurea sulle opere di Kafka e dei suoi traduttori italiani, figlia di divorziati sente il peso e l’ansia di non riuscire a portare a termine il suo progetto e di non assecondare i desideri di sua madre, un’integerrima professoressa di chimica che la spingeva a perseguire la strada dell’insegnamento. Cristina divide un’appartamento a Roma con Fabio, il suo pigro coinquilino con cui ha una relazione all’occorrenza, e l’ultima arrivata in casa, Giulia, una talentuosa scenografa, di poche parole ma sempre dette al momento giusto. La vita dei tre “cuori in affitto” procede senza troppi scossoni, fino a quando un’edizione inedita de La metamorfosi di Kafka tradotta da un certo Gregorio Boemo del 1925, non entra prepotente nelle loro vite. I tre si lanciano a capofitto per rintracciare il fantomatico Gregorio Boemo, e già dal nome, l’autore gioca con le parole attorno alla figura del protagonista kafkiano, come aver ambientato la storia nell’anno del Millennium Bag e del misterioso quanto bizzarro narratore. Come scrive l’autore questa è anche e soprattutto la storia di come nasce un libro, l’idea che spinge la sua creazione fino alla pubblicazione, ma nell’infinita moltitudine di parole che riempiono pagine e pagine di narrazioni, si insinuano menzogne date per vero, un intreccio affascinante in un disordine universale che frantuma ogni certezza.
Andrea Alba. Siciliano di nascita e torinese d’adozione, ha trentanove anni e insegna materie letterarie negli istituti superiori all’ombra della Mole. Laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Catania e in Scienze Storiche presso l’Università degli studi di Torino, prova a tenere insieme la passione per le narrazioni con quella per la ricerca storica indipendente. Ha esordito con il romanzo La solitudine dell’orso (2019) e nel frattempo è diventato papà di Federico e non ha mai smesso di frequentare archivi e biblioteche, cinema, librerie, negozi di giocattoli e mercatini delle pulci. Suoi articoli e racconti sono apparsi nel corso degli anni su riviste online e cartacee.
Loredana Cilento
La recensione su Mille Splendidi Libri e non solo
Non si può parlare di letteratura e di soldi, perché ora è difficile vivere solamente per i propri libri. Anche Andrea Alba lo sa da un pezzo, e infatti insegna materie letterarie a Torino, anche se è di origine siciliana. Questo romanzo non regge la terza persona fino all’ultimo, il narratore si mette di mezzo e per chi scrive è un abbaglio, una resa. Perché lo sappiamo da sempre che la narrativa è finzione. Nonostante alcune ingenuità, questo non è il primo libro di Andrea Alba ma il secondo, e ha come titolo L’ombra di Kafka (Arkadia editore, 2025). È la storia di tre coinquilini nell’anno 1999, quando i prezzi delle case a Roma erano ancora accettabili e il quartiere di San Lorenzo conservava ancora la sua anima popolare. Fabio con le due ragazze tra cui Cristina, che conosce già da tempo, di cui è innamorato ma non lo dice nemmeno a sé stesso, anche se dopo una festa o dopo aver alzato troppo il gomito si ritrovano a letto insieme più volte. Appunto Cristina, bella, sensuale, che non si vede poi così avvenente, che deve laurearsi in lettere, con grande rammarico da parte della madre che è un’inflessibile insegnante di matematica, stimata da tutti, che ritiene gli studenti di materie letterarie dei pelandroni, dei futuri disoccupati. Fabio è pigro di suo. Ama la sua stanzetta romana e ci resta giorni e giorni, ed esce solo per mangiare. Adora Cristina, come già scritto, ma il sentimento di lei è di adorazione amicale, in quanto cerca un altro ragazzo. Fabio non vuole fare niente e guardare solo film in televisione, ma la nuova videoteca cerca personale (siamo nel 1999, ndr) e lui si presenta senza speranza, ma l’amore sconfinato per il cinema convince il gestore e Fabio non è solo contento di lavorare tra i film, ma da casa sua, deve solo attraversare la strada per andare al lavoro. E poi c’è Giulia, la nuova arrivata ma già adottata, che si ritrova da due persone che la baciano in continuazione sulle guance, le fanno un letto a una piazza e mezzo, nel caso ci fosse un fidanzato che non c’è. La sua iscrizione a architettura è stato un patto con la famiglia, che la voleva in un’università inglese o di gran nome. Perché, pur tenendo nascosta la verità anche a sé stessa, Giulia appartiene a una famiglia alto borghese che vive in una casa enorme.
Cristina sta preparando una tesi su chi ha tradotto per primo Franz Kafka in italiano. Come sappiamo, la vicenda dello scrittore si basa su un tradimento: il suo migliore amico Max Brod era un uomo diretto e aveva capito che conservare gli scritti di Kafka era un omaggio alla cultura internazionale e quindi giurò il falso. Sta di fatto che nemmeno Brod abbiamo dimenticato, perché la vera letteratura è fatta di talento e di promesse non mantenute.
Tornando ai nostri amici, che non vengono più trattati da personaggi, perché il narratore ci ha tenuto a farci a sapere che questa storia era sua anche nell’evenienza non fosse stata pubblicata, subiscono il fascino del ritrovamento di un uomo chiamato Gregorio Boemo. Già dal nome si capisce che lo scrittore e narratore gioca col lettore e la sensazione è che un libro molto bello, scritto in modalità new millennium, perda qualche pezzo di autenticità o di disonestà. Fate voi.
Vincenzo Mazzaccaro
La recensione su SoloLibri
Le donne. Due donne e la loro forza svettano nell’ultimo romanzo di Maria Caterina Prezioso I giorni pari. Sara e Silvana tessono la tela delle proprie vite durante il periodo della Seconda guerra mondiale e della Resistenza. Due donne diverse. Sara è un’ebrea. È una ragazzina costretta a rifugiarsi a Sperlonga per sfuggire alla deportazione che pare già scritta nel suo destino eppure non si arrende, dirige la sua vita per il verso che desidera e insegna la vita anche a suo marito Giuseppe, un marito che si riscatta imparando a leggere e a scrivere e comprendendo grazie a lei i meccanismi che governano l’esistenza umana, anche se il cuore di Sara appartiene a un altro uomo. Sara che diventerà mamma e donna. Silvana è una ragazza ricoverata al sanatorio di Roma. La freddezza dell’ambiente familiare si fonde con le conseguenze della tubercolosi che la devasta. Eppure anche in quel luogo di dolore, anche in sanatorio, si annida per Silvana l’amore: Orlando. Silvana e Orlando sono due malati che si amano con le fragilità e le paure che la malattia comporta e Orlando è forte, deciso, coraggioso. Salverà l’intero ospedale dal rastrellamento contando su quel coraggio naturale tipico di chi non ha bisogno di sforzarsi per capire quello che è giusto e quello che non lo è. Due vite diverse che sono destinate a fondersi dopo aver condiviso inconsapevolmente i drammi cha la guerra porta con sé, i dolori delle morti ingiuste e delle ingiustizie costanti. Tanto dolore condiviso da lontano senza averne coscienza. Intorno a queste due figure che emergono, ruota il resto del mondo che vive o sopravvive, che cede al dolore o lo affronta con fierezza. Un mondo difficile, pieno di amarezza ma anche di risate. Di poche gioie e di infiniti dolori. Un mondo difficile come è da sempre e come sarà per sempre. Nonostante le brutture storiche che ci vengono raccontate con una scrittura asciutta che rende benissimo l’idea, il messaggio del romanzo ci parla di vittoria, di moralità e di forza in un mondo che appare naturale così come naturale e sano, al netto delle difficoltà, ci appare il passaggio delle due protagoniste da ragazzine immature a donne coraggiose. I sentimenti primeggiano, descritti in modo così impeccabile da far sembrare l’aspetto storico uno sfondo vagamente sbiadito. Gli stati d’animo permeano ogni pagina, catturano il lettore e lo trascinano ora in un mare di dolore, ora tra onde di timida gioia e necessaria tenerezza. L’incontro tra le due protagoniste sarà il fulcro di questa bellissima storia di amore e resistenze.
Flora Fusarelli
La recensione su Rinascitaoggi
Sinossi
Nel cuore di un’Italia lacerata dalla guerra e dalle leggi razziali, due adolescenti, Sara e Silvana, affrontano il proprio destino con coraggio e ostinazione. Un’ebrea costretta alla fuga e una ragazza fragile, reclusa in un sanatorio, si muovono in parallelo tra persecuzioni, malattia, abbandono e desiderio di riscatto. Attraverso le loro storie, “I giorni pari” racconta la Resistenza non solo come lotta armata, ma come gesto quotidiano di umanità, come cura, amore, memoria. Con una scrittura tesa e musicale, Maria Caterina Prezioso dà voce a personaggi indimenticabili e ci ricorda che anche nei tempi più oscuri si può scegliere di restare vivi.
Recensione
Con “I giorni pari”, Maria Caterina Prezioso ci consegna un romanzo che pulsa. Non è solo la storia di due adolescenti, ma un inno alla vita, alla lotta, alla memoria. Ambientato tra la Seconda guerra mondiale e il primo dopoguerra, dal 1940 al 1955, attraversa un’Italia dilaniata dal fascismo e dalle sue conseguenze. Due protagoniste, Sara e Silvana, due voci che si intrecciano in un racconto corale dove la scrittura si fa ritmo, eco, resistenza. Prezioso scava nell’animo umano, riflettendo la durezza del tempo come il battito di una farfalla che non si ferma. Con frasi brevi, ostinate, cariche di senso e musicalità, l’autrice racconta l’esistenza di chi – nonostante tutto – continua a vivere. Sara, giovane ebrea romana, vede crollare il mondo che conosce con l’emanazione delle leggi razziali: «Nel 1938, Mussolini aveva emanato le leggi razziali fasciste e per noi era cambiato tutto. Dall’oggi al domani.» Costretta a separarsi dalla sua famiglia per mettersi in salvo, parte per Sperlonga: «L’8 dicembre del 1940, nel primo pomeriggio, prendemmo il treno che ci portò a Fondi. Una valigia piccola per non dare all’occhio.» La sua esperienza in provincia è tutt’altro che un rifugio: ospitata da quello che diventerà suo marito, Giuseppe, scopre di essere stata oppressa e controllata. I suoceri – mantenuti dai suoi – la sfruttano e la ricattano minacciando di denunciarla come ebrea. Ma Sara non cede. Si fa guida anche per Giuseppe, che da uomo ignorante e meschino inizia un lento percorso di riscatto, grazie all’aiuto della compagna che gli insegna a leggere, scrivere, e a trovare dignità. Sara rappresenta un’etica della verità e della dignità, la forza di scegliere anche quando fa male. E nel cuore della sua storia, la figura intensa e tragica di Leone: l’amore giovanile che torna solo per ripartire. «Me ne vado, Sara. Ho conosciuto persone che la pensano come te. […] Libereremo l’Italia a costo della vita.» Con queste parole Leone si separa per sempre. Sara scoprirà poco dopo di essere incinta: il figlio è il futuro che nasce da una scelta consapevole, non da una fuga. Silvana, l’altra protagonista, si muove tra la freddezza glaciale della madre Caterina e la malattia che la consuma. La tubercolosi è per lei una condizione fisica e simbolica: una fragilità che dà corpo a un dolore emotivo. Ricoverata al Forlanini, incontra Orlando, un ragazzo che – come lei – è ai margini ma vivo, sorprendente, sincero. La loro storia d’amore è dolce, imperfetta, piena di attese e desideri semplici. Orlando la ama con pazienza e senza promesse grandiose. «Vorrei vivere con te e quindi presuppongo che occorra sposarsi.» La spontaneità disarmante di questa frase racchiude il cuore del personaggio: malato, impulsivo, ironico, visionario, ma capace di proteggere. Orlando incarna anche una forma di resistenza alternativa: non armata, ma umana, poetica. In una delle pagine più intense del romanzo, salva l’intero ospedale da un possibile rastrellamento. Il suo gesto impulsivo – prendere una pistola e affrontare il pericolo – non nasce da una strategia militare, ma da un istinto etico, radicale. «Orlando ci aveva salvato. Tutto l’ospedale era salvo.» Accanto a lui, la figura del professor Fegiz, pneumologo ebreo, è un ritratto dolente della fragilità intellettuale: uomo razionale, non eroe, ma testimone. Trema, ride, si commuove. E infine lascia che i ragazzi vadano a vedere Roma liberata. La sua paura non lo squalifica, lo umanizza. Il parallelismo tra Sara e Silvana si fa simbolico: entrambe partono con una piccola valigia. Non importa se la meta è Sperlonga o il Forlanini, ciò che conta è che partono per salvarsi. È il rito di passaggio che le trasforma. Ed è nel loro incontro che il romanzo tocca uno dei suoi vertici. «Continuavamo semplicemente a guardarci… uno specchio l’una dell’altra.» La frase è una cesura. Le due donne si riconoscono, si riflettono, si comprendono senza bisogno di parole. Sara si prende cura di Silvana, alzandosi presto per lei. Silvana le restituisce attenzione e affetto, riconoscendone la forza: «Gentile è un bambino speciale. E lei una donna particolare.» Nel loro silenzio si nasconde una sorellanza, una comprensione reciproca fatta di ferite e piccole gioie. La domanda «Riesce a capirmi? A leggermi?» è rivolta anche al lettore: siamo in grado di comprendere davvero chi abbiamo di fronte? Il romanzo si chiude con una tenerezza matura. Silvana vive un momento di sospensione, e chiede al dottor Fegiz: «Posso permettermi questo dono?» La domanda è profonda: si può davvero permettere la felicità dopo tanta sofferenza? E poi c’è Gentile, il figlio di Sara. Non è solo un nome, è un’eredità spirituale. Nato da una volontà ostinata, è figlio della giustizia, dell’amore che non si arrende. È il simbolo di ciò che resta, di ciò che fiorisce dopo il disastro. «Io resto, io cresco, io amo.» Gentile è un altare di senso, un bambino forte non perché ignaro del dolore, ma perché nato da esso. In lui si riflette tutto il romanzo: memoria e futuro, dolore e possibilità. La sua esistenza è un atto di riparazione, una carezza a ciò che è stato negato, dimenticato, distrutto. In ogni gesto tra lui e Sara – uno sguardo, una carezza – c’è un modo nuovo di essere madre, non protettiva ma complice. Gentile è la risposta alla violenza: esserci, ancora. “I giorni pari” è un romanzo necessario. Brucia sotto la pelle, attraversa il cuore e lascia un segno. Maria Caterina Prezioso intreccia sapientemente storie individuali e vicende collettive, con una scrittura asciutta ma poetica, semplice e profonda. Ogni scelta personale diventa atto politico, ogni sopravvivenza una forma di resistenza. In questo romanzo, la memoria non è solo peso: è forza.
Francesca Mezzadri
La recensione su Satisfiction
Una donna, un diario
presentazione del libro Arkadia di e con Anna Bertini
con Natalia Ceravolo, musica di Francesco Brito e Luna Beltran
Ethna Sarfatti si ritira nel Castello di Sonnino per scrivere la sua biografia. Racconta circostanze del passato e di un presente inaspettato: dalla morte del padre alla scoperta di non esserne la figlia biologica, dalla storia d’amore dei genitori ai personaggi della sua vita.
nell’ambito di Salone OFF
a cura di Associazione Culturale Polski Kot
📌 ingresso libero fino a esaurimento posti
👀 con la Carta Io leggo di Più puoi prenotare il tuo posto, nelle prime file: scrivi a info@circololettori.it o chiama 011 8904401
La segnalazione sul Circolo dei lettori/Torino