Note di lettura: “N.B. Un teppista di successo” di Riccardo Ferrazzi
Riccardo Ferrazzi, con questo suo N.B. un teppista di successo (Arkadia Editore, 2018) intreccia con mano felice il romanzo storico e la biografia, riuscendo a rendere non solo godibile, ma molto spesso anche non scontata, una narrazione su un tema la cui bibliografia è peraltro immensa, di dimensioni proporzionate alla grandezza del mito di cui tratta. Ferrazzi affronta l’impresa senza mostrare timori reverenziali, tentandone piuttosto semplificazioni e cercando, nel dipanarsi degli episodi decisivi, quelle coerenze interne alle vicende senza le quali si rischia di disorientare il lettore di narrativa. Perché questa è infatti una prova di narrativa, prima che un saggio storico, o per lo meno, di essa ha il passo, il senso dei tempi propri del racconto, la cura dei personaggi, la ricostruzione degli ambienti per descrizioni suggestive. Il libro tratta della giovinezza di Napoleone, fino alla vigilia della campagna d’Italia, la prima in cui si manifesta la sua grandezza di comandante: un periodo relativamente meno conosciuto della sua restante biografia, reso nebuloso anche dalla confusione politico istituzionale degli anni della rivoluzione, con cui parzialmente coincide. Il futuro imperatore viene colto in apertura ancora ragazzino in atteggiamento da teppista di strada, intento a guidare una banda di monelli armati di fionde all’assalto dei cavalli della guarnigione francese fermi all’abbeveratoio, tentativo sventato dalla rivolta dei suoi improvvisati subordinati (strano esordio per un conquistatore di imperi) e dall’intervento deciso del padre. In nuce, in questo episodio, in apparenza senza alcun peso nell’ambito della smisurata biografia del Nostro, paiono già presenti alcuni tratti caratteriali ben rintracciabili nel Napoleone adulto, come una palese aggressività nell’affrontare situazioni ostili o la vocazione al comando (senza alcun timore reverenziale nei confronti dei più vecchi o più titolati, come avverrà poi con i generali suoi sottoposti nella Campagna d’Italia). È presente anche un’avversione verso la Francia, tipica dei corsi di quell’epoca (e non solo), che caratterizza i suoi anni giovanili e che si stempererà con il suo progressivo coinvolgimento nelle vicende rivoluzionarie, che lo faranno riflettere sul proprio destino e lo costringeranno a considerare gli eventi da prospettive assai meno anguste di quelle offerte dalla sua isola natale. Ferrazzi ci mostra dunque un giovane Napoleone insofferente alla disciplina e poco incline all’obbedienza (per lo meno curioso per chi è destinato ad incarnare in sé anche le massime virtù militari), caratteristiche che si manifesteranno anche più tardi, alla scuola militare di Brienne, dove il padre lo aveva inviato per trovargli un impiego che consentisse un minimo di decoroso benessere alla famiglia. E’ questo l’obiettivo sullo sfondo dei suoi primi passi nel mondo adulto (per quanto adulto potesse essere un sedicenne, ancorché sottotenente), che ne rivela, nonostante i particolari di alcune azioni non propriamente commendevoli, un aspetto umanamente positivo. Nella sua prima giovinezza lo pervade l’ansia di alleviare le angustie economiche della famiglia, che si accentuano alla morte del padre: piccola nobiltà isolana, con qualche rendita fondiaria, in forte difficoltà dopo che il padre aveva sposato la causa, inizialmente perdente, dell’indipendenza dell’isola, al seguito di Pasquale Paoli, per lungo tempo esiliato. Per quanto ufficiale dell’Armata di Francia, il giovane Napoleone resta per troppo tempo concentrato sulle vicende della sua terra. Intreccia una lunga e proficua relazione con Antonio Saliceti, che si pone come suo mentore prodigandosi in consigli e salvandolo da accuse di tradimento (salvando va detto anche se stesso, perché le relazioni in tempi calamitosi come la Rivoluzione francese non sono mai del tutto disinteressate). La padronanza dell’autore rispetto alla materia trattata si manifesta con ampiezza proprio nella straordinaria verosimiglianza dell’epistolario tra i due, che rende superfluo l’accertamento della sua piena storicità. In un contesto rivoluzionario è molto difficile per il giovane ufficiale orientarsi, distinguendo le proprie personali inclinazioni politiche dalla convenienza che certe improvvise accelerazioni degli opposti movimenti eversivi favoriscono. La sfrenata ambizione del giovane viene più di una volta delusa dalla piega contraria presa dagli avvenimenti. A Napoleone toccano, in vertiginose e pericolose alternanze, giorni di gloria e giorni di disgrazia presso la parte rivoluzionaria di volta in volta al potere. Riesce però a giocare quasi sempre d’astuzia, appoggiandosi ora a questo ora a quel potente di turno per compensare le cadute ed ottenere una crescita sociale, anche minima. Si accolla imprese militari non particolarmente gloriose, ma necessarie alla causa, come la repressione operata contro la folla giacobina a colpi di cannone per le vie di Parigi, e altre più militarmente significative, come la presa di Tolone. Con qualche difficoltà, si forza alla frequentazione dei salotti della capitale, dove riesce a farsi accettare ed anche ad entrare nelle grazie di alcune delle dame più influenti, come Teresa Cabarrus e Josèphine Beauharnais, che sposerà alla vigilia della campagna d’Italia, dopo aver lasciato Desirée, prima vera fidanzata. Fu vera gloria? In chiusura di libro, abbandonato il carattere narrativo del testo, l’autore si cimenta direttamente con l’interrogativo manzoniano, propendendo in estrema sintesi per un ridimensionamento del giudizio (“gli storici non dovrebbero mettere la sordina ai suoi difetti”), ed un definitivo superamento del mito a vantaggio di una maggiore comprensione dell’uomo, attuabile proprio “ripercorrendo l’inizio della sua vita fingendo di ignorare il resto”. È in ogni caso difficile rintracciare elementi premonitori di una futura grandezza in questi inizi un po’ incerti e privi di una precisa vocazione. In che cosa si manifesta il genio, o meglio, come distinguere il genio da una personalità particolarmente forte, ovvero imperiosa, prepotente o dispotica a seconda dei punti di vista? Questa condizione di ambiguità, da cui non può prescindere ogni giudizio che si intenda esprimere su Napoleone, pare voler sottolineare Ferrazzi, descrivendo, con montanelliana limpidezza di scrittura, un protagonista non particolarmente gradevole, con ampie venature di opportunismo, e, nelle sue prime scelte di campo, neanche particolarmente vincente.
Luigi Preziosi