Il lato nascosto delle storie è una raccolta di racconti, ma potremmo definirlo anche come un puzzle, un mosaico, in cui ogni tessera contribuisce a delineare l’insieme. Se fosse un disco, lo potremmo definire un concept album. Dieci racconti, una manciata di personaggi che tornano più volte a comporre un quadro al cui centro è…
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Il lato nascosto delle storie è una raccolta di racconti, ma potremmo definirlo anche come un puzzle, un mosaico, in cui ogni tessera contribuisce a delineare l’insieme. Se fosse un disco, lo potremmo definire un concept album. Dieci racconti, una manciata di personaggi che tornano più volte a comporre un quadro al cui centro è il disagio provato da ciascuno dei protagonisti nei confronti della vita e della società. C’è Angela, l’infermiera gentile, che aiuta tutti, ma che non riesce ad accogliere l’ex marito appena uscito dal carcere; c’è il giudice austero, tutto d’un pezzo, che è stato vittima di un furto e che ha un figlio col quale non parla da anni: ma sarà poi, il giudice, così irreprensibile come si dice? E c’è Alessio, un ragazzo difficile, c’è Valentina, la prof di cui si è un po’ innamorato e alla quale, respinto, gioca un brutto tiro; c’è un senzatetto e c’è uno psicologo di strada, c’è un nipote abbandonato a se stesso e uno zio malato di cancro. Tutte vicende che si intersecano e che gettano, ognuna, un po’ di luce sull’altra, accompagnando il lettore nei meandri di un mondo difficile, di povertà materiale e spirituale, di solitudine, di tentativi falliti. Solo negli ultimi due racconti, che narrano il riavvicinamento tra lo zio malato e il nipote sbandato e la morte solitaria del senzatetto, accompagnato solo dalla pietas dello psicologo di strada, si apre uno spiraglio di speranza.
Lo stile di Roberta Di Pascasio è limpido, elegante, arricchito di quando in quando da belle metafore; la mano con cui rappresenta queste storie di persone marginali e dà loro voce è ferma e delicata.
Marisa Salabelle
La recensione su Masticadores Italia
“Mi insegni a scrivere bene? Così faccio bella figura a scuola. Se m’insegni, non te ne pentirai, ti mostro un posto che non hai mai visto di sicuro”.
Ci porta così, in un posto visitato mille volte eppure inedito, Maria Caterina Prezioso con il suo romanzo I giorni pari, edito da Arkadia. Già autrice di narrativa, poesia e teatro, Prezioso ci regala forse la sua narrazione più intima, aprendo una finestra sulla vita di due adolescenti, Sara e Silvana che vivono i loro anni più fulgenti con il riverbero delle bombe, la paura dell’oppressore e quel costante senso annichilimento che solo la guerra può portare.
Sara è una ragazzina ebrea che sfugge la deportazione trovando riparo in un piccolo borgo di Sperlonga presso una famiglia che l’accoglierà e nella quale, inaspettatamente, troverà l’amore passionale che la porterà ad essere una donna. Silvana invece è di Val Melaina, una borgata romana, ma vede trascorrere il tempo dalle vetrate del Forlanini, il sanatorio di Roma, nel quale si trova a causa del secondo flagello che accompagna ogni conflitto, la malattia.
Le avventure di una sono lo specchio delle esperienze e dei riti iniziatici dell’altra, i passi ineludibili di ogni adolescenza. La guerra irrompe ma è vissuta con la percezione di un suono di ritorno, ovattato e lontano.
“Una settimana dopo gli Alleati bombardarono Roma. 19 luglio 1943. Nel pomeriggio Pio XII si recò di persona a consolare e benedire la popolazione del quartiere San Lorenzo, devastato dalle bombe. La paura mi prese, non sapevo come mettermi in contatto con i miei. Pregai Giuseppe di trovare un modo, ma lui alzò le spalle e si chiuse in un cupo silenzio.”
Sara.
“Quei mesi del 1941. Il mio primo anno di sanatorio. L’Italia era in guerra, ma di quella guerra al Forlanini se ne parlava di rado. Tutti noi eravamo impegnati in un’altra guerra. Ada la chiamava – la guerra di tutte le guerre. Combattiamo per la vita. La guerra del Duce lasciamola a quelli di fuori. Lasciamola a loro, a loro che si pensano sani e hanno paura di noi”.
Silvana
Sara e Silvana, Silvana e Sara, due esistenze marginalizzate nel periodo più feroce della storia moderna ma che con le loro voci in alternanza danno i contorni delle vite che in quegli anni combattono, cedono, si spezzano, si arruolano nella Brigata Ebraica, diventano partigiane.
“Una mattina dei primi di maggio del 1948, erano passati tre anni, arrivò in paese un uomo che chiese di incontrarmi, lo aveva portato Italo via mare da Gaeta”.
Ci vedemmo al Belvedere. Al suo fianco c’era una donna molto bella. Gli occhi di Rodolfo brillavano finalmente di felicità.
“Sara, prima di andare te la volevo presentare. Lei è Ada Sereni. Ada ha coordinato in questi anni l’immigrazione clandestina ebraica verso Israele.” La donna mi abbracciò come fossimo sorelle. Ci sedemmo a guardare il mare. “Sì Sara, e partenze per Israele sono cominciate da aprile dello scorso anno. Alcune navi partono dal molo di Gaeta, altre dall’altra estremità del golfo, verso Gianola. Abbiamo dovuto fare molta attenzione, gli inglesi sono contrari ovviamente, ma presto, molto presto, è questione di giorni, forse solo di ore diventeremo una Nazione e non potranno più opporsi”.
Una stagione che torna con la puntualità dell’esistere e del morire, scelte che non vivono come un’eco lontana, ma che si concretizzano nel qui e nell’ora. Oggi per l’appunto.
A mezzo di una lingua asciutta e priva di sbavature, Prezioso ci regala una, anzi due storie destinate forse ad incrociarsi a mezzo di una lettura fluida, che ripercorre i grandi eventi, i nomi che li hanno determinati e i sogni infranti e poi riacciuffati di due vite ancora acerbe che hanno calcato gli anni più bui del secolo breve. Nei giorni in cui si è consumato tutto, il genocidio e la resistenza, la burocratizzazione delle deportazioni e la rivoluzione, la morte inflitta e la vita alla quale ci si aggrappa. Sempre e nonostante tutto.
“La mattina del 20 giugno 1960 mi alzai come sempre. Cominciava ad albeggiare, lui mi raggiunse e mi riportò a letto, era ancora presto, facemmo l’amore mentre il sole spuntava davanti a noi.”
Angela Vecchione
Il link alla recensione su Ex Libris 20: https://lc.cx/Ksizze
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso, Arkadia, 2024
Roma, il ghetto ebraico e il quartiere popolare di Val Melaina; Sara e Silvana, due ragazze che crescono negli anni peggiori del Novecento; un paesino, un sanatorio e la quotidianità con le sue gioie e i suoi dolori. Sono i punti cardine del romanzo “I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso, ambientato tra il 1940 e il 1955. Quindici anni in cui il Bel Paese fu travolto dalla catastrofe delle leggi razziali, dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla ricostruzione della Repubblica. Ma come si sa, la Storia è una serie di conquiste e di sconfitte che non è in grado di raccontare sempre, con dovizia di particolari, la vita degli esclusi e degli emarginati. Prezioso parte da loro, dagli ultimi, e lo fa con mano delicata, senza calcare o sbiadire alcuni passaggi, ma mettendo sullo stesso piano emozioni, sentimenti e accadimenti. Ciò che è avvenuto non può essere cancellato, tantomeno può essere revisionato o rimodellato secondo il nostro pensiero. Il nostro dovere è apprendere e fare tesoro della lezione che ci giunge dal passato. Sospeso ogni giudizio, la scrittrice romana dà vita a personaggi “eroici”, perché prima di reagire si guardano intorno. Ma si badi bene, il loro non è un atteggiamento arrendevole, bensì dettato dalla necessità di sopravvivere. Non è neanche “resilienza”, parola così in voga in questi decenni di furbi parallelismi, ma è azione meditata, vera rivoluzione della coscienza. “I giorni pari” infatti non è solo un romanzo che narra di due ragazze capaci di riscattarsi attraverso le vicissitudini della storia, ma è la voce di una generazione che ha saputo creare un ribaltamento di prospettiva. Sara e Silvana sono donne che reagiscono, che sanno vedere la luce in fondo al tunnel, che si sacrificano in prima persona. La storia non cambia: ci saranno sempre ricchi e poveri, disuguaglianze, ingiustizie, guerre, estremismi che annichiliscono, uomini di potere isterici che vengono amati dalle masse. Perciò non possiamo definire questo romanzo l’ennesimo “libro dalle tinte storiche che vuole scuotere le coscienze”. Qui siamo di fronte a un’opera che ha per tema la “rivolta interiore”, la ricerca del senso di esistere. La storia, in quanto prodotta dagli uomini, è la somma di una sequenza di aporie su cui è inutile continuare a discutere, proprio perché ciascuna di esse è irrisolvibile. La rivoluzione che avviene nelle coscienze di ognuno è il dato fondamentale, ed è ciò che stimola la nascita di nuove categorie di pensiero. Questo avvenne in quegli anni? Sicuramente, ma sempre grazie a un movimento spontaneo che ha prima ragionato e poi aggirato il “male”. Sara e Silvana sapranno essere “malattia” e “medicina” per loro stesse; come tutti cadono e si rialzano, gioiscono e patiscono, sanno rispondere alla volontà di vita con una speranza attiva.
Martino Ciano
Il link alla recensione su Border Liber: https://tinyurl.com/4arb29ut
8 dicembre 1940. Nel primo pomeriggio salgono su un treno che li conduce a Fondi. Hanno con sé una sola valigia, piccola, per non dare nell’occhio. Nessuno fa loro caso. D’altra parte, sono una tipica famiglia italiana, come tante. Giunti a Fondi, resta da percorrere un ultimo pezzo di strada, a piedi. Sperlonga, il paese che Gino, sua moglie Miriam e la giovane Sara raggiungono, è attaccato a uno sperone e pare deserto. L’uomo che li ha accompagnati lungo il percorso e che ha appena depositato la valigia davanti alla porta di una casa spiega che a quell’ora sono tutti alla messa della sera. L’uscio si apre e ne esce una signora, che con fare frettoloso fa entrare Sara e sua madre, mentre il padre si attarda a parlare con l’accompagnatore. L’anziana signora mostra alla giovane la stanza che l’ospiterà. Sì, perché le leggi razziali, sempre più rigide, stanno rendendo sempre più difficile la vita a chi, come Sara e i suoi genitori, è di religione ebraica. Ecco la ragione per cui Gino e Miriam hanno deciso di separarsi e di affidare la figlia alla famiglia di Sperlonga presso la quale sono appena giunti. Sara verrà presentata come una lontana cugina, arrivata da Roma per respirare aria di mare e cercare di porre rimedio a uno stato di salute cagionevole. Gino e Miriam sono certi che la situazione migliorerà presto e che in tempi rapidi potranno ricongiungersi alla figlia. Anzi, non è escluso che, risolto ogni problema legato alle leggi razziali, l’intera famiglia possa trasferirsi a Sperlonga: in questo modo Gino potrebbe aprire lì una nuova farmacia, identica a quella ereditata dal padre e gestita per molto tempo a Roma, prima di essere costretto a cederla, almeno sulla carta, all’amico Vittorio che, in quanto non ebreo, può continuare a lavorare senza alcuna limitazione. 12 dicembre 1940. Silvana – terza figlia, non desiderata, di Caterina e Domenico – non sta bene. Sputa sangue, tossisce forte e i suoi polmoni bruciano mentre, allo stesso tempo, cercano aria. La giovane ha la tubercolosi e, per cercare di aiutarla, deve essere ricoverata in Sanatorio, al Forlanini. Lì, ci sarà chi si prenderà cura di lei. Inoltre suo padre non la abbandonerà, ma andrà a trovarla tutte le volte che gli sarà possibile… Sara e Silvana sono due ragazze che vivono gli anni della loro giovinezza nell’Italia angustiata dalla ferocia della guerra. Sono gli anni in cui si assiste prima all’avvento del fascismo e poi alla sua caduta rovinosa, in cui la seconda guerra mondiale porta devastazione e morte, in cui la rinascita dopo il conflitto è complessa e dura. La prima è una giovane ebrea scampata alla Shoà che trova riparo in un borgo laziale, presso una famiglia che ha accettato di occuparsene, dietro compenso. La seconda, invece, è di salute cagionevole, ha la tubercolosi e deve essere ricoverata in Sanatorio, dove può trovare le cure necessarie per sopravvivere. Due storie diverse, accomunate tuttavia dalle stesse difficoltà, quelle legate a un periodo storico difficile, a condizioni economiche non floride, a situazioni familiari complesse. Due giovani che diventano donne attraverso un percorso irto di difficoltà e ostacoli; uno spaccato di vita immerso in una pagina della Storia della quale non si parla mai a sufficienza. Quel che emerge è il ritratto di un’epoca complessa, all’interno della quale si muovono personaggi che, al netto di alcune criticità – qualche ripetizione di troppo, il ricorso a cliché e frasi fatte che rallentano in alcuni tratti il ritmo della lettura – Maria Caterina Prezioso è riuscita a rendere con sufficiente verosimiglianza. Sara e Silvana sono fragili e forti allo stesso tempo; sono giovani ma imparano, a loro spese, ad affrontare le avversità della vita e a ritagliare il loro posto nel mondo; suscitano la simpatia del lettore che si ritrova a fare il tifo per loro e a desiderare per entrambe un futuro di luce.
Connie Bandini
Il link alla recensione su Mangialibri: https://tinyurl.com/bdetdz5c
Titolo
I giorni pari
Autrice
Maria Caterina Prezioso
Editore:
Arkadia editrice
Sinossi
Italia 1940-1955. Sara e Silvana, una specchio dell’altra. Due storie che si alternano per poi forse incontrarsi solo anni dopo. Anni vissuti l’una all’insaputa dell’altra. Anni feroci in Italia e nel mondo. Quelli del fascismo, della Seconda guerra mondiale, della sconfitta e della rinascita. Nel mezzo una Nazione allo sbando. Sara è una ragazzina ebrea che, scampata alla Shoà, troverà rifugio nel piccolo borgo di Sperlonga. Silvana, invece, è una ragazzina di Val Melaina, una borgata di Roma, immersa in una giovinezza delicata e povera che la porterà al Forlanini, il Sanatorio di Roma, luogo in cui tenterà di sopravvivere e diventare una donna. Attraverso le loro voci conosceremo gli altri personaggi, alcuni realmente esistiti altri di fantasia, le rispettive famiglie, le avventure di una stagione, la giovinezza vissuta nel periodo della guerra e gli accadimenti del periodo successivo. Come al cinema scorreranno i titoli di coda che racconteranno quale sia stato il destino di ciascuno dei protagonisti, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che si sono arresi. Dalle loro voci ascolteremo uno spaccato di quegli anni, di un’intera stagione che, per quanto si voglia provare a dimenticare, ritorna spesso con un’attualità sconcertante.
Biografia
Maria Caterina Prezioso è nata a Roma nel 1961 ha pubblicato una raccolta poetica intitolata Nelle rughe del muro (Ibiskos, 1991). Per il teatro ha scritto La risposta di Leonardo (con Giuliana Majocchi, Il Segnale, 1996), messa in scena per la regia di Sergio de Sandro Salvati dalla Compagnia della Medusa (Teatro Oda di Foggia e Teatro Verga di Milano, premio migliore spettacolo) e La stanza. La festa dei Tuareg (Titivillus, 2004). Ha poi pubblicato i romanzi Il gioco n. 33 (Il Ventaglio, 1993), Il colpo (Pequod edizioni, 2008), Cronache binarie (Enzo Delfino Editore, 2011), Blu cavolfiore (Golena, 2013), La ballata dei giorni della pioggia (Kogoi Edizioni, 2016). Nel 2018 esce, coautrice Giuliana Majocchi, Pina & Max (Edizioni Leucotea, 2018). Alcuni suoi racconti e novelle sono stati pubblicati in diverse riviste di letteratura (“Storie”, “Omero”, “In-Edito”, “TutteStorie”, “EllinSelae”). Collabora con la rivista “Satisfiction”.
Il link alla segnalazione su Premio Letterario Giovanni Comisso: https://tinyurl.com/bd46y7tv
Le letture dell’attrice Gabriela Maiello: https://www.youtube.com/shorts/cz1zdCcHdcU
Palma Campania, 14 Gennaio – In una calda atmosfera, al Circolo Tenente Tommaso Carbone di Vico di Palma Campania, si è tenuta la presentazione del libro “Non è di maggio” Arkadia Editore, dello scrittore Luigi Romolo Carrino. Il pubblico ha trascorso un bel momento di cultura con lo scrittore, introdotto dalla socia del circolo e giornalista Adelina Mauro, nelle vesti di moderatrice, mentre il dialogo è stato condotto dalla scrittrice Michela Buonagura, attraverso le letture di pagine da parte dello stesso autore e dall’attrice Gabriela Maiello.
Carrino ci ha introdotto nel cuore del romanzo ambientato negli anni ’60, a partire dall’incipit, “un incipit che arriva come uno spartito musicale, che svela un rapporto orgiastico con la parola, un compiacimento nel ricercare legami sintattici inusuali, la scrittura sobbalza nelle anafore, nell’accumulazione, in sintagmi in cui campeggia l’iperbato, una scrittura colta che fa subito pensare alla poesia, del resto l’autore esordisce come poeta con Il Settimo Senso, Tempo santo. L’incipit ci immette con una tecnica cinematografica immediatamente nel luogo e nel tempo della storia, che si snoda grosso modo dal 1961 al 2008, un arco temporale che Carrino fa scorrere avanti e indietro, proiettandoci in un tempo metafisico, vissuto sempre come presente”, ha esordito la Buonagura. Siamo a Procida, si sta facendo sera e sulla banchina del porto c’è una donna vestita di nero, alta come un albero maestro, curva come una parentesi tonda. È Rosina la lanara, la custode della casa dei Lieto che sta aspettando l’ultimo traghetto che porta sull’isola una giovane donna, Angela.
Rosina è un personaggio che subito suscita curiosità, a chi ti sei ispirato?
“Certamente le donne della mia famiglia mi hanno dato tanto, raccontato tanto di un mondo contadino, pieno di superstizioni e di riti che hanno fatto parte della mia infanzia. Molte altre cose le ho apprese da Ernesto De Martino, dai suoi studi e altre le ho inventate di sana pianta.”
La maggior parte dei personaggi sono donne, donne diramate dall’essere femmine e madri. Quali sono le donne della storia che ti hanno maggiormente coinvolto emotivamente?
“Le ho tolto la voce, Rosina la muta, l’essere strano, anomalo per la sua fisicità e i suoi poteri di guaritora. La donna che tutti cercano ogniqualvolta c’è da fascinare un sortilegio o aver bisogno di una cura non tradizionale. È meravigliosa. Lei mi è molto cara, ma anche Annina – la madre di Nuccio l’autistico – con la sua tenera speranza di sentir almeno una volta pronunciare la parola “mamma” da suo figlio. Angela Lieto, la donna spezzata dal destino tessuto da una Moira crudele. Ma ce ne sono tante, in verità. Questo romanzo è un coro di donne silenziose e rassegnate, ma anche combattive e ribelli.”
La predilezione del femminile si svela anche in campo letterario. Elsa Morante, in primis. Elsa Morante è tua guida spirituale, a questa scrittrice dedichi il tuo romanzo. È lei che illumina i tuoi passi e ti conduce nella Procida celebrata con “L’isola di Arturo”.
“La più grande scrittrice del secolo scorso, difficilmente superabile. Usare Procida come location, o anche come co-protagonista un ragazzo rinnegato da sua madre Angela, è una sorta di rielaborazione del rapporto tra Arturo e suo padre Wilelm nell’Isola di Elsa. Per me, la Morante è un faro per la mia scrittura.”
Il dialogo si è poi spostato su altre figure letterarie care all’autore. “Dopo Elsa, la Ortese, vorrei che tu chiarissi una mia curiosità, – ha continuato la Buonagura. – Non è di maggio è il titolo che tu hai scelto e che ricorda l’inizio lapidario di una poesia di Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci. A me questa negazione ha fatto pensare all’altra negazione del romanzo di Annamaria Ortese “Il mare non bagna Napoli”. Ora, al di là di quello che racconta, ciò che a me sembra legarlo al tuo Non è di maggio è l’intollerabilità del reale. Il mare è apertura e se lei dice “non bagna” vuole significare la chiusura della realtà in cui vive, che è anche chiusura della letteratura rispetto al reale. È un libro denuncia che da molti è stato paragonato a Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi, che poi lì la denuncia non è solo sociale ma anche politica. Questa negatività sbandierata nel titolo Non è di maggio è la visione altra dello scrittore Carrino su un reale chiuso, che non accetta la diversità, o meglio, un reale in cui la diversità vive a fatica, non è libera di esprimersi. La diversità di Angela, figlia di una blasonata famiglia partenopea, che si innamora di Salvo, un contadino di Piedimonte Matese, la diversità della «janara» Rosina, di Nuccio, figlio «difettoso» di Annina, di Ciccio l’ebreo che muore circondato dai cani che non permettono a nessuno di avvicinarsi… del bambino indaco Salvo con poteri straordinari. E la sua denuncia di chiusura della letteratura è la stessa che qualche volta è avvenuta nei tuoi confronti. Esagero o ho centrato un problema reale?” ha chiesto la Buonagura.
“Ma sì, in effetti ho avuto molti momenti in cui mi sono state sbarrate porte e finestre – incalza Carrino – Anche tante porte aperte, però. Succede. Dipende dal momento storico, dal contesto che abiti, dal fatto che io non sono molto “mondano” dal punto di vista letterario. Frequento pochissima gente, e negli ultimi anni esco di rado. Non amo quel coacervo di ipocrisia dove tutti dicono “bene, bravo bis”, né tantomeno presenziare agli eventi per “farsi vedere”. Non mi appartiene molto.”
Nel tuo romanzo tutti i personaggi hanno medesima rilevanza, al punto che è difficile stabilirne il o la protagonista. Chi è protagonista?
“Procida prima di tutto. Poi un certo modo di vivere nel dopoguerra su un’isola che ha mantenuto le sue tradizioni e la sua storia, senza rinunciare ad innovarsi. Tutti i personaggi sono a loro modo protagonisti, nessuno escluso.”
Il libro, che lo scrittore afferma di aver impiegato 10 anni per scrivere (anche se nel frattempo ha scritto altro), svela tutta la sensibilità dell’autore, in pagine e pagine che fanno riflettere sulla condizione della donna, sull’amicizia, sull’autismo.
Il libro di Carrino è andato in stampa a febbraio del 2021, periodo del lockdown, per cui non ci sono state molte presentazioni in presenza, alcune on-line e dei firmacopie in Campania e in Lazio, pertanto la presentazione ufficiale nel suo paese è avvenuta proprio a Vico, al Circolo Tenente Tommaso Carbone, i cui soci sono stati molto onorati di accogliere uno scrittore di spessore, di valore che esprime il proprio pensiero in libertà senza filtri.
La dottoressa Elvira Franzese vice sindaco attuale sempre presente e a fianco alla cultura, ha portato i saluti del sindaco Nello Donnarumma e ha avuto parole di ammirazione per lo scrittore Carrino. Ha ricordato ai presenti che “la rassegna Un libro sotto l’albero, progetto del Comune di Palma Campania, per questa decima edizione ha come direzione lo scrittore Carrino con la scrittrice Buonagura e altri che fanno parte dello staff, il lavoro è tanto, ma la cultura va vivificata e ogni anno, oltre a far pervenire scrittori da fuori, si metteranno in luce quelli del territorio e – ha ricordato che anche la scrittrice palmese Adelina Mauro con il libro Un infinito mare carminio sarà al Teatro comunale di via Municipio e a presentarla ci saranno gli scrittori Carrino e Buonagura.
La serata si è conclusa con i saluti del presidente Michele Graziano che ha sottolineato quanto bene stanno facendo le socie al Circolo con le attività che propongono come quelle culturali e della serata, affinché il Circolo resti in vita rinsaldando i valori della comunità. Ha augurato un Anno Nuovo di pace, salute e serenità. Come sempre un buffet di dolci tradizionali preparato dalle signore socie ha chiuso la serata.
Luigi Romolo Carrino nasce a Napoli nel ’68. Laureato in Informatica, scrittore, editor, ghostwriter, direttore di collane di narrativa e di poesia, docente di laboratori di scrittura creativa, ha esordito in narrativa con due racconti nella collettanea Men on Men 5 (Mondadori, 2006). Ha pubblicato i romanzi Acqua Storta (Meridiano Zero, 2008; Pulp Master 2012, in Germania) Pozzoromolo (Meridiano Zero, 2009), Esercizi sulla madre (Perdisa Pop, 2012), Il Pallonaro (goWare, 2013), La buona legge di Mariasole (Edizioni E/O, 2015), Alcuni avranno il mio perdono (Edizioni E/O, 2017), Non è di maggio (Arkadia Editore, 2021). Per tre volte in selezione al Premio Strega con i suoi romanzi, ha pubblicato tre libri di poesia, la raccolta di racconti Istruzioni per un addio (Azimut, 2010), il reportage A Neopoli nisciuno è neo (Laterza, 2012). Ha scritto per la tv, la radio, canzoni. Per il teatro ha scritto Ricordo di Famiglia (prodotto dal Teatro Stabile del Giallo di Roma), Il Morso per attaccarsi (prodotto da Teatro in Scatola, Roma), Nel mio paese (Teatro Elicantropo, Napoli), 70 mi dà tanto (omaggio ad Annibale Ruccello, produzione Nuovo Teatro Nuovo, Napoli). Acqua storta – Il Recital, che lo vede anche in veste di attore protagonista (produzione Ilnaufragarmèdolce e Teatro Lo Spazio, Roma). Come ghostwriter ha realizzato libri di narrativa e biografie romanzate, ha scritto libri di impresa per marketing, self branding e self positioning centrati sui vari settori, tra i quali finanza, mercato immobiliare, digitalizzazione di impresa, comunicazione efficace, internazionalizzazione.
Il romanzo “Non è di maggio” è in tutte le librerie e su Amazon.
Il link all’intervista su Scisciano Notizie: https://tinyurl.com/yujht2yk