Un estratto della raccolta di racconti di Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato
Un estratto della raccolta di racconti di Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato
BLOG Einaudi ripubblica “La luna di Kiev” di Gianni Rodari per devolvere il ricavato dalla vendita alla Croce Rossa Italiana per l’emergenza ucraina. Libro copertina ai racconti di Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini, e Sandra Salvato per Arkadia, controcopertina all'”Arte del colore” di Johannes Itten. Tra i siciliani da segnalare “Diavoli di sabbia” il nuovo libro di Elvira Seminara
Vigilia e festività pasquali con una cascata di libri e tanti siciliani in libreria. Senza dimenticare il supporto all’Ucraina ed è da questo che iniziamo. Martedì 12 aprile, infatti, di Gianni Rodari esce “La luna di Kiev” (Einaudi): l’intero ricavato dalla vendita sarà devoluto alla Croce Rossa Italiana per l’Emergenza Ucraina. Per lo stesso editore, l’attesa è finita: martedì sancisce il ritorno della catanese Elvira Seminara con “Diavoli di sabbia“. Ma ancora siciliani principalmente etnei contraddistinguono la settimana che ci porta alla Pasqua: Lorenzo Marotta e Sarah Grisiglione escono ambedue con le loro nuove opere per Algra Editore. Mercoledì 13 torna Mathijs Deen, per Iperborea. Il calcio, non manca mai, ed ecco Simone Galdi, che ripercorre la meravigliosa finale di Wembley nel 1992 della Sampdoria (Battaglia Edizioni). Copertina ad un volume scritto a sei mani: Giovanni Agnoloni (traduttore della biografia della vice presidente Usa Kamala Harris), Carlo Cuppini e Sandra Salvato, confermano lo splendore e i colpi di scena di Arkadia Editore; Contro copertina perJohannes Itten, che omaggia il colore pubblicando un capolavoro di genere per i tipi de Il Saggiatore. Curiosità per il nuovo libro di Giuseppe Nibali, pubblicato per Italo Svevo Edizioni. Ma non abbiamo finito: Naoki Urasawa per Panini Comics; Marco Avonto per Morellini e Fausta Cialente per La Tartaruga Edizioni (del grande gruppo Sgarbi), ci aspettano per prepararci alla due giorni di festa.
Il tempo è breve, anche se la settimana sarà lunga per molti: tutti i libri, di seguito, conosciamoli.
Le uscite di martedì 12 aprile
Gianni Rodari, La luna di Kiev, Einaudi
Una filastrocca di Gianni Rodari illustrata da Beatrice Alemagna. Un libro bello e anche buono: i ricavati delle vendite saranno interamente devoluti alla Croce Rossa Italiana per l’emergenza in Ucraina. Nel giro di pochi giorni dallo scoppio della guerra in Ucraina, La luna di Kiev di Gianni Rodari è diventata virale, è stata condivisa sui social migliaia di volte e pubblicata su testate nazionali. A quasi 70 anni dalla prima pubblicazione, il celebre componimento tratto dalla raccolta Filastrocche in cielo e in terra è diventato il simbolo della richiesta di pace.
Sarah Grisiglione, Prove d’autore. Corso semiserio di scrittura emotiva, Algra
«Amo le parole, le adopero nell’insegnare, le coltivo per scrivere, le assaporo nel leggere, le condivido nella cura. Non avrei potuto fare altro che questo: vivere le parole».
Un corso di scrittura utile a tutti, per mettere alla prova non solo l’espressione linguistica, ma anche le proprie emozioni, liberandole su un foglio, attraverso i suggerimenti dell’autrice. Prove d’autore guida il lettore, a piccoli passi, lungo un percorso creativo che, con l’ausilio di poesie sul tema ed esercizi utili a sviluppare incipit, personaggi, trame e finali, lo condurrà a scrivere il libro che ha già dentro di sé.
L’autrice
Sarah Grisiglione, docente liceale e psicologa psicoterapeuta, da sempre è appassionata di libri. La scrittura è un’esperienza catartica ed espressiva che le ha permesso di raccontare le emozioni in prosa, coinvolgendo i lettori in una sorta di dialogo muto. Gestisce su Facebook una pagina con quindicimila follower, “La biblioteca dei libri ritrovati”, dove recensisce e pubblica testi suoi o di altri autori. Ha pubblicato due racconti brevi in eBook, Io non sono vivo (2016) e Una storia incompleta (2018). Alcuni suoi racconti sono stati inseriti in un’antologia con Historica edizioni nella collana “Racconti Siciliani”.
Lorenzo Marotta, L’alba che verrà, Algra
Un romanzo capace di sporgersi “oltre”, ponendo interrogativi e guardando al futuro con una scrittura fluida e moderna. “…quale mondo stiamo lasciando in eredità ai nati alla fine di un secolo non a caso definito breve? Quanto la loro vita è distante da abitudini e modelli risalenti solo a pochi decenni prima? Verso quale futuro si dirigono? […] L’alba che verrà percorre e attraversa la realtà con l’immaginazione, perché questa è la rivoluzione, il potere più grande che l’Umanità può esercitare per cambiare il proprio destino. Un destino troppo incerto” (dalla Prefazione di Dora Marchese).
L’autore
Lorenzo Marotta, nato a Viagrande, vive e lavora ad Acireale. Docente di Filosofia, è stato preside di Licei e Istituti superiori. Collabora a quotidiani e riviste con studi e articoli. Ha pubblicato opere di narrativa e di poesia: Le ali del Vento (Roma, 2012), Prove di poesia (Catania, 2013), Le ombre del male (Arezzo, 2013) e Il sogno di Chiara(Roma, 2014).
Simone Galdi, Wembley 1992. Il Doria e l’ultima Coppa dei Campioni, Battaglia Edizioni
È il 20 maggio del 1992 e allo stadio di Wembley si sta disputando l’ultima finale della Coppa dei Campioni prima che diventi la Champions League. La Samp di Vialli e Mancini gioca contro il Barcellona di Cruijff e Koeman. Dopo trent’anni Simone Galdi, giornalista sportivo per SkySport, ripercorre quella partita storica per cercare di scoprire cosa sia rimasto di quei campioni, da Vialli a Pagliuca fino a Mihajlović, e del calcio di una volta.
Elvira Seminara, Diavoli di sabbia, Einaudi
È una notte di tuoni e fulmini: dopo qualche bicchiere di troppo, Dora ansima nel sonno e urla il nome di un uomo. Accanto a lei, Rodolfo si rigira nel letto e sogna di ucciderla. Si svegliano insieme, di soprassalto: è cosí che s’innesca la macchina del dispetto, che travolge i destini di tutti. La catena di dialoghi che si rincorrono tra le pagine di questo libro è un meccanismo inesorabile, un ottovolante panoramico sul mistero comico e drammatico delle relazioni umane. Un gioco infantile e perverso che riguarda chiunque abbia, almeno una volta, iniziato una frase con la parola «io». «Ma quanti sono i giorni felici in tutta una vita, secondo te? Un mucchietto cosí. Tutti gli altri servono a fare massa, come la paglia nei cesti di Natale».
Tutti conosciamo l’alchimia difficile delle coppie, i segreti, le bugie, la voglia di felicità e la forza corrosiva dei tradimenti. In ogni istante della nostra vita siamo amanti, figlie, fratelli, compagni, amiche. Una notte, dopo un’accesa discussione, Rodolfo si chiude in una stanza nella casa di Dora per non uscirne piú. Indecisa se ignorarlo o chiamare la polizia, lei ne parla all’amica Manuela, che poi torna a casa e si confida con Livio, che poi si precipita dal fratello Tommaso in ospedale, che poi telefona al fidanzato Samuele, che poi riceve una strana proposta da una cliente, che poi… Elvira Seminara dà vita a una struttura originalissima e vertiginosa, un susseguirsi di dialoghi che fanno il girotondo, dove i personaggi e il lettore rimbalzano da un ruolo all’altro, da un inciampo al successivo, senza mai fondersi né perdersi davvero. Siamo dialogo incessante, sempre in relazione con qualcun altro, anelli malfermi e lucidi di un interminabile giro di parole. E poi siamo diavoli di sabbia, violenti e fragili: ci solleviamo nel vento pronti a graffiare.
Le uscite di mercoledì 13 aprile
Mathijs Deen, La nave faro, Iperborea
Dall’autore di “Per antiche strade”, un racconto di mare sugli abissi della mente umana, sospesa in un delicato equilibrio che basta poco a sconvolgere. La nave-faro Texel segnala la rotta alle imbarcazioni in transito – per lo più grandi navi da carico – al largo delle coste olandesi. Per i marinai e i macchinisti costretti su questa nave perennemente ancorata la vita scorre lenta e monotona: ci si avvicenda nei turni di guardia mentre si attende impazienti la fine delle quattro settimane di servizio, si monitorano le condizioni atmosferiche, e si annotano nomi, rotta e provenienza delle navi di passaggio. Ma l’atmosfera si agita quando Lammert, il cuoco della nave, porta a bordo un capretto. Ha intenzione di macellarlo a metà turno in modo da poter preparare il gule kambing, un piatto indonesiano della sua infanzia. Ma fin da subito la presenza del piccolo animale fa emergere paure ed emozioni represse nell’equipaggio. E se il marinaio più giovane si affeziona al capretto, l’infelice Gerrit Snoek vede il diavolo nelle sue corna. Quando la nave è avvolta da una fitta nebbia e il cuoco, ammalato di malaria, si ritira nella sua cabina, le cose prendono rapidamente una piega inquietante. L’imbarcazione stessa sembra un essere vivente: la sirena da nebbia risuona minacciosa e la nave si agita sulle onde come un animale incatenato… Con umorismo e profondità letteraria, e uno stile e un’ambientazione che ricordano Conrad, Deen cattura l’eco tragica di questa nave che non può andare da nessuna parte, i cui membri dell’equipaggio sono ognuno a modo suo intrappolati nel proprio passato.
Le uscite di giovedì 14 aprile
Libro copertina: “Da luoghi lontani” di Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato, Arkadia
Tre autori, nove racconti che tracciano tra tempo e spazio un dialogo interiore. Luoghi, momenti, esperienze di tre anime letterarie. Un viaggio che si snoda attraverso nove racconti scritti da tre diversi autori, articolati idealmente in tre sezioni tematiche che formano un percorso unitario nelle dimensioni della memoria, del sogno come territorio di una possibile riscoperta dell’identità, delle profondità cosmiche intese come realtà e metafora dell’ignoto e dell’oltre. Sconfinando in molti “altrove”, queste narrazioni indicano una seconda possibilità di conoscenza e invitano a un cammino dove niente è prevedibile e niente accade per caso. Di racconto in racconto, si dipana una geografia che va da Urbino alla Dalmazia, dalle Dolomiti alla Sardegna, da Firenze a Venezia, dagli Stati Uniti all’Australia, fino agli spazi interstellari; un itinerario che corrisponde al vagare dentro se stessi, sprofondando come accade ai protagonisti di queste storie, che cercano soluzioni ma vanno incontro a enigmi destinati ad amplificarsi e a mutare. Ombre di esperienze vissute, ricordi perturbanti, visioni della mente e attese del cuore si rovesciano qui continuamente in altro, mettendo in moto le trame di questi testi e intrecciandoli sottilmente l’uno con l’altro, in un andirivieni di sensi dove reale e irreale, materiale e immateriale, spazio e tempo, non sono più elementi diversi e contraddittori dell’esperienza, ma parti di un dialogo necessario con l’esistenza, condotto in una lingua che solo in parte sappiamo decifrare.
Libro contro copertina: “Arte del colore” di Johannes Itten, Il Saggiatore
Tutti i grandi maestri dell’arte possiedono una profonda conoscenza dell’essenza dei colori. Per Johannes Itten, che ha dedicato tutta la sua vita alla riflessione sul colore, la questione era semplice: se un suo allievo, d’istinto, fosse stato capace di produrre capolavori cromatici, quella sarebbe stata la sua strada; ma se, come avveniva molto più spesso, il risultato dei suoi sforzi non avesse dato vita a un capolavoro, allora si sarebbe reso necessario l’impegno nello studio. Arte del colore è un compendio delle intuizioni, delle scoperte e delle esperienze artistiche di Johannes Itten, tanto nella veste di formidabile pittore quanto in quella di insegnante presso il Bauhaus, dove iniziò a concepire il progetto di una sistematizzazione delle regole cromatiche in arte. Un’opera pensata dallo stesso autore come «un veicolo che possa riuscire di aiuto a coloro che si interessano dell’uso artistico del colore», liberando il lettore dall’incomunicabilità del soggettivismo pittorico per farlo giungere a una conoscenza delle leggi oggettive dell’accostamento delle tinte. In queste pagine, infatti, Itten offre nozioni utilizzabili da chiunque all’interno di qualunque percorso creativo, dallo studio fisico della luce al ruolo della componente termica nella percezione visiva, dalla teoria impressionista della colorazione alla strutturazione ordinata delle cromie in un disco di dodici parti. Redatta da Itten negli stessi anni incui sua moglie Anneliese selezionava le tavole che avrebbero composto l’edizione originale del 1961, questa versione dell’Arte del colore è un vero e proprio classico di uno dei più influenti maestri del Novecento. Una «piccola teoria», agile e accessibile, che si offre ancora oggi come strumento nelle mani di ognuno di noi per dare un’adeguata veste alla nostra espressione.
Pik-Shuen Fung, Foresta fantasma, Il Saggiatore
«Famiglia astronauta» dicevano i media a Hong Kong: perché il padre è sempre in cielo, lontano. Su un aereo che lo porta via, mentre la bambina è ferma a terra all’aeroporto di Vancouver, e la madre le dice di salutare papà, «Papà torna a Hong Kong ora». «Famiglia astronauta», perché la propria casa è lontana anni luce e la si può ritrovare unicamente attraverso odori e sapori, scaldando i ravioli nell’olio di sesamo o cuocendo il pollo per la zuppa. «Famiglia astronauta», perché quando un padre muore è solo, e sua figlia, diventata grande, non sa nemmeno dire se lo abbia mai conosciuto.
Nel 1997 Hong Kong passa dopo un secolo dalla sovranità del Regno Unito a quella della Cina e i suoi abitanti si trovano di fronte a una scelta: restare e vivere sotto un potere autoritario o abbandonare tutto ed emigrare in cerca di una vita migliore. Foresta fantasma è la storia delle conseguenze della decisione di un padre di restare a lavorare in patria mandando a vivere la propria famiglia in Canada. È il racconto, intimo e toccante, del difficile rapporto con un genitore fantasma, distante diecimila chilometri, scritto dalla figlia dopo la sua scoparsa. Pagina dopo pagina, per lei la scrittura si trasforma in un rituale con cui superare un dolore senza volto e affrontare le incomprensioni che il lutto ha lasciato intatte; il tentativo di riannodare, con l’aiuto di madre e nonna, le confuse linee della sua storia familiare, riempiendo i vuoti e i silenzi della vita di una persona amata. Pik-Shuen Fung racconta con una prosa di rara delicatezza e musicalità che cosa significa fare i conti con la propria cultura d’origine e con le fatiche dell’integrazione. Foresta fantasma è una lettera scritta per un genitore che non potrà mai leggerla: un’esplorazione dei territori oscuri della perdita per strappare all’oblio il conforto di un ricordo, la rassicurazione che l’amore sopravvive alla morte.
Naoki Urasawa, 20th century boys. Ultimate deluxe edition. Vol. 3, Panini Comics
Solo Kenji può impedire all’Amico di distruggere il mondo… Ricercato dalla polizia come terrorista, il mancato rocker cerca di riunire attorno a sé degli alleati. Manca davvero poco al 31 dicembre 2000, il giorno in cui, secondo il Libro delle Profezie, l’umanità dovrebbe estinguersi. Potrà il genere umano vedere il nuovo secolo?
Giuseppe Nibali, Animale, Italo Svevo Edizioni
Attraverso una prosa poetica, Giuseppe Nibali racconta nel suo romanzo d’esordio due generazioni a confronto, due facce di uno stesso animale. Protagonista è Giuseppe che una mattina parte da Bologna per arrivare ai Giardini Naxos. Qui, in seguito a un ictus, è ricoverato suo padre Sergio che Giuseppe non vede da molto tempo. Mentre il padre racconta il passato, il figlio ascolta e ricorda. Gli anni silenziosi dopo la morte della madre, una nuova famiglia, la nonna Annina a fare da legante fra presente e passato, tre fiabe raccontate quando Giuseppe era un bambino sono ora mappe della memoria per il Giuseppe adulto che servono a far emergere i motivi dell’allontanamento e quelli della solitudine.
Fausta Cialente, Cortile a Cleopatra, La Tartaruga Edizioni
Apparso per la prima volta nel 1936, torna in una nuova edizione il romanzo che fece conoscere al grande pubblico una delle scrittrici fondamentali del Novecento. Cleopatra è un quartiere di Alessandria d’Egitto: qui, in un cortile circondato di casupole corrose dal vento e dal salmastro, vive una variopinta dolorosa umanità, in pace sostanzialmente, nonostante la diversità religiosa ed etnica, ancorché straziata dalla difficoltà di vivere, tra le penurie, le invidie, le rivalità e le gelosie che si coagulano intorno alla figura di Marco; il bel Marco, un po’ ribelle, un po’ sognatore, un po’ fannullone, figliol prodigo che torna, dopo anni, dalla madre. Sarà lui, con il suo comportamento innocente ed egoista, a far scattare la catarsi del dramma, sotto il sole tropicale, nel brulichio di colori, di profumi, di luci e di ombre lunghe. «Si fece ombra con le mani sugli occhi e guardò a est, e poi verso terra la stazione di Cleopatra. Le case intorno al cortile erano le ultime sulla spiaggia, sull’orlo della scarpata, sole in mezzo all’ondulazione dei terrapieni deserti; piccole e basse, pitturate all’esterno di un rosa stinto e scalcinato, animato dallo svolazzare dei bucati tesi a festoni, in alto sui terrazzi. I fiori crescevano un po’ dappertutto, lungo i muri, lungo i pali, intorno alle porte ed alle finestre. In mezzo si vedeva sorgere la testa verde del fico».
Marco Avonto, Gli irredenti, Morellini
Borgo Alamo, 1997. Durante una battuta di pesca lungo il torrente, Pietro – un adolescente dal carattere schivo – scopre inavvertitamente che il figlio del sindaco del paese, Tommaso Pastore, detto il Bue, sta avendo rapporti omosessuali con un ragazzo di Alamo. Il Bue, temendo che la storia trapeli, affoga il ragazzo e decide di comprare il silenzio del suo amante. Il sindaco, per salvare il figlio, decide di risolvere la situazione nell’unico modo possibile: trovare un capro espiatorio. Contatta Landi – il padre alcolizzato di un ragazzino rimasto menomato in seguito a un incidente – offrendogli un compenso affinché incolpi il proprio figlio per la morte di Pietro. Ma qualcosa va storto e il Bue deve scontare la sua pena in carcere. Solo molti anni dopo, nel 2017, uscito di galera, il Bue proverà a trovare un’occasione di riscatto quando incontrerà Chiara, la figlia di un’altra “marginale” di Borgo Alamo con una difficile situazione familiare alle spalle. Nel legame, improbabile e traballante, che si crea tra i due, si intravede l’unica possibilità di redenzione dei personaggi del romanzo, che scopriranno quanto certi debiti siano costosi da saldare.
Salvatore Massimo Fazio
Il link alla segnalazione su SicilyMag: https://bit.ly/3jy1np1
Ho letto VIALE DEI SILENZI di Giovanni Agnoloni, collega scrittore e traduttore, con il quale condivido un impianto di vita che ci ha visto partire dalla Toscana molto giovani per vagare in giro per l’Europa. Edito da Arkadia Editore, Collana Senza Rotta, è un libro che ho letto con grande piacere, mi ha davvero trascinato nella lettura. Ho amato sia lo stile che la trama, e soprattutto, il tono, intenso ma pacato, che Giovanni è riuscito a mantenere sempre, anche quando la storia incalza di eventi e emozioni: sarebbe facile perdere il controllo, se non si possedesse una consapevolezza del pari di quella che lui mostra di avere. Il titolo rimanda inequivocabilmente a un capolavoro cinematografico di Billy Wilder, Viale del Tramonto, ma la nostalgia, l’aria di decadenza che qui si respirano non sono quelle del cinema o di qualche altra forma espressiva, bensì proprio quelle della nostra società, della nostra idea di Europa, e anche della nostra idea di legame famigliare. Uno scrittore che rincorre un padre in fuga tra vari paesi: l’Irlanda, la Polonia, con una tappa berlinese. Siamo al cuore della cultura occidentale, del nostro sistema sociale, che rivela crepe, incongruenze. Il protagonista Roberto le vive sulla pelle, le fa sue, e inizia un percorso di ricerca del padre che è anche tutto introspettivo, di autoanalisi, mentre è anche un percorso antropologico. Si parte da una Firenze aliena, globalizzata e irriconoscibile, per toccare gli angoli di un paese che nell’abbattere le proprie frontiere le ha spesso violate. Il libro è uscito alla fine del 2019 ed è rimasto imbrigliato nei “silenzi” non del titolo, ma dei primi periodi pandemici, quando non sapevamo ancora come comportarci di fronte alle nuove disposizioni; oggi ci siamo senza dubbio maggiormente scaltriti. Meriterebbe di tornare dal vivo tra i potenziali lettori. Intanto l’attività di scrittore e traduttore di Giovanni non si è lasciata scoraggiare, e mentre è uscita per La Nave di Teseo la sua traduzione della biografia di Kamala Harris, la vice-presidente USA, la prima donna che ricopre questo ruolo, la sua penna ha firmato un’altra bella storia sull’Europa, Berretti Erasmus, uscita per Fusta Editore. Qui trovate il link al Booktrailer (https://fb.watch/5byRlkWhD_/).
Di seguito invece, uno stralcio da “Viale dei Silenzi”, e una breve biografia dell’autore.
Buona lettura a chi si incuriosirà e vorrà entrare tra le pagine di Giovanni Agnoloni.
“Firenze era il luogo da cui ero partito e che avevo digerito e rimosso, come un fattore matematico irrilevante ai fini del risultato. Varsavia era stato un territorio di confine, un cuscinetto naturale che, dopo aver ingenerato l’evento-rottura della mia vita – la tua scomparsa – mi aveva preparato a questo recupero, sempre più somigliante a un’esca lanciata in un mare ignoto, per catturare chissà quale misteriosa preda. Dublino, angolo del mio passato, adesso riemergeva trasmutata, benché sempre uguale a se stessa, nella sua eterna sintesi di allegria e malinconia. Ma qui, nella vasta area verde del Trinity College, di tutto ciò percepivo solo un’eco remota. Ero come su uno scoglio isolato in mezzo all’oceano, preso a osservare l’alternanza dei flutti e i moti sommersi di creature profonde, destinate forse a venire in superficie per parlarmi. Pur muovendomi, rimanevo fermo, ancorato a un centro intimo di gravità che sapeva di famiglia, di luoghi consueti, di abitudini rassicuranti. Era come se questa fosse sempre stata casa mia. Passai accanto alla scultura sferica di Arnaldo Pomodoro, che evocava un pianeta progettuale, un frammento dentellato di universo capace di scivolare nelle pieghe dello spaziotempo, immune da masse tali da alterarne il fluido, inerziale procedere. E così feci anch’io, pensando che tutto è uno, che ogni aspetto della vita si specchia negli altri, finché non se ne prende atto e si smette di attaccarsi a cose e persone. Restituendo loro la libertà che per definizione ci appartiene. Io, però, non potevo ancora riuscirci, perché avevo te e Erin da ritrovare. Senza decifrare il vostro mistero, non avrei mai potuto essere completamente libero”
Giovanni Agnoloni (Firenze, 1976), è uno scrittore, traduttore letterario e blogger. Autore del romanzo di viaggio Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (Fusta, 2020), del romanzo psicologico Viale dei silenzi (Arkadia, 2019) e della quadrilogia di romanzi distopici raccolti nel volume Internet. Cronache della fine (Galaad, 2021, in prossima uscita), ha scritto, curato e tradotto vari libri sulle opere di J.R.R. Tolkien, e tradotto libri su William Shakespeare e Roberto Bolaño e opere di Jorge Mario Bergoglio, Kamala Harris, Arsène Wenger, Amir Valle e Peter Straub. Il suo sito è www.giovanniagnoloni.com.
Anna Bertini
Il link alla recensione su Le parole oltre il Cassetto: https://bit.ly/3aUSqSu
Questo elenco dei libri che ho letto nel 2020 fa parte de La mia biblioteca dove sono riportati anche gli elenchi degli anni precedenti.
Il link alla segnalazione sul sito di Sergio Calamandrei: https://bit.ly/2LWbart
Roberto è un giovane scrittore fiorentino provato da una serie di difficoltà: il suo matrimonio è naufragato, suo padre è scomparso senza lasciare traccia ormai da quattro anni e sua madre, una donna enigmatica e scostante, si rifiuta di parlarne e si è rifugiata nella casa al mare. Roberto lascia Firenze, città che a questo punto detesta, e si trasferisce a Varsavia con due obiettivi: cercare il padre, un uomo che per lavoro aveva agganci e conoscenze in Polonia, e finire un romanzo che sta scrivendo. Comincia così un pellegrinaggio che lo porterà da Varsavia a Berlino e a Dublino, fino nel lontano Donegal. Si tratta di una vera e propria inchiesta, che lo porterà a formulare varie ipotesi riguardo alla sparizione del padre, ma anche di un viaggio interiore, nel corso del quale il giovane imparerà a conoscere meglio se stesso e ad affrontare alcuni nodi irrisolti. Giovanni Agnoloni ci regala un romanzo dal ritmo non serratissimo, capace tuttavia di tenere avvinto il lettore, che desidera arrivare, insieme al protagonista, alla scoperta della verità, che come ogni verità umana si presenta fragile e sfaccettata. Nello stesso tempo scava nella psicologia dei personaggi con grande sensibilità, aiutato da una lingua molto curata, semplice e ricercata al tempo stesso, ricca di immagini e metafore suggestive.
Giovanni Agnoloni, Viale dei silenzi, Arkadia editore
Marisa Salabelle
Il link alla recensione su i Libri di Mompracem: https://bit.ly/2RycWhG
Buona lettura è una rubrica curata da Mara Pardini. Uno spazio per “assaggiare” libri buoni, ovvero utili, piacevoli, intelligenti, capaci di lasciare un segno nell’immaginazione di chi li sfoglia. Un taccuino per catturare le impressioni, i messaggi e le parole che escono di pagina in pagina ma anche per incontrare scritture nuove e legate all’attualità. Un angolo per parlare di libri e condividere il gusto di una buona lettura.
Nasce così, da un’insopprimibile esigenza di capire, cresciuta in luoghi diversi e distanti, legati solo dal filo del ricordo: Firenze, Varsavia, Berlino e l’Irlanda diventano lo sfondo del viaggio della memoria di Giovanni Agnoloni in Viale dei silenzi (Arkadia Editore).
Roberto, il protagonista di questo viaggio, è uno scrittore che affronta il passato e la ricerca del padre che lo ha abbandonato attraverso il libro che sta scrivendo, un “personalissimo viale dei silenzi” pervaso da momenti svigoriti, sopraffatti e destinato ad un futuro incerto, forse inesistente. La lenta messa a fuoco degli incontri e delle situazioni, spesso inespresse e apparentemente irreali, lo mettono a contatto con tutte le opportunità offerte dalla solitudine o, meglio, dall’abbandono, in un crescendo di mistero. Ecco allora che il “Viale dei silenzi” si profila come la storia di un uomo che ha bisogno di provarsi e di ritrovarsi in un modo nuovo, passando dentro al libro per arrivare dentro la propria vita. La ricerca del padre – e quindi di se stesso – è continuamente compromessa sino all’incontro con la giovane musa Erin, una giornalista enigmatica che potrebbe aiutarlo e incollare i pezzi della sua storia. Gli occhi di quella sconosciuta forse hanno il sapore della verità in una realtà gremita di persone, vicende e luoghi diversi che non concedono pace a Roberto, tanto da scivolare via rapidamente, risucchiato di continuo dalla febbrile ansietà di sapere. Dall’incontro con Erin la vicenda è un susseguirsi di vibrazioni, dolci e amare, che può applicare solo chi, questa volta, decide di giocare la partita decisiva con la propria esistenza. L’apparente disordine delle cose, il non detto e il non finito delle due storie parallele del romanzo (quelle di Roberto e di Erin) che ad un certo punto riescono ad intrecciarsi, ben rispondono all’intenzione di scavare ancora più a fondo per far tesoro di quanto accaduto. Quella sfiduciata inquietudine che tanto ha caratterizzato il percorso umano e intellettuale di Roberto, finalmente trova un senso, ben espresso attraverso la padronanza della lingua che accompagna, con semplicità e lucentezza, il destarsi di una coscienza. Agnoloni compone una storia animata da contrastanti tensioni e legata da una sua coerenza interna, che risponde alla voce piena e non più discorde di chi, dell’esistenza, ora può sperimentare non più solo disinganno e sofferenza. Di chi si è finalmente risvegliato, è cambiato e ora può vivere con pienezza e andare un po’ più lontano.
Mara Pardini
L’aria di Varsavia, cenere immateriale senza nome, uniforme, in cui la vita si dipana vociante ma come se fosse lontanissima, ha, nel momento in cui ci si ritrova in mezzo, un aspetto particolare, che ben si intona e si amalgama a quella che avverte essere come la sensazione che connota e caratterizza, in quel preciso momento, l’intera sua esistenza: qualcosa che non sa definire in altro modo che non con la parola inconsistenza. Non conta più il tono medio dei suoi giorni. Sente attorno a sé come se tutto si stesse svuotando; come se fosse in un gorgo. La vita è scivolata in uno stato di apnea; le cose appaiono traslucide, prive di sostanza, come quando nessuno rivolge loro lo sguardo. Sente di star diventando invisibile. Percepisce intorno a sé sempre di più una garbata e imperturbabile indifferenza. Ha l’idea che sia così da quando ha intravisto per la prima volta quella che chiama la parentesi aperta che ha dentro di sé da quando – non sa dire il momento esatto – lui se n’è andato: il calzino umido e appiccicoso del mondo ha cominciato a capovolgersi, sfilandosi dai suoi piedi indolenziti. È nudo a contatto col suolo…
L’Europa non è solo lo sfondo per il viaggio di ricerca del protagonista del romanzo, che si muove fra Varsavia, Berlino e l’Irlanda (ogni tanto emerge, dimensione ancestrale e vera e propria reminiscenza, anche la Toscana). È a sua volta una delle interpreti principali di questa narrazione simbolica, densa, intensa, raffinata e potente, che si dipana attraverso un numero abbondante di rimandi e citazioni classiche, che l’autore ha fatto sue, fondative nel proprio lessico familiare e della sua poetica. Giovanni Agnoloni, fiorentino, autore di molte pubblicazioni (questa è la sua prima, in ambito narrativo, non fantasy), dottore in Giurisprudenza, saggista esperto di Tolkien, di cui ha studiato le opere soprattutto dal punto di vista delle sue corrispondenze con altri autori, anche classici, racconta un percorso. Prendendo le mosse da un monologo interiore narra una storia privata che si riflette in quella collettiva: il viaggio è quello fatto da parte di un giovane e archetipico romanziere inquieto e in crisi, segnato dalla perdita di una persona amata e rinchiuso nel suo mondo interiore, che col passare del tempo però gli appare sempre meno rassicurante. Vuole conoscere e riconoscere, pure in tutto ciò che lo circonda, un padre scomparso, immergendosi nel passato, nella memoria, nel terreno delle sue radici identitarie e culturali. Ma la scomparsa di una persona è la scomparsa di un mondo, tutto quello che questi nel suo “piccolo” rappresenta, e oltre a misteri, enigmi e segreti, il protagonista incontra anche una donna, che incarna l’ispirazione, la musa: non può dunque rifiutare la presa di coscienza, la nuova consapevolezza necessaria per affrontare un tempo in cui tutto sembra lecito, specie l’illecito, appare scomparso un intero sistema di riferimenti e valori. Agnoloni riflette dunque così senza retorica e con profondità sull’alienazione dell’uomo nel tessuto sociale.
Erminio Fischetti
“Per me scrivere significa dar voce alla parte più profonda di me”. Intervista allo scrittore Giovanni Agnoloni
Ho conosciuto Giovanni Agnoloni in occasione dell’intervista che gli feci per Toscanalibri.it, relativa al Connettivismo, la corrente letteraria alla quale era ascrivibile il suo romanzo distopico “L’ultimo angolo di mondo finito” (Galaad Edizioni, 2017). Da allora ho seguito con interesse i numerosi eventi e le pubblicazioni di questo giovane scrittore di narrativa e saggistica, che è anche traduttore dall’inglese, dallo spagnolo, dal francese e dal portoghese e conosce correntemente anche il polacco. È indubbiamente un autore poliedrico, ma soprattutto un poliglotta e globetrotter, visto il suo amore per i viaggi e per i paesi del Nord Europa. Dice di sentirsi felice in Irlanda, è vissuto a lungo in Polonia, è di casa in Germania, ma vive a Firenze, a cui lo unisce un filo sottile eppure indissolubile. Forse per questo, il suo ultimo romanzo “Viale dei Silenzi” (Arkadia Edizioni, 2019) vede protagonista un uomo inquieto che si muove tra Polonia, Irlanda e Germania, nel tentativo «irrimandabile» (p. 10) di lasciare Firenze.
Viale dei Silenzi – Il romanzo si innesta sulla ricerca del padre, una figura evanescente eppure sempre presente nella mente dell’io narrante, così tanto che, persino inconsciamente, diviene punto di riferimento di ogni sua azione: «La scrivania, che spiccava col suo dignitoso marrone sull’indaco pallido della carta da parati, era in ordine: il portatile, il mio taccuino degli appunti, una penna. Non avevo mai perso l’abitudine di scrivere prima a mano. Era una necessità fisica, di contatto con le cose. Mi aiutava a sentire che la realtà era ancora solida, che il macrocontenitore in cui mi muovevo in cerca di un significato non era prossimo a sfaldarsi in un’entropia di calcinacci. Così, con una gradualità costante, quel libro era venuto prendendo forma. Un romanzo che avrebbe dovuto riguardare tutt’altro, ma che aveva finito per parlare di te. O forse con te.» (p. 9). E, come il dialogo col padre è pressoché inevitabile, altrettanto appare esserlo la presenza di Firenze, città rifuggita, le cui continue epifanie rendono questo romanzo affascinante per la capacità di rendere protagonista tutto ciò che si desidererebbe eludere. Forse per questo, a mio avviso, “Viale dei silenzi” è una quest avvincente, un tentativo di ritrovare se stessi attraverso la figura paterna e di sentire l’appartenenza alle proprie radici in un altrove – Polonia, Irlanda, Germania – conosciuto e amico, quanto straniero e distante dalla propria città che instancabilmente e immancabilmente continua ad apparire, improvvisa e imprevedibile, agli occhi dell’autore.
L’intervista
Giovanni, che cosa ha rappresentato per te scrivere “Viale dei silenzi”?
È stata un’esperienza nuova rispetto al passato, perché si tratta del mio primo romanzo – parlando almeno di quelli editi – totalmente realistico, nel senso di “privo di aspetti distopici”. Nello scriverlo mi sono però reso conto che addentrarsi nei territori della memoria significa misurarsi con una serie di “demoni” – da intendersi sia in senso negativo, sia, socraticamente, come tramiti verso una comprensione più alta e complessiva delle cose – che appartengono a questo mondo, ma in realtà vanno anche oltre, se non altro nel senso che scendono nel nostro profondo. Con tutto ciò, come ho specificato nella pagina finale dei ringraziamenti, questo non è un romanzo autobiografico, perché, pur prendendo come spunti alcuni luoghi e momenti che ho vissuto e conosciuto personalmente, tratteggia una vicenda familiare del tutto altra da me. Ma certo ripercorrere nella finzione letteraria luoghi per me fortemente significativi come Varsavia, Berlino e Dublino è stata un’emozione speciale. Come guardarsi in uno specchio dopo tanto tempo e scoprirsi profondamente cambiati – tanto da non essere più “sé”, ma i personaggi e gli ambienti che formano la storia.
Chi è il lettore ideale di “Viale dei silenzi”?
Bella domanda. Mi verrebbe da rispondere “chiunque”, perché spero che lo leggano tutti. Ma cercherò di essere più preciso. È un libro che unisce le caratteristiche di una storia avvincente con i tratti tipici di un romanzo psicologico. Ed è scritto – come peraltro tutte le mie cose – con una mano che cerca di dosare semplicità e lirismo, per cui utilizzo sì espressioni poetiche, ma senza lasciar mai che prendano il sopravvento. Protagonisti devono sempre rimanere i personaggi, la storia e i luoghi. Perché, come giustamente ha detto lo scrittore Paolo Ciampi, co-direttore della collana “Senza rotta” che ospita il romanzo, questo è un libro di luoghi. I luoghi sono veri personaggi, che esplicano tutta la loro energia e la forza delle loro atmosfere. Per cui lo si può senz’altro considerare anche un romanzo di narrativa di viaggio, peraltro arricchito dalla presenza di una componente “investigativa” (o per lo meno di ricerca) che, se non lo rende un giallo in senso stretto, potrà sicuramente farlo amare pure dai fan di questo genere.
Può la scrittura essere ancora oggi un mezzo per raggiungere la parte più vera e più profonda del sé?
Assolutamente sì, come del resto ogni forma d’arte. Per me scrivere è sempre stato un momento essenziale di scavo interiore – e ripeto, non nel senso che nei miei libri parli di me, ma che quello che scrivo corrisponde ai percorsi di autoconoscenza che sto seguendo. Del resto, studio anche chitarra classica col Maestro Ganesh Del Vescovo, grandissimo compositore e cultore del suono, che mi ha permesso di addentarmi ancor più a fondo nelle potenzialità che questo ha di metterci in sintonia con la parte più intima e autentica di noi stessi, il Sé, appunto. Al contempo, sono da anni un fruitore della medicina olistica e vibrazionale, che ha come obiettivo la ricerca della salute attraverso l’individuazione e la realizzazione della vocazione più autentica della persona, e quindi il desiderio da attuare per la vita, che è appunto espressione del Sé. Quindi per me scrivere è sempre stato, ed è principalmente oggi, una ricerca artistica volta a dare voce alla parte più profonda di me, qualunque sia la forma esteriore che le mie storie assumono.
Serena Bedini
Viale dei silenzi – Giovanni Agnoloni
Quella di Roberto non è una memoria silenziata da un trauma, ma un nastro che va riannodato. Suo padre è scomparso misteriosamente. Ha lasciato poche tracce, eppure, bastano per iniziare la ricerca. Ma partiamo dalla domanda più semplice che il lettore si porrà dopo aver sfogliato le prime pagine di questo romanzo: chi è Roberto? È uno scrittore girovago, spaesato, in preda al sonno della ragione. Il sonno della ragione non spinge solo alla brutalità, ma può essere legato ai concetti di dissociazione, illogicità, vittoria dell’intuizione. Infatti, noi siamo sempre portati a creare un parallelismo tra Ragione e Logica, due elementi attraverso cui leggiamo il mondo razionalmente. Ciò che accade deve avere un preciso collocamento e tutto quello che non è classificabile viene eliminato. La memoria invece se ne infischia delle regole, non bada alle dinamiche dello spazio-tempo, non conosce l’entropia, non ammette limitazioni. Il ricordo ci assale quando meno ce lo aspettiamo; sfrutta un particolare, un oggetto o un soggetto del presente per riapparire dal passato remoto. Il ricordo, insomma, è il senso della nostra durata, ma qui mi fermo perché non mi va di scomodare Peter Handke. Roberto è tutt’uno con la sua memoria che riemerge all’improvviso. I suoi ricordi sbocciano senza un ordine, senza una logica, infrangendo le regole. Lui va alla ricerca di suo padre seguendo un itinerario emozionale che lo porterà ad attraversare Varsavia, Berlino e l’Irlanda. L’origine di tutto: la Toscana. Da qui prende vita quel nastro da riannodare. Come nei migliori romanzi, che sposano il mito per appartenere alla storia, anche Roberto potrà contare su un filo-guida di una innamorata Arianna, la cui immagine salvifica sarà però macchiata dalla paura del protagonista di precipitare nell’abisso del non senso e dell’oblio. Certamente, sul romanzo aleggia molto lo stile di un altro grande della letteratura mondiale, ossia, Patrick Modiano, investigatore dell’anima e della memoria nonché cesellatore di personaggi-sospesi. Tuttavia, Giovanni Agnoloni utilizza una scrittura raffinata e ricercata, capace di costruire un personaggio che oscilla tra la fiducia e lo scetticismo in ciò che vede. Ma c’è un altro punto da tenere in considerazione. Roberto deve riannodare il nastro della memoria, quindi, risalire alla causa scatenante che ha spinto il padre a fuggire; inoltre, la ricerca del padre è anche ritorno al totem, quindi, tutto può assumere le sembianze di un intimo regolamento di conti. Ma questo è un altro discorso.
Martino Ciano
(Firenze 1976) è uno scrittore, traduttore letterario e blogger. È autore del diario di viaggio Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (2020) e della quadrilogia
di romanzi distopici raccolti nel volume Internet. Cronache della fine (2021). Per Arkadia Editore ha pubblicato Viale dei silenzi (2019). Il suo sito è www.giovanniagnoloni.com.