Arkadia Editore pubblica Quaderno d’inverno, la prima raccolta di poesie di José Luis Cancho. La silloge è stata tradotta da Marino Magliani, che come sempre ci restituisce una traduzione eccellente.
In Quaderno d’inverno l’autore osserva il mondo, quello che conosce, quello che gli sta davanti e quello che appartiene al passato. Il poeta si dice stanco, e forse lo è davvero. José Luis Cancho scrive poesie che affrontano l’attualità, adottando, consciamente o inconsciamente, uno stile che, per certi versi, può essere accostato a quello di José Saramago. Quaderno d’inverno disegna personaggi, oggetti, situazioni e paesaggi, cioè la vita di tutti i giorni; il poeta non cede facilmente alla tentazione di estrinsecare in maniera netta il proprio giudizio, mantiene quasi sempre una accorta quanto fragile distanza dall’oggetto poetico: “Rimpiango la tua pelle: / e le mie notti diventano / un lago malato. // Uccelli stanchi / osservano dalla riva / l’acqua disperata.” (da Quaderno d’inverno, Dell’abbandono, II, pag. 24). In Quaderno d’inverno di José Luis Cancho troviamo l’umano esistere, che procede a volte con non misurabile speditezza, a volte con estrema lentezza. Gaston Bachelard evidenzia nel suo saggio La poetica dello spazio che “l’immagine poetica emerge dal cuore, dall’anima, dall’essere dell’uomo colto nella sua attualità”. José Luis Cancho, poeta e scrittore, nel 2018 ha ottenuto il Premio della Critica di Castilla y León con la sua opera autobiografica I rifugi della memoria (Arkadia, 2020). È stato un attivo militante antifranchista prima di dedicarsi a una vita nomade e alla scrittura. Quaderno d’inverno segna il debutto di José Luis Cancho nel vasto mondo della poesia.
Giuseppe Iannozzi
La recensione su Fai.informazione.it
Cosa può fare la Letteratura in un tempo in cui la realtà, spesso manipolata dalle alte sfere, pare non offrire più alcuna via di uscita? Può essa costituire un’isola felice, un rifugio, o non sarebbe, piuttosto, il caso essa offrisse quell’angolo visionario da cui trarre forza per continuare a credere di potere dare alla realtà una forma immaginata e conforme a un piano dei desideri? Trattasi, quest’ultimo, di quello strato dentro cui si perdono le mancanze e i bisogni più profondi di chi sceglie di votarsi alla logica dell’immediato soddisfacimento di mancanze e bisogni più superficiali e più facilmente realizzabili dal sistema che tiene al guinzaglio le innumerevoli potenziali teste pensanti. Esiste un modo per sovvertire lo stato delle cose ed esso coincide con il non rinunciare ad essere teste pensanti. La Letteratura è, a ben guardare, un potente strumento in questa direzione, anche laddove non sia esplicitamente uno scritto dal sapore politico. Allora, qui, come piace fare a noi, partiamo dall’irrisolto, per prevalente logica dell’intero, per viaggiare, scegliendo di fare entrare, nello spazio del nostro pianeta, un elemento spesso imprescindibile della narrazione, eppure in sé potenzialmente irrisolto, quel paesaggio che, tanto caro ad alcuni scrittori, può essere solo un paesaggio o molto di più o, forse, nell’istante in cui è solo il paesaggio, qualcosa di talmente dirompente da potere stravolgere lo sguardo verso l’orizzonte. Questo perché, condizionati da ciò che il nostro sguardo include, per merito della parola di chi scrive, potremmo imparare a concepire diversamente, rispetto al pensiero imposto, il nostro domani. Chissà. Lavoro estremamente sottile, che necessita per svolgersi di un sostrato adeguato, di quelle nicchie dentro cui ci intrufoliamo volentieri. E di libri, dunque. Quelli che oggi ci aiutano a compierlo, il lavoro e ancora prima il viaggio, libri che sanno di posti lontani e vicini, di epica e forza immaginativa, di ciò che è a un passo da noi, ma che di noi racchiude anche l’altrove possibile.
Diventa, in qualche modo, un altrove, Lanzarote in un omaggio all’isola che si vorrebbe imporre esclusivamente come una guida integrale, ma che è molto di più, nell’atto in cui il potere della Letteratura travalica l’esistente talvolta anche per connotarlo, restituendogli un passato, un intreccio di vicende, dei personaggi e tutto ciò che occorre perché la Storia non passi senza lasciare memoria su di esso. È l’insolito omaggio all’isola natia che compie Agustin Espinosa in un recente titolo edito da Arkadia, nella serie Xaimaca, traduzione di Alessandro Gianetti: “Lancillotto 28°-7°”. Lo scrittore, nato sul finire dell’800, appartenente al filone surrealista e poco conosciuto nel nostro Paese, ci offre lo spunto ideale di partenza per l’approccio al discorso da cui abbiamo scelto di compiere questa peculiare navigazione che avrà un approdo nel nostro Paese in città dominate dal mare passando per la Corsica e, forse, anche da certe piccole realtà di provincia che, come Bologna nello sguardo di Luca Carboni, sono densamente popolate di quella giallognola malinconia dietro cui si annidano le nostre fragili resistenze a un tempo che si impone con la sua arroganza, avanzando veloce verso una fine collettiva. In un breve accenno introduttivo morfologico, Espinosa ce la racconta brevemente: l’isola più orientale dell’arcipelago delle Canarie, ricorda un cavalluccio marino che salta un ostacolo o, meglio, prossimo a saltare l’ostacolo blu che lo separa dall’Africa, in un delicato gioco di equilibri e attrazioni che gli impongono una necessità identitaria per sfuggire all’ingordigia africana. Sarebbe un punto nel nulla di fronte al resto intorno, che sia il mare o l’imponenza del continente africano, se non fosse per l’opera che lo scrittore spagnolo sceglie di dedicare ad essa, raccordando al suo smarrimento un processo di costruzione di identità che non può assolutamente prescindere dalla Letteratura, da uno sguardo epico, da una memoria che, anche se fittizia, ha la forza di una visione, nasce dal congiungere fatti, personaggi e storie a luoghi differenti da quelli per cui in origine sono stati concepiti e non per questo perde il ruolo di essere il sostrato insostituibile del nostro presente. Perché la Letteratura ha la forza di generare mondi, di dare sostanza e credibilità a ciò che la mente esclusivamente razionale e scientifica non riuscirebbe non solo a tenere in piedi, ma neanche ad accogliere nell’universo delle infinite possibilità.
In fondo, ce lo dice chiaramente l’autore: “La letteratura deve imporre il proprio ritmo vivo alla terra inedita. Non è stato altrimenti che il mondo ha visto per secoli l’India creata da Camoens o la Grecia di Omero, la Roma di Virgilio, l’America di Ercilla o la Spagna che inventarono i nostri romanzi antichi. Una terra senza una forte tradizione, senza un’atmosfera poetica, soffre la minaccia di un fatale offuscamento”. Questo spiega abbondantemente l’urgenza della creazione di un mondo poetico, di una mitologia trainante che abbiano il potere di dare alla vita una Lanzarote diversa, non più destinata a non passare al setaccio della memoria, ma qualcosa che resta, in cui sir Lancillotto possa muoversi liberamente, entro i margini che ne segnano la fine storica e geografica, possa confondere i piani, generare quella confusione dentro cui può farsi strada un immaginario, una nuova storia, una geografia integrale di Lanzarote, come la chiama Espinosa. Isola di penitenza, ma anche isola di ritiro, in cui rivedere il passato, “il suo nordico innamoramento”, “il suo tristanismo dei vent’anni”. Per merito di Lancillotto, l’isola si riempie di castelli britannici e labirinti sotterranei, diventa il palcoscenico epico di un imponente apparato cavalleresco, luogo di elezione in cui leggere Omero, Lucano, Apollonio Rodio, in cui portare l’epica nell’epica dimenticando il nulla a cui la confinerebbe la realtà sterile, incrementando il potere visionario, omerizzando, mediterraneizzando l’esistente fondato già su una finzione, la bugia necessaria alla sopravvivenza dell’isola. Non solo luogo di memorie, non solo stimolo alla rievocazione di antiche gesta, ma anche testimonianza dell’ultimo scorcio di vita di Lancillotto, delle sue abitudini e dei suoi diversivi, oltre che suo approdo finale nell’ubicazione di un sepolcro da omaggiare. Espinosa non si accontenta di percorrere esclusivamente questa via, mescola le carte e le confonde, ancora una volta: così c’è anche spazio per il cammello di Lanzarote, cammello con aratro, attore dalla grazia triste, dall’arte incompresa, cammello per pochi, c’è spazio per la geometria orizzontale e bianca di Nazareth, composta di parallelepipedi terrestri che si specchiano nei prismi generati dalle nuvole basse nel cielo che la sovrasta e dove aria e cielo restituiscono la densità e l’esistenza delle cose, c’è spazio per Mozaga che, in un gioco di dadi e destini, complice il vento, si allontana o si avvicina rispetto alla sorella Nazareth, in un equilibrio deciso dal fato più o meno propizio e dalla direzione che assume l’idea di liberazione. E, poi, c’è il vento, grande cacciatore di retorica, vento instabile per definizione che attraversa il deserto del Sahara e l’Egitto delle piramidi, nel tentativo di assecondare la sua anima eroica, e che rappresenta esso stesso un eroe, un eroe marino, ma non come Odisseo specificamente marino, un eroe dall’eroismo spezzato in terra che, interrotto nel suo affacciarsi intrepido alle cose, rompe i tempi classici, tarda l’arrivo a destinazione e se ne serve per cogliere la forza dell’attimo nell’esercizio del presente che si dipana nella sua certezza, l’unica, che abbia in sé un tremito, di cui si possa godere. E, così come c’è il vento, c’è anche la palma che, col vento di Lanzarote, diventa giostra, mulino, roulette, diventa le infinite possibilità di ciò che potrebbe essere per assimilazione o invidia, ma non è, se non con la complicità di un eroe fondamentale dell’isola. Allora, accade che il mulino, segno d’Occidente, vada a congiungersi con la palma, segno d’Oriente, preannunciando, quando ci si muova nei pressi di Tinajo, ciò che sarà la mostra bizantina di quel luogo, non solo con la chiesa, il sacerdote, la casa cupolare e i camini, ma anche nell’immaginario che lo sovrasta, perché le fonti per potenziarne la visione non saranno più Correggio o Rousseau, ma tutto ciò che è ad est, mentre la storia si tingerà degli umori russi, rievocando le gesta di cavalieri russi nel galoppo dinamico di un giovane monaco tuttofare a presidio della chiesa, destinato a scendere da cavallo per indossare le vesti ufficiali del pope. Ai piedi della montagna di Guanapay c’è Teguise, accostato all’immagine di un angelo custode, un paese, piccolo, ma vivace, pieno di donne dalla camminata da giaguaro e dallo sguardo da spose di un film yankee, paese di nascita dell’autore di “El Pensator”, quel Clavijo y Fajardo, che dovette imparare dal luogo una fiducia nel destino che nessuno è in grado di trasmettere, congiungendo in maniera maldestra e disonorevole per la malcapitata le vicende spagnole a quelle francesi in un turbinio di vortici amorosi inconcludenti. E non finisce qui il percorso narrativo che si avvale anche di ulteriori contributi: della partecipazione del soleggiato pozzo di Lanzarote, dell’ordine classificatorio degli ospiti di Puerto de Naos, di quello che Espinosa definisce “un pezzo di blu rubato all’Oceano”, il lago di Janubio, col suo variegato popolo di pesci, le sue paludi salmastre, i suoi uccelli bianchi che lì fanno regolare tappa, le sue saline in cerca, senza esito finale, di una forma non ancora inventata che le rappresenti davvero, esattamente come le donne, saline tanto bianche da potere essere dolci in un latte cristallino e tanto audaci da generare un paesaggio innevato, da confondere i piani, l’orientamento, la navigazione, latrici di un sale da pescare con le canne esposte alla luce della luna. C’è, infine, spazio per Arrecife, paese con la paura del mare, condannato dall’Oceano in uno spavento perenne, quasi non vi fosse altra scelta, se non l’abdicazione di ogni forma esistenziale di fronte alla precarietà che si affaccia prepotente, salvo l’accettazione della medesima come compagna indispensabile di un percorso che è contaminazione di opposti, come d’altronde l’intera isola insegna, tanto nella sua morfologia fisica quanto nella sovrastruttura epica, mitologica, immaginaria sapientemente realizzata su di essa da Espinosa. Il libro, edito da Arkadia, ci restituisce un’altra isola, un’altra Lanzarote, quell’angolo dell’immaginario che, sostenuto dal mondo letterario, genera una terza via, quella che il lettore ha il potere di costruire, quella che ancora non esiste, un orizzonte ai confini imposti, più o meno esplicitamente, dalle politiche e dall’agire umano nel quotidiano di questo tempo. Fa qualcosa di simile, ma addentrandosi in piani più intimi, senza volerlo dichiarare a chiare note, in una ritrosia da uomo di mare, seppure “valligiano” di nascita, che rifugge i fini esperimenti dell’altro, Marino Magliani in un omaggio, edito da Oligo, alla condizione di viandante instabile perennemente in cerca, fuori dai luoghi cari allo scrittore ligure, ma solo per il tempo di un viaggio, quello che il mozzo compie per pochi mesi, in un percorso di andata e ritorno che si susseguono senza mai sovrapporsi, da e per la Corsica. L’opportunità di un guadagno da studente, un fatto di lavoro come tanti, un imbarco per la Corsica Ferries e l’occasione di vedere finalmente il mare per colui che è abituato a una quota di fondovalle che ignora il mare, che il mare non lo vede, ma neanche lo sogna, ma che, se gli si rivela quale altrove o quale transito verso un altrove, diventa il viaggio per eccellenza, quello dopo il quale tornerà, ma non potrà dirsi più lo stesso. Perché se il luogo da cui origina il viaggio porta tendenzialmente con sé la matrice di un necessario immobilismo, il mare è il movimento verso un altrove. Che sia la Corsica o un altro luogo, anche metafisico, poco importa. E, in fondo, questo è l’altro punto che distingue i nostri libri: Lanzarote è terra natia, è luogo destinato al fermo immagine, se non ci fosse lo spirito creativo di Espinosa che magicamente, in un lavoro di surreale cesello narrativo, ne stimola il divenire in un altrove che congiunge il piano letterario con le benedette nevrosi da mancanza dello scrittore spagnolo, mentre la Corsica è solo la Corsica, un fantasmico traguardo che racchiude tutti i sogni di chi deve ancora partire per la grande avventura, quella della vita, traducendosi nello specchio dei desideri di chi dal traghetto immagina un altro tempo possibile, anche solo per la concessione di un pezzo d’estate. Così, tra il punto di partenza, Genova, vista dal mare, ma non ancora dal largo, come una scala gialla e grigia di case e terrazze, finestre verdi, e la Corsica, dalle alture dolci, non incombenti sulla città, l’immagine di una penisola perfetta, costituita di fatto solo dal muro alto del molo di Bastia, esiste il viaggio che nel punto di osservazione privilegiato del mozzo racconta molto, quasi tutto: lo svolgersi delle fatiche e delle miserie umane, delle speranze poco oltre l’approdo, ma anche la regolamentazione di un passaggio, di un transito necessario verso un altrove, attraverso la normazione, il processo con cui ci illudiamo di portare ordine nel caos dell’esistenza, confondendo spesso l’urgenza della norma, per non cadere nella barbarie, con la sua estensione applicativa, a mo’ di salvagente dalle tempeste destinate ad abbattersi sulla nostra imbarcazione. Il mozzo impara, sbaglia, si adatta, si conforma alle regole quel tanto che basta per incominciare a comprendere che sapore avrà la grande avventura che ancora lo attende, approssimandosi a connotare la libertà non come una fuga, ma riconoscendola in quel punto dell’orizzonte in cui si è giunti a destinazione, ma solo per ripartire ancora, che sia per tornare a Genova o un altro viaggio ha poca importanza. Cinque mesi di lavoro, oltre 150 viaggi in Corsica e l’isola paradossalmente, ma neanche tanto, un non luogo: la piazza-scalo, con la sua darsena, le sue barche, le gru, un aspetto mediterraneo. In fondo, un’isola come tante, anche nello sguardo fugace che il mozzo, curioso dello svolgersi dei ritmi della terraferma, le concede in una rapida tregua tra l’approdo e l’imminente partenza. A darle identità, anche solo nella contrapposizione, sono i desideri, lo sconforto, di chi è prossimo a salpare, a dare un’identità all’isola, è lo spettacolo del firmamento destinato a colmare il vuoto di chi, come molti, non ha ancora trovato ciò che cerca, neanche in Corsica, è la vita che pullula sulla nave, la pelle abbronzata delle turiste nordiche, l’uniforme di aspirante marinaio del giovane mozzo, la vita che si affaccia tra regole e falsi traguardi, il rumore dei motori dentro la cabina, il cigolio del traghetto, quasi un animale alle catene, lo sguardo sull’isola che, a distanza di poche ore, cambia, perché cambiano i passeggeri e i loro desideri, i loro sogni e le loro attese, nella regolarità di certi errori che il mozzo sa di potersi ancora concedere. Perché, oltre la Corsica, c’è ancora la vita ad attenderlo, ad attendere il mozzo, quel carico ancora in divenire che non ammette cedimenti alla malinconia e concede l’osservazione delle vite altrui senza il patimento di una compassione che l’età è destinata a riservarci. “Le Corsiche”, ci dice Magliani, “sono sempre state tante”, perché basterebbe “una condizione meteorologica diversa, una quota diversa, un’angolatura, un punto diverso della Liguria da cui cercare l’isola”. Forse, non diversamente da altri luoghi, ma con la complicità del mare che separa alcuni di essi dalla terraferma fino a renderli ideali catalizzatori di fumose e astrali dimensioni cariche di ciò che a terra non trova spazio. Il finale racconta il viaggio possibile del mozzo sull’isola, il viaggio mai compiuto, un’epica del racconto nel racconto che, come in Espinosa, colma una lacuna forse solo apparente, nell’istante in cui i luoghi sono anche la nostra memoria, nel cui funzionamento un ruolo determinante gioca la Letteratura quale stimolo alla sovversione della staticità del passato. La memoria può smuoverlo, quel passato, e la Letteratura può essere manifestazione dell’inaspettato movimento tellurico che potenzia, genera, amplia l’orizzonte, ben oltre la Corsica. Lo dice bene con la sua scrittura anche un regista mai ricordato abbastanza, come Carlo Mazzacurati, o un autore straordinario come Francesco Biamonti: l’uno, a Nord-est, l’altro a Nord-ovest, hanno saputo raccontare il senso del viaggio, la ricerca di un altrove, il primo più spesso nella direzione della meta, il secondo prevalentemente nello sguardo di chi rimane. Eppure tutti tradiscono il bisogno di una ricerca, un’inadeguatezza di partenza che è la benedizione di essere ufficialmente viandanti in una storia che lambiamo a tratti, il tempo necessario di accorgerci delle acque in cui stiamo navigando. Fragili creature di un mondo non sempre ospitale, cerchiamo tutti la nostra Corsica o di tornare in una rinnovata Lanzarote.
Mindy
La recensione su Mork Mindy Ork
A volte capita di leggere in sequenza libri che sono collegati da un filo sottile, che non ci vuoi trovare per forza, ma che in effetti è lì, per farsi cogliere ed evidenziare. L’ho notato mentre mi accingevo a scrivere di due testi inviatimi nei mesi scorsi da Tarka Edizioni, usciti nel 2024 ed entrambi legati a Marino Magliani, amico scrittore e traduttore con cui collaboro spesso a diversi progetti editoriali. E pensavo appunto di preparare un articolo solo su questi libri, quando mi sono reso conto che quel filo c’era, sì, ma si estendeva anche oltre, arrivando ad abbracciare altre mie recenti letture.
Andiamo per ordine: i due libri che ho menzionato sono Luogo a procedere. Viaggio in Liguria con Marino Magliani e Marco Ferrari, di Roberto Carvelli (con prefazione di Giacomo Sartori), e Dizionario universale delle creature fantastiche di Luciano Hernández, tradotto da Marino Magliani (con la revisione di Riccardo Ferrazzi e la curatela di Alessandro Gianetti).
Il primo fotografa il plurisfaccettato spiritus loci della Liguria, osservata tramite non solo i ricordi di Roberto Carvelli, ma un ricco campionario di citazioni letterarie attinte dalla produzione narrativa di Magliani e Ferrari (dei quali avevo in precedenza recensito il romanzo Sporca faccenda, mezzala Morettini) e da quella di grandi autori del passato, tra cui Italo Calvino, Camillo Sbarbaro e Francesco Biamonti, ma, ancor prima, di un classico della letteratura inglese come David Herbert Lawrence. Attraverso le loro pagine, intessute della stessa sostanza del binomio dialettico di mare ed entroterra che caratterizza questa regione dagli innumerevoli riflessi di luce e ombra, Carvelli si addentra nel mistero epifanico (aggettivo a me caro) dei luoghi, da intendersi principalmente come aloni mentali che legano il mondo al punto di vista di chi lo osserva e lo vive. Ne risulta un viaggio intriso di poesia e sensibilità naturalistica e antropologica: un autentico invito all’esplorazione esterna e interiore.
Considerazioni simili mi sento di fare in relazione al Dizionario universale delle creature fantastiche di Luciano Hernández, scrittore nato nel 1980 nella Patagonia argentina, che – con spirito non dissimile da quello del già da me recensito Islario fantastico argentino (opera a più mani di altri autori) -, penetra in luoghi puramente immaginari, che sono quelli popolari da creature mostruose e affascinanti, suddivise per lettera come in un dizionario e costituenti degli archetipi, in fondo non diversamente dai luoghi stessi, una volta che hanno impregnato l’anima. Mi ha riportato con i ricordi e la fantasia alle schede-mostro dei giochi di ruolo che facevo da ragazzo, quando ancora non mi rendevo conto di stare preparandomi a una vita di ricerca artistica e linguistica imperniata sui luoghi e sui loro “elementali”. Questo libro curioso e interessante allude proprio a tutto ciò, e per questo risuona con me in modo particolare.
Ma il filo, come dicevo, continua a dipanarsi. Parlando di luoghi fisici ma prima di tutto mentali, e in quanto tali ricordati, e rimanendo in Argentina, è quanto mai pertinente una riflessione su Dark di Edgardo Cozarinsky (Arkadia Editore, 2024), scrittore scomparso l’anno scorso, qui ottimamente tradotto dall’amico Alessandro Gianetti. Si tratta infatti di una rapsodia metropolitana che s’immerge nel nucleo dell’oscurità paesaggistica e nei territori grigio-scuri dell’umanità della Buenos Aires degli anni ’50, quella del peronismo. Il protagonista – che ricorda il proprio passato giovanile da un futuro in cui ormai è diventato un autore maturo – è Víctor, un ragazzo ancora inesperto con ambizioni letterarie, che esplora la notte per farsene ispirare. Ed è qui che incontra una sorta di Virgilio, ovvero Andrés, un viveur di una certa età che lo prende a ben volere e funge da cicerone e mentore nei suoi confronti, mettendolo a contatto anche con alcuni aspetti non propriamente luminosi della notte porteña. Il tutto s’intreccia con le prime esperienze sessuali di Víctor, con ragazze che lo iniziano a una pratica ora più dolce, ora più aspra, dell’intimità. È dunque una sorta di romanzo di formazione (o forse anche di de-formazione), una dichiarazione di anarchica ribellione agli schemi, al contempo alquanto smorzata perché mediata dalla coscienza, emersa col tempo, della difficoltà di essere autenticamente liberi dentro. Alla fine, quello che veramente resta è Buenos Aires, luogo di un’Ombra junghiana fattasi strade, palazzi e anfratti carichi di segreti.
Il filo, però, continua ancora a srotolarsi, rimanendo fedele alla sua vocazione ubiqua e schiettamente interiore, nella misura in cui è fonte di memorie e racconti. Ecco dunque Chiamatemi Marconi. Storie di mare di Athos Bigongiali e Oreste Verrini (Edizioni ETS, 2022), libro che – proprio inteso come oggetto materiale – è stato per me crocevia di sincronicità e stranezze, perché l’ho letto con grande ritardo in quanto scompariva in vari punti della mia casa, riapparendo a tratti per poi rivelarmisi “col contagocce”. Fino all’esplosione recente, che me lo ha fatto profondamente apprezzare. Narra la storia di un uomo-paradosso, Renzo detto “Il Marconi”, originario della Garfagnana e per oltre trent’anni, fin verso la fine del Novecento, protagonista di viaggi in nave in giro per il mondo. Il volume in questione collaziona e riproduce nel loro stendersi tutte queste memorie, con lo stesso spirito con cui venivano riportate ai compagni e colleghi di navigazione. Ne risulta un eccellente mélange dove tutto è tenuto insieme dal mare, sempre presente anche se paradossalmente (appunto) intervallato da antitetici squarci di montagna (pensando alla Garfagnana), e si snoda tra numerose avventure ai limiti dell’incredibile – a volte anche qui con l’intervento di animali prossimi ai mostri evocati nel Dizionario universale di Hernández, e comunque intriso di quella sostanza di sole e salsedine che è al centro dei luoghi liguri di Luogo a procedere di Carvelli. Che è come dire dello spirito della dimensione che identifichiamo come “casa”.
Giovanni Agnoloni
La recensione su La poesia e lo spirito
(L’Avana, 1861-1911) fu un giornalista, scrittore, insegnante, legislatore e critico letterario cubano. Una delle voci più importanti del romanzo sudamericano del XIX secolo nel suo aspetto realista e il romanziere più prolifico della fase finale della Cuba coloniale. Dottore in Filosofia e Lettere, si laureò in Diritto Civile e Canonico all’Università de L’Avana e scrisse numerosi articoli che ritraggono i tipi e i costumi del suo tempo.
A marzo s’impongono forti i ritorni di autori di rango che scelgono il mese che annuncia la primavera per far leggere le loro nuove riflessioni letterarie. È il caso del #librocopertina, “2056” dell’apolide Francesco Cusa, pubblicato giorno 10 dall’editore Ensemble, che affronta una totale rielaborazione del concetto di vita. Il musicista e scrittore etneo, che si divide tra conservatori musicali e incontri culturali, definisce bene lo spessore di ciò che può essere una crisi sistemico-relazionale, tra profonde riflessioni del protagonista e momenti di sarcasmo davvero elevati.
Non di meno il #librocontrocopertina curato dal professore Danilo Mauro Castiglione, “scuotitore” di anime e incoraggiatore ardito, che dopo le sue opere con Algra e il grande successo editoriale ottenuto (ricordiamo la Lombardia che attenzione gli ha dato), torna al libri ma con San Paolo edizioni con “Solitudini“, in uscita l’11 marzo. Emblematico è il sottotitolo, “Da problema a opportunità“, che si lega alla speranza, e dà garanzie su questo altro etneo trapiantato da un quarto di secolo al Nord Italia. Sorpresissima tutta etnea con la denuncia senza timori di Giorgia Landolfo autrice di “Senza spegnere la voce“, (Nous).
Interessanti flashback con la quaterna Algra editore, Marco Quarin per Cleup e l’ebook di un altro nome di grande ritorno: Marco Dalissamo con “Anelli di Saturno” per Aletti. Ancora: Iperborea, Terrarossa, Fazi, L’Orma, NN, Mursia, Fernandel, Bibliotheka, Rizzoli, CN di Oligo, Libreria pienogiorno, Garzanti, Arkadia, Sem, La nave di Teseo, Sperling & Kupfer, Nord, Ponte alle Grazie e Mondadori, completano i nostri consigli per questa prima quindicina marzolina!
Flashback, i libri già sugli scaffali
Giorgia Landolfo, Senza spegnere la voce, Nous
Non è normale ritrovarsi in un pronto soccorso, in uno studio di ginecologia, in una sala parto e avere paura di fare domande. Non può accadere di ritrovarsi spaventate a chiedere ai medici cosa ci sta accadendo e cosa stanno facendo mentre mettono le mani nella nostra vagina, osservano le nostre ovaie, la nostra cervice. Mentre diamo alla luce un figlio o quando desideriamo farlo. Oppure mentre richiediamo una visita di routine, un contraccettivo, un aborto, una risposta a un dolore che non ha nome.
Ogni anno in Italia decine di migliaia di donne subiscono varie forme di violenza in qualche momento della loro vita, spesso durante la gravidanza, il parto e il post parto. Di queste forme di violenza e abuso se ne parla poco o nulla. Valentina Milluzzo ne ha subito le più tragiche conseguenze. Come lei, tante altre. Perché è successo e accade ancora. Queste pagine sono state scritte con la volontà di liberare ogni singola voce, per non lasciare inespressi indignazione e dolore. L’unica possibilità che abbiamo è rompere il silenzio, raccontare, alzare la voce, denunciare. Anche per chi non ne ha la forza. Anche per chi non può farlo più.
Alessandro Volpone, Pratica filosofica in movimento. Scritti in onore di Antonio Cosentino, Algra
Un viaggio nella filosofia come pratica viva e comunitaria. “Pratica filosofica in movimento” rende omaggio ad Antonio Cosentino, tracciando la strada di una filosofia accessibile e dinamica e nondimeno autentica. I diversi saggi esplorano il dialogo come strumento di trasformazione e impegno civile, riscoprendo la filosofia come luogo insostituibile di riflessione, grazie ai contributi di colleghi, collaboratori e discepoli. Con un saggio introduttivo di Rosa Maria Calcaterra.
Giuseppe Flavio Laneri, Cronometria. Racconti più o meno brevi, Algra
Una raccolta inusuale di racconti con spaccati di vita da cui traspare, mal celata, la costante ricerca dell’autore nel trovare un senso allo scandire del tempo.
Giusy Di Mauro, Poesie in tasca, Algra
«Ci si identifica nella poesia della Di Mauro, ci si identifica con la corsa che lancette compiono sull’orologio e sul viso. È l’inesorabile Kronos e il suo movimento logico e cronologico che tutto divora, ogni essere e ogni singolo evento, ma che viene sconfitto dal cuore dove si ferma, si confonde, si perde. Perché, di contro, c’è il potere di Kairos, tempo divino e momento giusto che di ricordi stropicciati fanno un nuovo volo da poter spiccare, per questa libera farfalla in versi, in pensieri versificati snelli, senza orpelli nati da un continuo monologo/dialogo interiore, secondo la lezione di Joyce, dal quale sovente Giusy Di Mauro parte per approdare in maniera del tutto personale alla sua epifania, a quella luce dell’anima che fa chiarezza e ascolta il suo irrequieto silenzio, compito essenziale del poeta». (Dalla Prefazione di Gabriella Puglisi)
Luigi Venuto De Pierre, Quella notte le lacrime diventarono fiocchi di neve, Algra
Alla fine degli anni Trenta, in un tranquillo paese montano della Sicilia, inizia la storia d’amore tra Mela e Tano. La partenza di Tano, in servizio come carabiniere, sconvolge le loro vite. La passione di Mela per il medico del paese porterà a tragiche conseguenze. Un omicidio bagnerà di sangue la candida neve che scende sul paese.
Maurizio Cucuzza, L’enigma della sfincia, Algra
Uno strano omicidio avviene a ridosso della festa di San Giuseppe, che la città di Palermo onora dal punto di vista gastronomico con una meravigliosa leccornìa, la sfincia, una morbida frittella ripiena di ricotta, scaglie di cioccolato, granella di pistacchio, scorza d’arancia candita e ciliegina a guarnire. Proprio con mezza sfincia in bocca verrà ritrovato il cadavere di Stefano Bellavia, ex socio di Bartolo Cannata, titolare dell’omonima pasticceria e zio di Carmelino, l’alunno prediletto del professore Maurizio Trovato. Cannata verrà accusato del delitto, considerati i passati dissapori con la vittima e pure perché la sfincia in bocca al Bellavia proveniva dal suo laboratorio di pasticceria. Il professore Trovato sarà così di nuovo catapultato in una nuova avventura investigativa, per cercare di risolvere questo enigma particolarmente anomalo e intricato. Attorno a lui graviteranno sempre i suoi allievi del cuore, altre nuove presenze e gli immancabili amici di sempre.
Marco Quarin, Stramare, Cleup
Tommaso Verri, giornalista e scrittore di fama, abbandona la città del Nord Italia dove vive e lavora per isolarsi nella casa ereditata dal padre nel borgo spopolato di Stramare, in provincia di Treviso. Perché lo fa? Ma Tommaso Verri non è uno qualsiasi. Tempo addietro ha sperimentato che anche quella Legge, come tutte le leggi, ha un braccio oscuro, violento e con la memoria lunga. Dovrebbe aver imparato che non bisogna abbassare le difese.
Libro copertina, 2056 di Francesco Cusa, Ensemble
Siamo in un futuro non troppo lontano. Più precisamente siamo nel 2056, poco prima di un evento da cui non si potrà tornare indietro. L’umanità si appresta, infatti, a lasciare il proprio corpo e a fare il grande salto, “The Jumping”, nel Big Network, una vera e propria “smaterializzazione globale”. Tra distopia e fantascienza, l’autoredisegna una sua personale geografia di lughi, un Occidente i cui confini sono dettati da una toponomastica tutta personale e la cui superficie è percorsa da un uomo, Samuel, riluttante al cambiamento che, per un banale ritardo, è escluso dal destino di tutti gli altri uomini. Inizia così un viaggio di sopravvivenza e di ricerca di senso, che lo condurrà a una vera e propria iniziazione verso inaspettate svolte avventurose, incanalando il cammino sui binati di una nuova rinascita. In uscita lunedì 10 marzo
L’autore
Francesco Cusa, batterista, compositore, scrittore, nasce a Catania nel 1966. Intraprende lo studio del pianoforte, poi passa alla batteria. Si trasferisce a Bologna nel 1989, dove si laurea al Dams nel 1994. In quell’humus ha modo di collaborare con artisti provenienti da varie parti d’Italia e il suo percorso artistico lo porterà a suonare, negli anni, in Europa, America, Asia e Africa. Da sempre interessato all’interdisciplinarità artistica, è anche scrittore di racconti, romanzi e poesie e ha pubblicato diversi articoli di musicologia e di critica cinematografica presso molte riviste specializzate. Nel corso della sua carriera ha realizzato numerosi lavori di creazione e sonorizzazione di musiche per film, teatrali, letterari, di danza e arti visive.
Le uscite di martedì 4 marzo
Erica Cassano, La grande sete, Garzanti
Èil 1943 e l’acqua manca ovunque, tranne che nella casa in cui Anna vive con la sua famiglia. Mentre davanti alla Casa del Miracolo si snoda una fila di donne che chiede quanto basta per dissetarsi, lei si domanda come mai la sua sete le paia così insaziabile. Perché quella che Anna sente è diversa: è una sete di vita e di un futuro di riscatto. A vent’anni vorrebbe seguire le lezioni alla facoltà di Lettere, leggere, vivere in un mondo senza macerie, senza l’agguato continuo delle sirene antiaeree. Ma non c’è tempo per i sogni.
Marco Dalissamo, Anelli di Saturno, Aletti
Suonanti e vibranti, per Marco Dalissimo, gli anelli di Saturno arrivano all’uomo come telepaticamente, ma anche per tradizioni consolidate, nonostante il pianeta sorge soltanto verso la fine della raccolta di questi versi. In molti contano (come l’autore) che come il nostro satellite, la Luna, Saturno possa influenzare gli animi umani. Credere significa verità, e la verità non è sempre spiegabile perché legge che non vuole dubbi. Certamente i dubbi, le incertezze, le debolezze, le fragilità, sono soltanto alcuni dei contenuti della poetica di Marco Pelliccione nato a Roma e divenuto in arte Dalissimo, autore di cinque pubblicazioni, due sillogi, e tre romanzi. Questa prima esperienza poetica risente del suo registro naturale che indaga una realtà parallela e invisibile, viva di sogni descritti sul finire della notte, quando tutto diventa vero. Foto in copertina di Lara Garofalo.
Layne Fargo, The Favorites. Un’ultima volta noi, Mondadori
Il mondo del pattinaggio artistico ha sempre amato le grandi coppie. Katarina Shaw e Heath Rocha ne erano una, la più brillante e la più tormentata. La loro chimica sul ghiaccio era innegabile, così come la passione che li consumava fuori dalla pista. Ma un tragico incidente durante le Olimpiadi ha posto fine alla loro storia d’amore e alla loro carriera. Dieci anni dopo un documentario riaccende l’interesse del pubblico per la coppia, promettendo di rivelare i segreti dietro la loro separazione.
Helen Simonson, Le ragazze del club della motocicletta, Nord
Inghilterra, estate 1919. La Grande Guerra è finita, ma per molte donne la battaglia è appena iniziata. Gli uomini, tornati dal fronte, si sono ripresi il posto che avevano lasciato, e per molte donne questo significa essere messe da parte, costrette a rinunciare all’indipendenza conquistata con fatica durante il conflitto. Constance Haverhill è una di loro: dopo aver ricoperto un incarico di responsabilità, si ritrova con un destino già segnato, confinata al ruolo di moglie o governante. Accetta quindi un impiego come dama di compagnia per un’anziana signora in villeggiatura a Hazelbourne-on-Sea, un piccolo paese di mare che sembra fuori dal tempo, ma è proprio lì che l’incontro con Poppy Wirrall cambierà il suo futuro.
Maud Ventura, Celebre, Sem
Cléo è cresciuta in una famiglia franco-americana, entrambi i genitori sono professori universitari un po’ annoiati dalla vita e parecchio scontati. Lei invece, da quando è bambina, coltiva un sogno: diventare una cantante famosa. Voce, carisma e capacità espressive non le mancano. In più, la doppia origine potrebbe aggiungere quel tocco di fascino internazionale. Il vero ingrediente, però, è un altro: l’ossessione di farcela a tutti i costi. Passano gli anni e Cléo supera ogni ostacolo che le si presenta davanti, accumulando ferite e fallimenti senza mai mollare. Finché, con grande sorpresa di molti tranne che sua, diventa una star mondiale. Ma la strada che ha percorso per raggiungere il successo è lastricata di risvolti oscuri.
Catherine Ryan Howard, 56 giorni, Fazi
Nessuno sapeva che vivevano insieme. Ora uno dei due è morto. Potrebbe essere questo il delitto perfetto? 56 giorni prima Ciara e Oliver si incontrano per la prima volta in un supermercato di Dublino, durante una pausa pranzo come tante; tra loro scatta subito la scintilla e, nel giro di pochi giorni, iniziano a frequentarsi. Nella stessa settimana, il Covid-19 raggiunge le coste irlandesi. 35 giorni prima. Quando il lockdown minaccia di tenerli separati, Oliver suggerisce di andare a vivere insieme nel suo appartamento.
Le uscite di mercoledì 5 marzo
Imogen Clark, La felicità nei giorni di pioggia, Libreria pieno giorno
C’è un mondo in attesa in ciascuno di noi, dove sono custoditi i nostri sogni più veri. Romany ha da poco compiuto diciott’anni ed è sul punto di muovere i primi passi nell’età adulta quando si ritrova improvvisamente sola senza sua madre, Angie, l’unico genitore che abbia mai conosciuto, portata via da un male repentino.
Kader Abdolah, Il messaggero, Iperborea
C’era una volta un popolo che viveva in una terra desertica intorno alla Mecca, era diviso, governato da leggi tribali e venerava idoli di pietra, cui sacrificava le sue figlie femmine. Un popolo di seminomadi poveri e ignoranti, schiacciato tra grandi imperi – Bisanzio, la Persia, l’Egitto. Tutte civiltà avanzate, ognuna con un suo profeta, che si chiamasse Mosè, Gesù o Zarathustra, e un suo Libro, e soprattutto ognuna con un unico dio. In quella terra inospitale viveva un mercante scaltro, membro di un clan illustre. Era analfabeta, ma visionario e determinato.
Le uscite di venerdì 7 marzo
Daniela Dröscher, Bugie su mia madre, L’orma
Germania, anni Ottanta. Ela ha sei anni e «come una piccola investigatrice privata» osserva la vita domestica trasformarsi in un campo di battaglia: la madre è troppo grassa e deve dimagrire a tutti i costi. Così ha decretato il capofamiglia, ossessionato dal corpo della moglie, che ritiene responsabile di ogni suo fallimento, dalla mancata promozione alle ambizioni sociali frustrate. Giorno dopo giorno, attorno a quel corpo si stringe un assedio fatto di ammonimenti, vergogna e controllo. Ormai adulta, l’autrice ritorna su quegli anni con uno sguardo capace di districare finalmente verità e menzogne.
Silvia Nirigua, Tre di notte, Fernandel
«A un tratto ti immagini come sarebbe sfilarsi via di dosso la pelle, con tutti i tatuaggi, i piercing, le rughe d’espressione affioranti ai lati degli occhi. Uscire dal costume di scena che indossi in questa vita che non ha saputo rispettare nemmeno una delle sue promesse…»
In una tranquilla villa del nord-est italiano, una coppia apparentemente solida si prepara ad accogliere una misteriosa ragazza conosciuta online. Quello che doveva essere un incontro trasgressivo si trasforma in un viaggio nell’abisso delle loro anime. Tre vite si intrecciano in una notte carica di tensione, dove i segreti emergono come fantasmi nella penombra. Mentre il vino scorre e le maschere cadono, ciascuno si trova faccia a faccia con i propri demoni. Con una prosa tagliente e uno sguardo implacabile, Silvia Nirigua disseziona le relazioni umane, mettendo a nudo le fragilità e le bugie che ci raccontiamo. “Tre di notte” è un thriller psicologico che vi farà domandare: quanto conosciamo davvero chi ci sta accanto? Un romanzo che esplora i temi dell’identità, del desiderio e della redenzione con un ritmo implacabile.
David Eloy Rodrgíuez, Le possibilità, Arkadia
Le possibilità rappresenta l’esordio narrativo di David Eloy Rodríguez, la cui opera poetica è già stata tradotta in italiano in diverse occasioni. Autore con ampia e pluripremiata carriera letteraria – Premio Internazionale Surcos e Premio Internazionale Francisco Villaespesa – e con una ventina di titoli pubblicati in Spagna, Rodríguez ci offre cinquanta narrazioni, tra racconti e romanzi brevi, con un nesso comune: la lotta tra la paura e il desiderio, l’infinito e misterioso numero di mondi che si apre a seguito di ogni decisione si debba prendere nella vita.
Matteo Mantero, Una pianta ci salverà. Storia virtuosa della canapa, Bibliotheka
Il connubio tra uomo e canapa è millenario. La pianta ha fatto parte dei nostri riti religiosi, ci ha curato, alimentato, coperto. Questa simbiosi è durata finché pochi industriali americani, capeggiati dal magnate della comunicazione Hearst, hanno ordito una delle più grandi campagne di disinformazione mai attuate. Il loro scopo era rendere illegale, per difendere i propri interessi, una pianta tra le più utili e coltivate.
Gianfranco Tondini, Nella spirale di Fermat, Fernandel
Immaginate un mondo dove l’arte e il crimine si intrecciano. Wainer è un gallerista di provincia che si trova sull’orlo del baratro finanziario. Disperato e con le spalle al muro, si avventura nel torbido universo delle contraffazioni, arrivando paradossalmente a falsificare un’opera autentica. Nel frattempo, a Lione, Sara combatte la sua battaglia personale. Divisa tra un ruolo di prestigio all’Unesco e la lotta contro la sua malattia. Ma il destino ha in serbo per lei una sfida inaspettata: gestire le conseguenze del furto di un Rembrandt, un compito che la trascinerà in un vortice di intrighi e pericoli.
Tom Lamont, Tornare a casa, NN Editore
Atrent’anni, con un lavoro stabile e un nuovo appartamento, Téo Erskine sente di aver finalmente preso le distanze da Enfield, il sobborgo di Londra in cui è cresciuto. Ma anche dalle pressanti richieste del padre Vic, che è sempre più bisognoso di cure. Dopo una festa con gli amici d’infanzia, però, la vita di Téo cambia d’improvviso: Lia, il suo amore mai ricambiato, si toglie la vita mentre lui è a Enfield a fare da baby-sitter a Joel, il figlio di lei. E non solo: gli assistenti sociali lo nominano tutore del bambino, almeno finché non ne venga rintracciato il padre naturale. Tra dubbi e timori, Téo non può sottrarsi alla richiesta, quindi si stabilisce a Enfield.
Le uscite di martedì 11 marzo
Boris Akunin, L’avvocato del diavolo, Mondadori
Questo è quello che pensa Boris Akunin sulla Russia contemporanea e sui pericoli del potere quando rimane concentrato troppo a lungo sotto il controllo di un’unica persona. L’avvocato del diavolo immagina un futuro distopico in cui la Russia è governata da un nuovo regime dopo l’improvvisa caduta del Leader Nazionale, chiara trasfigurazione dell’attuale presidente Putin. Il neoeletto governo, promettendo una rivoluzione democratica, lancia un piano di Ristrutturazione Totale per ridare speranza al popolo e all’Occidente.
Ftima Chistè, Ogni cosa è adesso, Rizzoli
Dopo aver conquistato il cuore di migliaia di follower sui social, Fatima Chistè svela il suo animo più intimo nel suo primo romanzo. In “Ogni cosa è adesso”, l’autrice ci accompagna nel delicato percorso di Ambra. Ha trent’anni e la sua relazione con il ragazzo conosciuto durante gli anni universitari, e compagno per sette anni, è giunta improvvisamente al termine.
Mara Carollo, Promettimi che non moriremo, Rizzoli
Caterina nasce in una piccola contrada nel cuore delle montagne venete. È un mondo rurale dove il tempo è segnato dal duro lavoro nei pascoli, dai sacrifici nei boschi e dalle privazioni quotidiane. Nel 1918, quando suo padre fa ritorno dalla guerra, non lo riconosce. È sporco, scalzo e il suo sguardo stanco riflette il peso di ciò che ha vissuto. Per Caterina, che ha solo cinque anni, quel momento segna il primo incontro con la durezza della vita e la paura della morte.
Alexa Martin, Incontro al book club, Sperling & Kupfer
Drew Young ha sempre preferito i film ai libri, convinta che le storie sullo schermo siano migliori di quelle scritte. Per questo, ereditare la libreria della nonna, la Book Nook, insieme al suo eccentrico club del libro, non rientrava nei suoi piani. Circondata da scaffali pieni di romanzi e clienti appassionati, Drew si sente decisamente fuori posto. Tutto cambia, però, con l’arrivo di Jasper Williams, autore di bestseller e inguaribile romantico.
Le uscite di giovedì 13 marzo
Giacomo Sartori, Anatomia della battaglia, Terrarossa Edizioni
Un padre carismatico alpinista che ha fatto dei miti fascisti di gioventù un anacronistico modello comportamentale. Adesso è malato. Una madre ossessionata dalle apparenze e mossa da un irrefrenabile vitalismo. Un fratello votato alla perfezione e una sorella in fuga fin da bambina. Il narratore osserva le loro anaffettive e inconciliabili solitudini e cerca di prepararsi alla morte del genitore, di comprendere da dove scaturisca la forza recondita del loro legame, come e perché per quell’eterno reduce di guerra il cancro sia solo una sfida privata e disprezzabile.
Fabrizio Carcano, Giorgio Maimone, Il fiore della vendetta, Mursia
L’estate milanese del 2024 è segnata da una serie di eventi inquietanti che scuotono la città. Il capitano dei Carabinieri Marco Fontana si trova a indagare su un caso complesso e intricato: l’omicidio di due vecchi malavitosi, entrambi legati alla strage di via Palestro del 1993, e la misteriosa scomparsa di un funzionario dei Servizi Segreti. Venerdì 14
Cristiana La Capria, Come un pulcino, CN (Oligo editore)
Come un pulcino è un romanzo di formazione in cui la protagonista, Helen, è alla costante ricerca di qualcosa per colmare il vuoto affettivo. Da giovane donna approda a Oxford, lasciandosi alle spalle Napoli, un fidanzato, l’esperienza di un aborto e una famiglia che non l’ha mai davvero capita.
Jean-Paul Dubois, L’origine delle lacrime, Ponte alle grazie
“L’origine delle lacrime” è la storia che Paul svela a poco a poco in terapia. La storia di un figlio ferito che nutre un odio ossessivo nei confronti del padre. Un apprendistato della vendetta. Ma ben presto gli incontri prenderanno una piega inaspettata, svelandoci come in un’esistenza fatta di risentimento e disprezzo ci sia ancora spazio per la speranza, l’amore e, in definitiva, per la vita stessa. Paul ha commesso l’irreparabile: ha ucciso suo padre Thomas. Ma quando ha deciso di farlo, Thomas Lanski era già morto da quindici giorni… per cause naturali. E il figlio ne era perfettamente consapevole. Così, nella speranza di capire per quali ragioni un uomo possa decidere di sparare due colpi in testa al cadavere di suo padre, il giudice gli impone un anno di cure obbligatorie presso uno psicoterapeuta, il dottor Guzman.
Le uscite di lunedì 17 marzo
Joël Dicker, La catastrofica visita allo zoo, La nave di Teseo
“Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto”. Alla vigilia di Natale, una visita scolastica allo zoo si trasforma in una catastrofe. Cosa è successo esattamente? I genitori di Joséphine, una bambina che ha preso parte alla gita e che sembra sapere molte cose, sono decisi a scoprirlo.
Libro controcopertina, Solitudini. Da problema a opportunità di Danilo Mauro Castiglione, San Paolo
In Occidente la solitudine rappresenta una vera e propria epidemia. Negli Stati Uniti, ad esempio, colpisce oltre il 50% della popolazione, con conseguenze mortali paragonabili a quelle del fumo. Dalla presa di coscienza di questo problema dilagante nasce Solitudini. Opera che esplora le diverse accezioni della solitudine e le risposte fornite da vari ambiti di studio. Risposte che possono essere molto diverse tra loro e includono sia i contributi di esperti sia gli interventi delle istituzioni. Il testo invita a riflettere su come chi vive la solitudine possa reinterpretarla, scoprendone il suo valore. In uscita martedì 11 marzo
L’autore
Danilo Mauro Castiglione, nasce a Catania ove si laurea in Pedagogia a indirizzo storico-filosofico. Nella stessa città inizia il suo cammino come Oblato benedettino secolare presso il monastero di San Benedetto. Trasferitosi a Bergamo, dove insegna Lettere, prosegue il suo cammino come Oblato nel monastero di San Benedetto. “Solitudini” è la sua terza opera letteraria.
Salvatore Massimo Fazio
La segnalazione su SicilyMag
“La musica che salva un popolo, una stella o un’isola, non sarà mai una musica di questo tipo. Dev’essere musica integrale. Creazione di una mitologia. Di un clima poetico in cui ogni pezzo di città, di stella o di isola possa sedersi e ripassare le gesta eroiche. La letteratura deve imporre il proprio ritmo vivo alla terra inedita. Non è stato altrimenti che il mondo ha visto per secoli l’India creata da Camoens o la Grecia di Omero, la Roma di Virgilio, l’America di Ercilla o la Spagna che inventarono i nostri romanzi antichi. Una terra senza una forte tradizione, senza un’atmosfera poetica, soffre la minaccia di un fatale offuscamento. È come quelle parole dal significato anemico e inconsistente, che portano nel loro povero bagaglio – inespressivo – le radici della loro scomparsa.” (Augustin Espinosa, LANCILLOTTO 28°-7°, trad. Alessandro Gianetti, Xaimaca Arkadia editore)
Continuare a cercare, talvolta trovare, affidarsi alle parole, il giusto, “letteraturizzare”, generare mondi.
Un primo tassello di un prossimo viaggio.
Il link alla segnalazione su Mork Mindy Ork: https://lc.cx/V0lhzH
Se Dark (2016) è una delle ultime opere pubblicate in vita dallo scrittore argentino Edgardo Cozarinsky, morto nel giugno 2024, la continuità con il resto della sua opera letteraria – quantitativamente abbondante nel periodo che va dal 2001 fino, appunto, al 2016 – è evidente, tanto nella scelta della forma breve quanto nella pratica di una scrittura felicemente conturbante, inaugurata già nel suo primo romanzo, datato 1985, Vudú urbano, diventato di culto in Argentina, ma elogiato anche da prestigiosi lettori internazionali come Ricardo Piglia, Guillermo Cabrera Infante o Susan Sontag. Ed è, con una vaga analogia con l’opera di Marguerite Duras, l’opera di un autore di letteratura che nella prima parte della sua vita si è dedicato al cinema, durante il suo esilio parigino, più che quella di un cineasta imprestato alla letteratura. Lo conferma, tra i vari possibili motivi, la ricorrenza di una scena madre in molti testi – come ad esempio “(Babylone Blues)” [sic] del 1979 o Dinero para fantasmas (2012) – nella quale un adolescente cerca di sfuggire dal proprio mondo monotono, perlopiù borghese, inseguendo la possibilità ammaliante (e, in molti modi, formativa) dell’avventura. Scena madre che ha molto a che fare con l’iniziazione alla letteratura, condita senz’altro da un chiaro bovarismo, e che infatti si ripresenta proprio come tale in Dark (proposto ora nella sempre puntuale e tersa traduzione di Alessandro Gianetti): Víctor è un adolescente attratto dalla possibilità di fare tutte le esperienze possibili nella Buenos Aires degli anni Cinquanta, allo scopo dichiarato, e inizialmente un po’ ingenuo, di poterne, scrivere. Ad aprirgli alcune porte, mantenendo una certa ambigua ritrosia su altre, che restano chiuse, è Andrés, uomo adulto e dal passato oscuro tanto quanto il titolo del romanzo breve, all’interno di un rapporto pigmalionesco che assume occasionalmente i tratti dell’abuso. Se, però, Andrés intrattiene un rapporto con l’omosessualità, innanzitutto la propria, e quindi con lo spettro pedofiliaco assai contorto e che non sfocia mai nella violenza – pur fantasticandola nei confronti di terzi, in un inquietante rimando alla psicopatologia del suo passato, anche a livello politico – a riconoscersi come abusante è Víctor, che esce, nomen omen, vittorioso dal suo confronto con Andrés. È Víctor, infatti, a crescere e a raggiungere la maturità, in un percorso di iniziazione che molti anni dopo lo porta, in effetti, a essere autore letterario, a prescindere dal numero di esperienze davvero vissute e sulla base, invece, di tutte quelle tentate o, appunto, fantasticate. È proprio l’intreccio tra la scoperta della sessualità e la scoperta della letteratura – con i fantasmi che esse comportano, a tutti i livelli, compreso, ancora una volta, quello politico – a costituire il nucleo incandescente, e inevitabilmente anche oscuro, di Dark. Non può essere altrimenti, del resto, se si tenta una lettura del testo in chiave di biografismo e, al tempo stesso, di storia letteraria: e se Cozarinsky, in questa sua opera tarda, fosse risalito alle sue effettive esperienze del mondo letterario della Buenos Aires degli anni Cinquanta e Sessanta da lui conosciute, con la frequentazione di Jorge Luis Borges, Silvina Ocampo e Adolfo Bioy Casares? E se il racconto di Víctor contenesse, ben nascosta, anche qualche traccia di quel Borges al quale Cozarinsky dedicò il saggio Borges e il cinema, pubblicato in varie edizioni tra il 1974 e il 2022? Tutto tornerebbe, come tutto infatti torna, in controluce, nell’oscuro eppure chiarissimo racconto di Dark.
Lorenzo Mari
Il link alla recensione su Pulp Magazine: https://tinyurl.com/44pj4eyc