Arkadia Editore, 2024 – Le storie di Sara e Silvana, segnate dalla guerra e dalle leggi razziali decretate da Mussolini, si intrecciano per crearne una sola, commovente e coinvolgente, nella Roma sconvolta dagli orrori del secondo conflitto mondiale. La vita di due giovane ragazze, Sara e Silvana, negli anni che seguirono l’emanazione delle leggi razziali fasciste e l’entrata in guerra dell’Italia è narrata nello straordinario I giorni pari (Arkadia Editore, 2024), ultimo lavoro della scrittrice Maria Caterina Prezioso, in questi giorni in tutte le librerie. Nata a Roma, l’autrice ha scritto per il teatro, ha pubblicato raccolte poetiche e diversi romanzi e collabora con la rivista Satisfiction. Il mondo affettivo e familiare di Sara e Silvana rimarrà sospeso negli anni tragici della fine del ventennio, e tra atrocità e morte le due giovani adolescenti scopriranno le loro identità negate e violate in un lungo viaggio verso il riconoscimento di sé stesse. I giorni pari è un libro che non lo si lascia se non alla fine; un racconto toccante che rimanda ai grandi temi narrativi di Elsa Morante e di Lia Levi.
Il romanzo si apre con l’8 dicembre 1940 nel ghetto ebraico di Roma, raccontando della famiglia di Sara e di quanto le loro vite fossero cambiate dopo le leggi razziali.
Dall’oggi al domani. Una strana inversione di marcia e all’improvviso eravamo poveri, brutti e per certi versi pure cattivi.
Hitler aveva invaso la Polonia ed era iniziata la Seconda Guerra mondiale, attribuendo la responsabilità del conflitto al giudaismo internazionale. Mancavano tre anni al rastrellamento nel ghetto con la tragica deportazione nei campi di sterminio; chi era potuto fuggire all’estero lo aveva già fatto prima, ora lasciare l’Italia era divenuto non solo difficile ma complicato.
Sara aveva appena quattordici anni quando era stata allontanata dalla scuola, il suo pianoforte venduto e il papà Gino, che a fatica dopo la spoliazione dei beni degli ebrei, riusciva ad avere la farmacia nel centro di Roma. Il pensiero frequente era solo quello di sfuggire alla SS e per farlo bisognava separarsi, nascondersi altrove.
Sara verrà ospitata in una famiglia bisognosa a Sperlonca, con quattro figli maschi da sfamare; “La guerra porta sempre miseria”. Un rifugio che le avrebbe salvato la vita.
Con una piccola valigia per non dare nell’occhio ebbe inizio il suo viaggio, mentre intorno nulla sarebbe stato più come prima.
Sono state compiute azioni orribili, ma ci sarà sempre qualcuno disposto a far finta che tutto questo non sia realmente accaduto.
Dall’altra parte della città, Silvana era tanto diversa da sua sorella Flora, un anno e poco più, ma prendeva dalla vita tutto quello che questa le offriva. Nei condomini in Val Melaina, la borgata di operai, artigiani e disoccupati edificata per volere di Mussolini, venivano ricercati i comunisti e gli ebrei. Il padre Domenico arrivava dalla Calabria e per molti era un ebreo per via del suo cognome; era stato in America ma senza aver fatto fortuna, e la nostalgia nel cuore lo riporta in patria per poi partire volontario allo scoppio della Prima Guerra mondiale.
Silvana, ridotta pelle e ossa senza un briciolo di fame, in quel dicembre del 1940 affronterà il suo primo viaggio verso l’ospedale, al Forlanini, il sanatorio di Roma, una vera cittadella indipendente, “una terra di mezzo, una terra tra la vita e la morte”. I numeri pari non sono stati propiziatori a una vita tranquilla e serena, e Sara e Silvana, l’una da proteggere, l’altra cagionevole, saranno l’una come l’altra sia pur così distanti nell’alternarsi delle loro vicende, tra gli amori, le situazioni familiari, la Resistenza, la ferocia nazista e Roma liberata, nei loro percorsi interiori nel sentire gli eventi drammatici della storia, nell’avere coraggio e mantenere viva la speranza.
Con la sua scrittura coscienziosa e sensibile, Maria Caterina Prezioso ci regala una storia che si intreccia e finisce col divenire una storia unica. Una trama che racconta le nostre ferite ancora sanguinanti, la vita di due giovani donne che sapranno coinvolgere e commuovere.
Teresa D’Aniello
Il link alla recensione su SoloLibri: https://tinyurl.com/y5s5saay
Tra la vastità dei generi letterari che leggo da sempre con passione, la narrativa è il mio genere preferito. Quando l’autrice, Maria Caterina Prezioso mi ha chiesto se fossi interessata a leggere la sua storia e a recensirla ho accettato subito con molto entusiasmo. Avevo solo il titolo inizialmente e poi la cover che in pochi attimi ha conquistato il mio cuore di lettrice. Ogni libro, come giustamente asserisce la casa editrice Arkadia che ha pubblicato questa delicata e bellissima opera, è un atto d’amore. Un atto d’amore soprattutto nei confronti di chi quel libro decide di leggerlo lasciando che il suo cuore entri in connessione e coesione con quello dell’autore che lo ha scritto. Si crea un rapporto armonico, musicale, lirico, magico. La scrittura di Maria Caterina è pura poesia, delicata armonia e connubio di emozioni delicate espresse con realismo e con empatia lasciando spazio al lettore di farsi cullare dalle parole e graffiare dal sofferto e dal vissuto dei suoi protagonisti. Già dalle prime righe si intuisce subito il tono con cui l’autrice si rivolge ai suoi lettori, delicato, educato, pacato, sincero, puro, cristallino, aprendo la possibilità all’anima di lasciare fluire le parole che si posano come foglie cadute dall’albero in autunno stendendosi sul nostro cuore, una coltre fatta di emozioni uniche. Esordendo con la frase: “se li nominiamo e se raccontiamo le loro storie i nostri morti non muoiono”; comprendiamo subito il valore della memoria, dei ricordi e come questi ricordi siano eterni, un patrimonio prezioso da tramandare. Il palcoscenico di questa meravigliosa avventura è tra Roma e Sperlonga, luoghi a me molto familiari. Roma la mia città natale, Sperlonga luogo che frequentavo durante le vacanze estive. Tra le pagine di una storia che ci racconta pezzi di storia importante del nostro Paese ho rivissuto fatti e momenti magici attraverso le descrizioni dei luoghi e di quel vissuto antico che ha scavato nella profondità della terra le sue radici, anche quelle della nostra anima. Miriam e Gino sono i genitori di Sara, dei genitori premurosi, due personalità forti e determinanti nella formazione di quella giovane donna che vede nella madre la forza, la tenacia, il coraggio di esprimere il suo pensiero e anche il suo dissenso mentre nel papà Gino l’amore per la famiglia, per il suo lavoro di farmacista, la sua umiltà, il legame con la sua farmacia, la sua casa che intende non abbandonare nonostante inizino a soffiare venti funesti e oscuri, la minaccia di una guerra che si sta muovendo da lontano verso anche l’Italia. Maria Caterina ci parla di storia, ci parla della vita nel ghetto romano e ci parla del cambiamento inevitabile che bisogna accettare con coraggio, ci parla di emozioni e di sentimenti, di guerra, di paura e anche di coraggio. La paura può essere un’acerrima nemica, può farci commettere errori, può salvarci la vita; ma può anche alterare la percezione delle cose. Sara osserva il suo mondo, la sua vita sgretolarsi un pezzo alla volta. Le sue certezze vengono portate via come pezzi di un puzzle che era completo e che ora non potrà esserlo più. Tra lo scorrere di un tempo funesto e orribile la storia sta per scrivere le pagine più terribili della sua vita eppure Sara vede oltre, vede la speranza e il coraggio, affronta le sue paure e riesce ad aggrapparsi al bello di ciò che ha avuto, di ciò che le è stato tolto. Ma nessuno può toglierci i ricordi, l’amore, i sentimenti quelli ce li portiamo dentro fino all’ultimo respiro. Sono preziosi come preziosa è la vita. C’è un’immagine bellissima in questo romanzo (ce ne sono tante ma questa mi ha colpita molto): mamma Miriam e papà Gino sono seduti accanto alla radio ascoltando radio Londra, le cose stanno prendendo un corso violento e in quel momento Sara scatta con la sua mente una fotografia che porta sempre con sé nel cuore, nell’anima e nella forza e determinazione con cui affronterà tutto ciò che sta per accadere. L’armonia di struttura di questa autrice affascina e incanta, colma di bellezza e di profondità emotiva. Desideriamo tutti essere visti per ciò che siamo eppure. In un periodo così doloroso come quello della seconda guerra mondiale era necessario diventare trasparenti, invisibili per poter sopravvivere. La narrazione storica degli eventi e degli sviluppi precedenti, la guerra e il dopoguerra sono descritti in una maniera coinvolgente, dimostrano quanto studio e ricerca ha effettuato questa autrice per poterci consegnare un prodotto letterario che fosse accurato e dettagliato senza appesantire gli eventi ma facendo in modo che fossero da cornice a un quadro bellissimo di vita. Di due vite per l’esattezza, quelle di due donne, Sara e Silvana, che vivono la stessa epoca in contesti diversi, Sara in esilio a Sperlonga, e Silvana invece costretta a trascorrere il suo tempo e la sua giovinezza all’interno del sanatorio Forlanini (io abitavo a pochi km da quell’ospedale, mi ha fatto un forte effetto emotivo sentirne parlare), ho rivisto immagini, padiglioni ospedalieri… ho rivissuto una vita passata che ora è così distante eppure ancora così viva. Certo non ho vissuto il periodo della guerra ma ho visto cosa la guerra aveva lasciato nel cuore della mia famiglia e delle persone a me care. Di guerra mamma e papà me ne hanno sempre parlato ed è un po’ come averne vissuto gli effetti e le emozioni attraverso i loro racconti che ritrovo qui in queste pagine pulite e belle, che non si sporcano con il fascismo, con l’antisemitismo, con il concetto degli ebrei arianizzati, bensì mostrano la forza e la resilienza di un popolo che non ha avuto paura e che non ha mai tradito sé stesso. La paura tarpa le ali, Sara e Silvana possono ancora volare, possono ancora sperare e sognare e lo fanno, con una forza e un coraggio straordinario perché tutti prima o poi dobbiamo lottare per la nostra salvezza. Tra l’odio di Hitler, la furia e il suo abominio, il lato umano resta. Si assopisce, forse, ma affonda le sue radici nella terra e nel cuore delle persone che private di tutto riescono ad aggrapparsi ai propri ricordi, ai sogni, ai desideri. Ad aiutarsi l’un l’altro. Un altro passaggio meraviglioso, perdonatemi se mi dilungo, è il momento in cui Sara mentre sta camminando seguita dai fascisti e dal soldato delle SS. all’improvviso capì che sarebbe stata in grado di volare sopra di loro, di entrare nei loro cuori, di farsi beffa di loro. L’audacia di questa ragazza è ammirevole. Ci porremo innumerevoli domande durante questa lettura, metteremo in discussione noi stessi, il mondo, perfino la fede, ma di una cosa avremo certezza, che nel mondo c’è sempre qualcosa di bello e di buono e che, per quanto il male distrugga tutto, il germoglio dell’amore e della speranza continuerà a fiorire da qualche parte, anche la più impervia. Una prosa dolorosa, malinconica, nostalgica ma colma di una forza crescente. Ispirato a fatti reali e persone realmente esistite, questi anni difficili mostrano con quanta facilità l’amore trova sempre la forza di andare non solo avanti ma oltre e al di sopra di tutto il male possibile. Una lettura che è un dono poetico, un inno alla vita e che guarda alla guerra con rispetto e riverenza. Le brutture degli uomini possono essere spezzate dalla bellezza degli uomini stessi. Che lettura bellissima che mi hai offerto Caterina Prezioso. Dopo aver letto questa storia mi sento più forte, più vera, perfino più bella, almeno nel cuore. Complimenti davvero.
Barbara Anderson
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Superlativamente splendido questo libro di Maria Caterina Prezioso, che “incontro” per la prima volta nella mia veste di biblio-recensora; l’ho letto in un soffio e mi ha fatto appassionare e commuovere per vari motivi. Il primo è la perfetta, attenta e dettagliata contestualizzazione storica delle due vicende parallele che l’autrice sceglie di seguire; entrambe si svolgono tra i giorni precedenti l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940 e il 1955 passando per il 2 giugno 1946 e la ricostruzione post bellica, perfetti i titoli di coda, una sorta di postfazione molto arricchente: bravissima! Complimenti poi di vero cuore per come ha saputo descrivere le due protagoniste, Sara e Silvana, seguendo parallelamente le loro vicende, tra l’esilio a Sperlonga e il ricovero al Forlanini, tra le situazioni familiari e gli amori nascenti e/o vissuti. Queste due ragazze, poi donne, non hanno apparentemente niente in comune ma Prezioso riesce narrare le loro storie con un’empatia magica e struggente; sono davvero tanti/e i/le coprotagonisti/e ma il mio preferito è il dottor Fegiz, è impossibile non innamorarsi della sua profonda umanità unita alla professionalità: standing ovation!
Daniela Domenici
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“I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso (Arkadia Edizioni, 2024 pp. 200 € 16.00) esce nelle librerie il 29 novembre. “Perché se li nominiamo, e raccontiamo le loro storie, i nostri morti non muoiono.” (Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l’oblio). L’epigrafe introduce già la spiegazione emotiva del libro e precede il significato profondo della scrittura lirica e della tensione poetica racchiuse nell’arte letteraria dell’autrice. Maria Caterina Prezioso intreccia il susseguirsi affannoso e coinvolgente di storie e fatti, concentra, nel fluire del vissuto, l’infinita possibilità della narrazione pura, quella che compone verso un orizzonte biografico rimandando la spirale di parole e pensieri nell’unità distinguibile dell’identità umana. L’autrice allestisce una trama evocativa degli avvenimenti, nel contesto della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra, congiunge l’accordo morale, sociale e il vincolo affettivo delle protagoniste Sara e Silvana, unite nella loro empatia, nella solidarietà del loro personale percorso di evoluzione e di emancipazione, nella complicità di intenti e nella condivisione, nella percezione dell’esperienza della vita complementare, nell’integrazione appassionata oltre la discordanza delle contaminazioni personali, le interruzioni impreviste e le sospensioni inesorabili delle proprie biografie.
Maria Caterina Prezioso dedica al lettore un romanzo solido e resistente, contraddistinto da una trama tenace e risoluta, in cui si avvicendano l’oscurità e l’opacità delle vicende e la testimonianza della contraddizione impenetrabile, nel malinconico e invisibile interrogativo sulla natura umana, nello sguardo responsabile sulle ragioni degli incontri e della loro avvincente complicità, nella necessità indispensabile di ogni infelice influenza della cronaca, nella funzione provvisoria e minacciosa della fatalità. Il libro abita l’effetto rivelatore della sconfitta e di ogni successiva sopravvivenza, compie metaforicamente un viaggio realistico, spesso anche contemporaneo, sulla resurrezione di sentimenti di umanità, nella maturità di una sensibilità logorata dalla spaccatura della raffigurazione storica.
Le protagoniste, Sara, ebrea sottratta alla Shoà, in cerca di protezione contro i pericoli materiali e morali, e Silvana, fragile di salute e disagiata per la povertà, si riconoscono e si ritrovano nella connessione di due destini, accomunate dal legame insondabile dell’amicizia e dalla combinazione di tensioni e di inquietudini consumate nel cuore del cambiamento e nell’incantesimo della giovinezza che può rendere immortale il ricordo e la sua trasformazione. L’autrice affronta la sequenza descrittiva delle stagioni brutali e crudeli in Italia e nel mondo, attraverso la lente sottile ed erosiva dell’eredità del fascismo, della guerra, lungo la scia disgregante dello spavento e del turbamento, disegna il tratto comunitario dei personaggi, ammantati dall’universale sentire, nel coraggio della speranza e nel pudore delle illusioni. La scrittura di Maria Caterina Prezioso è misurata e scrupolosa, puntuale nell’inequivocabile attitudine a definire lo scandire del tempo e il susseguirsi delle circostanze, elabora una intessitura catartica ed efficace, in cui si ascolta, rapiti, l’eco della memoria, la commozione dei luoghi dell’anima. “I giorni pari” delineano le vite smarrite, perse, ma rinsaldate grazie alla quotidiana sfida, libera dalla sottomissione e dai compromessi, fondono la tenerezza di una evocativa sorellanza con l’asprezza degli ostacoli, preservano la solidarietà delle decisioni, ripercorrono, nell’intraprendente esortazione del messaggio salvifico, l’autenticità, naturale e struggente, di una storia collegata alla toccante e coinvolgente generosità del cuore. L’entusiasmo di essere artefici della propria fortuna, segue, nella consapevolezza, il suggerimento di riuscire a sostenere le difficoltà e l’incognita del futuro, incarnando l’incrollabile impegno nella lotta per rimanere in vita, sempre.
Rita Bompadre
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«Come stai?»
«Così e così Silvana. Oggi va un po’ meglio, sono riuscito ad alzarmi. Ma tu non senti freddo amore mio?»
Era settembre. Un settembre caldo e vellutato. Si stava così bene al sole.
Fu allora che lo guardai. Manlio indossava un maglione che gli pendeva sulle spalle magre e il suo sorriso era spento. Respirava a fatica e si portava spesso al viso un fazzoletto bianco a detergere sudore dalla fronte.
Il mio dolce amore stava morendo e io continuavo a far finta di nulla. A sperare che quella vita non si spezzasse.
Eppure quasi un anno di sanatorio avrebbe dovuto insegnarmi qualcosa.
Domani o domani l’altro sarebbe potuto toccare a me. Avevo sperato che l’amore che lui provava potesse essere la spinta giusta… che i sentimenti si potessero tramutare
in salute, in guarigione. Perché Manlio che tanto mi amava doveva morire?
Mi scrisse una lettera qualche giorno prima di andarsene. Mi chiedeva perdono e mi pregava di non piangere troppo e di volare via libera e felice.
Non sei un uccellino da gabbia amore mio. Speravo di costruire per te una bellissima voliera dorata dove poter vivere felici per sempre, ma così non doveva essere. Non era destino. Ti ringrazio per tutti questi mesi di vita. Mai sono stato più felice, ma ora è tempo che tu voli via. La porticina è aperta, puoi spiccare il volo. Io rimarrò
ancora, per quanto ancora non so. A guardarti. Con il viso fisso al cielo a mirare il tuo volo di rondine che si dirige al sud.
Il 20 ottobre del 1941, era inizio sera, Manlio spirò. Fegiz mi fece chiamare e mi concesse il permesso di vederlo. Mi accompagnò nel reparto uomini. Era ancora caldo quel piccolo amore mio e gli occhi aperti fissavano l’alto. La bocca era come alla ricerca di aria e pareva ancora volesse dire qualcosa.
Fu Fegiz con delicatezza a chiudere gli occhi di Manlio e a portarmi fuori tenendomi per mano.
Non so per quanti giorni stetti a letto. Come tutti avevo spesso qualche linea di febbre. La febbriciattola era chiamata, una febbre tipica della tisi che raramente ti abbandonava, ma quella che mi era venuta era una febbre da cavallo.
Per il professor Fegiz era una febbre nervosa. Non riuscivo a piangere per la morte di Manlio. Ero in preda ai brividi, ma cercai lo stesso di raccogliere le forze per tirarmi
su dal letto.
Ada mi guardò storto, poi rise in modo da attrarre la mia attenzione.
«Senti non prendermi per matta, ma tu non puoi fare così ogni volta che ti muore qualcuno.»
La guardai come avesse veramente perso la ragione.
«Domani sarà una settimana che Manlio è morto quindi hai assolto il tuo lutto e ora puoi alzarti per favore da questo letto? Oh, insomma Silvana, ma tu lo sai quanto
campi? Nessuno lo sa, ma la vita continua con o senza di noi e pare che di vita ne abbiamo una sola.»
Ero solo una ragazzina, non avevo ancora quindici anni, ma dentro il Forlanini si moriva o si cresceva velocemente, non c’era molta scelta: o morire, lasciarsi andare,
oppure combattere e provare a resistere.
Crescere, per noi dentro il sanatorio, significava guardare in faccia la morte e tentare di vivere con tutti i mezzi a nostra disposizione, ognuno di noi alla maniera sua.
Il link alla recensione su Satisfiction: https://tinyurl.com/ytncj5j5
Il romanzo, pubblicato da Arkadia Editore nella collana SideKar, si è un giallazzo di grande atmosfera. La narrazione ti avvolge il lettore e ti senti spiazzato tra suspense, azione e sorprendenti momenti di introspezione.
Una storia che lascia il segno
La vicenda ha inizio con una lettera misteriosa che arriva al commissario Aurelio Di Giannantonio, un personaggio che colpisce per la sua complessità e il suo sguardo disincantato sulla vita.
L’invito a contattare uno studio notarile a Torre del Greco si rivela l’incipit di un viaggio che porta il protagonista a scoprire di essere beneficiario di un’eredità inattesa: una casa ai piedi del Vesuvio. Tuttavia non si tratta soltanto di una questione patrimoniale, bensì il filo di Arianna che lo conduce in un labirinto di ricordi, identità perdute e segreti nascosti.
Credo che il punto di forza della trama sia il modo in cui Nissirio mescola il mistero investigativo con il viaggio personale del protagonista. Di Giannantonio non cerca soltanto di risolvere il mistero che aleggia intorno a Raffaele Sorrentino, l’uomo che gli ha lasciato la casa, ma (o forse soprattutto) cerca anche di fare i conti con la propria memoria e le scelte che lo hanno definito.
Un protagonista umano e riflessivo
Aurelio Di Giannantonio non è l’eroe classico dei gialli. E lo scrivo in senso molto positivo. È un uomo segnato dal tempo e dalle sue decisioni: il trasferimento da Roma a Venezia, il suo rapporto con Maria Quaranta e una carriera che, seppur ricca di successi, non lo ha mai del tutto gratificato. Sono questi dettagli che lo rendono estremamente umano. Per il lettore quindi è facile empatizzare subito con lui. Le sue riflessioni, a volte amare e a volte nostalgiche, danno profondità al romanzo, facendolo emergere dal semplice schema del giallo. Il suo rapporto con Maria è uno dei motori emotivi del libro. Lei rappresenta un ancoraggio affettivo, ma il viaggio lo pone in una condizione di solitudine che amplifica i suoi dubbi e le sue insicurezze. Questo contrasto tra il legame stabile e l’esigenza di esplorare il passato è una delle dinamiche più interessanti del libro.
Un’ambientazione che è personaggio
Al di là dei personaggi uno dei grandi protagonisti di LAVA è l’ambientazione. Nissirio descrive con cura e amore sia Venezia che Torre del Greco, rendendole vive e palpabili. Se Venezia è il regno dell’acqua, con le sue calli silenziose e la sua umidità onnipresente, Torre del Greco è il regno della terra, dominato dalla presenza inquietante del Vesuvio. I dettagli dell’ambiente vesuviano, dai vicoli di Sant’Anna alle strade di basolato nero, dipingono un paesaggio che fatto di memoria e mistero. Nissirio riesce a rendere l’ambiente un’estensione delle emozioni del protagonista: il vulcano diventa una metafora del tempo che cova sotto la cenere, pronto a esplodere.
Una scrittura elegante
Lo stile di Patrizio Nissirio è elegante ma non eccessivamente letterario. L’autore mantiene un tono moderno e perfetto per la narrativa di genere che tanto amiamo. I dialoghi sono vivaci e realistici, e la narrazione fluisce con un ritmo ben calibrato che alterna momenti di riflessione a sequenze più dinamiche. Le descrizioni sono evocative senza essere ridondanti, offrendo al lettore immagini vivide che lo accompagnano lungo tutto il viaggio. Un punto particolarmente interessante è l’uso del dialetto e delle espressioni locali, che arricchiscono l’ambientazione senza appesantire il testo. Questi inserti conferiscono autenticità ai personaggi e al contesto.
Tra ricordo, perdita e senso del Tempo
Oltre al mistero e all’introspezione, LAVA affronta temi universali come il ricordo, la perdita e il significato del Tempo. Il viaggio del commissario Di Giannantonio è anche una riflessione sul passato e sul modo in cui ci definisce. Il romanzo si interroga sul valore delle scelte e sulla necessità di affrontare i fantasmi che abitano la nostra memoria. Con LAVA Patrizio Nissirio offre un romanzo che è molto più di un giallo: è un’immersione nell’animo umano, in cui il mistero si intreccia con la ricerca di sé. La trama avvincente, i personaggi ben delineati e l’ambientazione straordinaria rendono questa opera un’esperienza di lettura coinvolgente e arricchente. Lo ripeto, questo è un giallazzo. Consigliatissimo a tutti gli amanti del genere, ma anche chi è alla ricerca di un buon romanzo capace di uscire dagli schemi sorprendendo il lettore.
Giacomo Brunoro
Il link alla recensione su Sugarpulp: https://tinyurl.com/ye246yjb
Nata a Roma nel 1961 ha pubblicato una raccolta poetica intitolata Nelle rughe del muro (Ibiskos, 1991). Per il teatro ha scritto La risposta di Leonardo (con Giuliana Majocchi, Il Segnale, 1996), messa in scena per la regia di Sergio de Sandro Salvati dalla Compagnia della Medusa (Teatro Oda di Foggia e Teatro Verga di Milano, premio migliore spettacolo) e La stanza. La festa dei Tuareg (Titivillus, 2004). Ha poi pubblicato i romanzi Il gioco n. 33 (Il Ventaglio, 1993), Il colpo (Pequod edizioni, 2008), Cronache binarie (Enzo Delfino Editore, 2011), Blu cavolfiore (Golena, 2013), La ballata dei giorni della pioggia (Kogoi Edizioni, 2016). Nel 2018 esce, coautrice Giuliana Majocchi, Pina & Max (Edizioni Leucotea, 2018). Alcuni suoi racconti e novelle sono stati pubblicati in diverse riviste di letteratura (“Storie”, “Omero”, “In-Edito”, “TutteStorie”, “EllinSelae”). Collabora con la rivista “Satisfiction”.