Luigi Preziosi


Note di lettura: “Fratello minore : sorte, amori e pagine di Peter B.” di Stefano Zangrando.

Di quali intrecci di emozioni, nonostante l’approccio razionale che si raccomanda nell’avvicinare l’opera di un autore, di quali aspirazioni identitarie, anche inconsce, e anche di quali aspirazioni ad evidenziare distanze per mantenere un atteggiamento critico si colora, soprattutto se sostenuto da una intensa frequentazione, il rapporto tra uno scrittore ed uno suo studioso? Quali implicazioni possono implicitamente arricchire chi studia rispetto all’esempio che riceve? Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B. di Stefano Zangrando (Arkadia editore) è la trascrizione di questo genere di avventura interiore, resa ancora più intensa dal fatto che lo studioso è anche autore in proprio, disponibile quindi alla decifrazione degli aspetti più nascosti della relazione vita – composizione letteraria. Zangrando infatti è studioso di narrativa in lingua tedesca, nonché autore di opere di narrativa, come Quando si vive (Keller, 2009) e Amateurs (alpha beta, 2016). L’autore oggetto dell’indagine è Peter Brasch (1955 – 2001), scrittore tedesco poco noto in Italia, ed un po’ dimenticato anche nel suo paese. Zangrando azzarda con successo la coniugazione della simpatia umana per il personaggio – autore (“si scrive soprattutto per chi si ama, vivo o morto che sia”) e la consonanza critica con le sue opere. E’ la tentazione costante che, quando anche negata, alberga frequentemente negli studi critici, qui sottoposta a parziale sedazione dalle suggestioni indotte dall’andamento narrativo del testo. Zangrando prova a raccorciare al minimo possibile lo scarto tra vita ed opera, attraversando la vita del suo autore come se fosse un’opera letteraria, o meglio, rinunciando con scelta felice a tracciare una linea netta di demarcazione tra esperienza assistenziale e tensione artistica. (posto che una tale rigida distinzione possa in ogni caso plausibilmente proporsi). Durante i suoi soggiorni berlinesi, Zangrando inizia a seguire le tracce del suo autore, frequentando i quartieri in cui aveva vissuto, incontrandone amici e compagne, leggendone gli scritti. Più si addentra nella ricerca, più sente crescere affinità e vicinanze, avverte con consapevolezza via via crescente un senso di confidenza con il suo autore, scandaglia qualche elemento di identificazione :”c’era qualcosa, in quel giovane uomo tormentato, che toccava una mia corda nascosta. Perché lo sentivo così vicino, così familiare?”. Peter Brasch è figlio di un ebreo in fuga dal nazismo che, appena conclusa la Seconda Guerra Mondiale, rientra a Berlino. Qui si converte al comunismo, e si costruisce una carriera da burocrate di partito nella Germania di Pankow. Questi trascorsi possono bastare a spiegare una certa rigidità nei suoi rapporti con i figli, che a sua volta contribuisce a motivare alcuni tratti del carattere del Brasch adulto. Come il fratello Thomas, poeta e regista, fin dall’università (da cui verrà espulso per aver espresso solidarietà al poeta dissidente Wolf Biermann) matura una profonda insofferenza verso il regime che opprime la Germania Est, e conculca le aspirazioni alla libertà di espressione della cerchia di letterati ed artisti di cui fa parte. Mentre il fratello riparerà all’Ovest, Peter resterà nella DDR, sperando dapprima nello sviluppo di qualche riforma di regime, ma via via perdendo fiducia in soluzioni interne al sistema comunista. La sua posizione di dissidenza appartata si prolungherà anche nel periodo successivo alla caduta del muro, relegandolo al ruolo di giovane (muore a 56 anni) sopravvissuto sia al regime comunista sia alla sua antitesi, quel capitalismo presto galoppante che pervade la Berlino appena riunificata. Zangrando compie una sorta di itinerario interiore, alla ricerca dell’altro, di quel Peter che è indubitabilmente altro da lui, ma che a mano a mano che ne esplora ogni possibile espressione della personalità gli si manifesta in una singolare contiguità. Scava nel suo personaggio fino ad essere pervaso del suo modo di vedere il mondo, e lo rivela quel tu con cui nella prima parte si rivolge a Peter e che poi si trasforma nel tu con cui colloquia con se stesso nella terza. La conoscenza del carattere dell’uomo si ricava dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto, gli amici, anzitutto, con cui ha condiviso idee e visioni del mondo: sono anni in cui, anche al di là del muro, certe affinità ideologiche cementano anche i rapporti amicali, ne costituiscono anzi a volte il necessario presupposto. Il ritratto si completa con i ricordi delle donne che lo hanno amato, spesso con grande dispendio di confusa generosità, ma certo senza riuscire a lenirne l’inquietudine esistenziale che lo ha accompagnato dai tempi dell’università, e che la grande quantità di alcool consumato non è riuscita a guarire. Ma il ritratto si completa, agli occhi di uno scrittore, anche con la lettura appassionata e felicemente priva di acribia critica (è l’uomo, nella sua integralità che qui si ricerca) delle opere di Brasch, che, ben oltre il valore letterario (che peraltro il libro proclama, invitando alla riscoperta di testi quasi dimenticati) ne denunciano le incertezze, e ne rivelano attese e delusioni. E Peter scrive per il teatro, lavora, sempre in via precaria, per la radio, scrive poesie (a volte fin troppo influenzato dalle opere del fratello, dirà una sua amica), scrive per i bambini, verso i quali dimostra una straordinaria capacità di ascolto e di parola, fino all’ultimo sfortunato tentativo narrativo. Ne deriva un profilo straordinariamente dettagliato: un artista maledetto nient’affatto compiaciuto del suo stato. Un’esistenza costantemente “contro” logora più o meno fatalmente i rapporti con se stesso, perché corrode l’opinione di se e del proprio agire (con conseguenze tanto più esiziali per un artista, che nella sua opera riversa le proprie attese più urgenti), compromette relazioni e ed amori. Brasch è figlio del suo tempo e del suo mondo, in modo del tutto particolare, ponendosi sistematicamente in posizione antagonistica verso le idee dominanti; da ciò la sua condanna ad una marginalità che si direbbe al tempo stesso subita e goduta, visto che gli consente autonomia assoluta di giudizio. Soffre però molto del cupo conformismo imposto dal comunismo, ne patisce l’angustia di orizzonti che il regime impone per perpetuarsi, una religione senza dei, che nella Germania est almeno dagli anni Settanta del Novecento tende a degradare la lotta di classe in ossessione del controllo. Ma la caduta del muro non lo coinvolge granché: non riesce a trovare sintonia (o non vuole) con il capitalismo aggressivo che subito comincia a manifestarsi. Come dirà la sorella Marion, in una testimonianza – rappresentazione teatrale che Zangrando inscena nella seconda delle tre parti del libro: “(Peter) non stava da nessuna parte, non con il sistema, non con l’annessione da parte dell’occidente. Non eravamo neanche nei movimenti per i idirtti civili, non eravamo i dissidenti sotto i riflettori dell’ovest: Eravamo un’opposizione interna, diffusa, che puntava a liberarsi del vecchiume senza gettarsi nelle braccia del mercato.” Tutto ciò, avendo a che fare con la Germania, riguarda tutti noi europei, e contribuisce, lo si voglia o no, alla comprensione del nostro presente a volte così avaro di punti di riferimento. Ma quanto tempo è passato, da quando questi temi erano centrali per la nostra cultura? Zangrando ci fa riflettere sulla precarietà del concetto di contemporaneità, che pare divorato dall’urgere sempre più rapido degli anni. E allora, Peter, per molti di noi più o meno un coetaneo, è un nostro contemporaneo? Molti di noi hanno assistito, sia pure molto da lontano, agli avvenimenti che hanno contribuito a formare l’universo culturale di Brasch, eppure oggi il suo quotidiano ci pare già consegnato alla storia, non ci riguarda se non per stimolare un confronto tra il suo modo di interpretare il mondo (come ci perviene dai suoi scritti), e il nostro essere nel mondo di allora. Ed ecco quindi che la commemorazione di Brasch, nel giorno in cui avrebbe compiuto sessant’anni, a cui partecipa Zangrando con altri amici e conoscenti dell’autore, presso la birreria gestita dal poeta Bert Papenfuß, (che avrebbe chiuso il giorno dopo), assume una funzione di rito catartico. Consacra un distacco, e finisce per sancire una distanza (anche se non voluta) non tanto cronologica quanto culturale, tra Brasch e Zangrando, e di riflesso tutti noi, che, grazie alle suggestioni che questo libro esprime, del mondo interiore dello scrittore tedesco abbiamo conosciuto rabbie, ideali, disamori ed utopie.

Luigi Preziosi



L’effetto farfalla nella vita

Nel “Caso letterario dell’anno” Marco Visinoni scruta con ironia il futuro

 

In una Bologna, per citare Francesco Guccini, un po’ innocente bambina e un po’ volgare matrona, vivacchia nella mediocrità dell’eterno studente il trentenne Leifur, originario dell’Islanda. Ex (o poco ci manca) scrittore, indolente al dispetto del talento, tra donne e bevute cede a pagamento potenziali bestseller ad altri autori, più dinamici e svegli di lui. Tutto ciò fino a quando, un bel giorno, il nostro riceve una visita da parte del suo io futuro, che gli offre la possibilità di conoscere in anticipo i risultati di tutte le lotterie, per vincere milioni a palate e vivere di rendita. Succede ne “Il caso letterario dell’anno”, recente fatica letteraria di Marco Visinoni, bresciano d’Iseo, classe 1981, già autore del fortunato “Come diventare uno scrittore di successo”. Affiancato da un nano in pelliccia rosa, Boris, e dalla conturbante e ambigua Leila, conquistata e poi perduta, Leifur, strappato al torpore dall’inusuale apparizione, proverà a sfruttare la chance ritrovandosi a girovagare fino alla natia Islanda, dove metterà il punto su vecchie storie di famiglia per tornare in controllo della propria esistenza e provare a completare Starbucks, il romanzo della svolta eternamente procrastinata. Del lavoro di Visinoni – con cui la casa editrice cagliaritana Arkadia battezza la nuova collana “Senza rotta”, dedicata al viaggio in tutte le sue accezioni – conquista il tratto fluido e spumeggiante, funzionale a una narrazione fantastica e grottesca la cui morale è un invito a badare al fatto che ogni nostro gesto, anche banale, influenza il futuro e indirizza la nostra vita sociale, affettiva, professionale. Per dirla con il buon Leifur, «è il fottuto effetto farfalla», la cui ombra aleggia sulla nostra quotidianità vissuta in perenne affanno, senza pause né riflessioni, incalzati dal dubbio di non essere capaci, per demeriti nostri più che altrui, di scegliere il meglio per noi stessi.

Fabio Marcello



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

P.iva: 03226920928




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