“Nomi, cose, musiche e città” su Insula europea
Disegnare il mondo
In una nota parabola di Jorge Luis Borges, inserita dallo scrittore argentino nella raccolta di racconti e poesie intitolata L’Artefice (1960), si legge: «Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto». La citazione, significativamente posta da Claudio Magris quale epigrafe dei suoi Microcosmi (1997), a sottolineare il senso di un’identità che si delinea nell’incontro con i piccoli universi umani e naturali, riassume l’ispirazione del volume di prose e racconti Nomi, cose, musiche e città, ultimo lavoro dello scrittore e poeta Giovanni Granatelli (Arkadia editore, pp.113, € 14.00). Paesaggi, riflessioni, ricordi, epifanie e piccoli e grandi vagabondaggi quotidiani tornano nell’opera di Granatelli dopo i precedenti Spostamenti (Nardini editore, 2020) e Resoconto. Poesie 2002-2022 (Scalpendi, 2023), per fondersi adesso in prose e racconti brevi di schietta e lineare intensità, attraverso una narrazione randagia e mai narcisistica, consapevole di sé e del potere evocativo e memoriale della parola che l’autore padroneggia con grande maestria e sicurezza. Sono i nomi, infatti, che troviamo come primo elemento di un titolo composito, in cui l’accumulo onomastico definisce l’orizzonte ontologico della narrazione, a sancire il potere evocativo e memoriale della parola: Granatelli abita le parole che ripercorre come tante linee di una carta geografica effettiva e memoriale, con i nomi che si riappropriano del proprio ruolo morfosintattico per definire identità e verità. Prende corpo così la parabola di una esistenza che si infarcisce di recuperi verbali come memoriali, delineandosi tra le direttive di rotte nuove e mete perdute in una compenetrazione di passato e presente, tra il suono di vecchie canzoni e desueti lettori di audiocassette, tra cose e musiche e città, epifanie sensoriali, riflessioni e nuove scoperte e verità. Il senso del viaggio, fisico come della scrittura, di cui l’autore si fa portavoce come moderno viaggiatore urbano, risiede dunque nel camminare («camminare è una delle attività più connaturate negli esseri umani, una maniera appropriata di stare al mondo», p. 12), divenendo presupposto indispensabile dunque della narrazione e della conoscenza, dello stupore e della condivisione, della indignazione e della scoperta. Così, «questa maniera appropriata di stare al mondo», non può non richiamare i passi del tempo e della storia. Se Milano è il teatro principale delle peregrinazioni cittadine di Granatelli, la città metropolitana per eccellenza ricca di servizi efficienti nell’ambito dei collegamenti e dei trasporti, dove coesistono gli sguardi tristi di una profuga siriana e s’affastellano i passi confusi e veloci dei viaggiatori alla Stazione centrale, è allo stesso tempo la città del rumore luminoso, capace di un peregrinaggio tutto umano che tuttavia non preclude la vista delle stelle. Tanti passi compie il viaggiatore, a pochi metri come a migliaia di chilometri da casa, alla scoperta di sé e del mondo, passi infiniti, come i giorni, quantificabili adesso grazie ai contapassi degli ultimi modelli di smartphone; passi infiniti che segnano il ricordo di una gita a Pompei e finiscono per arrestarsi nel sito degli scavi archeologici, dove anche la storia sembra fermarsi, in una «prolungata lezione di morte e sulla ferocia del tempo che passa e consuma tutto» (p. 11). Attraverso una continua relazione con l’alterità, quella dei luoghi, e quella più intima dell’identità personale chiamata a confrontarsi continuamente con la mutevolezza della vita e delle stagioni, Granatelli descrive un affresco sull’esistenza che con lirismo discreto da privato sa farsi universale. Lo status viatoris, condizione già ampiamente affrontata dal poeta nelle precedenti opere poetiche e prosastiche, non è soltanto una chiave interpretativa (in senso biologico) dell’esistenza ma anche la condizione intima ed esistenziale del viaggiatore: quella del poeta e dello scrittore assorto nei piccoli grandi vagabondaggi quotidiani, all’insegna di una esplorazione che s’immerge nella propria storia con un senso dell’effimero e insieme dell’eterno, alla ricerca di un’Itaca che è insieme meta del viaggio e specchio di se stessi, approdo e appassionante ritorno.
Laura D’Angelo
Il link alla recensione su Insula europea: https://bitly.ws/384×4