“Mio zio l’impiegato” su Mille Splendidi Libri e non solo
Mio zio l’impiegato di Ramón Meza – Arkadia Editore
Chi li avesse osservati attentamente avrebbe potuto scambiare questi due viaggiatori per due fratelli, ma, essendo meglio informato, posso assicurare il lettore che quei due passeggeri non erano altri che mio zio e io. Ramón Meza, una delle voci più rappresentative della letteratura sudamericana del XIX, dipinge con un piglio scherzoso e grottesco proprio come la Cuba dell’epoca si mostrava, cupa e bizzarra nella sua amministrazione, loschi figuri, corrotti e ignoranti. Mio zio l’impiegato tradotto per Arkadia editore da Lorenzo Mari nella collana Xaimaca, è un esempio fulgido e dissacrante di come i dipendenti pubblici, rubano, imbrogliano il Paese davanti a palesi irregolarità. Manuel il narratore e suo suo zio Vicente Cuevas, sbarcano al porto dell’Avana dal brigantino Tolosa, incuriositi e affascinati dalla bellezza della città con le sue case colorate, le chiese, i campanili, le vetrate riflettenti luci e colori, per niente abituati a tanta meraviglia, si apprestano ad affrontare la nuova vita che li aspetta: con in tasca una lettera di raccomandazione per un posto da impiegato, i due si presentano al cospetto dell’omino grasso, calvo e ben vestito, nella figura dell’eccellentissimo Don Genaro, con la lettera del marchese di Casa-Vetusta. La nostra situazione si andava normalizzando. Adempivamo diligentemente agli obblighi relativi alla nostra posizione: quel lavoro che per don Benigno era così opprimente e difficile veniva sbrigato da mio zio in uno schiocco di dita. Prendeva uno stipendio, lavorava poco ed era assai contento. Anche l’interno del nostro tugurio al León Nacional stava cambiando: il mondo era scomparso, sostituito da una bella vetrina in mogano, e le bugie non erano più infilate nei colli di bottiglia, ma in candelieri argentati. Ha così inizio la bella vita di nipote e zio, fatto anche da una grossa delusione d’amore, una proposta per una giovane e ricca ragazza che viene respinta beffardamente dal padre direttamente al mittente, ma i guai per i due iniziano quando, le ruberie e gli imbrogli saltano alla luce, costretti a scappare per evitare il carcere. È nella seconda parte del romanzo che conosceremo il conte Coveo, a sei anni dai fatti narrati, l’opulente conte ha raggiunto una posizione ideale, non senza stratagemmi e furberie. Era poco più di mezzogiorno del giorno successivo quando il conte Coveo, disteso su un grande letto dall’elegante baldacchino, si svegliò, si stropicciò gli occhi, stirò le braccia e sorrise con il sorriso tipico dell’uomo che scoppia di salute, dedito ai piaceri della vita, e che intorno a sé vede disseminata ogni possibile comodità A guidare la narrazione, con dettagli, descrizioni accurate, il nipote, che con fare scherzoso e volutamente sarcastico, catalizza l’attenzione su situazioni, assurde, pantomime grottesche, dileggia il personaggio Vicente Cuevas/Coveo rapportandolo alla visione di libertà dal colonialismo cubano.
Ramón Meza (L’Avana, 1861-1911) fu un giornalista, scrittore, insegnante, legislatore e critico letterario cubano. Una delle voci più importanti del romanzo sudamericano del XIX secolo nel suo aspetto realista e il romanziere più prolifico della fase finale della Cuba coloniale. Dottore in Filosofia e Lettere, si laureò in Diritto Civile e Canonico all’Università de L’Avana e scrisse numerosi articoli che ritraggono i tipi e i costumi del suo tempo.
Loredana Cilento
La recensione su Mille Splendidi Libri e non solo