“Il giardino dei nani solitari” su Electo Magazine
En la carretera.. Il viaggio dell’investigatore Cavalcanti ai tempi del Covid
Come dimostrano i finalisti del Premio Strega, l’editoria italiana mainstream punta spesso su microstorie individuali e vicende ansiogene e psicologiche, scritte con uno stile sempre più “social” e sintatticamente povero. Oppure su libri sperimentali, il che spesso significa brutti. Microcosmi passati ai raggi X e vicende ombelicali e individualistiche spacciate per parabole universali. Se poi si ha come obiettivo principale un premio letterario, al romanzo non deve mancare il consueto catalogo di nani & ballerine declinato in salsa politicamente corretta. E le altre forme di romanzo? La narrativa d’avventura, ad esempio, è scomparsa? E il romanzo sociale? Esistono ancora autori che non vogliano piangersi addosso e non pretendano di spiegare il mondo ai lettori? Sì, esistono. Però bisogna cercarli al di fuori delle classifiche di vendita, diventate il giardino di casa dei pochi colossi che egemonizzano il mercato editoriale. È il caso di “Il giardino dei nani solitari” di Gian Luca Campagna, un romanzo pubblicato da Arkadia Edizioni uscito il mese scorso in occasione del Salone internazionale del Libro di Torino. Figura poliedrica (è anche giornalista, esperto di comunicazione aziendale e organizzatore di eventi culturali), lo scrittore di Latina non è nuovo a romanzi dal sapore d’altri tempi, nei quali il gusto per l’avventura, il piacere di scoprire luoghi insoliti e la sfida nel proporre personaggi fuori dagli schemi si fonde sapientemente con le atmosfere gialle. Questa volta di noir c’è poco, anche se nel corso del romanzo restano sospesi degli enigmi da sciogliere e alla fine del viaggio (simbolico e fisico) la realtà non è quella che si pensava all’inizio, come sempre accade nei buoni libri polizieschi. In “Il giardino dei nani solitari” ritorna il protagonista seriale preferito di Campagna, l’investigatore privato italo-argentino (più che altro argentino-italiano) Josè Cavalcanti, che già era comparso in altri tre libri suoi. È il prototipo dell’uomo disilluso, cinico, controcorrente e ferito dai rovesci della vita, che tuttavia non sa resistere alla tentazione di compiere imprese nobili che non prevedono nessuna ricompensa. Tanto per il gusto di infrangere l’inerzia del mondo e di aiutare chi non ha nessuno che lo possa fare. Eccolo quindi imbarcato in un’avventura da cavaliere medievale che lo dovrà portare da Ceuta, piccolo lembo di Spagna in terra nordafricana, sino a Roma mentre lungo la strada stanno deflagrando caos e terrore seminati da un morbo ancora sconosciuto, il Covid-19 (siamo infatti tra l’inverno e la primavera del famigerato 2020). Non è un viaggio fine a se stesso, però. Accogliendo le suppliche di un parroco spagnolo, Cavalcanti decide di accompagnare nella capitale italiana due piccolo profughi saharawi, cioè dello sfortunato popolo del deserto che alla fine del colonialismo spagnolo è stato occupato e schiacciato dai nuovi invasori marocchini. In modo rocambolesco Latifa e il fratellino Mohamed sono riusciti a oltrepassare il filo spinato che separa l’Africa dal territorio europeo (Ceuta, appunto) e vogliono raggiungere i genitori che vivono a Roma. Non sarà un’impresa facile, perché in tutto il continente stanno chiudendo gli aeroporti, i treni si fermano, le navi rischiano di rimanere da un momento all’altro ancorate nel porto e persino le strade sono bloccate dalle forze dell’ordine nel vano tentativo di fermare la pandemia. Ma Cavalcanti non è uomo che si ferma facilmente davanti agli ostacoli e quindi lo vediamo attraversare la Spagna da sud a nord a cavallo di una vecchia motocicletta con sidecar, sul quale ha caricato i due bambini saharawi e una scimmietta di Gibilterra. E poi, dopo aver accolto anche una giovane spogliarellista romana che vive a Barcellona e deve raggiungere la famiglia, via di corsa per la Francia, la Liguria e la Toscana sino a raggiungere una Roma spettrale e distopica dove si scioglieranno i misteri che l’hanno accompagnato durante l’intero viaggio. Compreso quello legato a una coppia di maldestri agenti segreti arabi che gli stanno alle costole fin dall’inizio. Come spesso accade, l’uomo che arriva a Roma dopo mille peripezie non è più lo stesso che è partito da Ceuta settimane prima. Strada facendo Cavalcanti ha scoperto una tenerezza che non sapeva di possedere, forse anche un desiderio di paternità da sempre incagliato nelle profondità dell’anima. E la vicinanza con una donna che a poco a poco si innamora di lui rischia di perforare la corazza che il detective si è costruito giorno per giorno per difendersi dal dolore di un grande amore finito malissimo. Basterà tutto questo per indurlo a cambiare vita? Oppure tornerà a leccarsi le ferite esistenziali nella sua Buenos Aires lontana e malinconica? Gian Luca Campagna ce lo svelerà nel prossimo romanzo. Intanto ci lascia con il piacere di leggere questo road-book delicato, ironico e picaresco, tanto lontano dai gusti medi degli editor italiani e dei giurati dei premi letterari alla moda. Bene così.
Giorgio Ballario
La recensione su Electo Magazine