Perfectbook incontra Paolo Ciampi

È il 1861: nasce il Regno d’Italia e in America scoppia la Guerra di secessione. In un momento storico cruciale e delicatissimo, un personaggio estremamente curioso diventa il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti. Si chiama George Perkins Marsh e L’ambasciatore delle foreste di Paolo Ciampi (Arkadia Editore) ne racconta la storia. George è un personaggio curioso: appassionato di linguistica, amante della natura, uomo d’affari visionario ma sfortunato, viaggiatore e osservatore acutissimo. Tra incontri bizzarri, intuizioni geniali e una vicenda umana segnata da difficoltà non indifferenti, George emerge come un uomo profondamente moderno e lungimirante, ma soprattutto si svela come ecologista ante litteram. Seguendo passo passo la sua vita, il lettore entra in sintonia con lui e, pagina dopo pagina, il libro si rivela una chicca imperdibile.

Abbiamo posto qualche domanda all’autore, Paolo Ciampi, per approfondire la figura di George e il messaggio che il libro intende trasmettere raccontando questa singolare vicenda.

Per cominciare, com’è nata l’idea di approfondire e narrare la storia di George Perkins Marsh?

Sono i casi della vita, senza dover ricorrere alla solita frase sulle storie che bussano alla porta di chi è pronto a riceverle. Diciamo che sono stato fortunato: un giorno arrivò dalle mie parti una delegazione dell’Agenzia dei parchi degli Stati Uniti, incontrò i colleghi italiani e si meravigliò che da noi George Perkins Marsh, padre dell’ecologia prima che la stessa parola ecologia esistesse, fosse praticamente uno sconosciuto. Così lasciò in dono una ponderosa biografia. Però ci ho messo dieci anni per leggerla e per capire che questa era una storia da raccontare.

Se dovessi descrivere George con tre aggettivi, quali sarebbero e perché?

Curioso, perché senza la curiosità non si sarebbe mai posto le domande giuste. Irrequieto, di quell’irrequietezza che prova comunque a tenersi strette le cose che davvero contano. Pigro, intendendo quel genere di pigrizia che sa darsi molto daffare, non per ciò che da te pretendono ma per ciò che vuoi veramente. Inutile dire che in George ritrovo qualcosa di me. Anzi, chi mi conosce ha provato a stanarmi: parli di George o parli di te stesso?

Dalla narrazione emerge chiaramente come George sia stato un uomo che ha anticipato i tempi, sotto molteplici punti di vista. Secondo te, come avrebbe vissuto questi nostri anni e le crescenti preoccupazioni riguardanti l’ambiente?

Come uomo che per primo ha lanciato l’allarme sui cambiamenti climatici certo oggi sarebbe facile per lui constatare la correttezza dei suoi ragionamenti. Non credo però che sarebbe saltato su rivendicando le sue ragioni – stile l’avevo detto io – non era persona. Piuttosto con pragmatismo tutto americano si sarebbe rimboccato le maniche. E da qualche parte avrebbe cominciato. Magari senza scendere in piazza, semmai regalando un sorriso o un cenno di intesa ai ragazzi che oggi in tutto il mondo manifestano.

Nel libro racconti di esserti messo sulle tracce di George prima a Torino, poi nella tua Firenze. Che esperienza è stata?

Ho ritrovato le emozioni che altre volte ho vissuto quando ho deciso di ricostruire e raccontare la storia di altri persone più o meno nascoste nelle pieghe della grande Storia. Semmai questa volta ho sentito un’empatia più forte, che ha sconfinato in una sorta di immedesimazione. In ogni caso ho imparato che i luoghi che da una persona sono stati abitati o frequentati in qualche modo trattengono qualcosa di quella vita, anche se apparentemente non ne è rimasta traccia. E di un’altra cosa mi sono convinto: quando scegli di raccontare una vita prendi una decisione che non esaurisce gli effetti con la pubblicazione di un libro. Comincia una relazione che va avanti. Oggi di George so molto di più, grazie anche ad altre persone che con l’Ambasciatore delle foreste si sono riconosciute in una piccola comunità di affetti  e interessi.

Molti personaggi curiosi circondano George: qualcuno che ha suscitato il tuo interesse in modo particolare?

Non so se curioso sia la parola giusta, ma nel libro – e prima ancora nella vita di George – c’è una persona straordinaria, che forse meriterebbe un libro a parte. Caroline, la seconda moglie di George. Una donna notevolissima per spirito, intelligenza, anticonformismo: e per la verità è lei che ho conosciuto per prima, molti anni prima di imbattermi in George, grazie a un volume che raccoglieva pagine dei suoi diari relativi al periodo trascorso a Torino. Malgrado una malattia che l’ha segnata per tutta la vita Caroline era una donna coraggiosa e indipendente. Così come malgrado le rigidità e le ipocrisie dell’epoca George è stato un marito attento  e affettuoso.

Se ai lettori restasse in mente una sola cosa dopo la lettura de L’ambasciatore delle foreste, quale vorresti che fosse?

In realtà sono almeno due. Ovvero che la vita può prendere direzioni strane e impreviste, ma a volte è proprio questa la strada per diventare ciò che vogliamo. E poi, soprattutto per i più giovani: non è vero che non si possa fare niente. George era solo, nel secolo del Progresso che non ammetteva dubbi, eppure il suo messaggio ha lasciato un segno ed è stato raccolto. Vorrei che L’ambasciatore delle foreste fosse inteso come un libro sull’importanza delle parole – intendo le parole scritte – e su ciò che le parole possono mettere in movimento.


Arkadia Editore

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