“I giorni pari” su Storygenius
Parliamo del romanzo “I giorni pari” con Maria Caterina Prezioso
“È una storia che voglio diventi dei lettori, che nasca da me e arrivi a loro che la possono fare propria. Se ne impossessino. E dare vita al loro ricordo”.
È stato presentato al Premio Comisso il romanzo I giorni pari di Maria Caterina Prezioso, pubblicato dalla casa editrice Arkadia nel 2024, un libro che mi ha colpito perché, tra le molte storie che raccontano ai nostri giorni gli anni più cupi del Novecento, narra un sottile parallelo di vita tra due ragazze, Sara e Silvana, entrambe costrette a fuggire e a rifugiarsi, l’una perché inseguita dalle leggi razziali, l’altra perché ammalata di tisi. La grande storia e la piccola storia quotidiana di quegli anni terribili (che però portarono a una rinascita la cui forza sembra esaurita) s’incrociano in una vicenda che per molti lettori funzionerà come una “macchina della memoria”, capace di far sorgere anche ricordi nostalgicamente belli tra le pieghe della tragedia collettiva, soprattutto quando il testo si avvia a narrare il periodo della “ricostruzione” collettiva del paese. L’autrice, che collabora regolarmente da qualche anno con il sito di recensioni Satisfiction, non indulge in momenti enfatici, la sua scrittura è piana anche nel trattare i temi più scottanti. E in fondo I giorni pari, che poteva sembrare solo un’evocazione del passato, pubblicato a novembre dello scorso anno, sta facendo il suo percorso proprio mentre infuriano di nuovo le grida e le parole di quella storia, per certi versi mai del tutto passata. Mi ricordo di aver incontrato Maria Caterina Prezioso diversi anni fa nei giardini di Castel Sant’Angelo mentre, in una calda sera dell’estate romana, spacciavo (come faccio spesso del resto) dei corsi di scrittura creativa. Evidentemente la nostra passione per la letteratura, per la lettura e la scrittura non si è ancora placata. Ed è quindi con piacere che le rivolgo le mie ormai tradizionali domande sul suo romanzo.
Maria Caterina, nel tuo I giorni pari hai scelto di raccontare il Novecento nella sua parte più drammatica, come mai?
Grazie Paolo per questa intervista. È importante per me essere nel mondo di “Genius”. Raccontare un periodo particolare, come quello del fascismo, della II guerra mondiale e della rinascita, forse meglio dire della ricostruzione, è stata una scelta ben precisa, nata soprattutto dal desiderio di dare voce alle storie di vita quotidiana sommerse dalla grande Storia. Lo Stato italiano si trovava e si trova ad affrontare un contesto storico complesso. Una Italia, divisa da quelle che sono le scelte governative di allora e di adesso contrapposte a un desiderio del popolo ben diverso da quelle decisioni. Un mondo silenzioso, una Nazione incapace o sopraffatta da quella che potrei definire una “bulimia” di protagonismo che non ha saputo fare i conti con la necessità di una popolazione a sua volta impossibilitata a esprimere appieno il proprio sentimento. Un sentimento che non era e non è desiderio di guerra o di colonizzazione, ma piuttosto la ricerca di una possibile crescita personale e sociale che forse solo le donne hanno saputo davvero interpretare.
Sara e Silvana si ispirano entrambe a due persone reali, oppure Sara è solo frutto della tua immaginazione?
Silvana è sicuro il mio ricordo e Sara la mia immaginazione. Ma sono anche il frutto dei racconti che ho voluto e saputo ascoltare. I racconti che mi sono stati fatti per Silvana li ho elaborati attraverso la necessità di trovare un riscontro continuo nella Storia. Per certi versi con Silvana ho attraversato la Storia attraverso il suo sguardo. Con Sara è stato diverso. La mia immaginazione doveva assolutamente trovare non solo un appoggio nelle storie che mi sono state narrate, ma avere una forza tutta sua. A un certo punto della scrittura non c’era differenza tra immaginazione e memoria. Ognuna delle due protagoniste aveva la sua voce e si confondeva nella storia dell’altra. Ho scoperto che non c’è immaginazione senza memoria e viceversa. Sara di sicuro ne è il frutto.
Da una parte guerra e razzismo, dall’altra una terribile malattia, è la sorte che accomuna le due ragazze?
Le accomuna una “piccola valigia”. Sara rifugiandosi a Sperlonga porta con sé una piccola valigia per non dare nell’occhio… Silvana arriverà al Forlanini con una piccola valigia… per ognuna delle due è un momento di passaggio. Staccate dalla famiglia di origine, attraverseranno la soglia della adolescenza trovandosi adulte e, pur non conoscendosi, una “specchio dell’altra”.
La malattia di Silvana è la tubercolosi, che pare quasi un ricordo del passato, da dove nasce la voglia di raccontarla?
All’epoca la tubercolosi si portò via una intera generazione di giovani. E’ una malattia che ha segnato il Novecento: basta pensare al capolavoro di Thomas Mann, La montagna incantata o, come oggi è stata titolata, La montagna magica. Ma c’è di più, volevo raccontare quello che ha significato ammalarsi in un tempo che esaltava il vigore del corpo e della gioventù. Come ci si poteva sentire. Giovani che se ne sono andati senza che nessuno li ricordi e quanto è stato fatto per combattere la malattia da figure emblematiche come il professore Giusto Fegiz. Volevo dare uno spaccato originale del Forlanini, allora il Sanatorio di Roma. La tubercolosi era, ma è ancora in tante parti del mondo, una malattia che lascia i segni, nasce dalla fame, dalla incapacità di prendersi cura degli altri e soprattutto da quell’oscurantismo che non perdona.
Quali sono i “giorni pari” del titolo?
I giorni pari sono i giorni felici, non nel senso di contentezza, ma della capacità in ognuno di noi di sopravvivere e pensarsi ancora capaci di sognare. I giorni pari per il popolo napoletano sono quelli che aprono al futuro, giorni di buon augurio.
Racconti il 2 giugno del 1946, in una scena che potrebbe richiamare alla mente il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, ci hai pensato mentre la scrivevi?
No. Le prime stesure nascono, temporalmente, ben prima del film della Cortellesi. Penso che ci sia nell’aria la necessità, una urgenza di raccontare alcuni episodi che hanno avuto un significato ben preciso. Raccontare alle nuove generazioni. Ognuno lo fa a modo suo. Sia Sara che Silvana arrivano a quel 2 giugno del 1946 molto più consapevoli di quanto ci arriva il personaggio della Cortellesi. Piuttosto mi ritrovo nelle parole di Maura Delpero che con il suo film Vermiglio si è aggiudicata quest’anno al Donatello uno dei premi più ambiti, il David per la migliore regia. È la prima donna di sempre ad aggiudicarsi questo riconoscimento… quando nei ringraziamenti dice “volevo raccontare quando la guerra l’avevamo in casa noi …”
A un certo punto scrivi: “Sono state compiute azioni orribili, ma ci sarà sempre qualcuno disposto a fare finta che tutto questo non sia realmente accaduto”, ti pare che sia quello che sta accadendo adesso?
Assolutamente sì. Non voglio semplificare, ma neanche prendere le distanze da un modo di pensare che mi sta a cuore. Posso sbagliare, ma preferisco prendere le cose di petto e farmi dettare la scrittura e il mio vivere più dal cuore che dalle azioni di convenienza. E non posso non vedere quello che sta accadendo e come ancora una volta si fa finta che non sia reale, che non sia così grave. Quello che mi confonde e mi fa arrabbiare è che pensavo che solo chi ha subito tanto potesse capire e invece sta accadendo il contrario. Questa incapacità che genera “morte” mi lascia annichilita. Forse potrei portare ad esempio le parole di Papa Francesco. Ma si ha voglia di ascoltare? Oppure aspettiamo solo il tempo in cui dire … “è possibile che tutto questo sia realmente accaduto”?
Nei “Titoli di coda” del romanzo ci sono tanti personaggi citati, per ognuna delle due protagoniste, in un elenco che mescola i personaggi della narrazione con personaggi storici, come mai?
Perché ho voluto fare un romanzo di personaggi. Mescolando appunto personaggi realmente vissuti e personaggi immaginati. È stato un gioco che sentivo necessario. Penso che non ci poteva essere Leone senza Pietro Ingrao e non ci poteva essere Giusto Fegiz senza Orlando.
C’era qualcosa di significativo che volevi dire ai lettori di questa storia?
Ho voluto dare voce a Sara e Silvana, se ci sono riuscita, sta a chi legge le loro storie giudicare.
Com’è stato accolto il romanzo dai lettori?
È la parte più bella! Cerco di avere un rapporto con la mia scrittura e coloro che leggono il romanzo. È una storia che voglio diventi dei lettori, che nasca da me e arrivi a loro che la possono fare propria. Se ne impossessino. E dare vita al loro ricordo. Una cosa bella che mi è stata detta da una lettrice: “Mi sembrava di ascoltare mio padre raccontare dei tempi della guerra a Sperlonga” ed è allora che mi faccio piccola piccola e sono felice.
Paolo Restuccia
L’intervista su Storygenius