Vita di un cinghiale travestito da liberto
SOTTO LO STESSO CIELO
Le orecchie dei sapienti, riempite da tale suono, sono diventate sorde. Come pazzo o in preda all’ira l’uomo si aggira. Non avanza, ma è come trascinato. Pure l’assalto è di breve durata, simile a un temporale. Così la storia ci sovrasta e nel flusso degli eventi non siamo che fuscelli in balia della corrente. Fissiamo gli occhi a un orizzonte incerto, reso invisibile dalle nostre stesse ambizioni.
La mattina buttavo oziosamente i dadi su un tavolino rustico dinanzi a me, or con la destra, or con la sinistra, avversarie nel gioco. Al meriggio convocavo i miei amici per il commiato. Nerone e la Storia i miei assassini. A Roma erano chiusi gli empori, deserti i tribunali, sospesi i commerci, abbandonato il foro. Pareva fosse tramontato il sole, e che non sarebbe risorto mai più. Il centurione sfoggiava in mano un fascio di carte che ognuno riconobbe dalla dimensione e dal colore, oltre che dal modo in cui erano rilegate: un editto imperiale. Mi si consigliava la morte. Aperte e chiuse le vene, empito il boccale di vino Opimiano, ero incerto se dipartirmi con insolenza o signorilità. Scelsi parole sferzanti in un ultimo lazzo, ne proposi l’affissione in lettere d’oro. La mia stessa arguzia fissò la sorte avversa, così uno spirito libero avrebbe impresso sulla pergamena le proprie residue energie. Al declino della vita intravedo già davanti a me il furore orgiastico di tempi immortali. Gaius Petronius, arbitro di eleganza, si accomiata dalla corte, dall’impero e dal mondo spezzando il calamo.