“Volevo soltanto salvare le mie parole” su Gli Amanti dei Libri
Volevo soltanto salvare le mie parole – Giorgio Bona
Osip Mandel’štam (Varsavia, 1891 – Vladivostok, 1938) è stato uno dei poeti più importanti del Novecento. Voce libera, venne subito isolata dal regime sovietico che lo perseguitò e arrestò due volte. Nel 1938 fu condannato ai lavori forzati. Nello stesso anno morirà in un gulag. Ma la sua poesia è sopravvissuta al gulag del pensiero comunista ed è arrivata fino a noi carica e viva di quell’autentico fervore di libertà. «Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese, /a dieci passi le nostre voci sono già bell’e sperse, /e dovunque ci sia spazio per una conversazioncina/eccoli ad evocarti il montanaro del Cremlino». Sono alcuni versi di Osip Mandel’ štam, il più grande poeta in lingua russa del secolo delle idee assassine. In tutta la sua produzione intensamente lirica per Osip Mandel’štam la parola della poesia doveva necessariamente avere una sua totalità. Egli definiva il poeta colui che è capace di scuotere i significati, di svegliare le parole per mettere in atto una rivolta contro i luoghi comuni. Se oggi conosciamo l’opera di questo straordinario poeta, che considerava la parola poetica un eterno assoluto in cui credere, dobbiamo ringraziare Nadežda, la sua adorata compagna di una vita intera, che dopo essere stata la spettatrice impotente della sua fine ha cominciato ad imparare a memoria tutti i versi di suo marito, rimanendo fedele al suo insegnamento: «in poesia tutto si avvera». Giorgio Bona con Volevo soltanto salvare le parole scrive un romanzo che è prima di ogni cosa un grande atto d’amore nei confronti del grande poeta russo. Bona racconta l’inferno dell’uomo e del poeta, la crudele discesa nel baratro concentrazionario. In queste pagine troveremo Osip Mandel’štam, il poeta delle moltitudine che con i suoi versi ha lasciato uno spiraglio aperto, un lasciapassare, un visto d’ingresso. Osip che non era rivoluzionario e nemmeno un cospiratore, era soltanto un poeta, un umile cantore di versi che si era trovato a interpretare una parte che non era sua e che gli altri gli avevano cucito addosso. Così Bona scrive di Mandel’štam mentre ci parla della sua dedizione assoluta alla poesia. Quella poesia che forse domani tornerà in possesso del paradiso, della vita immediata, del colloquio con il mondo, darà vita a grandi passioni, da vivere e sentire profondamente gli spazi della Terra e dell’universo. La poesia che lo tiene in piedi e gli dà la forza di sopravvivere, nonostante gli abusi del potere e le ingiustizie che lui subisce, il divieto di scrivere e pubblicare, praticamente di esistere. Bona ricostruisce il clima del terrore sovietico di quegli anni: la polizia segreta di Stalin seduta sul cadavere della poesia che dava la caccia ai poeti, inseguiva i liberi pensatori e le anime belle. Nonostante questo enorme sfacelo, Osip non perde fiducia nella parola, scrive di nascosto perché anche se tutto sta precipitando intorno a lui, la poesia resta oltre il mondo La sua fine è segnata dalla pubblicazione di Epigramma a Stalin, nel 1933. «Mandel’štam definirà Stalin «il montanaro del Cremlino», – scrive Ottavia Pojaghi Bettoni – le cui «tozze dita» sono «come vermi». La sua, oltre a essere un’invettiva contro il leader sovietico, è una critica al regime comunista nel suo complesso, che il poeta definisce «colpevole» di numerosi, imperdonabili, errori. Uno tra questi è la collettivizzazione forzata in Ucraina, che aveva procurato solo grande carestia. Verrà arrestato, a seguito di una perquisizione che lo incolpa di aver scritto «versi antisovietici». Passa poco più di un anno. Viene riaccusato e riarrestato per «attività controrivoluzionaria» e condannato a cinque anni di lager. Vittima delle purghe staliniane, morirà durante un campo di transito, in prossimità di Vladivostok, nell’estremità orientale della Siberia, dove venne trasferito e costretto ai lavori forzati, per l’ennesima volta. Il suo corpo non venne mai trovato, le sue poesie sì. Anche grazie alle memorie della moglie che, nel ritracciare la loro vita insieme, ne ricordava alcuni versi. Le sue opere verranno scoperte e amate in tutto il mondo: in Italia, le sue poesie verranno tradotte già dagli anni ’60». Leggendo oggi i fogli di poesia di Osip Mandel’štam, ci troviamo davanti un poeta assoluto che non si è mai sentito contemporaneo di nessuno. La sua voce, seppure annientata dalla malvagità totalitaria, continua a fare rumore nel nostro tempo che continua a essere dilaniato dai lupi che hanno sempre fame e sete di sangue. L’atto d’amore di Giorgio Bona nel romanzo Volevo soltanto salvare le mie parole riporta ai giorni nostri la voce del grande poeta russo. Possiamo con dire con assoluta certezza che Osip è riuscito a salvare le sue parole e la sua poesia è sopravvissuta al terrore di Stalin. Noi oggi le sue parole salvate le leggiamo ancora e le leggeremo anche domani e nei suoi versi ritroveremo sempre l’uomo che aveva vissuto per scrivere, soltanto la scrittura lo aveva spinto ad attraversare una vita di stenti, abusi e privazioni. Ritroveremo il più grande poeta del secolo scorso («Lui era considerato una delle voci più rappresentative della poesia della Russia. La sua popolarità era pari a quella di Vladimir Majakovskij, Sergej Esenin e con Marina Cvetaeva esprimeva grandi e nobili valori con la profondità e la bellezza dei suoi versi») che ha imparato la scienza degli addii, nel piangere notturno della poesia (che è come la leucemia perché avvelena il sangue»), a testa nuda.
Nicola Vacca
La recensione su Gli Amanti dei Libri