“L’imbattibile lentezza delle tartarughe” su FirenzeToday
L’imbattibile lentezza delle tartarughe: Alessandro Gianetti racconta la Firenze che cambia
Il traduttore letterario fiorentino, da anni residente a Siviglia, presenta il suo romanzo ambientato tra Rifredi e Novoli. Una storia di lotta sociale e riflessione esistenziale nella periferia del capoluogo toscano
Davide Risatti, quarantenne disoccupato “metodico”, combatte la sua personale battaglia contro le ingiustizie in una Firenze lontana dai flussi turistici. È il protagonista de “L’imbattibile lentezza delle tartarughe” (Arkadia), il nuovo romanzo di Alessandro Gianetti, traduttore letterario fiorentino che da diversi anni vive e lavora a Siviglia.
Il libro, ambientato tra Rifredi e Novoli, racconta la storia di un uomo che si trova a oscillare tra due possibilità di fronte alla vita: combattere contro tutto quello che considera ingiusto oppure contemplare con distacco, come fa la natura rappresentata dalla tartaruga del titolo.
Alessandro, perché hai scelto di ambientare il romanzo proprio in quella zona di Firenze?
“La risposta è semplice: ci sono nato. In letteratura o scrivi di quello che conosci oppure ti inventi qualcosa proprio perché non la conosci. In questo caso mi interessava ambientarlo lì perché la storia mi è venuta in mente tempo fa – la prima stesura risale a sette anni fa, quando il tema del reddito di cittadinanza stava emergendo. Volevo raccontare di uno che ha delle abitudini fisse che vengono sconvolte da un piccolo cambiamento, e questo determina la trasformazione della sua concezione del mondo. Dal piccolo al grande.”
Che sfondo ti dà ambientarlo in quella zona semi-industriale?
“Mi serviva uno sfondo con un po’ di rivendicazioni sociali. Non lo potevo ambientare in Via del Corso. Quella zona, con il collegamento a Sesto Fiorentino dove ci sono sempre state vertenze importanti, mi dava l’ambientazione urbana e un po’ cruda che cercavo. È una Firenze di periferia, lontana dall’immagine stereotipata. È la Firenze che cambia, un’immagine viva della città.”
Il romanzo ha infatti un sottofondo politico che l’autore non nasconde, raccontando anche come sono cambiate nel tempo le vertenze sindacali e la lotta sociale.
Nel libro c’è il personaggio dell’Airaldi, sindacalista vicino alla pensione…
“Esatto, lui rappresenta l’ultimo sindacalista di quella stagione quando si facevano vertenze anche a oltranza, con l’appoggio massiccio della base dei lavoratori e quando si sentiva nella società un sostegno, non l’indifferenza di oggi. Il protagonista invece è più giovane, ha meno basi ideologiche e oscilla tra diverse visioni. Mi interessava questa trasformazione di Firenze, che è sempre stata una città con un passato di sinistra e una parte industriale con molte lotte sociali. Ora tutto è più appiattito, anestetizzato.”
E la tartaruga del titolo cosa rappresenta?
“È l’indifferenza della natura. Le due possibilità di fronte alla vita sono: combattere, lottare, impegnarsi, anche quando non si ha completamente ragione, oppure contemplare, distaccarsi dalle cose e imparare a non partecipare, come fa la natura. Cito sempre quel quadro di Pieter Bruegel il Vecchio, ‘Paesaggio con Caduta di Icaro’: Icaro cade in un angolo del quadro mentre tutto continua a scorrere uguale, con l’agricoltore che lavora indifferente. È la relativizzazione dei problemi dell’uomo. Ho sempre sentito la mancanza di una visione anche distaccata dalle cose. Mi sono sempre sentito un po’ in colpa perché volevo imparare a non vedere tutto in termini politici, secondo quella logica per cui uno è buono se è comunista, cattivo se non lo è. La tartaruga rappresenta il distacco, l’accettazione dell’inevitabilità delle cose, perché qualsiasi conquista dell’uomo è sempre temporanea e contraddittoria. Ma senza combattere l’uomo non arriva da nessuna parte”.
Come mai hai lasciato l’Italia per la Spagna?
“Ho iniziato con l’Erasmus a Madrid, poi sono tornato, mi sono laureato in Scienze della comunicazione a Bologna. Ma l’idea di tornare all’estero mi era rimasta. L’opportunità, o meglio il pretesto, è arrivata quando ho iniziato a tradurre un’autrice spagnola per Voland, Espido Freire. Con il pretesto della traduzione sono tornato in Spagna e poi ho iniziato a lavorare come professore di italiano e traduttore tecnico, fino ad arrivare a fare il traduttore letterario, che è il primo lavoro che mi piace davvero.”
Come vedi l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla traduzione?
“È interessante vedere che nei contratti di alcuni autori di eccellenza iniziano già a inserire il divieto assoluto di usare l’IA. Ma è una clausola un po’ velaria, difficile da far rispettare. Mi preoccupa di più la fascia grigia, quella della mediocrità. Se non hai un’elaborazione da autore e non controlli bene il testo, escono fuori errori evidenti. I traduttori automatici, quando non conoscono una parola, la lasciano in inglese, creando anglicismi inutili. Nella traduzione tecnica è molto più diffusa perché se devi tradurre una piccola guida, un depliant, ti affidi all’IA. Ti crea l’illusione di poter fare qualsiasi cosa, ma senza le competenze necessarie esce fuori un testo banale e spesso sbagliato.”
Parlando della tua scrittura, colpisce la fluidità dei dialoghi…
“Era una delle cose a cui tenevo di più. Volevo che i dialoghi fossero proprio di persone vere, senza quel velo che spesso si trova nella letteratura contemporanea. Il mio ideale è Calvino: apparentemente semplice, non devi aprire il dizionario, ma poi c’è molto senso morale della scrittura. Ho riscritto questo libro mentre preparavo un saggio su Calvino, e credo che abbia influito nel senso buono.”
Che Firenze ritrovi quando torni?
“C’è un distacco dalla cultura che mi fa arrabbiare, una mancanza di entusiasmo. Firenze si gongola del fatto di essere Firenze, ma poi non spinge le sue eccellenze, manca un ecosistema che le valorizzi e le tenga insieme.
Il romanzo di Gianetti offre un taglio inedito su Firenze, quello di una città che cambia e si trasforma, lontana dalle cartoline turistiche ma ricca di storie umane e contraddizioni sociali. Un invito a non perdersi nelle “buche del marciapiede” ma a mantenere uno sguardo più ampio sui problemi e le trasformazioni del nostro tempo.
Marco Bazzichi
L’intervista su FirenzeToday