“La bella virtù” su Lankenauta
SALABELLE MARISA
LA BELLA VIRTÙ
È possibile raccontare la storia di una famiglia per frammenti, o per momenti? Sì, a ben vedere, se tutti i nostri ricordi procedono a sprazzi, a scatti, a quanti, mi verrebbe da dire pensando alla fisica quantistica e alla discontinuità dello spaziotempo e della stessa energia. In ogni caso, Marisa Salabelle lo fa, e molto bene. Già ne Gli ingranaggi dei ricordi aveva tratteggiato la parabola della famiglia Dubois, arrivando all’approdo dei due giovani fratelli Felice e Demy a Sanluri – un paesino dell’entroterra sardo – da Cagliari in tempo di guerra dopo un avventuroso viaggio a piedi (oltre a narrare vicende romane legate alla Resistenza e all’attentato di Via Rasella). È da lì che si diparte la vicenda raccontata ne La bella virtù, con il fidanzamento tra Felice e Maria Ausilia, una ragazza del posto. Questo nuovo libro, che non è un vero e proprio sequel, ma una nuova storia collegata a quelle premesse, si svolge tra quel tempo lontano e il presente, o meglio il 2010, quando Felice si ammala, e il 2019, quando Kevin, nipote di Felice e figlio della sua affezionata terzogenita Carla, sospinto da lei, inizia una ricerca per scrivere una tesi di laurea imperniata sulla storia della sua famiglia – con l’obiettivo di dimostrare la possibile parentela tra il bisnonno e il santo Giuseppe Moscati. Passato e presente si riflettono l’uno nell’altro, spostando continuamente – ma con ordine e fluidità coinvolgenti – l’asse dell’attenzione e il pendolo dei sentimenti dall’epoca remota e difficile delle prime fasi della relazione tra Felice e Maria Ausilia alla durezza amara, e sia pur sempre stemperata dalla caratteristica ironia dell’autrice – dei tempi della vecchiaia. Il tutto, passando attraverso prove dolorose e segmenti di serenità, miscelati con maestria. Insomma, si fa presto a dire “la storia di una famiglia”, dicitura peraltro corretta. In effetti, questo romanzo, a ben vedere, è qualcosa di più. È una fantasmagoria di immagini, sprazzi di colore, parole dette e sentite, gusti e odori appartenenti a svariati attimi di passato, filtrati attraverso il vaglio di una narrazione a più voci che rende efficacemente la compresenza di tanti e diversi punti di vista e di sentire. “La bella virtù”, il canone di moralità alta (e, nella sua interpretazione, rigida) di Felice, cattolico vecchio stampo e grande erudito nel campo delle lettere classiche, che si unisce – misteri dell’amore – alla praticità schietta di Maria Ausilia, irresistibilmente attratta (ma anche sempre infastidita) da lui; il carattere ribelle dei loro primi due figli e l’equilibrio di Carla, e ancora la vena scavezzacollo di Kevin. Tutti questi angoli visuali si alternano come in un recitativo dove tutto torna, perché la vita non viene fuori per caso così come la raccontiamo: il fatto è che la raccontiamo in un certo modo proprio perché è andata così. I frammenti di informazione che sono tutte le parole spese, le cose viste, sentite, assaporate, le emozioni provate, tutti questi brandelli di universo che esistono perché noi li osserviamo e ne parliamo (ovvero, appunto, li raccontiamo), formano la vita proprio come si è svolta, la vita che siamo (stati) noi. E in questa storia c’è tanto del vissuto di ognuno. Scatta dunque il meccanismo di identificazione del lettore, che molto spesso è l’elemento che rende speciale un romanzo, o un racconto in genere. Marisa Salabelle offre qui un’altra prova del suo grande talento di narratrice pura, capace non solo nella giallistica (L’estate che ammazzarono Elisa Caddozzu, L’ultimo dei santi, Il ferro da calza) e nel romanzo psicologico dalle venature tragicomiche (La scrittrice obesa), ma in una scrittura che, come questo suo nuovo libro dimostra, si affaccia a pieno titolo sull’orizzonte del grande romanzo italiano. Il tutto, però, con misura e (ripeto, dato che è merce rara) ironia, e soprattutto con la speciale qualità dell’understatement: perché anche il dolore, come la gioia, può essere compreso solo quando descritto senza l’ingrato peso dell’enfasi.
Marisa Salabelle, nata a Cagliari nel 1955 e residente a Pistoia fin dagli anni ’60, è una storica e per anni è stata insegnante nelle scuole italiane. Il suo esordio, L’estate che ammazzarono Elisa Caddozzu (Piemme) risale al 2015, e i suoi libri seguenti sono stati L’ultimo dei santi (Tarka, 2019) e Il ferro da calza (Tarka, 2022). Arkadia Editore ha pubblicato anche Gli ingranaggi dei ricordi (2020) e La scrittrice obesa (2022).
Giovanni Agnoloni
La recensione su Lankenauta